IL LINGUAGGIO IN DUNE.

Le caratteristiche del linguaggio in Dune non possono essere viste separatamente dal contesto in cui Herbert colloca il suo romanzo.

Da un punto di vista formale, troviamo tre stili narrativi: il discorso diretto, il discorso indiretto, ed una forma che potremmo definire di discorso quasi-diretto. Questi tre stili si integrano perfettamente nell'insieme, in quanto Herbert si pone come narratore omnisciente non solo nei confronti della storia ma anche nei confronti dei singoli personaggi. E' come se ogni singolo stile narrativo presentasse, nel suo piccolo, una sorta di risveglio della consapevolezza.

Un primo stile narrativo, che potremmo definire descrittivo, è quello che più resta obiettivo nei confronti dell'evolversi della trama. E' il discorso indiretto, cioè la descrizione costante di fatti ed avvenimenti, che assume toni rigorosi nel momento in cui Herbert utilizza elementi ecologici e paesaggi per spiegare elaborate metafore(1).

Un altro stile presente, è quello del monologo interiore, chiaramente riportato nel testo in caratteri italici, e quindi graficamente riconoscibile rispetto al resto. Generalmente però, quando un autore presenta questo tipo di narrazione, sposa la filosofia del suo personaggio, e ne riporta i pensieri quasi in esclusiva rispetto agli altri. Non è invece il caso di Herbert, il quale non riporta i pensieri di un unico personaggio, ma riporta tutti quei pensieri che possono via via aiutare il lettore a comprendere il corretto evolversi dei fatti. Questo strumento stilistico serve a dimostrare come il personaggio sia arrivato ad uno stadio cosciente tanto da essere in grado di verbalizzare l'accaduto. Non a caso, da un punto di vista prettamente grammaticale, i passaggi scritti in italico sono in prima persona singolare e al tempo presente(2).

Tra questi due modi stilistici ne emerge un terzo, una forma narrativa che tenta di presentare la consapevolezza dei personaggi attraverso fatti verbalmente inespressi. Si attua cioè una forma di correlazione tra i pensieri di un personaggio (in prima persona singolare e al tempo presente), l'espressione di tali pensieri, una conseguente reazione non verbale di altri personaggi, ed eventualmente una verbalizzazione da parte di uno dei reagenti, secondo un'ipotetica catena pensiero-azione-pensiero-reazione.

Alcuni linguisti hanno chiamato questo stratagemma "erlebte Rede", ossia discorso vissuto, sperimentato, o meglio, secondo un'analogia che dovrebbe chiarire le idee, il linguaggio che userebbe uno spettatore di teatro per spiegare a terzi i contenuti di un monologo(3).

Naturalmente questi tre stili interagiscono tra di loro quasi a creare forme espressive nuove dove intervengono non solo aspetti verbali della comunicazione ma anche, e in alcuni casi soprattutto, aspetti non verbali.

Questa interrelazione è bene evidenziata in una scena particolare del libro. Subito dopo l'arrivo degli Atreides su Arrakis, Jessica decide di organizzare una cena di benvenuto alla quale invitare diversi personaggi, per fare in modo che gli ufficiali Atreides familiarizzino con la realtà locale ed eventualmente stringano qualche relazione di comodo. Nel dettaglio, la scena è esemplificativa di un aspetto che potrebbe essere definito "semantica ecologica", specialmente per come i significati vanno a definirsi nei confronti del contesto linguistico in cui vengono prodotti e degli atteggiamenti non verbali ad essi correlati(4).

Oltretutto, si crea una sorta di dualità, visto che Herbert come narratore omnisciente riesce a descriverci la scena così come essa appare, ma riesce a descriverla così come essa viene effettivamente vissuta attraverso Jessica. Inoltre si vede anche bene come i discorsi dei personaggi, malgrado abbiano un'apparenza generica, siano in costante riferimento con due dei maggiori temi conduttori di Dune, ecologia e religione.

Durante un primo approccio con gli ospiti, Jessica esprime in modo del tutto naturale e quasi ingenuo l'intenzione del suo Duca di vedere Arrakis trasformato in un pianeta verdeggiante e ricco di acque. Di per sé, l'affermazione verbale di Jessica è chiara e semplice:

 

[...] "My Lord, the Duke, and I have other plans for our conservatory" Jessica said. She smiled at Leto. "We intend to keep it, certainly, but only to hold it in trust for the people of Arrakis. It is our dream that someday the climate of Arrakis may be changed sufficiently to grow such plants anywhere in the open".

 

Il problema non è la frase di per sé, ma le implicazioni che essa sottende nel momento in cui viene considerata da chi vede in Jessica la madre del messia.

 

[...] Leto's attention was caught by the expression on Kynes' face. The man was staring at Jessica. He appeared transfigured - like a man in love ... or caught in a religious trance. [...]

 

Ovviamente, la stessa frase a Bewt non aveva fatto lo stesso effetto, e neppure a Leto o ad altri ospiti. Quindi si individua un primo punto: una sorta di misticismo religioso, non condiviso da tutti, che va ad identificarsi con la fede nel fatto che l'ecologia di Dune si possa trasformare. C'è chi in questa trasformazione ci crede, e c'è chi non ci crede; idealmente quindi il gruppo si divide in due.

 

[...] Kynes' thoughts were overwhelmed at last by the words of prophecy: "And they will share your most precious dream!" He spoke directly to Jessica: "Do you bring the shortening of the way?"

"Ah, doctor Kynes" the water-shipper said. "You've come in tramping around with your mobs of Fremen. How gracious of you."

Kynes passed an unreadable glance across Bewt, said: "It is said in the desert that possession of water in great amount can inflict a man with fatal carelessness."

"They have many strange saying in the desert," Bewt said, but his voice betrayed uneasiness.

Jessica crossed to Leto, slipped her hand under his arm to gain a moment in which to calm herself, Kynes had said: '...the shortening of the way'. In the old tongue, the phrase translated as 'Kwisatz Haderach'. The planetologist's odd question seemed to have gone unnoticed by the others, and now Kynes was bending over one of the consort women, listening to a low-voiced coquetry.

Kwisatz Haderach. Jessica thought. Did our Missionaria Protectiva plant that legend here, too? The thought fanned her secret hope for Paul. He could be the Kwisatz Haderach. He could be. [...]

 

Ovviamente il soggetto della conversazione, cioè l'ecologia di Dune, sottintende un argomento che si esplicita solo tra Kynes e Jessica, cioè lo Kwisatz Haderach, mascherato da interventi generici di altri ospiti sulla cultura Fremen, che quindi li coinvolge tutti e due. In questo senso abbiamo anche un esempio del discorso quasi-diretto che più volte ricorre nel testo.

Jessica afferma l'intenzione di stravolgere l'ecologia di Dune. Kynes interpreta la frase secondo criteri non condivisi dalla comunità estranea, ossia secondo i dettami della profezia, ma non potendo parlare apertamente di profezia, cerca delle conferme direttamente da Jessica con una domanda esplicita, che però mantiene un'ambiguità di fondo: "Do you bring the shortening of the way?"

Da un punto di vista ecologico (che in questo contesto è quello esplicito, condiviso da tutti), la frase viene tradotta in: porti i mezzi per realizzare la trasformazione ecologica velocemente?

Da un punto di vista religioso (che in questo contesto viene condiviso solo da Kynes e Jessica, e sospettato da Leto), la frase viene tradotta in: sei la madre dello Kwisatz Haderach?

L'intervento di Bewt scioglie la tensione generale, ma non rompe del tutto il feeling che si è venuto a creare tra Kynes e Jessica, tra religione ed ecologia. Bewt è un commerciante d'acqua, non può quindi vedere in positivo la trasformazione ecologica di Dune, andrebbe contro i propri interessi. Non ha inoltre, evidentemente, una conoscenza tale da individuare nelle parole di Kynes un sotteso religioso. Quindi imposta un discorso vagamente culturale su detti e tradizioni Fremen, che costituiscono comunque la base culturale per religione ed ecologia.

Comunque, Kynes con la sua affermazione ottiene una reazione emotiva in Jessica, la quale, malgrado il suo addestramento speciale, a fatica si controlla. Una volta ripreso il controllo, pensa alle parole di Kynes, e quindi verbalizza nei suoi pensieri ciò che crede di aver capito dalla domanda di Kynes.

 

[...] The Guild Bank representative had fallen into conversation with the water-shipper, and Bewt's voice lifted above the renewed hum of conversations: "Many people have sought to change Arrakis".

The Duke saw how the words seemed to pierce Kynes, Jerking the planetologist upright and away from the flirting woman.

Into the sudden silence, a house trooper in uniform of footman cleared his throat behind Leto, said: "Dinner is served, My Lord." [...]

 

Dunque, c'è chi crede alla trasformazione di Dune, e c'è chi non ci crede. Sulla base di questo riusciamo anche a capire le idee ei personaggi di contorno, anche se questi non vengono mai esplorati nel dettaglio.

Per esempio, la figura di Bewt si definisce qui nello specifico, in quanto, essendo Bewt un commerciante d'acqua che ha bisogno dell'appoggio della famiglia regnante, i suoi atteggiamenti saranno dettati da questo tipo di obiettivo: accattivarsi gli Atreides a sfavore della popolazione locale. Il fatto che l'acqua su Arrakis sia di vitale importanza e sia fondamentale per chi ha il potere, è per Bewt un motivo di garanzia sufficiente del fatto che gli Atreides non attueranno mai la trasformazione ecologica con il rischio di perdere potere, e lo fa sentire autorizzato a deridere Kynes nei suoi atteggiamenti Fremen.

Ovviamente questo tipo di arrampicatore sociale si identifica in atti e parole, anche se i suoi pensieri non vengono approfonditi.

C'è dunque da chiedersi quale sarà il punto di vista condiviso dal lettore. La scena del banchetto di per sé può essere interpretata diversamente, a seconda del grado di attenzione con cui viene letta, anche se comunque è solo un piccolo esempio. Non fornisce certo tutti quei dettagli necessari ad un lettore per stabilire se stare dalla parte della trasformazione ecologica o no. Però, il riportare i pensieri di Jessica, e con essi le sue speculazioni personali sulle azioni della sorellanza, implica un coinvolgimento da parte del lettore. Non è come leggere un libro, ma, con un grado di attenzione maggiore, è come essere seduti in teatro ed assistere ad una rappresentazione. E' questa partecipazione che impone un attimo di riflessione al lettore. Il lettore cioè è chiamato non semplicemente ad abituarsi ad una terminologia differente e nuova (tute distillanti e ornitotteri si sprecano), ma è chiamato soprattutto a far parte di un contesto come osservatore, quasi come personaggio di contorno che partecipa anche se passivamente alla scena.

Ciò che garantisce il coinvolgimento pieno è soprattutto il fatto che Jessica, per capire quello che sta succedendo all'interno della scena, ne deve uscire, almeno con i pensieri.

Mentre il monologo interiore di Kynes è riferito a qualcosa di specifico del suo ambito culturale, al punto che i pensieri di Kynes si esplicitano in citazioni mnemoniche delle quotazioni della leggenda, Jessica deve vagliare le affermazioni di Kynes traducendole nell'antica lingua, la lingua della leggenda (che per lei non è innata, ma è acquisita), e quindi anche le sue conclusioni vengono trasposte in un altro contesto.

La vecchia lingua, il Chakobsa, è una lingua completamente inventata da Herbert. Siamo qui ben lontani dal gioco della lingua di Lyons, l'idea di Herbert non era quella di inventare una lingua diversa logicamente strutturata e quindi decodificabile. Le parole inventate del Chakobsa hanno comunque una radice riconoscibile, forse addirittura una derivazione etimologia di lingue ben più note (latino, greco, ebreo, cinese e soprattutto arabo), utilizzate a seconda di ciò che la parola deve descrivere non solo come significato del termine, ma anche come connotazione caratteriale che la popolazione Fremen impone ad una parola.

Questo perché in Dune non è il testo che determina il contesto, ma è il contesto (sia esso ecologico, religioso, politico, ecc.) che va a determinare il testo, intendendo per testo tutta quella produzione linguistica e metalinguistica, verbale e non verbale grazie alle quali la narrazione si snoda.

E dunque la struttura linguistica di Dune, che si presenta così complessa ed articolata, rispecchia e contemporaneamente determina la complessità di una trama che si svolge per piani dentro ai piani dentro ai piani.

 

[...] Plans, whithin plans, whithin plans. Jessica thought. Have we become part of someone else's plan now? [...]


L’ECOLOGIA DI DUNE.

 

Vediamo dunque, alla luce di quanto è stato detto in quale senso da un punto di vista ecologico possono cambiare le chiavi di lettura di un’opera come Dune.

Secondo Don D. Elgin non c’è dubbio: Dune è un’opera di epic-fantasy, non capìta e letta solo superficialmente da chi l’ha pregiata del premio Nebula. Secondo Elgin la mancata attenzione dipende dall’aver premiato in Dune un insieme di lavori chiaramente sf, e non l’opera in se, perché secondo lui in Dune il soggetto, le tematiche e lo stile sono tendenzialmente tipiche del romanzo romantico. Non si può inoltre escludere che una caratteristica quasi unica di questa serie è che il tema principale è l’ecologia. Altri romanzi hanno sicuramente fatto riferimenti a temi ecologici ma non in maniera così completa e così ricorrente. Dune invece inizia decisamente con un tema ecologico (trasformare l’ecologia del pianeta), presenta una serie di personaggi particolari tra cui un “planetologo” che controlla gli eventi che seguono con particolare interesse per l’ecologia ed introduce una discussione sui principi ecologici come parte del testo stesso.

Se si parla di chiavi di lettura, vediamo anche altri punti di vista. L’opera non si apre in maniera così immediata sull’ecologia, ma su colui che diventerà l’eroe (sicuramente tragico, ma pur sempre eroe) del romanzo. Eroe, la cui vita è sicuramente condizionata dal pianeta in cui andrà a vivere, o che condizionerà la vita di un altro pianeta, ma il riferimento immediato è in ogni caso l’individuo, o quantomeno una serie di individui attraverso i cui occhi noi vediamo lo svolgersi della storia. Da questo punto di vista, dunque, l’ecologia pur avendo la sua importanza diventa la cornice ideale in cui situare gli avvenimenti degli uomini, e non il tema principale attorno a cui la storia gira, anche se si può comunque trovare una posizione più mediata, in cui uomini ed ecologia interagiscono fornendo l’un l’altro i limiti entro cui agire.

Bisognerebbe provare a spostare l’ottica dell’eroe verso un anti-eroe, cioè non un antagonista (da questo punto di vista il libro è estremamente simmetrico: Leto/Vladimir, Jessica/Gaius Helen, Paul/Feyd, Chani/Irulan, ecc.), ma una nuova figura di eroe apparentemente passiva, ma il cui lento incedere provochi malgrado tutto i cambiamenti necessari alla storia: ecco quindi che Arrakis, il pianeta delle Dune, diventa l’anti-eroe perfetto. Da questo punto di vista sì che il discorso ecologico cambia, e assume un volume diverso, in quanto la teoria del caos alla quale costantemente ci si appella nel romanzo(cioè quella teoria secondo la quale nulla si può prevedere ne programmare) acquista un valore di legge a cui richiamarsi tutte le volte che l’uomo cerca di prevaricare sulla vita del pianeta. Ma se il nostro pianeta/anti-eroe diventa l’eroe della storia, ecco che siamo di fronte non all’eroe tragico così ben rappresentato dall’irrequieto e sensuale uomo-bambino Paul Muad’Dib, ma siamo di fronte all’eroe comico per definizione, a colui che subisce di tutto rischiando la sua morte, indifferente agli sforzi degli uomini, perché sicuro che la sua legge è quella che alla fine la farà comunque da padrone.

Ciò non toglie che Elgin è nel giusto quando afferma che Dune (per lo meno il primo libro) si propone come libro inserito in una tradizione epica, in quanto il principale interesse ruota intorno alla guerra tra due grandi case, e che la dedica iniziale introduce il pianeta come il vero protagonista del romanzo (“Alle persone le cui fatiche vanno al di là del campo delle idee e penetrano in quello della realtà: agli ecologi del deserto, dovunque essi siano, in qualunque tempo essi operino, dedico questo mio tentativo di anticipazione in umiltà e anticipazione”). Elgin però non analizza questo nuovo protagonista, e non si pone il problema di analizzarlo insieme con il suo antagonista che, se partiamo dalla prospettiva ecologica è sicuramente l’uomo, ma se partiamo dal punto di vista della storia potrebbe tranquillamente essere la religione. In Dune l’uomo lotta contro il pianeta secondo lo schema classico del parassita: si adatta. E per adattarvisi meglio si appella ad una religione (attenzione: inventata dall’uomo?) il cui sogno è di ribaltare il pianeta al servizio dell’uomo. E se il vero protagonista, in tutto questo, fosse il Verme, Shai Hulud? Ecco che nuovamente la prospettiva si ribalterebbe a favore di un nuovo punto di vista, e nuovamente uomini, religione ed ecologia si troverebbero, a parità di azioni ad essere analizzati da prospettive capovolte.

Ciò che sottolinea giustamente Elgin, è che in Dune si attivano tutta una serie di incredibili processi a catena (e se veramente Herbert ha portato avanti questo discorso con una costante cognizione di causa, c’è veramente da riconoscergli una esemplare capacità organizzativa) e ovviamente non è fermando questi processi che si può arrivare a capirli meglio (“Non si può capire un processo arrestandolo. La comprensione deve fluire insieme col processo, deve unirsi ad esso e fluire con esso”). Ecco perché Paul, così come suo padre, accetta tutto ciò che può sembrare anche controproducente. Ed ecco che da questo punto di vista è più che accettabile anche il progetto di Pardot Kynes (prima) e di Liet Kynes (poi). Elgin però non sembra porsi il problema di una famiglia che accetta anche visioni ecologiche pur di garantirsi un appoggio sul pianeta. In questo senso il suo eroe per quanto epico è alla stregua di un commerciante che baratta ciò che potrà avere in cambio di certezze immediate (e questa prospettiva si distacca fortemente dall’idea del puro eroe tragico per come l’abbiamo conosciuto fino ad ora).

Non solo. Se veramente fosse solo l’ecologia a dettare legge in questo tipo di romanzo, non si giustificherebbero i continui richiami all’impossibilità dell’uomo di superare gli elementi, naturali o no che siano. Se la spezia, secondo le teorie di Elgin, è il surrogato di quelle capacità magiche che distinguono le opere di fantasy, in Dune la spezia non garantisce il perseguimento dei propri scopi, ma anzi, imprigiona l’uomo in una magia talmente sua da non essere assolutamente condivisibile, e lo condanna a recitare il ruolo di un dio dal potere fittizio. Ben lontani dunque dalle eterne lotte tra bene e male, visto che in Dune bene e male si confondono, non hanno ruoli definiti (una buona azione ha sempre uno scopo che può essere letto da due punti di vista differenti). In tempi di guerra fredda Usa/URSS, è innegabile che in un Vladimir le connotazioni negative siano maggiori, ma non dimentichiamo la derivazione greca dagli Atridi della famiglia Atreides che dovrebbe sostenere il ruolo di “buoni” della storia.

Al di là dunque delle possibili contraddizioni di un’opera complessa che necessariamente pone dei dubbi, è forse bene fermarsi a riflettere su un aspetto che Elgin sembra aver completamente dimenticato: la tecnologia. Non ci sarebbe fantascienza senza tecnologia. Non ci sarebbe Dune senza tecnologia, perché sebbene la tecnologia sia stata rifiutata al punto da essere completamente bandita da un intero sistema galattico (cosa per altro non vera in quanto Ix e il Bene Tleilax sono comunque profeti della nuova ricerca tecnologica), essa esiste a livello di passato storico, al punto che l’esperienza tecnologica passata influenza le scelte attuali del sistema. Non solo: per volare si usano gli ornitotteri, si usano cercatori-assassini per gli attentati, si usano rilevatori per veleni e globi di luce per illuminare, ecc. E non grazie alla magia della spezia, ma grazie ad una serie di conoscenze tecnologiche.

Forse la tecnologia ha perso il suo primato, ma continua inesorabile a pervadere la vita quotidiana su Dune. E se la fantascienza si definisce anche in virtù del suo contenuto tecnologico, Dune, da questo punto di vista, è un’opera di fantascienza.

Ma ovviamente il discorso è talmente vario da restare comunque aperto, non avendo più modo di chiedere all’autore che cosa intendesse veramente fare.

Ciò non toglie che anche Elgin, pur analizzando solo una serie di elementi che, da un punto di vista ecologico, avvalorano la sua tesi in conclusione ammette che Dune è un grande successo anche in virtù delle sue costanti contraddizioni: contraddizione che giace sostanzialmente nel presentare un romanzo dal tono epico e tragico i cui temi sono chiaramente di tipo comico ed ecologico, che si ripercuote costantemente su tutti quegli elementi che formano la storia.

Ecco perché spesso la lettura di Dune lascia insoddisfatto il lettore che cerca evasione e certezze: nell’affermazione contraddittoria della teoria del caos, ognuno è costretto a ricercarsi e a prendere posizione nei propri confronti.

E questo, a volte, è più faticoso che leggere un libro.