L'OPERA IN FIABA

 

 

Il Trovatore

 

 

 

C'era una volta in Spagna, tanti e tanti anni fa, una zingara di nome

Azucena. Lei viveva felice sui monti della Sierra, era giovane e graziosa

e

da poco aveva avuto un bambino. Il bambino si chiamava Manrico, cresceva

sano e forte e sua nonna, la vecchia Pilar, andava fiera di lui.

 

La vecchia Pilar era una zingara saggia, tutti le chiedevano consiglio e

nessuna era più brava di lei a leggere la mano. Ma un brutto giorno degli

uomini cattivi la misero in prigione perché dicevano che aveva fatto il

malocchio a un bambino, il figlio di un signore molto potente.

 

Questo bambino s'era ammalato e tutti dicevano che era colpa della

zingara.

Così la presero per bruciarla come strega.

 

Intanto Azucena era scesa giù dai monti col suo bambino in braccio, appena

in tempo per assistere al triste destino dell'infelice Pilar. E piangeva,

piangeva, piangeva tanto che non vedeva più niente. Ma le orecchie per

sentire ce l'aveva, e sentì la madre che già sul rogo, in mezzo alle

fiamme

alte come palazzi, le gridava per tre volte: fagliela pagaaare, fagliela

pagaaare, fagliela pagaaare.

 

A sentire quel grido Azucena corse veloce come il vento, volò nel palazzo

dei signori cattivi e rapì dalla culla il bambino che s'era ammalato. Poi

ritornò, più veloce del vento, dove le fiamme ancora si alzavano: la

vecchia Pilar era ormai tutta nera che sembrava un manico di scopa, ma

Azucena non vedeva niente, solo il grido sentiva. Posò per terra il suo

bambino e buttò l'altro nel fuoco. Solo allora si ricordò di asciugarsi

gli

occhi coi lunghi capelli e guardò in faccia il suo bambino che aveva

posato

per terra. Non era lui, no, ma l'altro, il figlio del signore potente.

Così

Azucena capì che s'era sbagliata, che nel fuoco aveva gettato suo

figlio.

 

Però col tempo se ne scordò e molti anni passarono ancora,forse venti o

giù

di lì. Manrico si era fatto un bel ragazzo alto, con certi muscoli che

pareva Rambo, però il cuore era quello di Robin Hood, che rubava ai ricchi

per dare ai poveri, e Manrico era uguale, ce l'aveva sempre coi cattivi e

coi potenti. Tra questi potenti ce n'era uno proprio cattivissimo e molto

antipatico , chiamato il conte di Luna.

 

Il conte di Luna odiava a morte Manrico per tre motivi: uno perché era

bello

e piaceva alle donzelle,mentre lui era brutto come un orco; due perché era

un trovatore, una specie di cantautore, e lui invece era stonato come una

campana; tre perché stava dalla parte dei poveri.

 

Tra le donzelle innamorate di Manrico c'era una nobile fanciulla,la più

bella di tutte, che lo amava. Questa fanciulla, di nome Leonora, piaceva

al

conte di Luna. Questi avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di convincerla a

sposarlo, ma lei non lo poteva vedere perché , oltre che brutto, era pure

noioso come il mal di pancia. Una notte Leonora e il trovatore s'erano

dati

appuntamento sotto la luna; ma purtroppo la luna non c'era. Al suo posto

passò di lì il conte di Luna, e siccome era molto buio e non c'erano manco

le stelle, e il trovatore era in ritardo, la povera damigella si sbagliò

:

corse ad abbracciare il conte e lo chiamò amore mio, mia vita, mio tesoro

e

tutti i nomi più dolci che riuscì a trovare. In quel mentre arrivò

Manrico,

che a scoprire la sua bella abbracciata con un altro diventò matto. Quando

poi vide che si trattava del suo nemico, sguainò la spada e fecero un

duello

all'ultimo sangue.

 

In questo duello Manrico era più forte, ma il conte di Luna fu più

fortunato

perché vennero ad aiutarlo i suoi amici, e così non vale! Il trovatore

poveretto si salvò a stento, coperto di ferite dalla testa ai piedi.

Azucena

lo curò e lo nascose nel campo degli zingari, che nessuno lì ci poteva

entrare se no gli avrebbero fatto la pelle. Nel campo degli zingari il

giovane a poco a poco guarì, ma qualcosa gli frullava in testa e

continuava

a pensarci: pensava a quando il conte di Luna s'era trovato ai suoi piedi,

pronto ad essere infilzato come un tordo, e lui cosa aveva fatto? Lo aveva

lasciato vivere, perché? Azucena sapeva perché, anche se non l'aveva mai

detto a nessuno: Manrico non era il suo vero figlio. Suo figlio era

finito

nel fuoco per sbaglio, e al suo posto lei aveva tenuto quell'altro, il

figlio del potente signore. Il conte di Luna non era altri che il fratello

di Manrico. Senza saperlo il trovatore aveva udito la voce del sangue.

 

Nel frattempo che ne era stato di Leonora? La sventurata fanciulla,

convinta

che il suo amato fosse morto, stava per farsi suora e seppellirsi in un

convento. Era già pronta col velo e tutto, quando all'improvviso chi tentò

di rapirla uscendo dall'ombra in cui s'era nascosto? Il conte di Luna, il

solito guastafeste. E chi piombò in mezzo a loro caracollando sul suo

destriero e seminando il panico tra le suore terrorizzate? Il trovatore

naturalmente, che da tutti fu preso per un fantasma. Ma non lo era, era

vivo

e vegeto e anche un po' incavolato di trovarsi sempre tra i piedi, sul più

bello, quel benedetto conte.

 

Anche stavolta furono botte da orbi, però Manrico riuscì a portarsi via

Leonora sul suo cavallo, e via alla velocità della luce!

 

Stavano per sposarsi e la favola sarebbe finita, se non fosse stato per

Azucena. La zingara, vagando alla ricerca di Manrico che l'aveva piantata

in

asso per correre dalla sua bella, fu catturata dagli uomini del conte. Al

conte non pareva vero di tenere nelle grinfie la madre del suo nemico. Si

fregava le mani e già faceva preparare il rogo, perché in famiglia ci

avevano quel vizio, di arrostire la gente. Ma la notizia del rogo venne

alle

orecchie del trovatore, che mollò baracca e burattini per volare in

soccorso

di Azucena. Il conte lo aspettava al varco e lo fece rinchiudere in una

torre buia , piena di topi e scarafaggi.

 

E la bella Leonora? Abbandonata il giorno delle nozze,lei non si perse

d'animo.

Quel vanitoso del conte sapeva come prenderlo: se gli avesse giurato di

sposarlo era fatta, Manrico sarebbe stato salvo. E così fece, gli giurò di

sposarlo. Ma poi lo fregò, perché di nascosto, mentre lui era occupato a

fare salti di gioia, bevve il veleno racchiuso in un anello che portava al

dito: non si sa mai cosa possa capitare a una ragazza, un po' di veleno

può

sempre far comodo!

 

Quindi l'eroica fanciulla si precipitò nella torre dove Manrico e Azucena

languivano in attesa della morte. Presto presto, mio amato, scappa subito

che son venuta a liberarti, disse Leonora. Ma tu non vieni? No, non posso.

Ah, traditrice, ora comprendo cos'è accaduto, tu sposerai il mio rivale.

Vattene di qui, non voglio più vederti! Così gridava quell'ingrato del

trovatore, che non aveva capito un tubo di niente. Dovette spiegarglielo

Leonora con l'ultimo fiato che le restava: ho bevuto il veleno,

deficiente,

possibile che tu non capisca? Ho amato te solo e ora addio, io muoio. E

stramazzò al suolo.

 

Nel frattempo il conte di Luna, nascosto nell'ombra come al solito, aveva

visto e udito tutto quanto, ed è inutile dire che c'era rimasto molto

male.

Fuori di zucca per la rabbia ordinò alle guardie di togliere di mezzo il

trovatore. Un colpo di scure e la testa volò via. E tutto accadde così in

fretta che Azucena non fece in tempo a dire beh. Ma quando vide la testa

di

Manrico che le faceva l'occhiolino dal cesto, si levò in piedi orgogliosa

e

fiera com'era sempre stata , e puntando un dito in direzione del conte

finalmente parlò : lui era tuo fratello ! E ciapa lì, una volta per

tutte

gliel'aveva fatta pagare.