L'OBOLO

 

Imparammo presto a traghettarci nella notte.

Gli occhi sgranati a colar lacrime di pece

la bocca arida di terrore nel silenzio

la pelle rugiada già all'inizio del navigare

le mani una coppa colma di lucciole

ingannevole aritmia per maléfici nocchieri.

E aspettavamo, aspettavamo,

con il gelo nelle vene

la mente una zavorra ormai gettata

l'anima venduta al primo istante.

E i démoni salivano dai sentieri del giardino

gli artigli carichi delle rose più belle

(arriviamo, bei bambini, arriviamo)

la nostra carne in piombo tremava sottovoce

le lunghe ali nere strisciavano per terra

il profumo diveniva intenso

aprivamo le dita una a una

la luce frullava un attimo

e subito moriva nello scatto ingordo

qualcosa poggiava su di noi

(no, io no, prendete gli altri)

e ansimanti e sfiniti

stavamo così fino al sentore del giorno.

Allora ci alzavamo gettando petali marciti

affondavamo le unghie nei capelli

con una luce in meno

e un macigno in petto.

  Giulia Lenci

NOTTE

 

Sonno che giungi pietoso

da contrade di sfinimento e disperazione

accetta l'ampolla rubina del mio cuore

reliquia ancora tiepida di vita

che si placa e quasi cede al tuo richiamo.

Da molto tempo non m'addormento a mani vuote

porto con me grovigli di pensieri

che come sartiame getto all'addiaccio

di quest'umile vascello

abbandonato in alto mare.

E veleggio senza meta

respirando le parole che non so dire

e in filtro magico uso il silenzio

per entrare nei suoi sogni.

Viaggio peregrino

denso di zèfiri d'inganno

anche questa notte finirò a giacere nei fondali

come un nocchiero che ha sbagliato rotta.

  Giulia Lenci