Raffaella Piccolo

macx@libero.it

 

  Scherzi a parte

 

Il mare mi sveglia presto. Alle otto e un quarto ero già sul lido deserto. Con gli occhi

socchiusi seguivo il moto delle onde spumose...le mani sfioravano il legno appena

caldo dei braccioli della sdraio, le punte dei piedi nudi affondate nella sabbia.

 

Inspiravo lentamente l’odore forte del mare.

 

E sognavo.

 

Mia sorella chiacchierava. In spiaggia le voci hanno un suono particolare: sembrano

nascere chissà dove. La vacanza volgeva al termine. La mia pelle era abbronzata; il

librone, che avevo portato dalla città, letto almeno per due terzi. E i rapporti con

Alessio quasi sereni. Quando giudico un uomo...”bestia”, qualcosa avrà fatto: Alessio

aveva osato rovesciarmi addosso un secchiello d’acqua.

 

“Idiota cafone, come ti sei permesso?”, gli stampai in fronte la robusta e zuppa opera

letteraria...Il giorno dopo trovai Alessio con un livido, e un cartello “ATTENTI

MORDE” piantato lì dove mi sistemavo di solito. Arrossii leggermente e guardai

sottecchi gli autori, che erano serissimi, dunque stesi l’asciugamano proprio sotto

l’avvertimento. Si avvicinarono dei bambini.

 

“Che c’è ‘critto’?”

 

“C’è scritto che mordo, perciò state lontani!”

 

“Ih ih”

 

“Non ci credete?” I tenerelli vollero farsi mordicchiare ripetutamente.

 

“Non hai il senso dell’umorismo!” mi diceva Alessio.

 

“Perché, il tuo lo chiami umorismo?”

 

“Non sai divertirti...”

 

“Abbiamo gusti diversi.”

 

“Non sai stare allo scherzo!”

 

“E’ vero. E cerca di ricordarlo. Fa finta che non esisto.”

 

Presto però dovetti riconoscere che Alessio era un bravo ragazzo, le cose si sanno.

Oltre che bello. Non per questo fui meno sdegnosa. E lui mi capì meglio. Non per

questo la finì di punzecchiarmi. Eravamo amici. Come pure con la sua migliore amica,

Beatrice detta Bea, vivacissima, e che odiavo un po’ perché parlava perfettamente il

francese.

 

I rapporti con Alessio erano diventati quasi pacifici, dicevo. Riunitasi la solita

compagnia sotto il nostro ombrellone, ad un certo punto Bea propose di fare il gioco

della verità. Alessio mi piombò davanti fissandomi con un ampio sorriso, anche i suoi

occhiacci neri ridevano.

 

“Io non gioco.” Sostenni. L’ebbi vinta. Per il momento. Non potevo fare a meno di

ascoltare e di divertirmi. Si accorsero che mi divertivo e si levò un coro di proteste.

 

“E va bene. Cosa volete sapere? Chi è il mio uomo ideale?”

 

Rovinata con le mie mani. Giocai sull’impossibile.

 

“L’aspetto fisico non mi interessa. Deve essere gradevole. Molto più grande di me.

Noo, non proprio vecchio. Serio. E con un paio di figli, così risparmio la fatica di farli

io!”

 

Avevo costruito un’immagine lontanissima non solo da Alessio, ma da ogni altro

possibile riferimento e, nonostante le accuse di bugiarda, mi ritenni soddisfatta.

 

La sera indossai il mio abito preferito, di seta lilla modello sottoveste. Piaceva anche

ad Alessio. Avevamo programmato di andare in pizzeria. Forse però avrei solo fatto

una passeggiata. Sarei stata benissimo, nella stanza rischiarata dalle stelle, ispirata da

quella musica lontana...pensai mentre finivo di prepararmi. Poi la strada allegra mi

ispirò la voglia di godere la notte fuori. In pizzeria si aspettò un certo Carlo.

 

“Che signore carino” pensai subito quando lo vidi.

 

“Sei venuto. Carlo è un fanatico del lavoro e della famiglia. E’ un tipo serio.” Raccontò

Alessio.

 

“Hai già due figli! Li hai lasciati a casa?”

 

“Sì, con i nonni.”

 

“Naturalmente.”

 

“Sono separato...”

 

Mi stava irritando...

 

“Volevo portarli, ma...Non capisco questo tono.”

 

Incontrai il ghigno di Alessio e non mi tenni più.

 

“Siete una massa di idioti!”

 

“Come ti permetti?” annaspò Carlo.

 

“Viviana ti giuro che è tutto vero, Carlo scusami.” Si preoccupò di spiegare Alessio.

 

Mi allontanai con il naso per aria.

 

Non dormii bene. Mi infastidiva soprattutto il ricordo degli occhi azzurri di quel

Carlo. Mi si erano stampati nella mente All’alba decisi che non sarei scesa in spiaggia,

mai più. Ma mi sentivo irrequieta e così, verso le dieci, raggiunsi gli altri. Sembrerà

strano eppure non si fece parola dell’accaduto. Alessio mi diede un bacino a sorpresa

e non mi arrabbiai. Di sera avemmo in visita alcuni parenti che ci lasciarono

tardissimo.

 

 

 

Un’altra mattina, già calda a quell’ora. Davvero non mi andava di scendere al mare.

Salendo la collina si trovano masserie che vendono prodotti genuini. Oggi si dice

ecologici... Che caldo però, afoso, opprimente. Il sole sparì all’improvviso dietro un

cielo grigio e denso. I tuoni si avvicinavano. Fortuna che ero sulla strada del ritorno.

Camminava un uomo verso me; mi accorsi che era quel Carlo. Non ci saremmo

salutati. Ficcai gli occhi nella verzura e cercai di apparire indifferente.

 

“Viviana. Mi è dispiaciuto per l’altra sera. Il tuo comportamento era più che

comprensibile.”

 

“Ah grazie!” Fremevo di sdegno.

 

“Vedo che non mi permetti di scusarmi.”

 

Un tuono fortissimo annunciò che il temporale era arrivato sopra le nostre teste.

 

“Lei...tu non mi conoscevi neppure... capisco certi modi di agire. E non li ammetto.”

 

Pioveva.

 

“Ancora con questa storia. Adesso basta. Vieni con me.”

 

Non mi mossi.

 

“Del resto piove e i bambini saranno qui a momenti.”

 

Era troppo sicuro.

 

“Non mi è necessario. Faccio una corsa.” Che ridicola con quel tempo! Mi decisi a

rifugiarmi da lui, lì vicino. La casa era accogliente. Mi aspettai di vedere sbucare fuori

Alessio con il suo ‘simpatico’ sorriso. Per ora mi sorrise Carlo.

 

“Entra...Sei timida?” chiese ironico.

 

Risposi seria. “Sì, molto. E molto diffidente.”

 

Posai la busta della spesa sulla tavola della cucina. Carlo accese il forno e prese dal

frigorifero un bel polpettone di carne con contorno di patate, cipolle e piselli.

 

“Ti piace?”

 

“Sì. Ma adesso me ne vado. Aspetto un po’ che spiove.”

 

Apparecchiò per quattro. Elena e Robertino stavano con lui tutta l’estate, e nel periodo

scolastico in città dalla mamma. Dunque li vedeva sempre perché lavorava come

chimico per un’importante azienda che aveva i suoi uffici in centro. La farmacia,

l’unica del paesino costiero, fondata dal trisnonno, era una tradizione di famiglia. Mi

avrebbe dato un passaggio tornandoci nel pomeriggio. Non era indispensabile la sua

presenza, ma - mi confidò - si annoiava senza lavorare, a stare in casa!

 

Fino alle cinque in casa di quel Carlo...che situazione assurda. Telefonai alla pensione

per avvisare e parlai proprio con Alessio, che fu antipaticissimo. Non finiva più di

piovere e non si vedevano bambini. Lo dissi a Carlo che, scuotendo la testa, mi lanciò

uno sguardo di biasimo.

 

“Se tu volessi fare uno scherzo, quanto lo faresti durare? Fino alle cinque?”, ero io che

scherzavo un po’, per sdrammatizzare. Mi fece notare alcuni particolari che rivelavano

la verità di quanto diceva. Continuai su quel tono confidandogli che ero molto

distratta, che potevano esserci le prove più evidenti che si trattava di una messa in

scena e non me ne sarei accorta, era per questo che Alessio si divertiva a prendermi in

giro. Lui insinuò che non era proprio per questo. Guardammo le foto di famiglia.

Raccontai che ancora studiavo per la laurea. Disse che sembravo anche più piccola. Il

grand’uomo! Disse ancora che ero contraddittoria, perché mentre dicevo di non

credere a quella strana coincidenza, stavo dando vere, per scontato, molte

cose...questo perché, concluse, istintivamente mi fidavo di lui. Guardavo il suo profilo

e mi sentivo invadere dalla tenerezza, e desiderai violentemente, disperatamente,

dargli un bacio. Mi alzai dicendo qualcosa.

 

Allora arrivarono i bambini, funky look.

 

“Papà, papà, papà!” Avevano aspettato nel bar perché la signora Gina aveva paura dei

fulmini.

 

Elena, nove anni, somigliava al papà. Mi informò che frequentava la scuola francese,

anche lei. Robertino, sei anni e due occhioni castani s’incollò a Carlo e non parlò che

con lui o tramite lui. Elena mi fece sapere che la mamma era bella perché aveva i

capelli corti e biondi, Robertino riuscì ad appendere il suo cappello alla penna che

Carlo portava nel taschino della polo. Elena disse che anch’io ero bella.

 

Dopo aver mangiato e riordinato tutti insieme la cucina, insistetti perché Carlo e i

bambini andassero a riposare, mentre io mi accoccolavo sul divano del soggiorno a

sfogliare una rivista. La pioggia cadeva a tratti ormai, e piano. Sarà stato quel suono

leggero e ritmico a farmi addormentare. Mi svegliò una carezza, o meglio la

sensazione forte che una mano grande e calda avesse sfiorato il mio viso, ma non c’era

nessuno, dovevo aver sognato.

 

Carlo entrò dal giardino. “Ah, ti sei svegliata...Non avevi detto che “hai” l’insonnia?

Anche Elena si è addormentata, non dorme mai il pomeriggio. Se ne sta vicina a me,

seduta all’indiana, a leggere giornalini e a sgranocchiare patatine. Le fanno male e

fanno rumore.”

 

“E’ il tempo.”

 

Sorrise brevemente. “Si vede che a me fa l’effetto contrario.”

 

Mi fissò con gli occhi seri. “Non sarà che vi siete messi d’accordo?”

 

Non capivo, ero ancora un poco annebbiata.

 

“Con Alessio...”

 

Velocemente mi sforzai di comprendere il senso della sua domanda, senza però

riuscirci: “Come...?”.

 

Sembrò sollevato.

 

“No. Lascia stare, non farci caso...”

 

Andai a rinfrescarmi. “Carlo, che ore sono?”

 

“Le cinque”

 

Scioccamente trasalii, ma mi ripresi subito e dissi allegra:

 

“Allora è tutto finito.!”

 

La macchina era già nel viale. Era Carlo che non sembrava affatto pronto. Telefonata a

sua madre, raccomandazioni, saluti e baci ai bambini, le mie conserve, bè quelle le

dimenticavo io...Attraversammo il bel giardino e...mi baciò, ricordo ancora benissimo

il venticello fresco sulla pelle e il profumo di fiori e di terra bagnati dalla pioggia.

 

“Ehi! E’ uno scherzo?” Ci voltammo. Alessio era lì, con espressione non proprio

contenta.