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di Beniamino
Sidoti
Mi occupo di giochi da molti anni; e da altrettanti di scrittura, in
modo diverso. Per me le due cose sono sempre state naturalmente vicine:
come la musica e il ballo, per dire.
Poi, crescendo, mi sono accorto che questa vicinanza non era così
banale: era naturale per molta gente, come i giocatori di ruolo. Ma
non era banale. Il gioco, in particolare il gioco di ruolo, fa parte
di un grande movimento che sta cambiando lentamente il modo di produrre
e di fruire letteratura: sta cambiando il modo in cui leggiamo e scriviamo,
facendole diventare sempre più due cose intrecciate, legate,
due movimenti della stessa danza. Lo scopre chi analizza le strategie
dei consumatori di media, come ha teorizzato Michel de Certeau
ne L’invenzione del quotidiano (Edizioni Lavoro) e poi
ha fatto per esempio Henry Jenkins in un bel libro chiamato
Textual poachers (Routledge).
Io ho provato a studiare questi mobili confini attraverso un oggetto
ibrido e strano, di grande attualità: le scritture collettive,
cioè i modi, strumenti e metodi per scrivere qualcosa a più
mani. Su questo argomento ho scritto la mia tesi di laurea in Scienze
della Comunicazione.
La scrittura collettiva mette silenziosamente in crisi molti dei miti
che riguardano la scrittura. La scrittura collettiva è una modalità
di produzione sempre più diffusa, assolutamente naturale, e per
questo in grado di contrastare alcune idee scontate e sbagliate che
abbiamo dello scrivere.
Per esempio, la solitudine dello scrittore; per esempio che si scriva
anzitutto per se stessi; per esempio che la scrittura sia sofferenza.
Questi miti sono legati a un’idea romantica dello scrittore, legata
a un mondo molto diverso da quello attuale. Gli ultimi anni di progresso
tecnologico hanno offerto e imposto nuovi modi di lavorare, nuove tecnologie,
nuove idee dell’individuo e dell’intelligenza. Scrivere
insieme ad altri è un fatto naturale, oggi: almeno quanto lo
è scrivere su una tastiera. Lo scrittore è ancora, se
lo vuole, solo, sofferente, e rivolto essenzialmente a se stesso; più
spesso però si scrive, scriviamo, in tanti, mettendo insieme
piccoli frammenti in affreschi collettivi, collaborando, giocando, lavorando
a progetti a firma multipla.
Ci sono tanti modi di portare avanti una scrittura collettiva: perché
la scrittura è un processo complesso in cui si può intervenire
in maniera diversa in fasi diverse. Gli psicologi della scrittura (di
Bereiter e Scardamalia, per chi cerca i riferimenti
bibliografici, è stato tradotto qualche anno fa dalla Nuova Italia
un libro molto esauriente) parlano di quattro fasi salienti: la ricerca
delle idee, la pianificazione, la stesura, la
revisione.
A grandi linee, e giusto per capire di cosa stiamo parlando, quando
vogliamo scrivere qualcosa cerchiamo anzitutto informazioni sul nostro
soggetto, poi buttiamo giù una bozza di scaletta, quindi scriviamo
e poi rileggiamo il testo. Certe fasi possono rimanere implicite (per
esempio, colto da ispirazione, so già cosa voglio scrivere, e
non ho bisogno di cercare nuove idee; oppure non riguardo il testo e
premo il tasto invia); più spesso, certe fasi possono essere
iterate (mentre scrivevo il primo paragrafo mi sono reso conto che non
mi ricordavo il titolo del libro di Jenkins, ho quindi spulciato nei
miei appunti, ritornando indietro alla fase di ricerca, e poi ho ripreso
la stesura).
Ognuna di queste fasi può essere collettivizzata: vale a dire,
può essere fatta in più di uno.
Per esempio scrivendo questo articolo so che inevitabilmente il Panicucci
lo riguarderà e vi aggiungerà delle NdP (note
del Panicucci) (no, del PaniK, per la precisione!, ^___^, NdP).
In qualche modo, e per fortuna, questo scritto sarà diventato
un’opera anche collettiva: avremo condiviso la revisione del testo.
Provo a dare qualche altro esempio: se volete, potete saltare i prossimi
quattro paragrafi e andare direttamente dove si parla di giochi.
Esempi di scritture collettive
Una delle pratiche più comuni che ho incontrato riguarda la collettivizzazione
della prima fase, quella di ricerca delle idee. L’esempio più
diffuso è quello del brainstorming: prima di scrivere
qualsiasi cosa ci si mette intorno a un tavolo, un telefono o un computer
connesso a internet e se ne parla, scambiandosi idee e prendendo appunti.
Poi si mettono insieme gli appunti di tutti e qualcuno prova a cavarci
il capo.
Un lavoro simile fa un qualsiasi editore quando pianifica un’opera
collettiva: per esempio i RiLLini decidono di dedicare una serie di
articoli alla scrittura e chiedono aiuto, gentilmente obbligando amici
e colleghi a scrivere dei contributi. In questo caso è la pianificazione
che diventa collettiva: si decidono quali saranno gli argomenti da trattare
insieme ai singoli e si distribuiscono. Una volta fatta insieme la scaletta,
ognuno farà il proprio percorso personale, in modo da avere contemporaneamente
tante opere individuali e un unico testo collettivo.
La stesura diventa collettiva quando decidiamo di scrivere un’opera
a staffetta: io ne scrivo un pezzo, poi qualcuno continua. O quando
partecipiamo a un forum: l’insieme dei contributi dà un’opera
collettiva di cui, a ben vedere, non si sono condivise pianificazione,
revisione o ricerca delle idee.
Infine, posso condividere la revisione chiedendo a qualcuno di aiutarmi
a correggere eventuali errori e a migliorare il mio testo: è
la tecnologia dell’open source. Se ho scritto qualcosa
di sbagliato, vi prego di correggermi, di trovare il bug e
migliorare così, tutti insieme, quello che ho fatto.
Ricomincio a parlare di giochi
I giochi di narrazione sono a loro volta delle scritture collettive:
i cadaveri squisiti (le carte piegate, quel gioco dove ognuno
scrive qualcosa su un foglio ignorando cosa hanno scritto gli altri,
seguendo una regola comune, per poi leggere dei non sensi divertenti)
sono un esempio di gioco di narrazione in cui c’è una pianificazione
comune (la regola) che poi viene svolta raccogliendo i pezzi in modo
casuale.
Once upon a time, il gioco di carte della Atlas
Games tradotto in Italia da Unicorn, prevede una stesura
collettiva, in cui tutti contribuiscono allo svolgersi della storia.
Nel Gioco di ruolo del Barone di Münchausen, chi
racconta deve elaborare un’idea ricevuta da un altro giocatore,
condividendo così la fase di ricerca delle idee (“Ci racconti,
signor Barone, di quella volta che ha fatto saltare il 25 dicembre usando
una testa di capodoglio…”) e in parte quella della stesura.
In On Stage! si pianifica scena per scena, a turno,
alternandosi per mezzo di un’asta.
Pathos ha generato
infinite revisioni individuali rispetto a una storia collettiva, attraverso
una serie di racconti dal punto di vista dei personaggi coinvolti, raccolti
come epifanie. Eccetera.
La maggior parte dei giochi di narrazione, però, condivide le
fasi di stesura e di ricerca delle idee, mentre la
pianificazione e la revisione sono poco affrontate.
I giochi che più si avvicinano a queste fasi nascono nell’ambito
del Flying Circus di cui parla
Lorenzo Trenti nel suo articolo,
sempre qui nel sito di RiLL. Sono L’Elenco
telefonico di Uqbar per la pianificazione e Sì,
oscuro signore! per la revisione.
L’elenco telefonico di Uqbar è una grande scrittura
collettiva in forma enciclopedica: ogni scrittore può aggiungere
una voce dell’enciclopedia di un immaginario continente perduto,
conservando e sviluppando i frammenti contenuti nelle altre voci (per
inciso, questo gioco ha vinto la seconda edizione del Premio Scrittura
Mutante della Biblioteca Multimediale di Settimo Torinese e della
Regione Piemonte, conclusasi alla Fiera del Libro di Torino 2004, NdP).
In Sì, oscuro signore!, gioco di carte di narrazione,
i servi del male tornano dal loro padrone dopo che il bene ha trionfato
ancora una volta: il loro signore ha bisogno di punire qualcuno per
il fallimento della missione, e chiede loro cosa non ha funzionato,
stavolta… i giocatori cercando di spiegare come sono andate le
cose incolpando gli altri e cercando di sfuggire allo sguardo dell’Oscuro.
La revisione non avviene durante il gioco (ma ci si potrebbe lavorare…),
ma è il pretesto del gioco: cosa succede quando rileggiamo una
storia fantasy dal punto di vista di quei lavoratori sottopagati che
sono i goblin?
C’è quindi ancora molto da lavorare su queste due fasi,
dal punto di vista dei giochi.
Ma, in fin dei conti, è abbastanza naturale che pianificazione
e revisione siano state trascurate: sono fasi tipiche della cultura
scritta, difficili cioè da ritrovarsi in una produzione orale:
e poiché la maggior parte dei giochi di narrazione viene praticata
ad alta voce, è facile che si condivida anzitutto la stesura,
cioè l’aspetto più “performativo” della
narrazione, come nei giochi di ruolo.
Ottimo: abbiamo ancora intere miniere da esplorare.
In conclusione...
Il gioco di narrazione, quando si intreccia con la scrittura,
offre nuove, insperate, risorse: perché il gioco è di
sua natura un fatto collettivo, che si fa attraverso l’interazione
fra pensieri e obiettivi diversi.
Inoltre il gioco offre una sua matrice di regole che consentono esperimenti
molto puntuali sui modi di scrivere insieme. Giocando, infatti, possiamo
scoprire che ci sono tanti modi di condividere una certa fase del processo
di scrittura, e che ognuno di questi può produrre infinite forme
di scrittura. La letteratura interattiva, infatti, trova nel gioco il
suo ambiente naturale: perché il gioco può insegnare un’infinità
doppia di modi di creare testi insieme. Inoltre, è più
facile inventare un nuovo gioco che imporre un nuovo esperimento di
scrittura; i giochi stanno cambiando rapidamente, con il cambiamento
di una società che pone sempre maggiore attenzione a diverse
forme di scrittura, a modi diffusi di condivisione del sapere.
Il gioco, insomma, è il luogo dove si esprimono le più
interessanti potenzialità dei soggetti collettivi.
Credo quindi che gli appassionati di giochi possano contribuire in
maniera forte a questo grande laboratorio di idee che sta producendo
sempre nuove scritture collettive. Anzitutto inventando nuovi giochi,
o adattando vecchi giochi a nuove forme di scritture; oppure trasformando
dei giochi in regole astratte, che possano produrre letterature interattive
di tipi molto diversi.
Perché lo scrittore non è più solo, e ha bisogno
di qualcuno che suggerisca modi nuovi di scrivere, ha bisogno di qualcuno
con cui scrivere. Perché chi lo fa può scoprire che è
divertente. E perché si scrive sempre per se stessi, ma ancora
più sempre (è una nuova misura temporale) si scrive per
gli altri, per produrre nuove idee, per incontrare nostri simili, per
provarsi in altri panni, per giocare.
Beniamino Sidoti, oltre ad essere un esperto di scrittura collettiva
e creativa, giurato del Trofeo RiLL, ideatore di Lucca Games e molto
(MOLTO) altro ancora è anche una persona disponibile al confronto
(^___^): se questo articolo vi ha incuriosito, potete scrivergli,
e parlarne ancora con lui.
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