UTOPIA

di Tomaso Carnaghi

 

 

Sono un ragazzo.

Assolutamente normale.

Sono anormale nel mio esserlo.

Essere è una parola che più che mai m'è entrata in testa.

Essere.

È sull'interpretazione d'alcuni che avrei alcune obbiezioni da porre.

Ma rischierei di perder tempo.

Il vostro perderei. Come il mio. E del mio progetto.

Sinceramente seduto entro le mura domestiche analizzo. Ciò che mi potrebbe servire.

Tutto.

È quel che del sogno ci rimane. È tutto ciò che non vogliamo vedere. È il successo altrui. È la fatica altrui per questo.

Io fatico sadomasochisticamente. È il mio sangue quel che sudo.

Da sputare in faccia a chi è scappato.

Addosso ai loro stupidi insoddisfacenti biechi successi.

Successi.

Perché le mie vene reggano alla pressione incombente delle mie idee devo concentrarmi.

Infinitamente pensare.

Infine.

Pensare.

Più di chi non lo fa. Meno di chi facendolo implode.

Arrovellarmi al fin di scovare strade sempre più. Imperiosamente. Impervie.

Cercare l'arcobaleno sotto il quale nascosta è la pentola dell'oro.

Il mare al di sopra del quale le ali dell'Albatros si spiegano.

Il mare.

Dove il Colombre parsimoniosamente nuota, nelle membra il nostro destino.

La grotta in cui un drago saggio distribuirà prodigi e verità.

Ci sono ormai vicino.

Posso scorgere in lontananza le due colonne che Ulisse a mala pena sfiorò.

Sicuramente sicuro.

È ciò che infastidisce. Vero?

Inscatolando analisi ed idee noto di sfuggita una strana presenza.

Sosta cauta nella cucina. Del tè estraendo dal casalingo frigo. Tira a se una sedia e ne fa uso.

La spio da dietro lo stipite.

Brillante di quella luce attraente.

Oscura come l'ignoto che intorno aleggia.

Mi respinge ed impaurisce in tal qual modo mi trascina a se.

Certo ch'è lui.

Il mio.

Accanto a lui una signora.

Sfacciatamente indossa abiti di seta. Lunghi i suoi capelli adornano la schiena.

Ed il suo viso è così gelido.

E mi sentii...

Come la prima volta che a Milano avevo capito, vedendole, che le prostitute realmente esistevano.

Come quell'uomo sdraiato a terra. In viso un lenzuolo. Poi introdotto in ambulanza. Più le sirene.

Guaivano.

Lei era antagonista al mio progetto. Eppure insieme sorseggiavano il mio tè.

Questo fu un particolare che assai mi stupì.

Fu questo che mi spinse ancora ad osservare.

Sembravano parlare. Senza discutere.

Come se nulla più ci fosse su cui poterlo fare.

Le di posizione erano state prese.

Almeno così pareva al vostro narratore.

Risedetti sul divano di cui prima. E ripresi a progettare.

Ad un punto in cui non sentì urlare ma mi sembrò d'aver sentito. M'alzai.

Dalla porta della cucina usciva ora il primo dei due personaggi descritti.

Con una mano stringeva la sua spalla. E del sangue ora ne stava uscendo.

All'incontrarsi dei suoi occhi con i miei fui certo di dovergli credere. Fui certo che avrei sofferto per lui.

Dissolto che fu nell'ambiente la comparsa venne fatta dalla glacial signora.

Impugnante uno strano oggetto celere dirigeva il passo in direzione del mio cuore.

Avvicinò l'arnese (ch'era di forma aguzza) al petto del vostro adoratissimo. Penetrare la mia scatola toracica dedussi fosse il suo desiderio, al fin d'estrarne ciò che la ostacolava.

La mia e la sua linea di morte furono per istanti sovrapposte.

Ma fui io a non varcarla.

Poiché il primo lanciò polvere di sole dentro agli occhi di lei.

Accecata cadde a terra e di nuovo lui si dissolse in sua compagnia.

Tutto ciò non potrebbe succedere.

Credendoci accadde.

È ciò che infastidisce. Vero?

Ci sono ormai vicino.

Vero?