DESERTO, CINEMA E LETTERATURA.

di Silvia Bernardini

L’idea che tutti condividono quando si parla di deserto è quella di una distesa di sabbia calda, arida, senza vita. Tuttavia, questa visione generica riferita ad un ambiente complesso, come appunto è quello del deserto, è solo una piccola parte, una microvisione di un universo ben più articolato. La grande distesa di sabbia è infatti uno degli aspetti che la geografia e la climatologia, insieme con altre scienze naturali, ci indicano.

La definizione di deserto è di per sé molto generica: vasta area uniforme sulla quale si ripropongono le medesime condizioni atmosferiche, tendenzialmente sfavorevoli alla crescita rigogliosa di flora e/o fauna (dal latino, desero=abbandonato).

“Tendenzialmente” è un avverbio che tengo a sottolineare, in quanto anche i deserti sono a modo loro pieni di vita, ma di una vita dai ritmi, dalle abitudini e dalle forme molto diversi da quelli degli esseri umani: una vita discreta, nascosta, mimetizzata, paragonabile forse solo al plancton marino, o perché no, alle ombre sconosciute che da sempre nella letteratura hanno assillato gli impavidi viaggiatori dello spazio.

 

Durante le ricerche che ho svolto per questo incontro, due sono state le grandi sorprese che mi hanno stimolato a fare, anche se nel piccolo, e con un taglio decisamente fantascientifico, la mia ricerca:

·Innanzitutto un’ipotesi che sto sviluppando rispetto a questo lavoro, e cioè che il deserto e lo spazio abbiano tra di loro legami molto profondi, visto che entrambi sono collocazioni quasi naturali delle ultime produzioni letterarie e cinematografiche che hanno come comune denominatore la space opera.

·L’enorme sorpresa di scoprire che il deserto malgrado la sua vastità è ancora molto poco studiato, almeno da un punto di vista letterario e cinematografico, cosa che mi ha lasciato un poco perplessa, viste anche le mutazione climatiche a cui stiamo assistendo in prima persona in questi ultimi anni: dal vento africano che porta la sabbia fino al nord Europa, alla neve in nord Africa.

 

Ad ogni modo, per dare un’idea vera della realtà del deserto a noi conosciuto, mi sono permnessa di attingere informazioni da enciclopedie scientifiche, al fine di classificare correttamente i deserti, aiutandomi in questo con materiale fotografico che ho avuto la possibilità di reperire durante i miei viaggi.

Si scopre così, grazie alle scienze, che il deserto da un punto di vista fisico viene distinto in quattro diverse tipologie:

A-;deserto SUBTROPICALE: per questo tipo di deserto è ovvio immaginare il Sahara, che corrisponde all’idea più diffusa e generalizzata della parola deserto, caratterizzato da alte temperature di giorno e di almeno trenta gradi più basse la notte, ricco di dune dolcemente accarezzate dal vento (ma non tutto il Sahara è fatto di sabbia), all’interno del quale spuntano in modo completamente inatteso oasi di un verde vivace e rigoglioso.

B-;Deserto COSTIERO FREDDO: caratterizzato da un panorama arido e non sempre sabbioso, ma ridotto alla corrosione costante dal mare, dal sale e dallo iodio. Famosissimo di questa natura il deserto dell’Atacama, in Cile, sede per altro delle cosiddette più ricche miniere di rame del mondo.

C-;Deserto CONTINENTALE INTERNO: caratterizzato da immense pianure, o altipiani continentali, con escursioni climatiche superiori ai sessanta gradi che lo rendono decisamente inabitabile per l’essere umano (il deserto del Gobi in Mongolia, o i deserti interni Australiani ne sono un ottimo esempio).

D-;Deserto POLARE: quindi, le grande distese di ghiacci, di quei ghiacci uguali ed uniformi che appiattiscono il panorama facendo persino perdere la linea dell’orizzonte in un mare di bianco (pensiamo anche solo al circolo Polare Artico).

 

Quattro panorami diversi, dunque, accomunati da un’unica idea: il nulla, o comunque quello che io definisco un po’ ironicamente “il presunto nulla”. Presunto, in quanto la vita c’è, anche se diversa dai canoni classici, e probabilmente è proprio questa continua lotta contro le avversità climatiche quella cosa che più ha attirato i viaggiatori ottocenteschi in certe zone africane o mediorientali, e che più ha stimolato la fantasia degli autori di racconti fantastici e di fantascienza. La possibilità di creare ciò che non poteva essere smentito ha dato sicuramente l’impulso alla realizzazione di tanti racconti, tanti romanzi, tanti film, ma anche tante riflessioni intorno all’individuo; le meraviglie di certe creazioni, a mio modo di vedere, non sono solo al di fuori dell’uomo, ma spesso partono proprio dall’uomo, un uomo desideroso di scoprire un nuovo se stesso, nuove virtù, nuove capacità che lo facciano davvero sentire l’eroe che non era mai stato: il deserto come luogo per scoprire se stessi, come metafora di un viaggio interiore. Non a caso, lo stesso concetto cristiano del deserto vede in questo luogo l’ambiente naturale per la purificazione, l’ascesi la lotta contro il male: il deserto diventa quasi una categoria spirituale ricercata dai padri anacoreti, e più tardi, quegli ordini che in Europa non riusciranno a trovare l’equivalente fisico dei deserti africani e mediorientali si ritireranno in posti idealmente deserti come le cime impervie dei monti (basti pensare alle Meteore, in Grecia, o ai vari monasteri camaldolesi in Italia). Un pochino diversa la visione che possiamo chiamare araba del deserto: il normale ambiente di vita, che può aiutare a sopravvivere, o aiutare a nascondersi, secondo una visione molto più razionalizzata dell’ambiente. Il deserto occupa comunque molto spazio anche nella poesia e nella narrativa araba, e insistente è decisamente l’aspetto della cavalcata nel deserto (una sorta di prova di iniziazione) e l’aspetto del nomadismo tra le varie oasi (non dimentichiamoci che durante la fuga di Maometto, e il suo conseguente rifugio nella città di Medina, l’unica forma di sostentamento per lui e i suoi seguaci era la razzia delle carovane che attraversavano le piste del deserto).

Proprio come la space opera ci ha insegnato attraverso i viaggi nello spazio, dalla mia ricerca emerge una cosa analoga rispetto al deserto: il deserto è una nuova forma di spazio profondo, la scusa per un nuovo viaggio verso una identità, verso una scoperta, verso l’ignoto, laddove l’ignoto non è un nuovo pianeta, me è magari una nuova vita, una nuova oasi in cui ricominciare da capo, la possibilità di fare nuove scoperte. In questo senso, il viaggio nel deserto altro non è che un viaggio verso l’uomo, esattamente come lo sono i viaggi sopra e sotto i mari, e i viaggi nello spazio.

 

Sulla base di questa riflessione, che ripeto essere una ipotesi interpretativa assolutamente personale e di taglio prettamente letterario e cinematografico riferito al genere fantascientifico, anche i diversi aspetti del deserto assumono valenze diverse rispetto alle ambientazioni cinematografiche e letterarie. Ecco allora che compaiono le prime similitudini:

A-;Il deserto subtropicale, altri non è che il deserto per definizione: il deserto dei predoni e della tratta delle bianche, dei morti di sete e dei colpi di sole, il deserto di Lawrence d’Arabia, delle tute distillanti di Dune, il deserto dell’infanzia di Anakyn prima e Luke Skywalker poi. Una terra da conquistare, da cambiare per migliorare il nostro sistema di vita, una terra da far evolvere.

B-;Il deserto costiero freddo è invece la rappresentazione più pacata e meno viva di un terreno meno luminoso e meno vitale: è il paesaggio lunare dell’Uomo sulla luna di Mèlies, della Donna sulla Luna di Lang, è il mondo visto dall’oblò dell’Apollo tredici, un panorama frastagliato come potrebbe esserlo il meteorite di Armageddon, o la locazione lunare di Spazio 1999.

C-;Il deserto continentale interno è molto più simile al concetto che abbiamo di spazio profondo: immensi spazi di cui non si intravedono mai i confini (proviamo a pensare alla leggenda (?) dei camionisti che in Australia bloccano acceleratore e volante e dormono perché la strada è sempre dritta per svariate migliaia di chilometri ). La sensazione rarefatta e rallentata dell’astronauta di 2001 Odissea nello spazio, o della missione speciale in Space Cowboys, o del naufragio di Lost in Space, ma anche ai vari cicli marziani, caratterizzati dal colore rosso, e dal nulla più sconfinato: da Atto di forza, al Pianeta Rosso, a Mission to Mars. E perché no, al particolare viaggio della protagonista di Contact.

D-;Il deserto polare rappresenta invece la grande distesa di ghiaccio o di acqua, che bene viene visualizzata e descritta, ad esempio nel Frankenstein di Mary Shelley (il Frankenstein vagante nella bufera alla ricerca di Victor suo creatore e padrone, ma anche unico conoscitore della sua identità), che viene sicuramente indagata nelle peregrinazioni del Capitano Nemo in 20.000 Leghe sotto i mari, ma anche del catastrofico Deserto d’acqua di James Ballard (’62) e del più recente Waterworld.

 

In tempi recenti tuttavia, individuo un altro tipo di deserto, e mi auguro che gli esperti del settore informatico non se ne abbiano a male: un deserto nuovo, appartenente ad una dimensione che non è quella fisica terrestre, ma quella virtuale del net, della rete informatica, deserto nato e morto negli anni ’80 dall’accesa fantasia di Gibson (il cyberfantasy di Neuromante, Giù nel cyberspazio), che crea una nuova forma di spazio che i personaggi principali “cavalcano”, ma al lato pratico condividono solo con loro stessi, secondo una visione di perdita della collettività reale a favore di una collettività virtuale difficilmente comprensibile: bisognerà aspettare la fine degli anni ’90 (e quindi produzioni come Il Tagliaerbe, Johnny Mnemonic, Virtuality, o il più noto Matrix), per capire cosa si intende per rete informatica prima, e realtà virtuale poi, secondo un nuovo panorama in cui l’individuo (come in Strange Days) fa di tutto per isolarsi e farsi scivolare addosso la realtà esattamente come si cercherebbe di scrollarsi di dosso un granello di sabbia.

Il nuovo deserto sociale, dunque, diventa un punto di riferimento diverso e nuovo rispetto a ciò che fisicamente conosciamo, ed andrà a dare un nuovo significato sociologico alle produzioni più recenti: dark city, il tredicesimo piano, X-Men (ma non dimentichiamoci le esperienze di orwell-1984 e fahrenheit 451). Ma qui naturalmente concludo il mio intervento a favore del materiale fotografico, per non invadere il campo di coloro che si appresteranno a studiare il fenomeno da un punto di vista sociologico più professionale.