S I C I L I A, M Y L O V E
Romanzo
di
Enzo Randazzo
Capitolo I
Né in terra né in cielo.
L'Athanor olezzava ancora di guscio d'uovo. L'opera al nero e al bianco si era già felicemente compiuta verso le tre di notte, ma, quando Ippocrate si era accinto all'ultima fase della trasmutazione, indispensabile a realizzare la sostanza sottile, il recipiente di vetro si era alzato tanto di temperatura che aveva rischiato di liquefarsi. Il fuoco era solo calore. Doveva implicare potenza, creatività, elevazione. Aveva provato per interminabili ore a sgrossare e squadrare l'Attinio e l'Uranio, ma non c'era verso! La selce non scintillava. Lacqua si coniugava con passività, orizzontalità, trascinamento. Provò a considerare il suo tempo di dimezzamento di due millesimi al secondo: in rapporto al Torio-X, un millesimo di Uranio-X. Laria si collegava a sottigliezza, incostanza, variabilità. La riunificazione del Rebis non si concretizzava. Le particelle alfa e beta assorbivano i raggi gamma, innescando catene incontrollabili. Geometrici Frattali del Caos. La terra implicava rigidità, staticità e materialità. La sublimazione non sprigionava consolidamento. Il Sale non legava lo Zolfo ed il Mercurio. Evidentemente saltava qualche delicato passaggio. La linfa vitale non azzerava quella corrotta. Probabilmente si scordava di immettere qualche elemento essenziale. Provò a posizionare in circuito una testa di corvo e un basilisco. Un ulteriore fallimento. Scheletrici Quark. Impossibile che spazio e tempo assumessero un andamento ciclico, autoconcludente. Una dimensione da eterno ritorno, permeata di Spirito Universale. Sfinito e deluso, si accingeva a lasciare la camera dello scirocco, mentre le Gallinelle scomparivano, annientate da un bagliore immenso. Transitoriamente sconfitto, ma mai domo il suo desiderio angoscioso di ricerca. Quel mattino il sole picchiava caparbio sul Cortile delle Sette Fate, insinuandosi, attraverso larco aperto, dalla porta degli uomini, a lambire il gelsomino e la fagiolara fioriti, fino al pergolato stracarico di grappoli, deciso a screpolare lampio portone settecentesco e la finestra, che si apriva dallo studio. Nella spianata di chiarore, di rumori e di fermenti mattutini, un dolce vento spirava dal cielo azzurro, carezzando pareti di oleandri, punteggiati da mille fiori rossi, simili a garofani, unumile mortella ed un alto lalloro, che sprigionavano la loro fragranza inconfondibile. La sala dattesa era piuttosto animata e Rosina, vivace e cinguettante nellanticamera del dottore, appariva impegnatissima ad arginare e disciplinare il traffico, onde evitare pericolosi ingorghi. In questo proponimento la sua opera era sorretta da alcuni, precisi e perentori diktat, indirizzati a clienti e visitatori. Dietro la scrivania con telefono, regno del sorriso e della squillante voce di Rosina, appoggiata al muro centrale, spiccava una scritta alla parete: Si prega anche gli esenti ticket di dare la mancia obbligatoria. A sinistra, unaltra scritta, le sedie non sono per spennarle o per la pennichella, sembrava rivolta a nevrotici malintenzionati e a clienti perditempo, inopinatamente attratti dallinvitante salotto con poltrone, evidentemente posto lì con funzioni meramente decorative. Clienti, rappresentanti ed altri erano, infatti, relegati in fondo allampia sala dingresso, su una fila di sedie, di fronte alla pimpante ragazza. Alle loro spalle unaltra scritta sentenziava: questo dentista non prescrive biochetasi e citrosodina. Entrando nello studio vero e proprio, alle spalle di un armadietto di medicine e strumenti medici, unaltra scritta precisava: non si fanno certificati falsi. Sul lato destro della stanza, accostata al tramezzo, che la separava dal resto dellappartamento, era situata una scrivania, con una sedia girevole, strumento di continue giravolte di Ippocrate. Al centro, un divisorio raccoglibile copriva un lettino destinato alle visite. Sul lato destro della camera una porta, dipinta a fiori, in stile veneziano, serviva a mettere in comunicazione lo studio con il resto dellabitazione. Sulla parete sinistra una grande carta geografica della Sicilia, posta tra il divisorio, un grande orologio a pendolo ed un altro ingresso riservato, annunciava le note tendenze politiche del padrone di casa. Nella luce soffusa, che penetrava, attraverso i tendaggi, dalla finestra, Ippocrate, ancora infreddolito e sonnacchioso, vide profilarsi una dolce figura femminile. Persefone incedeva nel giardino, lungo l'asse equinoziale, avvolta in un abito azzurro, lungo e setoso, ricoperta da numerose ghirlande di margherite bianche e gialle. Da quando, appena quindicenne, aveva abbandonato il convento di Caltagirone, per tornare alla vita scapestrata di Palermo, era una sua visitatrice puntuale, che appariva e scompariva, fluttuando morbida e affascinante, a decantare le bellezze della sua Sicilia, sospesa sopra tre colonne, stretta e dondolata da tre mari, ricca di Madonne d'oro e di Santi, custodi dei sonni, quando il suolo trema e fa spaventare. Quel mattino la splendida fanciulla era accompagnata da Goethe, irriducibile ammiratore dellisola del sole, che avanzava tra ricchi tappeti di trifoglio rosso amaranto, una splendida ophrys, giacinti con le campanelle chiuse, borragine, aliacee, asfodeli, lasciati vegetare in un creativo disordine, indossando una tunica allungata, scarpine strette, calze lunghe, allacciate da un fiocco, un cappello a larghe falde. Il vecchio poeta interrogava Persefone:
- Conosci la terra dove fioriscono i limoni e tra lo scuro fogliame splendono le arance d'oro? Laggiù, laggiù, nella terra della luce io vorrei con te, o mia amata, andare! Conosci tu il monte e il suo sentiero tra le nuvole? Il mulo cerca nella nebbia il suo cammino, in caverne abita l'antica stirpe dei draghi, precipita la rupe, e sopra di essa il torrente. Laggiù, nella terra del sole e della luce va la nostra via! 0 amore, andiamo!
Ora che il poeta tedesco fosse di palato fine era nella consapevolezza del medico palermitano, ma che la sua passione per la Sicilia fosse intrisa di quest'aspirazione allamore della dea della Primavera costituiva per Ippocrate una novità assoluta, perciò lo sorprese anche la risposta di Persefone.
O Goethe, a te che sei un poeta, un vate immortale quasi come Omero, spetta uno spicchio della terra del sole e degli dei. Qui Plutone mi rapì a Cerere. In queste valli Apollo custodisce il suo gregge. Tra questi boschi risuona il flauto di Pan. Ammira i colori di Sicilia: sembrano possedere una particolare magia che ci riporta in un'epoca remota. Assopiti nei carrubi, alitano il sapore di antichi misteri, la vogliosa modernità, i sospiri delle passioni, il fiero baluginare di uno spirito indomito e libertario.
E Goethe, in perfetta sintonia:
- Verdi aiuole circondano piante esotiche; spalliere di limoni si inchinano formando graziosi pergolati. Le piante sono di un verde cui noi nordici non siamo abituati, ora più giallo ed ora più azzurro del nostro.
Ora Persefone si lasciava volteggiare nella fresca aria che filtrava attraverso le tende, ancora socchiuse.
La mia isola è una nuvola di rosa: un denso vapore vela ogni cosa. Il mare chiaro e trasparente nei dolci declivi delle spiagge si fa scuro e fantasioso nelle scogliere alte, a strapiombo.
Goethe sembrava rapito ed estasiato. Tuttintorno il lentisco ammantato di fiori gialli non lasciava vedere neppure una foglia verde. Il biancospino era di un immacolato splendore. Le aloe svettavano verso l'alto e già portavano fiori.
- L'immagine di questo paesaggio meraviglioso si incunea nel mio cuore. Quanto la natura ami i colori si può ammirarlo qui, dove si è divertita con la pietra di un blu grigio quasi nero, ricoperta da un muschio giallo, su cui cresce lussureggiante un bel sedum rosso ed altri bei fiori violetti, con una scrupolosa coltivazione, nelle piantagioni di cactus e di viti.
Ma Persefone non si lasciava confondere, né intimidire dalle magiche immagini del poeta e ribadiva la sua unicità e la sua identità danima con la terra che aveva scelto come dimora.
Io sono la forza della Primavera e della vita, ma, a tratti, nelle ventate ricche di sale, mi afferra la piacevole sensazione del mal di mare della Storia e mi avvolge come un immenso mantello in un dinamismo rotatorio: quanto vani gli sforzi dell'uomo per resistere alla potenza della natura e al traditore, violento incalzare del tempo! I Cartaginesi, i Greci, i Romani, e tanti popoli che si sono susseguiti hanno creato e distrutto. Selinunte è stata metodicamente abbattuta. Se, per abbattere i templi di Girgenti non sono stati sufficienti due millenni di saccheggi e di ingorde speculazioni, sono bastate poche ore, forse minuti, per distruggere Catania, Messina, Montevago, Gibellina.
Goethe appariva immerso in questa potente riesumazione storica, perciò incalzava, forte della sua lucida coscienza culturale.
Tra questo meraviglioso giardino scorre leterno fiume del divenire di Eraclito, ma io non mi lascio influenzare dal caldo che si fredda e dallumido che si secca sulle onde della vita. L'Italia senza la Sicilia non lascia immagine nello spirito: soltanto qui è la chiave del suo essere la più civile nazione del Mediterraneo e del suo attuale divenire una certezza, un riferimento per la tolleranza tra ideologie e religioni e la pace tra i popoli del mondo. Dallinvenzione degli specchi ustori di Archimede alle testimonianze poetiche della scuola siciliana, dalla rivoluzione astronomica di Alfonso Borelli agli studi psichiatrici di Pietro Pisani, dallumorismo teatrale di Luigi Pirandello alla genialità atomica di Ettore Majorana e di Antonino Zichichi ed alle capacità terapeutiche di Ippocrate Cagliostro. Se interroghi i templi di Agrigento o di Selinunte, la loro immobilità assorta e silenziosa ha più peso e significato di tante chiacchiere di parvenu schizzinosi e salottieri...
Tempestiva e più realistica di un re, come in tutte le sue azioni diuturne, Rosina piombò al centro dello studio medico-dentistico, interrompendo, con la grazia di un elefante, lidilliaco fraseggio.
Rosina poteva vantare unapprofondita conoscenza di Ippocrate, essendo stata appassionatamente sua per diversi anni. Poi la spinta propulsiva del focoso medico si era affievolita, o perlomeno si era indirizzata verso altre fontane più fresche, e Rosina era passata al ruolo di saltuaria, o di consoladelusione immediata, tuttavia conservava un indubbio ascendente su di lui, che le aveva mantenuto il posto di assistente, in cui la considerava insostituibile per la conoscenza precisa e puntuale di vizi e virtù della sua clientela, né si era rassegnata a perdere definitivamente il ruolo di titolare. Con gesti meccanici e ripetitivi, lefficiente segretaria aprì le tende ai prepotenti raggi, che filtravano dal cortile, riportando Ippocrate nella consueta dimensione spazio-temporale. Rosina sapeva la lentezza dei suoi risvegli mattutini, la sua intrattabilità allo schiudere delle palpebre; diverse volte, soprattutto allalba e al tramonto, lo aveva sorpreso a parlare con personaggi immaginari ed invisibili e ricorreva sempre ad un gettito di luce immediata e violenta per trasferirlo nel suo studio di Via Ruggero Settimo. Colto, per lennesima volta, in castagna, per darsi tono e contegno, Ippocrate si rivolse, ad alta voce, verso la porta
- Rosina, fai accomodare il primo, che è già tardi...
Rosina ondeggiava, sicura della sua folta chioma bionda, alta, snella e slanciata. Indossava una minigonna cortissima, che, ormai da qualche tempo, non attirava più lo sguardo, in genere, attento e famelico, del dottore, ma faceva presa sugli informatori scientifici e su dei vecchietti, innocuamente guardoni, che si presentavano immancabilmente allapertura dellambulatorio e lasciavano passare avanti tutti, rimanendo parcheggiati per ore ad ammirarla, mentre si muoveva e parlava con lentezza studiata, quasi a rallentatore, rimanendo sulla soglia
- Veramente, la prima cè la signora Biagina Savitteri, che è posteggiata qui da stamani alle sei e mezza... Pare abbia un terribile mal di denti... Ha la bocca gonfia!
Ippocrate, visibilmente spazientito.
- Non potrebbe andare da qualche altro dentista? Non ho neanche lanestesia per le estrazioni!... Le debbo tirare il dente a vivo?.....
Ma la Biagina, ancora arzilla a cinquant'anni, non era tipo da lasciarsi scoraggiare da qualche nuvola passeggera. Nellambulatorio si sentiva come a casa propria, perciò, senza alcun indugio, spintonando la segretaria, irruppe, impastoiata nelle sue gramaglie nere, trattenendosi con la mano la guancia destra gonfia come un palloncino.
- E lei mi vorrebbe mandare da quel macellaio del Dr. Stipisi? Ma non le piange un poco il cuore?
E, vedendo lo sguardo di Cagliostro duro e indifferente alle sue atroci sofferenze, si mise a piagnucolare e si avvicinò pietosa.
- Quello, laltro giorno, quando l'ha sostituita, mi doveva ascoltare il cuore con il periscopio e mi ha fatto venire le palpitazioni al seno! A me che da ventanni tengo da lei il libretto mio e della mia famiglia.... A me, questo tradimento!...
Ora Ippocrate deteneva, incisi nel suo DNA, la furfanteria e un certo opportunismo del suo omologo Alessandro, che ne aveva reso altalenanti le fortune, ma queste note caratteriali erano pur sempre innestate sullabnegazione professionale del grande figlio dellasclepeide Eracleide e di Fenarete, perciò, davanti alla fedeltà di una cliente, si inteneriva come un mollusco. Rammentandosi della dichiarata fedeltà della Biagina, cambiò immediatamente registro, si alzò e le andò incontro, tenero e soccorrevole.
- Suvvia, non faccia queste malinconie, Biagina Savitteri. Che tradimento va dicendo?
E da istrione consumato, assumendo unaria preoccupata.
- Io non mi sentirei mai di tradire una cliente.
Ma Biagina continuava a sbirciarlo con occhio di triglia, sospettoso e diffidente, perciò il dentista decise di ricorrere a tutta la sua nota arte seduttiva e, sfregandosi le mani, cominciò a saltellare, si avvicinò alla signorina e le diede un buffetto sulla guancia sinistra e, indi, un pizzicotto affettuoso su quella destra. Non lavesse mai fatto! Mai una carezza ebbe un effetto di repulsione elettrica più repentino e scioccante. La signorina Biagina, di colpo, sembrò riacquistare la vitalità di una ventenne e, impennandosi sulle punte delle dita, cominciò a sbraitare.
- Ahi! ahi! Muoio! Muoio, muoio, muoio...
Come unossessa fece il giro della stanza saltellando.
- Che? Me lo vuol tirare con le dita, dottò? Ahi, ahi, ahi! Mi ha fatto sentire una fitta che quella di stanotte, al confronto, mi sembra leggera come noccioline.... Mi stava sgranando mezza faccia!
Calmo, affettuoso e comprensivo, Ippocrate le mise un braccio sulla spalla
Non cè bisogno che si sgoli così!... Non faccia tristezze come i bambini... Volevo tastare solo se il dente era vivo...
Riprendendosi, rincuorata dalle sue affettuosità.
- Vivo, vivo è, dottore... Allora, che fa? Me lo può riparare?
Ma la fitta aveva le sue ragioni da vendere e la trafiggeva ad intervalli regolari, perciò tornò ad incalzare con tono supplichevole.
- Mi tolga questa spina, per carità!
Dalla porticina interna, sul lato destro, si affacciava, intanto, la signora Bastiana, baronessa della Ristuccia.
Quarantacinquenne, bruna, vestita elegantemente, Bastiana era felicemente coniugata con Ippocrate da quasi un ventennio. Felicemente si fa per dire, considerate le ripetute cornificazioni che era stata costretta a subire e la sua totale estromissione dalla vita sociale e pubblica del marito. Ma di tutto ciò lei non sembrava crucciarsi molto. Lo aveva scelto come compagno per la sua ricchezza e le sue sicure possibilità di carriera, non certo per il suo sguardo magnetico o per il suo fascino, perciò le andava benissimo il ruolo di signora che occupava incontrastata e la distanza dai problemi della sua vita e dalla sua mente contorta. Acqua davanti e vento dietro! Amato da decine di donne bellissime e appassionate, che per lui avevano fatto incredibili follie e sarebbero state disposte a camminare a testa in giù, Ippocrate aveva avuto il singolare destino di sposare la più fredda e distaccata delle sue partner, che gli aveva organizzato una vita familiare scontata, senza imprevisti, né terremoti sussultori. Quella porticina aperta sul suo ambulatorio era il massimo grado di partecipazione e di invadenza nella sua privacy. Per il resto a Bastiana interessava solo il libero accesso alle sue finanze e una parallela discrezione del marito sulle sue attività e sui suoi impegni. La sua sfilata per lambulatorio si svolgeva secondo modalità e canoni quasi rituali.
- Ippocrate, io uscirei cinque minutini per andare a fare qualche spesuccia ...
- Oh, la mia principessa si è levata di buon ora stamattina. - Ironizzava il marito, mentre estraeva lorologio dal taschino - Le otto e mezza! E che devi andare a mietere la brina?
- Oh, niente di particolare ... - Fece lei, ignorando deliberatamente le punzecchiature ironiche - Andrei a fare alcune visitine e poi magari passerei al centro a comprare alcune cose indispensabili...
- E a salassarmi il conto corrente! Quando gli alberi fioriscono, tu mi impazzisci! Buscacchia, buscacchia! Ma ricordati che il migliore ornamento di una donna è il pudore!
Perché egli, da perfetto sfrontato, trovava pure la faccia tosta di fingersi geloso e possessivo, rimproverandole le provocanti minigonne, le scollature audaci e qualche occasionale distrazione sentimentale. Ma Bastiana conosceva bene il suo pollo e non si lasciava irretire da queste pose. Tirava dritta per la sua strada senza lasciarsi fuorviare e senza scadere mai in contrasti evidenti. Non perdeva mai la sua serafica impassibilità, anzi più lui riscaldava il motore, più lei attivava circuiti di autoraffreddamento. Tanto, gira gira, lui finiva per tornare sempre a casa, alla sua famiglia e al suo ambulatorio. Anzi, in genere, non se ne allontanava mai. Perché lì aveva latte bollito e pane sminuzzato! Uomini e donne, interessati a lui per ragioni più o meno nobili, sapevano dove andarlo a trovare. Alle amiche pettegole che la aggiornavano, con gusto e cattiveria, sul dinamismo erotico - sentimentale del marito, non concedeva alcuna soddisfazione. Era rimasta indifferente alle dicerie concernenti una sua relazione con sua sorella Giulia. Aveva ostentato impassibilità quando lui sembrava aver perso il ben dellintelletto per la sua amica del cuore, Luisa, dagli occhi dolci e dalla voce mielata. Aveva sorriso, con aria di sufficienza, quando Carmela, la moglie dellerbivendolo, dopo aver tentato il suicidio, lo aveva ripetutamente invocato al suo capezzale. Aveva guardato con compatimento le tante donnine, morbidamente distese, a farsi visitare nude, dietro il separé. Figurarsi cadere nelle sue volontarie provocazioni! Così, girandogli intorno e sfiorandolo con le dita, tornò ad esercitare quellarte ammaliatrice, che le aveva consentito di assurgere allo status invidiato di Signora Cagliostro
- Salassarti! Piluccarti?! Buscacchiare?!? Il solito esagerato! Stai tranquillo che io non folleggerei mai con i tuoi risparmi!
E già guadagnava luscita, con sussiego e sicumera.
- Sono una moglie onesta, un tesoro che dura!
Ma lui sembrava intenzionato a insistere a pizzicarla.
- Ma se non ho più sangue nelle vene! ...
Per forza! Sperperi un patrimonio per le tue follie sicilianiste!
Si lasciò sfuggire, pentendosi al suono delle sue parole, che lo accesero irrimediabilmente.
Non mi toccare la mia Sicilia! Fai quel che ti pare, ma non mi toccare la mia Sicilia!
Solo un attimo, in ogni modo. Un istintivo scatto di reciproca intolleranza. Una gratuita, innocente concessione alla spontaneità, troncata dalla sua perentoria uscita. Come se niente fosse successo, riemerse il medico, il professionista innamorato del suo mestiere, scrupoloso e sincero consigliere dei suoi pazienti, ma, nello stesso tempo, leggermente scansafatiche, pronto a rifugiarsi nellalibi della necessità di analisi più precise o di consulenze specialistiche, che tornava a rivolgersi alla paziente indolenzita.
- Doveravamo giunti? Ah, ecco ... le consigliavo di andare dal dottor Stipisi perché lui, ci ha i ferri più adatti per questo lavoro...
E assumendo un tono confidenziale e scherzoso.
- Io, anche se volessi, non glielo potrei otturare... Mi mancano gli attrezzi adatti alle opere di restauro... signora Savitteri, io so fare solo demolizioni...
Biagina era del tutto intontita per il mal di denti, che laveva torturata per tutta la notte. La nottata in bianco, nell'attesa dellalba, in compagnia di una puntura lancinante e costante, le aveva frastornato completamente la mente, ottuso i sensi e irritato il nervo acustico, cosicché fraintese.
- Premonizioni? Demonizioni?! E che centrano i demoni? Se mi dovevo liberare di qualche diavoleria, che venivo a disturbare lei, dottore? A questora ero corsa da padre Matteo, che si intende molto di tosse e catarro...o prendevo una ciotola, vi mettevo un uovo fresco e mi ci infilavo la testa... a bagnomaria!
In quegli ultimi anni, infatti, a Palermo era frequente la presenza di un noto esorcista, tale padre Matteo, che veniva in città a togliere malocchi e fatture. A lui si rivolgevano mogli tradite, spose senza prole, uomini depressi, donne indemoniate, insomma tutti quelli che avevano qualche problema che la Medicina e la Scienza comuni non riuscivano a risolvere. Si raccontavano mitici interventi di questo santone. Pare che, invitandola ad alzarsi, avesse fatto riprendere a camminare una bambina immobilizzata su una sedia a rotelle per otto anni, che, concentrandosi sulla sua foto, avesse fatto dimenticare lamante ad un marito pronto a lasciare il tetto coniugale e tante altre imprese mirabolanti. Insomma sul suo conto cera sufficiente carne al fuoco perché Biagina si fidasse di lui ciecamente. Ma ipotizzare un intervento di Padre Matteo proprio a casa di Ippocrate Cagliostro, la reincarnazione vivente del mitico medico di Coo e del notissimo avventuriero e magico occultista del Settecento, sarebbe stata unindubbia mancanza di tatto e unindebita ingerenza, perciò Rosina, onde prevenire disastrose interferenze, con voce biascicata, si inserì prontamente.
Ma signora Biagina! Cosa ha mai frainteso? Il dottore la voleva informare che lui, il dente, glielo può solo tirare...
Davanti al rischio di trovarsi un esorcista tra i piedi rispuntava larcinota idiosincrasia verso il clero di Cagliostro, che appariva leggermente spazientito.
- Estrarre, Rosina... Si dice estrarre!
E poiché la signora Biagina lo guardava inebetita, con laria di chi non capiva, assumeva un tono ancora più minaccioso e dissuasivo.
- Insomma estirpare... con pinze e tenaglie...
A questa immagine per niente rassicurante, Biagina illuminandosi.
- Ah, perfetto! Ho capito perfettamente. ... E come quando il mio maritino adorato torna dalla campagna, ove gli si è conficcata una spina sotto lunghia del dito e vuole subito che gliela tolga...E mi dice: Biagina! Biaginuccia mia, scippami questa spinaccia. Ed io gliela tiro. E lui ci sente un piacere! Dottore, si sbrighi. Mi tiri questa spinaccia che mi sta perforando la testa... mi sta squinternando il cervello...! Prima che svengo!
Finalmente sfibrato e rassegnato, Ippocrate acconsentì allestrazione.
- E va bene, come vuole.
Alzatosi, aprì le braccia e in tono solenne, con gli occhi al cielo.
- Fiat voluntas Brasiddae! Si accomodi su quella sedia, signora e tu, Rosina, prepara i ferri del mestiere necessari allintervento...
Anche Rosina era perplessa per le sue ultime parole. Lei non aveva fatto alcun corso di preparazione infermieristica. Quel posto di lavoro se lera conquistato tutto quanto a letto ed era sempre preoccupata di perderlo, ora che altre colleghe, preparatissime, giovani e disponibili, elargivano il medesimo genere di prestazioni, con alti indici di gradimento. Per non manifestare alcuna indecisione o titubanza, tirò fuori dell'armadio un trapano black - decker, un seghetto e un lungo coltello da macellaio; poi trovò un ago a doppia cruna per cucire e, incerta, indugiava.
- Devo prendere anche lago per dare i punti alla guancia dopo lintervento, dottore...?
Fremendo per questa palese incompetenza, Ippocrate si rimproverò i discutibili parametri, con cui continuava a scegliere le persone di cui si circondava. Il tempo scorreva inesorabile, ma lui seguitava a prendere cantonate. Dalla delazione delladorata Lorenza Feliciani, causa della sua condanna a morte, la sua esistenza era costellata di cocenti delusioni. Tante, bellissime, travolgenti donne, nessun amore vero e profondo. Anche Rosina rientrava nellaffollata collezione. Agli inizi una fiammata indomabile, un desiderio continuo ed ossessivo dei suoi morbidi capelli biondi. Il suo profumo annebbiante dopo ripetuti orgasmi. Una spina da notti insonni. Un terremoto ormonale. Lentamente il fuoco si era consumato. Unindigestione sessuale. Troppi amplessi. Sazietà di piaceri. Era diventata una fiacca abitudine. Appiccicaticcia. Come una colla. Da soffocante claustrofobia. A tratti sembrava prendergli la vita. Incunearsi nei suoi pensieri più reconditi. Spogliargli lanima. Contargli i minuti. I battiti. Il respiro. Denudarlo senza pietà. Ma senza divenire mai fastidiosa. Perché Rosina era intelligente. Intelligente e straordinariamente intuitiva. Capace di leggergli una piega del viso. Un muscolo che si irrigidiva. Un pensiero birichino nelle sue fantasie a briglia sciolta. E pazzamente innamorata. Nel suo peregrinare nella Storia, Cagliostro era stato tanto odiato. Aveva suscitato invidie, odi e risentimenti. Ma era stato anche amato molto e intensamente. Desiderato e posseduto. A volte si era sentito un prezioso oggetto da collezione. O una collana da indossare in un ballo reale. Uno stallone da mungere e cavalcare nella brezza marina. Una lucertola da carezzare. Un gelsomino inebriante da aspirare. Amando Rosina tutte queste dimensioni diventavano asfittiche. Cavatoi unti e miserabili. Abitazioni saracene. Nel suo amore la Via Lattea era un sentiero conosciuto. La pietra filosofale compresenza e consustanza. Sognare vita quotidiana. Sotto il suo sguardo lui si sentiva se stesso. Immortale. Rosina era il suo elisir di lunga vita agognato e mai definitivamente acquisito. Ma anche la sua prigione. Una cella dorata, ma pur sempre una detenzione. Non sopportava che il suo sguardo carezzasse i corpi di altre donne. Né che altre donne attraversassero il suo destino. Neanche una distrazione. Il suo amore era avvolgente come i tentacoli di un polpo. Delle sbarre invisibili, che si calavano a stringerlo progressivamente. Un velo liminare. Rischiava di morirne. Di non essere più libero di scorazzare nellinfinito. Libero dalle sue stesse passioni. Dai suoi sogni incontrollabili. Dai suoi desideri sconfinati. Piccoli barbagli luminosi. Il suo amore era il Nirvana e la notte profonda degli abissi neri. Quelli delle paure inconfessate di smarrirsi. Di fallire. Di non essere allaltezza delle sue ambizioni. Della sua fama. Perfettamente spiegabile, quindi, la necessità di reagire. Di sfuggire alle sue spire avvolgenti. Di liquidarla. Quasi un incidente della Storia. Glielo disse chiaro e tondo. Lei fece come niente. Era scaltra. Provò ad umiliarla. Lei rispose ubriacandolo di baci. Era perspicace. Tentò di allontanarla. Rimase immobile al suo posto. Lo conosceva a fondo. Era pazzamente innamorata. E il suo narcisismo non sapeva resistere a chi lo idolatrava e stravedeva per lui. Gli sarebbe rimasta accanto in qualsiasi modo. Era follemente presa. A qualsiasi condizione. In qualunque ruolo. A costo di trasformarsi in una presenza silenziosa. Nella sua ombra. In uninfermiera incompetente. Indifferente e corazzata alla sua ennesima sfuriata.
- Ma che mi metti ferraglia tra i piedi? Chi devi operare con questo trapano, con questo coltellaccio e con lago? Dobbiamo fare una semplice estrazione...! Prendi la pinza chirurgica, le tenaglie, il bisturi, il divaricatore, lagghiaccia denti e... in un minuto abbiamo finito.
Figurarsi! Per uno abituato a trasformare i metalli in oro! Ma, stavolta, anche per Rosina, pretendeva troppo.
- Lagghiaccia denti? Non cè ghiaccio in frigorifero...
- Lo spray agghiaccia denti, Rosina! Ecco, perfetto, quello che hai in mano.
E, mentre si avviava verso la poltrona, prendeva lo spray e lo spruzzava, indi batteva con le dita sulla guancia destra. La signora Biagina Savitteri sussultava ed emetteva gridolini, ma Ippocrate proseguiva con mano ferma e decisa la sua visita.
- Fa male?... Si fa male ancora... Rosina dammi un altro po di spray...
Ormai Biagina aveva perso il controllo e scalciava a occhi chiusi in tutte le direzioni, ma chi poteva bloccare Cagliostro, concentrato sullobiettivo?
- Ecco, ora dovrebbe essere sufficientemente ghiacciato... Rosina, passami pinza e tenaglie.
Il maledetto dente, però, sfuggiva alla sua mano che cercava di estrarlo, inducendolo a imprecare.
Accidenti come scivola questo dente! ... Tenga la testa ferma signora Biagina! Rosina, il divaricatore!
La signora Savitteri continuava a lamentarsi e ogni tanto si sollevava e si riabbassava, dimenando i piedi e, alla fine, centrandogli i testicoli.
- Ahi! Biagina! Mi vuole privare dei miei attributi?!
- Non sarebbe poi una gran perdita! Tanti mariti dormirebbero sonni più tranquilli!
Ormai tra la bocca in fuga di Biagina e la pinza di Cagliostro era guerra aperta. Una questione di puntiglio. Una condanna irrevocabile. Quel dente non poteva sfuggire al suo aguzzino. La sua sorte era irrinunciabilmente segnata.
- Ecco, cavato!
Esclamò, infine, soddisfatto, agitando in aria un dente con la pinza. Con scrupolo lo avvicinò alla luce della lampada e lo guardò perplesso.
- Corona e colletto intatti! Neppure una traccia di carie nella radice.
Il dottore era ora divorato da un dubbio atroce.
- Non avrò mica sbagliato dente?
Perciò chiedeva conforto alla paziente.
- Signora Biagina, come va? Passato il dolore?
Mentre si ricomponeva, Biagina caracollava sbandata per lo studio.
- E come deve andare? Mi sento la bocca e questa mascella sgranocchiati!
Si toccava la guancia, poco persuasa, facendo un minimo di autodiagnosi.
- Certo il gonfiore che ci avevo è mezzo alleggerito... ma pure la testa mi sento mezza alleggerita... e poi sangue... il sanguaccio mi fila ancora a violino!
Chi è causa del suo mal pianga se stesso! Non laveva preavvertita di non avere le attrezzature idonee? Era stata lei ad incaponirsi. Insomma se lera voluta! Si rincuorava Ippocrate, avvicinandosi e scrutando dentro la bocca.
- Non si preoccupi! Sangue folle è questo! Si tratta solo di un piccolo flusso emorragico; prego, sciacqui e sputi!
Niente di serio e pericoloso! Ippocrate, in questi casi, si affidava alla Scienza più tradizionale, perciò tirava fuori del cassetto un flacone medicamentoso.
- Gli faccia due sciacquetti con laceto ogni due ore e si produrrà una perfetta emostasi...
Biagina si contorceva per il dolore, ma non era certo una di quelle che si affidava passivamente alle sue mani!
Dottore, mi dia due pillole appropriate, come contorno, che mi facciano alleviare questo dolore! Come queste che mi ha dato il farmacista laltro ieri.
E sotto i loro sguardi esterrefatti, tirò fuori dalla borsa alcune supposte.
- Che effetto mi deve fare questacetaccio? Per me ci vogliono cose sostanziose. Di questo tipo!
Dire che Ippocrate era sbalordito sarebbe solo un eufemismo inadeguato.
- Signora Biagina, ma che scambia le supposte per pillole?! Lasci stare questi veleni! Scommetto che gliele ha prescritto quellanimale di Stipisi! Dia retta a me. Laceto di mele fresche o di vino è miracoloso: i Samurai se lo bevevano tre volte il giorno al posto dellacqua. Se lo può prendere contro le infiammazioni, il raffreddore, lartrite, i calli dei piedi, il mal di cuore, i crampi nelle gambe ...
Quando imboccava questitinerario era come un treno in corsa, senza freni! Biagina pendeva dalle sue labbra, che sciorinavano una sapienza antica e dimenticata.
Accidenti! Ed io che lho risparmiato nellinsalata!
Ascolti me ... - Salendo in cattedra, con tono confidenziale - Laceto contiene la pectina, batteri ed enzimi miracolosi. Lei mescoli un cucchiaio di aceto con uno di miele darancia di Ribera e beva mezzora prima dei pasti o lo sciolga nel brodo di pollo, vedrà che non solo le guarisce la bocca, ma digerisce meglio e le si rinforzano pure i capelli ...
Con clienti fedeli e recettive come Biagina, Ippocrate avrebbe trascorso ore ed ore. Come i cavalli, non lo contrariavano mai! Era una delizia dello spirito! Altro che quei rompiscatole di studenti, sempre pronti a fare obiezioni! O battaglie navali nel clou di una spiegazione di Anatomia Patologica! O sorrisetti scettici ed ironici su certe sue terapie naturali! Biagina lo guardava in bocca estasiata, ma, purtroppo, lanticamera pullulava di gente. Se ne avvertiva lassordante mormorio, in crescita come il mugugno del mare sferzato dallo scirocco. Perciò si decise ad accompagnare la signora Biagina Savitteri alla porta e, rivolto alla segretaria
- Rosina, dai che puoi fare accomodare unaltra.
Mentre la signora Biagina Savitteri si avviava verso luscita esitante, a malincuore, Rosina cercava di mettere ordine nel traffico.
- Un altro, dottore. Cè un rappresentante di medicinali nuovo, impalato davanti la porta da ore... Il turno è suo.
Biagina si attardava ancora sulluscio.
- Buongiorno, dottore. La saluto...... me ne vado!
- Vero? Ma no...non mi dica... Stia, stia seduta un altro pochino che fra poco caliamo gli spaghetti nella pentola...
La signora Biagina Savitteri quasi lo prendeva alla lettera e accennava a tornare indietro, ma veniva scoraggiata da uno sguardo bruciante del dottor Cagliostro.
- Rosina, fai accomodare questo propagandista...ma che sia una cosa svelta...!
Entrò un giovane alto e magrissimo, vestito in modo piuttosto singolare. Inforcava occhiali dai vetri spessi e dalla montatura sottile. Indossava un abito nero, aderentissimo. Lo si sarebbe detto pronto per una cerimonia. Funebre o nuziale, a prima vista. Sennonché, il suo aspetto era reso più baggiano dalla camicia e da un foulard verde ulivo. La ricerca di solennità trovava, però, conferma nella cravatta nera. Il giovane, comunque, doveva avere una vocazione sportiva. O era uscito in fretta e furia da una palestra. Perché calzava delle vistose scarpe da ginnastica, su cui spiccavano un paio di calzini rosso vivo.
- Posso?... Tocca a me, né? - Con un accento smaccatamente settentrionale.
- Prego saccomodi... Non indugi ulteriormente. - Mentre le budella già cominciavano a rivoltarsi nella pancia.
Il giovane teneva la mano destra impegnata con una valigetta di cuoio, perciò porse al dottore la sinistra, passandola sopra la scrivania. Il dottore, distinto, rispose porgendo la destra e si sa che due forze uguali non si uniscono mai! Anzi si respingono e si confondono. Raramente diventano un secchio e una corda! Le due mani si cercarono inutilmente sulla scrivania, in un gioco incrociato di sinistra, poi destra, sinistra e ancora destra, con conseguente rinuncia finale a quel tocco che certifica lavvenuto saluto. Lincontro iniziava decisamente in salita! Sembrerebbe una cosa da niente ma lo strofinio, lo sfregolamento di pelle intrinseco alla stretta di mano è indispensabile a creare un contatto immediato tra sconosciuti. Facilita il seguito. Ogni tipo di seguito. Politico. Amicale. Amoroso. Fraudolento persino. Specie se accompagnato da abbracci e baci. Ecco perché è rituale in ogni presentazione. E perché gli Inglesi, i Finlandesi, i popoli nordici, in genere, che lo praticano con tirchieria, come se gli costasse qualcosa o rischiassero continue infezioni batteriche, sono più freddi nei rapporti umani.
- Molto lieto, sono il nuovo propagandista della Sanifera medicinali... - Esordì il giovane con scostante voce metallica.
- Ah, un neofita del mestiere! - Ironizzò Cagliostro - Prego, saccomodi.
Il giovane stentava a trovare un assetto stabile sulla sedia, dandogli tempo e modo di valutarlo criticamente, dalla testa ai piedi.
- Lo dicevo che la sua fisionomia mi era nuova. La Sanifera! Dunque lei subentra al defunto dr. Cipollina... È pure di Favara? Questo lutto stretto è per la sua morte?
Il ragazzo non colse la sua nota sarcastica, perciò continuò disinvolto.
- No, ma quale Favara! Io son della Padania. Si sente, né? Non è per lutto che porto il nero...E uno stile... un abito..., in un certo senso, una divisa della Comunità politica cui appartengo. Io... vengo da Milano e non ho nessun legame di parentela con il povero dr. Cipollina.
- Ah, capisco! Lei proviene dalla regione babba che, negli ultimi anni, allimprovviso si è fatta furba e birbante! - Commentò velenoso Ippocrate, al quale il solo profumo di Padania faceva drizzare i capelli - E mi dica, la cosa mi incuriosisce assai... quale setta vi manda in giro vestiti a lutto, come uccellacci di malaugurio?
Stavolta il milanese non poteva non cogliere, perciò precisò con tono risentito.
- Io appartengo alla Comunità Politico - religiosa dei Leghisti Antiscalognati... Se lei mavesse guardato attentamente, non le sarebbe sfuggito il mio classico nero innestato su camicia e foulard verdi, scarpe sportive e bianche... tramite gli spezzatissimi calzini rossi porporini... il tutto armonicamente...
- E me la chiama armonia, lei, vestirsi come un pappagallo brasiliano emigrato al Polo Nord? Piuttosto non mi ha ancora detto il suo nome? A chi appartiene? Che è figlio di N.N.?
Sentendo mettere in discussione i suoi natali, linformatore scientifico scattò in piedi come un caporale di giornata.
- Dottore, la prego, io discendo da una famiglia nobile e importante. Mi chiamo - E mentre tentava di nuovo di porgergli la mano - ... Ninì dei...- Ma il suo impappinamento ormai dilagava, mentre si ripeteva la confusione destra - sinistra - Svaci...svitrina..... No, no... mi scusi... dei Svaci...svi... terari...ertorrito... No, no... mi perdoni... - Ormai sbiancato in viso, sudando freddo, estrasse il suo biglietto da visita e lesse - dei Svacisviterarissire...var satta... No, no, ma, che dico?..... Abbia pazienza dottore...- riprendendo fiato - Svaci...no ero giunto a...ssirevormani... - Si accasciò spossato - Ecco... ce lho fatta...!
Ippocrate aveva assistito a quelle contorsioni strabuzzato.
- Ho capito. Lei ha tutta la mia comprensione. Ha un cognome simile a quello della buonanima della mia prima moglie... pensi che si chiamava Notratatancutancantratanca.
Il dr. Ninì dei Svacisvitevorissirevormati appariva folgorato dalla sua rapidità e precisione espressiva ed, evidentemente in cerca di ulteriori guai, provò a fargli il verso, tornando ad impaperarsi.
- Notratan... Natancu... Natran?... -
Infine scattò adirato con se stesso.
- Ma a me chi me lo fa fare? Non mi bastano le gravezze del mio cognome? -
Rassegnato alla sua balbuzie, fortunatamente episodica, emise un profondo respiro, si ricompose e tornò a rivolgersi verso Ippocrate.
- Dottore, non voglio sottrarle ancora tempo prezioso, come lei capisce io sono venuto per...
Ma ormai il vecchio marpione lo aveva squadrato sufficientemente e non gli concedeva più alcuna indulgenza, anzi infieriva impietoso, fissandolo nelle pupille.
- Giusto. Ben detto! Si vede che lei è un ragazzo di fine intuito! Ha un cervello così fertile che fra poco, in testa, le spuntano le carote! Andiamo subito al sodo... Visto che è un leghista razzista, mi dica subito come ci chiamiamo...
Svacisvitevorissirevormati era sempre più nel pallone. Di sodo lui conosceva solamente luovo fresco che gli preparava sua nonna!
- Ma non glielho detto ora ora come mi chiamo? Mi vuole torturare unaltra volta? - Si chiedeva, mentre apriva la valigia e cominciava ad estrarne dei medicinali. - Ecco, come le ho già accennato, le voglio far conoscere i medicinali Sanifera, una grande ditta della Padania, che rappresentano quanto di più efficace e tecnicamente evoluto abbia prodotto la ricerca farmodinamica.
Il dottore lo guardava sempre più perplesso e Ninì, attribuendo il suo sbandamento a mancanza di chiarezza nella sua presentazione, perseverava.
- Che c'è? Non mi crede? Le posso lasciare alcuni campioni in omaggio per sperimentarli... Per esempio... ecco guardi queste supposte di Spassitrasi, oltre alla loro efficacia chimico - batteriologica, presentano il vantaggio della leggerezza: sono così impalpabili che...entrano senza sentirsi.
Ora il dr. Ippocrate Cagliostro sghignazzava apertamente e spudoratamente. A Ninì sembrava che la terra, il pavimento stesso gli franasse sotto le suole plastificate delle sue splendide scarpe da ginnastica! La sua professionalità alla berlina! Travolta dalle volgari risate di un vecchiaccio arrogante e presuntuoso!
- Che fa sfotte dottore?
Cagliostro era fatto così. Una persona estremamente riflessiva. Riservato e serio in modo esasperato. Strappargli una risata rilassante una vera impresa. Gli amici, appassionati di esibirsi nel racconto di barzellette, evitavano la sua presenza. Era di un antipatico! Bene che andasse, pretendeva di averle spiegate! Figurarsi il gusto sadico! Se, però, partiva era difficile bloccarlo. Incontinente come in tutte le sue manifestazioni. Rideva della sua stessa risata. Più pensava che non cerano motivi e più gli veniva da ridere. Ad un certo punto, lo sguardo inebetito di Ninì dovette fargli temere di avere oltrepassato ogni misura, perciò, a stento, si frenò e riacquistò contegno.
- Ma no, ma no! Mi diverto... io le ho detto di andare subito sul concreto e lei, da buon polentone, comincia a farmi lezioni di Farmacoterapia!
Ninì divenne rosso come un melograno, cogliendo una nota di esplicito rimprovero. Il sangue gli affluì fino alla punta delle orecchie, gli si annodò come un groppo alla gola e stava impaperandosi di nuovo.
- Oh, mi scusi! Io volevo solo illustrarle i vantaggi di prescrivere i prodotti della Sanifera... non intendevo urtare la sua suscettibilità terronesca!
Laveva fatta proprio grossa! Lultima espressione equivaleva a un doppio schiaffo sulle guance. Significava pungere un asino in salita. Per un siciliano, se gli dici vagabondo è un complimento, perché capisce che intendi dirgli sperto, capace di arrangiarsi e campare senza scomodarsi a lavorare; se gli affibbi birbante, lazzarone, è come un elogio sperticato; ti manda in regalo il vino rosso a Natale; e magari la frutta martorana per i Morti; si incazza un poco se gli dici cornuto; se glielo scaraventi in pubblico è capace di fare un macello; magari se lo sa e nessuno pretende di farglielo ingoiare apertamente, può continuare a far finta di niente; infame è già unoffesa più grave: significa traditore degli amici, Giuda, sbirro, inaffidabile, peggio di pupo, di midollone ... una cosaccia inutile. Chiunque può far la festa ad un infame, senza chiedere permesso a nessuno. Ora per Ippocrate, che siciliano era e si sentiva, tutti questi epiteti erano miele, profumo di rose, balconi di gerani fioriti, in confronto a terronesco, per giunta scagliatogli addosso da un Padano. Fu come una doccia fredda alluscita da una sauna. Una mosca cavallina che gli saltellava addosso. Lo prese un diavolo per capello. Non riusciva né voleva contenersi. Fosse stato ventanni prima gli sarebbe già saltato addosso e lo avrebbe ghermito alla gola. Affondando le unghie. Fino a fargli sgorgare il sangue a fiotti. Vedeva rosso. Dovette ricorrere alla sua millenaria saggezza per limitare la propria reazione.
Terronesco a me? Lei che puzza di patate e polenta? Ma lei ha la più pallida idea, in quale pezzo di Atlantide è venuto a lavorare? Capisce con chi sta parlando? Io fui Giuseppe Balsamo e sono Ippocrate Cagliostro, limmortale. Non sono nato dalla carne, né dalla volontà dell'uomo e vivo in questa terra eterna da quando faceva parte di Atlantide e gli Dei dellOlimpo dividevano con noi il nettare e lambrosia...
Come evocata dalle sue ultime parole, Persefone ricomparve fugacemente nellambulatorio.
Stai tranquillo, Ippocrate, noi, divinità del cielo, della terra e del mare, non ti abbiamo mai abbandonato, né mai ti lasceremo, anzi saremo felici di accoglierti tra noi quando lo vorrai ..
Ma Cagliostro non si lasciava tentare facilmente dalle divinità. Tante altre volte aveva resistito alle loro allettanti offerte.
No, grazie, non disturbatevi! Non voglio essere uno dei tanti dei sullOlimpo. Preferisco essere un semidio vivente in questo Paradiso terrestre.
Ninì, cui evidentemente sfuggiva del tutto la dimensione del divino, osservava perplesso il suo interlocutore che gesticolava verso il vuoto. Quella mimica gli sembrava unulteriore presa per i fondelli! Riscaldatasi la capoccia al cospetto di queste presuntuose farneticazioni, rincarava gli insulti, incurante delle conseguenze.
Siciliani, mangia maccheroni!
E perché cosha lei contro i maccheroni? La pasta è alimento di valore; rinforza a tutti lo stomaco e la spina dorsale e a chi ne mangia di sera e di mattina sveglia il sangue e gli dà maggior vigore. Apporta a tutti salute e colorito perché la sua semola possiede vitamine ed è l'unico e vero ricostituente per gli sposati e per chi fa l'amore!.
Di fronte a questa pervicace difesa dellalimento principale della dieta mediterranea, Ninì incalzava.
Ho capito, anche lei è un mangia maccheroni!
Se li cercava! Quel ragazzino dallaria apparentemente esile e dal carattere inizialmente timido era in realtà uno sfrontato provocatore. Venirgli a dire certe cose viso a viso! Nel suo studio! Seduto alla sua scrivania! Mentre cercava di fargli inghiottire la Sanifera! I guai se li andava proprio a cercare con la lanterna! Guai e macchie dolio!
E allora, considerato che lei è un leghista colonialista e razzista, dica... dica...! Non sia così timido e pudico... Mi evidenzi questi vantaggi...
Ora il dr. Niní dei Svacisvitevorissirevormati ripiegava in difesa, impacciato e frastornato.
- Ecco... come le dicevo... la Sanifera è la più aggiornata nel campo della ricerca e della sperimentazione.
Per Cagliostro stava passando ogni misura. Che voleva infinocchiargli quel presuntuoso sbarbatello? Spazientito contrattaccò.
- E dagli! Ora mi vuole ingarbugliare con la storia degli esperimenti? Lei vada al consistente, al collaudato che agli esperimenti ci basto io. Dopo tutto, sono stato e rimango il più grande chimico e alchimista dEuropa! Nessuno è bravo quanto me a prescrivere un farmaco, una volta che mi sono persuaso dei vantaggi e delle sue positive... rifluenze!
Il dr. Ninì dei Svacisvitevorissirevormati si faceva sempre più confuso ed esitante. - Ecco, come le dicevo... - Il suo cuore si faceva minuscolo, mentre si asciugava il sudore con il fazzoletto verde, imbrattandolo vistosamente - La Sa... Sa... Sa...ni...ni...ni... fe...fe... fe...
Ippocrate sbuffava intollerante - E ora che si rimette a farfugliare?.. Di questo passo al sodo ci arriviamo che è già notte! - Si alzava, apriva la valigetta e incominciava a rovistare - Ecco, vediamo subito quali sono i vantaggi industriali o monetari che mi manda la Sanifera...
Il dr. Niní dei Svacisvitevorissirevormati comprendeva sempre di meno, tuttavia lo assecondava servizievole.
- Ma che fa, dottore? Si mette a cercare lei i farmaci? Aspetti che almeno lo aiuto io... né!
Scattante e nervoso, il medico buttò fuori della valigetta i farmaci e vi sbirciò dentro.
- Niente... né biglietti daereo per le Hawaii, né biglietti daltro genere... - Rovesciò sottosopra la valigetta - Che siano nascosti nel doppio fondo?
Ninì era allibito. Senza parole. Il sangue gli si era congelato nelle vene.
- ... Ma... ma... ma... co... co... sa ha fatto, nè?
- Cerco vantaggi... caro il mio pubblicista, i vantaggi per il sottoscritto Ippocrate Cagliostro. In ogni cosa, se non cè guadagno, è perdita sicura...!
- Per lei? Ma se è sano come un pesce! I vantaggi sono per gli ammalati... gra... gra...gra...
- ... gracchianti come le rane! - Ed Ippocrate riassumeva un tono ironico, paternalistico e cattedratico.
- Bravo, dr. Svacisvitardarissirevarmonti della Padania, ho capito che lei non ha capito proprio niente. Ma cosa vi insegnano allUniversità? Aria fritta? O cavoli bolliti?
Nonostante gli sbandamenti e gli sbalzi di temperatura, Ninì non poté fare a meno di lagnarsi risentito.
- Dottore, la prego... io ho studiato tre anni Marke... ke ke...
- e tinghete... - Cominciò a sfotterlo Ippocrate, saltellando e schioccando le dita - E tinghete, tinghete tinghete...! Alla Bocconi!! - Si fermò serio e assumendo un tono complice e confidenziale.
- Caro giovanotto, per guarire quegli ammalati gravissimi i prodotti della Sanifera devono essere prescritti da un medico sereno, felice e riposato, dopo un lungo soggiorno allestero... magari con mia moglie ... con i miei figli... il tutto ovviamente a carico della Sanifera!
Al cospetto di tale smaccata impudenza, il dr. Ninì dei Svacisvitevorissirevormati era completamente disorientato e imbambolato. Constatare che aveva perso la bussola era semplicemente riduttivo. Si sentiva la gola secca. Avvertiva il bisogno disperato di bere. Boccheggiava come in un naufragio.
- Ah?!... Ah!???... Ah?!!!!!!! Ah?!?!?!?!?!
Cagliostro lo braccava implacabile, a mitraglia.
- La Sanifera organizza interessanti convegni - vacanza in Sud America ed in Africa ... se poi, in questo periodo, non ce ne sono in programma, potrebbero andare bene anche strumenti ed attrezzi dambulatorio: ... pinze ... armadi ... computer ... televisori di 16/9, a schermo piatto ... il propagandista della Chemiform, laltro ieri, è passato e me ne voleva omaggiare uno di 38 pollici, con antenna parabolica ... insieme a delle stecche da biliardo da competizione!
Il dr. Ninì dei Svacisvitevorissirevormati, illustre e valente informatore scientifico non sapeva più a che Santo votarsi. Farfugliava tormentato e pentito.
- E lo scemo di me, che ho studiato fino alle due di notte la struttura chimica dei farmaci ed i loro effetti collaterali !...
Ippocrate si intenerì. Non era un maramaldo infine. Vincere, ma senza stravincere! Senza annientare mai luomo che ti sta davanti. Intenerito e pietoso lo prendeva per un braccio e lo stava accompagnando alla porta, confortandolo.
- Ragazzo mio, mi dia retta. Torni dal suo direttore, nella Padania, e si faccia riempire la valigia per bene ... di cose utili! Così, in queste condizioni, è destinato a sprecare saliva ...
Ninì singhiozzava. Non era certo uno stupido o un mentecatto. Un po' ingenuo se mai.
- E che ho la faccia di un tanghero? Nella mischia disarmato mi hanno buttato... Dottore, mi guardi bene, né? Le sembro un fesso o un mammalucco?
Con aria di superiorità professionale e di perfido compatimento, Cagliostro gli girava e rigirava la testa, indi lo guardava negli occhi, con sufficienza e benevolenza.
- Né luna né laltra, giovanotto... anzi il suo sguardo mi pare piuttosto vivace. Ma il Marketing non è quello studiato nelle Università polentone. Mandarlo in giro così è stato come metterlo in trincea senza elmo, o armarlo con un fucile ad acqua per affrontare dei panzer tedeschi.
Ninì dei Svacisvitevorissirevormati si avviava alluscita, dimesso e malconcio. Come un gallo con la cresta abbassata. Sconfitto. Una Waterloo. Una Canne. Sconfitto in quel campo di battaglia per la quale si era a lungo preparato. Nessun Fabio Massimo a salvarlo dal tracollo. A rendergli più onorevole la ritirata.
- Dr. Ippocrate Cagliostro, lei oggi mi ha dato una lezione di vita. Bruttissima... scioccante, ma, credo, utile. Arrivederci...
- Arrivederci, può anche andar bene..... ma ritorni con il paniere pieno...! - Lo accompagnava il medico, con laria di chi ha appena divorato una gallina spennacchiata, ma non fece in tempo a leccarsi i baffi che una biondina, dagli occhi dolci, in un semplice tweed crema, si affacciò dalla porticina interna, gli si avvicinò e lo abbracciò.
- Ciao, papino! Scappo perché sono in ritardo per la lezione di Anatomia!
- Sempre di corsa! Mai un momentino per il tuo papà!
- Non ti voglio disturbare nel tuo lavoro e non mi voglio fare mettere sul naso dal prof. Ridola. - Stava per sgattaiolare, ma sporgendosi con il viso, intravide Ninì, arrossì e si turbò. Sorpresa, distinto - Ah, ... tu qui!?
E Ninì, più imbranato che mai. Sì qui ... passavo ...
Non mi hai detto niente!
Cerchiamo di essere prudenti.. - fece Ninì, preoccupandosi che si scatenasse un altro nubifragio.
Anche Lucia si rese conto dellinvolontaria imprudenza e, riprendendo il controllo, guadagnava luscita. Papà, ci vediamo a pranzo ...
Ippocrate cascava dalle nuvole. Ma voi, come vi conoscete?
Quei loro sguardi dintesa. Quelle frasi sussurrate a bassa voce. Tanti chiodi infilzati a secco nel suo cuore. Imprevisti e imprevedibili! La sua Lucia! La sua prediletta Lucia! La dolcezza personificata! La luce dei suoi occhi! Che poteva avere a che fare lei con un imbranato di polentone e leghista? Possibile? Senza dirgli niente? Eppure i loro occhi... Lui di queste cose se ne intendeva...! Non volesse mai il Cielo!
Né Lucia né Niní avevano voglia e spirito di rispondergli. Si guardavano imbarazzati, quindi tacevano con gli sguardi protesi a cercare ragnatele nel soffitto, sperando in qualche evento miracoloso, che li cavasse dimpiccio.
****************
Capitolo II
Tra amarezze e bagliori.
Linvocato intervento della Divina Provvidenza si materializzò nellinaspettata irruzione della Gna Cilintonia, ricoperta di stracci vecchi e maleodoranti e gravata di latte e ferraglie agganciate alla schiena.
- Dottò... le faccio perdere solo un minuto... mi dovrebbe scrivere due scatole di iniezioni di rinforzo e tre barattoli di citrosodina...che ho un bruciore nello stomaco!
Fuggire è certamente disonorevole, ma talvolta può anche essere salvezza. Approfittando del momentaneo trambusto a Ninì e Lucia non sembrò vero guadagnare luscita e rinviare ogni eventuale chiarimento a momenti migliori. Lingresso era proprio un colabrodo. Nessun filtro o controllo sul traffico caotico. Sembrava un baglio di campagna! O un tempio selinuntino! Ippocrate era furioso come un toro nellarena, perciò iniziò a sbraitare, nella speranza di svegliare Rosina dal suo consueto pisolino mattutino.
- Ricette? Tutti quelli che devono scrivere ricette non cè bisogno che entrino. Datele a Rosina che ve li copia sulle ricette che le ho già firmato in bianco, così sgombriamo un po la sala... In quanto al bruciore, prima di mangiare, faccia sciogliere mezzo cucchiaino di argilla ventilata in un bicchiere dacqua e se lo beva.
Me lo ha già prescritto, laltro ieri. Sono andata a prendere argilla di qualità, di quella di figuli, ma questo bruciore ce lho sempre sulla bocca dello stomaco.
E allora, mastichi una pallina di pane a digiuno ...ed ora se non cè altro, si accomodi pure fuori - Insisteva Ippocrate, spingendola verso luscita, con mano delicata, ma fermamente decisa - ... Rosina, mentre copi le ricette, fai accomodare la signorina Filomena , ché stamane mi ha telefonato suo zio, Monsignor Ballisco, per raccomandarmi di visitarla accuratamente ...
La Gna Cilintonia non si capacitava per niente a mollare losso.
Veramente, mentre chi ci sono, ci sarebbe &ldots;
Ippocrate cominciava a invidiare la calma di Giobbe.
E che ci sarebbe ancora?
Ecco, mio marito Gerlando ha aerofagia nello stomaco abbassato: ogni sera, appena si siede davanti la televisione, si mette a bombardare che ci vuole la maschera antigas&ldots; ed io ricalcitro tutta. Se prima non la finisce e non si fa piccolo piccolo, io non lo faccio entrare nella camera da letto!
Non era mattinata quella! Biagina, limbranato leghista e adesso anche Cilintonia! Che ci fosse una congiura in atto?
Gli prepari un infuso a base di acqua di mare, anice, finocchio e salvia...o gli dia un bicchiere di olio di ricino a digiuno che gli lava tutte le budella!
Ma non era ancora finita! Anzi la Gna Cilintonia, compassata e serafica prendeva posto a sedere.
A mia figlia Caterina puzza lalito e ogni ragazzo che le si avvicina scappa immediatamente: rischia di restare zitella!
Che cosa doveva sopportarsi un medico! Anche i traumi psicologici della famiglia. Da quando la Mutua consentiva a ciascuno di scegliersi il proprio medico, il libretto era diventato una terribile arma di ricatto nelle mani dei mutuati. Guai a contrariarli, indisporli, rifiutargli una prescrizione, non rispondere ad una chiamata notturna, non correre a casa al primo raffreddore stagionale! Il mutuato minacciava subito di togliergli il libretto. E quel fetente di Stipisi era lì, come un avvoltoio in agguato, pronto a fottergli il cliente, a blandirlo e a farlo sentire il re delluniverso. Che fare? Bisognava tenere il passo della sleale concorrenza!.
Le dia un infuso di foglie di menta, mitigato con un cucchiaino di miele e qualche mela grattugiata, mescolata con succo di limone e addolcita con un cucchiaino di zucchero.
Sembrava lalba del giorno più lungo! La rassegna dei guai familiari era ancora in corso. Esistere è così. Le giornate scorrono tranquille e riposanti. Così tranquille da farsi maledire per la loro monotonia. Una successione illimitata di istanti. Una realtà continua, omogenea, immutabile e trascendente gli eventi. Una pura astrazione di carattere psicologico. Lordine di successione delle percezioni. Di esistenze successive. Qualcosa di ideale, una relazione che non è presente nelle cose stesse. Da sfiorare la paranoia. Una meccanica ripetizione di quelle precedenti. Una ruota in un ritmo eternamente ricorrente. Improvvisamente tutto cambia. La vita assume ritmi soffocanti e angoscianti. La coscienza presente della successione dei fatti, tramite la memoria passata, si fa anticipazione del futuro. Starle dietro un affanno da infarto. Il tempo diviene distensione dellanima. Rilevazione soggettiva. Tutto è presente. Il passato è presente nella memoria. Il futuro nellaspettazione. Lattenzione ci dà la coscienza del momento presente. Capire i gesti, le abitudini, i comportamenti, un'operazione intellettuale ad alto rischio. Con gli altri, anche le persone più care e vicine, una barriera, un muro di gomma su cui le stesse parole rimbalzano senza alcun assorbimento. Pare che tutto e tutti si diano appuntamento per saggiare le capacità di resistenza.
A mia figlia Ninfa le viene la paura, la malinconia e, ogni tanto, le piglia qualche crisi di nervi!
Subire ok! Sorridere pure. Alterarsi mai! Perché dare la soddisfazione di vederti squilibrato a chi fa di tutto per raggiungere questo risultato? Ma senza il rischio di scoppiare di bile. Né di perdere faccia e dignità! Come mascherare lirritazione che ti fermenta come un caglio fresco nelle budella, mettendo a forte rischio ogni equilibrio umorale?
Ma che è un Ospedale la sua casa? Faccia bollire aglio, menta, tiglio e verbena e vi mischi un poco di genziana e gliene dia un bicchiere la sera ed uno la mattina. E, al più presto, le cerchi un fidanzato che le passano tutte queste fisime, queste angosce e queste malinconie!
Cilintonia resisteva anche al suo tentativo di accompagnarla fuori con dolcezza.
E per questo callo nel dito mignolo del piede? Mi mandi da un pedicure! Io, per non sapere leggere e scrivere, vi ho messo una solata di cipolla!
Appena si tolse la scarpa, dal suo piede si sprigionò un fetore così indecifrabile e ammorbante da costringerlo a rifugiarsi vicino alla finestra.
Gironzoli di meno e ci metta uno spicchio daglio pestato e vi sminuzzi qualche foglia di geranio; impasti con il latte, infili il piede in una calza di lana. Tempo dieci giorni e il piede le ammorbidisce che è una meraviglia!
A spazzarla via, per fortuna, entrò lannunciata Filomena Ballisco, la nipote dellarciprete. Era una ragazza diciottenne, bruna, alta, dai bei lineamenti, vestita con una gonna lunga e molto coperta. Tutta unaltra cosa! Avanzava con andatura sinuosa e gli si rivolgeva con voce morbida e carezzevole.
- Posso? Le rubo solo qualche attimo dottore, ma sto così male che non potevo fare a meno di venire...
La Gna Cilintonia si persuase che era giunto il momento di levare il disturbo.
Grazie, dottore, lei è un mago! Una statua le dovrebbero fare...
Sì, pure le candele mi dovrebbero accendere! - Ma già Ippocrate apriva un altro capitolo - Prego, saccomodi. Sieda pure. Lei ha tutto il tempo che vuole. Un orologio in moto segna le ore più lentamente di un orologio in quiete.
Si sedette anche lui e cominciò a tamburellare con il tagliacarte, conscio che un uomo è piccolo a paragone di una balena e grande in confronto ad un insetto
- Cosè questo suo malessere? Mi dica tutto... dove le fa male?
- Tutto, tutto mi fa male, dottore! A volte, mentre cammino, mi salgono vampate improvvise di calore... o mentre sto sola a casa mi prendono brividi che mi sembra di trovarmi sulla neve e poi... un mal di testa continuo che mi fa impazzire...
- Mal di testa ... e dove le duole il capo, con precisione?
Filomena afferrò le mani del medico e se le portò sulle tempie.
- Qui mi fa male dottore e poi... tuttintorno: è come se un cerchio mi stringesse la testa...
Nellambulatorio cominciava a salire la temperatura. Se un astronauta, in fuga nello spazio, accelerasse fino a raggiungere quasi la velocità della luce, il tempo gli passerebbe molto più lentamente. Ippocrate si sentiva proiettato verso una destinazione molto lontana. Avrebbe potuto girovagare per settimane, e, nel suo studio, si sarebbero potuti consumare molti secoli. Poteva addirittura immaginare un viaggio fino ad una stella. Dire addio per sempre alla propria generazione e al mondo. Ritornare nel mondo del futuro.
- Si accomodi sul lettino che adesso la visito...
Dimenandosi morbidamente, la ragazza si avviò dietro il separé.
- Qui dietro, dottore?... Che fa?... Mi devo distendere?...
- Si distenda,... si distenda pure... ma prima si spogli...
Ormai seduta sul lettino - Cosa, la camicetta...?
- Certo... la camicetta... ovvio...e anche la gonna...
Mentre si spogliava, esprimeva qualche perplessità.
- La gonna? Anche la gonna...?!?
In effetti, cosa mai centrava la gonna con un mal di testa? Ma Ippocrate aveva la fama di un medico straordinario!
- Si, certo anche la gonna... Come vuole che la visiti altrimenti... e la sottana se ce lha sotto...
- No, quella non cè bisogno... non la porto mai, quando sento caldo...
E non era la sola. Anche Cagliostro si sentiva accaldato. Certo, cera il condizionatore guasto e il tecnico non si decideva a venire a ripararlo. Ogni giorno prometteva per lindomani. Guai ad avere necessità di un idraulico! Molto peggio di avere necessità di un medico! Bastava una toccatina di tubo e volavano cento Euro! Negli ultimi tempi gli idraulici avevano surclassato persino i mitici uscieri della Regione Siciliana. E per farlo venire occorrevano due - tre raccomandazioni! Nonostante la crescente sensazione di calura, Ippocrate entrava nel separé e cominciava una visita oculata e scrupolosa.
Bene, perfetto... così può andare...
Le sue mani sulla sua pelle liscia e calda si muovevano leggere come quelle di un violinista. Un flusso vitale lo stordiva. Una successione continua di processi qualitativi. La palpava leggermente sulla pancia e andava salendo sul suo fisico scolpito, privo di un briciolo di grasso.
- Ecco, qui sembra tutto in ordine... non ci sono protuberanze né gonfiori...
Il corpo di Filomena era perfettamente rilassato sotto le sue dita. Si lasciava sfiorare senza ritrarsi, né mostrare alcuna tensione. Anche il suo sguardo esprimeva fiducia e un pacato abbandono, ma, quando si accostò allestremità inferiore dei suoi seni, piccoli, ma tesi e sodi, trattenne a stento la risata.
- Piano... Piano, dottore... che così mi solletica tutta...
Impossibile distinguere i momenti che trapassavano luno nellaltro. A guisa di un fiume che trascinasse con sé tutte le sue acque. Il passato di Ippocrate riviveva nel presente e luno e laltro si prolungavano nel futuro, costituendone soffio vitale profondo. Mascherato e deformato dalle abitudini. Allora egli la premette sulle costole.
- Ah, si?... Qui, le duole?...
- Un poco, dottore... però mi titilla!...
La sua risata era elettrizzante. Sapeva di innocenza. Di pudore verginale. Era spontanea, libera, senza inibizioni. Ma anche maliziosa. Invitante e maliziosa. Da fare sbiellare anche un Santo. E Ippocrate Santo non lo era di sicuro. Né aveva mai avuto la pretesa di diventarlo, perciò continuava a salire con la mano sinistra, tastando ogni sua reazione.
- E qui le duole? O la solletico anche qui, per caso? - Mentre le infilava la mano dietro, sotto la schiena - Ecco, si alzi leggermente che le slaccio il reggiseno, così posso palparle meglio lo sterno... - Le slacciava il reggiseno e lo alzava come un trofeo, ne scrutava la trasparenza alla luce della lampada, quindi lo lasciava ricadere sul lettino.
- Ecco, se la tocco qui... le arreca dolore...?
La voce di Filomena diveniva languida - No, anzi... provo una sensazione quasi piacevole... mi sento, però, come se fossi più debole, fiacca... anzi è come se mi sciogliessi... se mi liquefacessi... Oh, Dio! Non sarà, poi, una cosa così grave, dottore...?!?
Il tono del medico oscillava tra il professionale e una complicità colpevole. Il tempo diveniva un insieme di possibilità futuribili. Il suo avvenire la più autentica realizzazione degli elementi potenziali presenti nel suo passato. I suoi anni esprimevano la funzione nullificante del suo essere. Un continuo sfuggire a se stesso. Un incessante protendersi oltre.
- No, non si preoccupi! Nessun male grave... Direi, anzi, che le sue risposte alle mie stimolazioni manuali sono precise e puntuali e dimostrano che il suo organismo funziona ancora preciso come un orologio svizzero...
La sua voce era sempre più fievole - Oh, meno male! E io che mi ero quasi spaventata... in verità, non sento più quasi dolore alcuno. Lei è così bravo con le sue stimolazioni&ldots; ed i suoi manipoleggiamenti! Ma li fa a tutti..? Sempre?
Rosina non ne poteva più. La mattinata le sembrava interminabile. Da un poco origliava dietro la porta, in attesa che si interrompessero quegli strazianti mugolii, ma essi si accentuavano e non lasciavano presagire niente di buono. I minuti rischiavano di risultare insopportabili. Un evento scontato e prevedibile. Una catena di montaggio e di produzione. Uno sperpero esistenziale. Una linea orizzontale che si snodava inesorabile. Esprimibili quasi in metri e centimetri di ricordi grigi, rimpianti, soddisfazioni e piaceri. Era quello il prezzo che aveva deciso di pagare accettando il ruolo di segretaria. Essere rosa quotidianamente dalla gelosia. La moglie, Bastiana non ficcava mai il naso nellambulatorio, perciò si risparmiava questi dilanianti sospiri di passione. Occhio che non vede, cuore che non duole. Ma lei conosceva bene il senso e il fine di quei palpeggiamenti sul lettino. Tante volte, in quello stesso posto, si era infiammata di desiderio sotto le sue dita esperte, che si muovevano nei punti giusti. Ascoltando visualizzava. Era come se il telo del separé fosse un velo trasparente. Senza segreti e misteri. Rosina poteva immaginarsi i suoi occhi cupidi su quel corpo caldo e vibrante. Prevedere il secondo e il terzo tempo della scena. Dalla culla alla bara. Non resistette oltre e balzò nella stanza per prevenire.
-	Dottore, le serve aiuto? Ha bisogno di qualche strumento in particolare?
Avanzava circospetta. In punta di piedi. Rovistava nell'armadio, con apparente concentrazione. Con la pretesa di coglierlo in fallo senza farsi scoprire.
- Quante volte ti debbo ripetere che non devi mai entrare, mentre visito? Se mi serve qualcosa ti chiamo, tornatene nella sala daspetto...
- Come vuole, dottore. Sempre ai suoi ordini, dottore - Mentiva appagata daverlo interrotto sul più bello. Ma era solo unillusione, perché Ippocrate riattaccava.
- Non certamente a tutti... Solo quando ne vale la pena.. Ma, lei, signorina Filomena , nessuno lha mai stimolata con le mani?...
- Mai, mai nessuno, dottore. Prima di lei, andavo dal dottor Stipisi... Ma quello è vecchio e superficiale... Non mi ha mai fatto una visita così accurata e piacevole!
Sparlare di Stipisi era una musica armoniosa per le sue orecchie. Mentre continuava a palparla, le quotazioni di Filomena salivano rapidissimamente.
- E con i giovanotti? Ci sarà stato pure qualche giovinastro nella sua vita...
La ragazza scattava risentita.
- Giovanotti? Ma che dice dottore? I miei nonni, losso del collo mavrebbero rotto se mavessero visto con un giovanotto!
Ippocrate si ricordò che i suoi nonni erano veramente allantica. Persone morigerate e tradizionaliste. Un rischio reale. Se solo avessero lontanamente immaginato! Avrebbero potuto accusarlo di pedofilia. Si poteva essere accusati di pedofilia per molto meno. Ti mettevano subito dentro. E buttavano le chiavi in un posto inaccessibile e sconosciuto. Dopo la terribile esperienza di San Leo egli aveva terrore del carcere. Della sua umidità. Del suo buio. Delle grida di altri disperati. Della solitudine. Una persona in carcere rischia di perdere la stessa cognizione della sua umanità. Inconcepibile che gli uomini avessero inventato un luogo così atroce, nel quale, a turno, rischiavano di precipitare. Il terrore di quelle sensazioni gelò le sue fantasie sessuali e fece tornare solenne il suo tono.
- Davvero?... Capisco...Capisco... Alla luce di quanto mi dice occorre che la mia visita sia ancora più accurata. Ho bisogno di servirmi di qualche strumento meno empirico delle mani.
Mentre usciva dal separé, per andare a prendere un misuratore di pressione, sua figlia Geltrude entrava dalla porticina interna sbadigliando. Le sue due figlie non avevano alcun tratto in comune. Tanto Lucia era ordinata, studiosa, precisa, puntuale, educata, raffinata, altrettanto Geltrude era caotica, vagabonda, sporcacciona e grossolana. Sembravano nate e cresciute da genitori diversi. In verità erano la sua fotocopia. Solo che una reincarnava le sue rare qualità, i suoi pregi, laltra i suoi numerosi difetti. Ad alto rischio, dunque. La prima di sogni utopistici e di ideali irrealizzabili. Di non poggiare i piedi per terra. Di aspirare a vivere nellirrealtà della fantasia. Di essere vittima prediletta di tutti i profittatori e i malvagi. La seconda di sbattere contro i massi duri e pericolosi dei perbenismi sociali. Di affondare inesorabilmente nei precipizi senza ritorno dei suoi esperienzialismi. Dei suoi antidogmatismi. Senza Dio né fedi. Neppure in suo padre. Un disprezzo costante verso ogni realtà certa, sicura e perciò scontata. Osservarle era come specchiarsi nellacqua di un limpido torrente e riconoscersi con compiacimento e con raccapriccio. Geltrude indossava il suo consueto completo di jeans sfrangiati e rattoppati, che avevano visitato la lavanderia qualche anno prima. Da quando vi si era insaccata non se li sfilava neanche per dormire. Aveva i capelli multicolori, tra il verde pisello ed il violaceo stinto, una striscia rossa a stringerle e decorarle la fronte, ai lobi piume indiane filtrasogni ed il viso truccatissimo, dai lineamenti sommersi ed indecifrabili.
- Che sonno! Non potevo dischiudere gli occhi stamattina!
Ecco, il sonno laveva preso da Bastiana. Lincapacità di spiccicare gli occhi ad un orario ragionevole la condivideva con la mammina. Ma la causa prima dei suoi orari sconvenienti, linsonnia, lamore per il nottambulismo era ancora una prerogativa del sangue dei Cagliostro.
- Per forza! Sei rientrata dopo lalba... dove sei stata fin così tardi? Con chi eri?
Anche la sua faccia di bronzo gli apparteneva.
- Così, in giro, a bighellonare. In questo paesaccio non cè mai niente da fare! Cè una paranoia!
Era come sfogliare un vecchio album di famiglia. Non era stata la paranoia, forse ai suoi tempi si chiamava più semplicemente noia, allorigine di numerose disavventure personali? Sentiva che doveva proteggere da se stessa lincoscienza fanciullesca di questa figlia. Figli, gioie e dolori. Senso dellesistere. Del proiettarsi nel futuro. Ma anche struggimenti, apprensioni. Lessere che ti sfugge in direzioni inattese e incontrollabili. La vita che ti costringe a guardarti dentro sadicamente. Nelle tue miserie. Nei tuoi limiti fisici, intellettivi e morali. Sempre con amore. Amore esclusivo e smisurato. Carne della carne. Pezzi di cuore. Lamore per i figli è totale, senza condizioni. Anche quando cè totale disapprovazione. Quando sembra di odiarli per come si trasformano e divengono irriconoscibili.
- Se solo pensassi un poco a studiare, o ti appassionassi alla causa della nostra Sicilia, ti annoieresti di meno! Perché non prendi esempio da tua sorella Lucia?
Ma Geltrude era proprio oppositiva. Se volevi che facesse qualcosa dovevi chiederle il contrario. Se avevi lingenuità di farle scoprire il tuo punto di vista, la trovavi immediatamente sullaltra sponda del fiume.
- Per favore, non cominciare a stonarmi la testa di prima mattina con le tue manie di sicilitudine! Risulti maledettamente gretto e provinciale! Mi vuoi proprio stressare? E non tirare in ballo quella stucchevole santarellina di Lucia! Lo so bene che è la tua figlia ideale!
Nel frattempo nellambulatorio, trasformatosi in un autentico sciame, quasi una piazza municipale, alle spalle della figlia si affacciava un giovane extracomunitario, con il capo ricoperto da un turbante, una tunica dai colori giallo e arancione sgargianti ed un serpente in mano. Ippocrate gli rivolse uno sguardo interrogativo, rintuzzato repentinamente da Geltrude.
- Ehilà vecchio, cosa hai da sgranare gli occhi? Mollami qualche centone che ci dobbiamo andare a fare un giro!
Ippocrate sbiancava come un cencio strapazzato.
E che ti pare che cè scritto giocondo in questa mia faccia? E poi perché? Perché tu devi andarti a fare un giro con questo bellimbusto? Non se ne parla proprio! Non vedrai un centone finché non riprenderai a dare esami allUniversità.
In ogni modo, per non opporre un diniego perentorio, aprì il borsellino e tirò fuori alcune monete da un Euro.
- Ecco... quattro ... cinque ... sei ... Euro ... per stamane ti possono bastare ...
Molliccia e flemmatica, la figlia cominciò ad arrotolarsi una sigaretta.
Vecchio, che mi vuoi fare lelemosina? Neanche un caffè ci posso pagare con questi spiccioli miserabili... né un pochettino di fumo scadente! Sei diventato un gomito sporcato allimprovviso?
A sostenerla interveniva anche il giovane Alì Salem, che gli puntava contro il dito minaccioso.
Tu cattivo! Tu padre senza cuore! Tu fare piangere dolce fanciulla senza motivo!
E chi è? Parla costui, per giunta? -
Esplodeva Ippocrate, che gli contrapponeva uno sguardo di sfida, puntandogli, a sua volta, il dito, che si incrociava con quello del giovane di colore - Vade retro Satana! Fuori dalla mia casa! - e mugugnava furioso - La dolce fanciulla ...! Te la do io la dolce fanciulla!
Alì arretrava parzialmente, ma, mantenendo sempre il dito puntato, lanciava anatemi e maledizioni.
Gli Spiriti del deserto ricadere su cuore malvagio! La pietra dura diventare sabbia nel vento del Sahara!
Geltrude si realizzava tutta quanta. La sua esaltazione era incontenibile.
Bello Alì: questo testa di ... pietra liquefarsi e cominciare a funzionare! Vecchio rincoglionito, vuoi mollare i centoni ora o qualche migliaio per cauzione ed avvocato quando qualche falco mi becca a spacciare?
Se inizia storta, una giornata difficilmente si raddrizza. Rassegnato estrasse i centoni dal portafogli.
Però levati di torno e non farti vedere per qualche settimana ... e, alla prossima occasione, fatti accompagnare da uno scimmione di un altro colore!
Birbantescamente Geltrude agguantò duecento Euro.
Sempre più tirchio! Sempre più vecchio e taccagno! Ma sul cambio di scimmione prendi una cantonata! Questo non è il solito ragazzo che cambio da un giorno allaltro. Il mio Alì Salem è un uomo vero, con tutti gli attributi ed io ne sono follemente innamorata ... anzi comincia a preparare la grana per costruirci il nostro nido damore!
Il giovane gli fece simultaneamente eco.
Io amare Geltrude! Geltrude mia luce! Mia oasi! Mio dattero da spolpare! Io avere attributi ... che a te ormai mancare ... tu cuore nero come pozzo di petrolio ...
Uscirono dallo studio lasciandolo esterrefatto. Consapevole che il lavoro è lunica consolazione delluomo, inforcò un monocolo e frastornato si diresse dietro il separè, rivolgendo unulteriore occhiataccia a Rosina che non si voleva togliere dai piedi.
- Ecco, signorina, doveravamo arrivati? Si alzi un poco il sederino... che dovrei far scivolare via i collant...
- I collant?
- Si, i collant e anche gli slip... - ormai deciso a fugare ogni indugio ed esitazione - Signorina Filomena, vuole che le passi o no questo mal di capo?
- Oh, si! La prego dottore, non si adiri... faccia quello che vuole, ma mi alleggerisca questa testa... che non ne posso proprio più!
Con lei era stato sempre veramente persuasivo. Persuasivo e trascinatore. Anche con una ragazzina come Filomena. Le sfilò delicatamente i collant, li alzò e poi li lasciò ricadere, con solennità ironica.
- E così si squarciò il velo di Maya! - tornò a chinarsi, le sfilò gli slip, li sollevò in alto e li lasciò cascare sentenziando - E così fu aperta la porta di unantica città dellAsia Minore!
Filomena non aveva una vasta cultura, ma non era una stupida né una sprovveduta. Era una ragazza corteggiatissima. Tanti amici avrebbero fatto follie per sfiorarla, ma lei non si concedeva a nessuno. Temeva la loro ingordigia ed il loro egoismo. Con il dottore Cagliostro era completamente diverso. Provava unattrazione magnetica verso quelluomo maturo. Era come se i suoi occhi le penetrassero sotto la pelle. Le trafiggessero le carni fino alle ossa. Le scaldassero il cuore. E poi era un uomo divertente. Abituato a prendere la vita con filosofia e a ridersi di difficoltà e problemi. Un vecchio dallanimo ragazzino. Con il gusto dei piaceri della vita. La distendeva assecondarlo nel gioco.
- Dottore, mi scusi... se questa è la porta, quale sarebbe il cavallo? Ci vuole sempre un cavallo per espugnare una città, anzi, ricordo che quella città fu espugnata con lintroduzione subdola di un cavallo.
- Lo vedrà! stia tranquilla... lo vedrà tra poco. Abbia pazienza! Con quelli della mia età ci vuole un poco di docilità. - La rassicurava e si chinava a scrutare con il monocolo - Che pascolo intatto e meraviglioso! - Eccitatissimo, riprendeva a palpare con la mano - Qui, le duole?
Le sue mani erano calde e sicure. Infondevano serenità.
- Si, sì tanto, dottore! Mi sento come una corda che mi tira! E poi è strano... mi sento ancora più fiacca e morbida di poco fa, anzi è come se mi stesse scappando la pipì...
- Non centra la pipì... cara signorina Filomena ... Questa, diciamo così, è una reazione naturale sul suo organismo finalizzata a spianare la strada ad un eventuale cavallo...
Filomena finalmente cominciava a sentirsi bene. Anche se non del tutto. Perché da un desiderio appagato ne scaturisce subito un altro ed un altro ancora più forte ed intenso.
- Dr. Ippocrate Cagliostro, che è un guaritore lei? Tutto quel mal di testa mi è passato completamente! Ma il dolore si è come spostato tutto in giù... proprio dove lei mi sta visitando ...
Ippocrate le venne incontro palpandola vicino allinguine. Dovette ricorrere a tutto il suo selfcontrol per non affondare nel suo giovane corpo e nelle sue promesse di felicità.
- Qui? E cosa mai può essere che dalla testa scende, in un attimo, quaggiù?
- Come se nelle sue mani ci fosse una calamita, dottore! Mi sento la testa leggera, leggera! Ma qui sotto, vicino linguine è come se avessi tutti i nervi attorcigliati! Mi sento confusa come se vedessi larca di Noè!
Anche Ippocrate cominciava ad avere visioni celestiali! Si sentiva librare su una stella, leggero come un aquilone. Era inebriato dal suo profumo di giovinezza, dal calore che si sprigionava dalla sua carnagione. Socchiudeva gli occhi, lasciando libero campo allimmaginazione, quando, inaspettato, Efesto, il dio del fuoco, irruppe nella stanza zoppicando. Lo riconobbe subito dagli abiti rattoppati, sporchi di fumo e di cenere, ricoperti da una pelle di pecora e dallinconfondibile cresta di gallo sulla testa. Questi dei erano degli autentici guastafeste. Lo interrompevano sempre sul più bello. Peggio dei cani di un giardiniere: né mangiavano cavoli né consentivano ad altri di gustarli.
- Dottore, questo agnellino, glielo lascio qui, in ambulatorio, o glielo salgo in casa, dalla sua signora?
Annunciato da belati, Efesto stava uscendo da un sacco un tenero agnellino da latte e accennava a slegarlo, ma Ippocrate lo dissuase aspramente.
- E che ti sembra un pascolo la mia casa? Rimettilo nel sacco, prima che lasci qualche ricordino in ambulatorio...
- Dottore, non si agiti, la prego. Io ero venuto per augurarle le Buone Feste, anche a nome di mia moglie Afrodite che spesso ha avuto bisogno della sua assistenza e non mi sentivo di venire con le mani in mano...
Il suo rapporto con il divino era davvero singolare. Da quando era assurto al rango di immortale, gli dei entravano ed uscivano dalle sue stanze, come a casa loro. In un certo senso esercitando una sorta di tutela sulle sue azioni. Impedendogli di portarle a termine se eccessivamente rischiose o sconvenienti. Senza consultarlo né dargli alcun preavviso. Il prezzo dellimmortalità. Parentele ingombranti e tiranniche. La rinuncia a una porzione di libertà. Limmortalità è eternità, necessità, immobilità nel tempo e nello spazio. Invadenze da farlo incavolare sul serio. Con laggravante dellipocrisia, della non verità. Gli dei non sono tenuti alla sincerità. Neanche tra loro, figurarsi verso gli uomini! Invadenze nelle azioni e negli spazi vitali.
- E te ne vieni con un capretto vivo? Hai scambiato questambulatorio per un macello?
Efesto conosceva a fondo Ippocrate Cagliostro. Nei suoi splendori e nei suoi fumi. Aveva argomenti persuasivi anche per lui. Anche se leggendario, in fondo, non era che un povero uomo! Per un Dio era un gioco da ragazzi abbindolarlo con le parole! Bastava giocare a rimpiattino con le sue paure del mistero, delle ombre, delle ambiguità, disseminate nei sentieri quotidiani come crepe su vecchi muri. Slavate e rattoppate da muschio, ma pronte a dissanguare come le lacerazioni di un infarto appena rimarginato.
- No, dottore, per carità, non se la prenda! Questo è un agnellino tenerissimo, che si mangia pure senza denti. E poi agli amici agnelli e capretti si regalano vivi... per riguardo... in segno di rispetto... sincerità...
Ippocrate era ancora troppo scocciato dellinterruzione per dargli spago.
- Efesto, ma che vai cianciando? Rispetto... sincerità...
- Certo, dottore. Sincerità. Perché, una volta scannato e scuoiato, lei saprebbe distinguere un agnello da un capretto?
No. Ma che vuoi che mi importi! Luno o laltro per me pari sono...
- E un agnello da una volpe? - Lo incalzava vedendolo disorientato.
- No. Ma che centra?
- E un capretto da un cane?
- Ma... veramente... non saprei...
- Ma certo che no, dottore... Ascolti, si lasci pregare da uno che se ne intende... quando si deve far regalare un capretto o un agnello se lo faccia regalare vivo e pensi lei stesso a farlo macellare e scuoiare sotto i suoi occhi...
Finalmente centrato. Il seme velenoso del dubbio cominciava a serpeggiare nei suoi occhi profondamente neri. Ippocrate appariva smarrito, ma non si dava per vinto.
- Scusa, ma, allora dal macellaio?
- Anche lì può capitare. Ma ci sono i controlli dei Vigili, che con la radio aperta controllano pure i sospiri di noi dei sullOlimpo... tipo i guardoni della Villa Giulia di Palermo! E poi, come si dice, mal comune mezzo gaudio! Ma il regalo è diverso, è personalizzato... Se qualcuno decide di giocarle un brutto tiro... di vendicarsi di qualche sgarbo... Pensi un po che spasso farle mangiare a Natale un cane per capretto e poi, magari, farglielo sapere con una telefonata pomeridiana!
Un affondo sleale e scorretto. Una sciabolata alla sua immaginazione. Sbigottito e spaventato dalle sue sadiche sghignazzate, Ippocrate reagiva.
- Ma io non ho mai fatto male, neanche a una mosca! Chi potrebbe volermene a tal punto?
Efesto gli si accostò in tono confidenziale e protettivo.
- E proprio sicuro, dottore? Noi dei, dallOlimpo, vediamo tutto e nulla ci sfugge. Ad esempio, non ha mai operato qualche intervento frettoloso e maldestro nella sua casa di Porto Palo, magari con gravi conseguenze sulla salute dei pazienti?
Non solo invadenti, pure ficcanaso questi olimpici! Ficcanaso e spioni! Quale coscienza è così nitida da resistere ad un autoesame retrospettivo? Ogni individuo nasconde qualche scheletro nellarmadio. Avvolto magari in un sottile abito di seta vellutata, ma sempre pronto a scricchiolare sotto la pressione delle dita.
Si, può essere capitato, ma sempre di casi umani si è trattato... Se prendevo soldi, servivano per lassociazione dei Siciliani nel Mondo!
- Sì ma, intanto, un milione ad intervento se lo pappava..!
Peggio di un esattore delle imposte! Implacabile come un finanziere! Bisognava giustificarsi in qualche modo! Gli dei mica hanno bisogno di soldi per sfamare i figli, per agghindarli, per istruirli, o alimentargli gli stravizi! Gli basta schioccare le dita.
- Ma tu non sai, cosa significhi praticare un intervento urgente, demergenza: ci vuole ... lassistenza di uninfermiera... i ferri adatti...
Efesto sbottò rapido e violento.
- Non parliamo di ferri, perché altrimenti mi scaldo il sangue pure io! Lultima volta che le ho mandato i ferri caldi con Ermes è stato quando ha applicato il forcipe a mia nipote Assunta e le si è afflosciato irrimediabilmente un braccio!
- Ma se la bambina si è presentata girata...!
Cagliostro cominciava a preoccuparsi di questi vecchi rancori riemergenti, perciò indugiava a rispondere e si grattava la testa frastornata. Lo aveva considerato sempre un amico cui aprirsi senza riserve, un suo protettore, capace di coprirlo nei suoi errori ed ecco, invece, improvvisamente emergere dalla notte della memoria sordi risentimenti e stridule tentazioni di ripicca.
- Efesto, nella mia vita non ho mai danneggiato nessuno e la gente ne è convinta.
- Lasci correre la gente, dottore. Se lei sapesse quante ne mormorano sul suo conto...! Ma ogni testimonianza è buona sino a quando non si dà fastidio al prossimo...
Già la gente è una montagna di zucchero filato. Sale in alto e sembra sollevarti in cielo, ma è pronta a sciogliersi e a sgonfiarsi alla prima leccata di un goloso, sbattendoti nella melma, senza riguardo alcuno. Questo pensiero gli fece affluire il sangue alla testa, perciò balzò contro Efesto e lo afferrò per il bavero.
- Che mormora questa marmaglia, alle mie spalle? Dimmelo. Adesso devi spifferarlo! Non puoi ficcarmi la pulce nellorecchio e fare marcia indietro! Io, la notte, voglio dormire! Non la fare così lunga. Sbottonati!
Ed Efesto, per nulla intimorito.
- Si sussurra che lei si becca un pizzo del 50%, per ogni pensione dinvalidità che riesce a far accordare...
- Disgraziati... Disgraziati e infami!... Anzi infami e canterini... Queste infamità le avrà messe in giro quel disgraziato del Presidente del Circolo, che, sgraffignate quelle per i genitori e per i suoceri, pretendeva pure la pensione per sé, che ha trentanni e scoppia di salute!
- E lui questo lo ammette... Ma va blaterando che lei glielavrebbe fatto avere... a patto che gli avesse mandato la sua mogliettina in ambulatorio di pomeriggio.... quando non cè nessuno!
Passi la delazione! Lingratitudine pure che è figlia delluomo! La diffamazione volontaria mai! Tutto era sopportabile che si dicesse di lui, ma non che fosse un uomo di gusti scadenti e volgari! Lultima stoccata lo fece letteralmente imbestialire.
- Mihi! Allora non è solo un canterino, pure cornuto e tragediatore! Se avessi voluto quella "racchia" di sua moglie non cera bisogno di ricorrere a questi argomenti! Ma lasciamo stare! E daltro che si mormora?
- Radiocaffè sostiene che lei sè venduto il martello del suo Partito, per un contributo di cinque miliardi per la sua industria di fabbricazione di rimorchi... e che fra poco si vende pure la falce!
Ma quale falce e martello dEgitto! Lui un comunista?! Se Stalin gli aveva fatto sempre schifo! I comunisti, come altri politici, ogni tanto passavano nel suo ambulatorio per qualche consiglio e lui non gliene aveva lesinato. Solamente perché era un generoso di indole, non certo per vili e meschini interessi di bottega. Era noto ed arcinoto che le sue simpatie politiche andavano tutte al Fronte Nazionale Indipendentista Siciliano.
- Insinuazioni Efesto! Solo volgari insinuazioni!
Passeggiava scomposto, però. Dinoccolato e nervoso. Si avvicinava allo specchio e si aggiustava la cravatta e un ciuffo di capelli. Un peccato di narcisismo frequente e ricorrente. Prima lo specchio lo gratificava maggiormente. Da tempo gli rimandava indietro pieghe di amarezza e frustrazioni. Rinunce e appagamenti smodati. Occhiaie nere. I segni inconfondibili della sua lussuria e della sua incontinenza. Il marchio di tante sconfitte brucianti. La bellezza appartiene solo allinnocenza. Per questo tutti siamo stati bellissimi bambini. Lui aveva smarrito definitivamente la sua innocenza. Gli erano rimaste soltanto la furbizia e la dialettica a difendersi dagli accerchiamenti.
- Quel contributo mi spetta di diritto! Anzi, ad essere preciso, spetta al mio consuocero che è il legittimo proprietario dello stabilimento industriale ...
- Appunto, appunto! Radiocaffè dice che siete pane e formaggio...!
La calunnia vola leggera come una farfalla. Quasi come la verità, ha il peso di un macigno. A Palermo non ci voleva molto a infangare lonorabilità di una persona. Basta che quattro persone cominciassero a chiedere " avete sentito cosa ha combinato ....?". Era sufficiente rivolgere lo stesso allusivo interrogativo in Via Libertà, ai Quattro Canti e al Foro Italico e, in un paio dore, tutti raccontavano i dettagli di un misfatto mai compiuto.
- Altre insinuazioni! Bassezze! - mentre tornava a guardarsi allo specchio e si riaggiustava il ciuffo - La gentaglia di questo paesaccio ne ha inventato su di me di tutti i colori. Ma, stai tranquillo che arriva per tutti il momento in cui gli infilo il dito nel sedere!
- Appunto, appunto, dottore. E quello che si sbandiera al Circolo Garibaldi!
Maldicenze e ingratitudine andavano a braccetto in tutti i Circoli palermitani. Una volta luogo di socializzazione, stimoli di iniziative culturali, sereni luoghi dove rilassarsi nel tempo libero, i Circoli avevano perso finalità ed identità istituzionali. Erano diventati covi di giocatori dazzardo e di vecchi nullafacenti, che spezzavano il ritmo pigro e sonnolento delle loro esistenze facendosi gli affari del prossimo. O inventandoseli di sana pianta. Fertili fantasie e meschine invidie producevano torbide storie damore, intrighi polizieschi, sporchi affaracci, trame inverosimili degni dei romanzieri più creativi. Nei frequentatori più assidui si era ormai affievolita lansia della vita, slavata quasi la chimera di un avvenire mobile e entusiasmante, perciò si accontentavano di veder vivacchiare, come affacciati ad un poggiolo panoramico, e, se anche questa statica visualità veniva a sfumare, si affidavano allimmaginazione, filtrata ed arricchita dal rimpianto della loro realtà vissuta ed irrefrenabilmente disincantata. Al Cassaro, allOpera, alla Stampa, al Garibaldi unoziosa e petulante borghesia aveva spodestato lasfittica ma pur sempre raffinata nobiltà, portandovi grettezza e piccineria.
- E come osano questi cafoni arricchiti? Ora che il terremoto gli ha consentito a tutti di ricostruirsi le case nuove! Nelle stalle e nei pagliai dovevano continuare ad abitare... così avrebbero parlato meno!
Fuoriusciva incontenibile la sua suscettibilità. Come lava in discesa dallEtna minacciava di bruciare ogni vegetazione sul proprio cammino, di desertificare il terreno da ogni sentimento umano.
- Vede? Lo temevo che sarebbe diventato peggio di un cavallo imbizzarrito? Ora la lascio, vado a scannare questo agnellino e glielo riporto scuoiato...
- Cosa? No, no! Dopo tutte queste chiacchiere, lasciamelo vivo! Ci penso io a farlo scuoiare da mani fidate e magari davanti ai miei occhi...
Anche se era stato infestante come un calabrone che svolazza di fiore in fiore, Efesto si mostrava mortificato del clima di sospetti creatosi e si apprestava ad unonorevole ritirata in buon ordine, con la coda raccolta tra le gambe.
- Come vuole lei, dottore. La saluto. Anzi, dal momento che sono qui, me lo darebbe uno sguardo a questo postema in questo braccio che è suppurato e sembra un carbone acceso e non vuole sanarsi? ... E magari mi scriverebbe qualche pomatina?
E come no? Dopotutto era pur sempre marito di Afrodite, la sua dea prediletta sin dalla sua dimora nellisola di Taso, signora e regina incontrastata del suo cuore. Come poteva mai negare un lenimento di patimento al suo consorte? Sollevandogli la camicia, Ippocrate tornava perfettamente a proprio agio e riassumeva il suo abituale tono rassicurante.
Niente, questa è una crosticina da niente. Mesci in un bicchiere un cucchiaio dolio di olive verdi, mezzo dolio di pesce ed un altro mezzo dolio di formaggio di capra e glielo spalmi al mattino e a sera che ti ci tira questo fetore e questa febbre e tammorbidisce subito ... Hai capito? Bello lesto ... Ora lasciami lavorare che mi stai facendo perdere la mattinata ... e salutami tua moglie Afrodite.
Tornavano a strimpellare corde amicali e dolciastre.
Grazie dottore. Buone Feste a lei e a tutta la sua famiglia.
Cagliostro emise un sospiro di sollievo. Il suo era veramente il mestiere più sacrificato del mondo! Quante volte una scampanellata, nel pieno della notte, lo aveva svegliato di soprassalto e costretto ad affrettarsi, mezzo svestito, sotto la pioggia sferzante o la grandine, al capezzale di un cliente terrorizzato, per costatare magari che si trattava di una banalissima indigestione, di un innocuo febbrone da raffreddore, che avrebbe potuto visitare più comodamente lindomani! Lui era sempre disponibile. Accorreva ad ogni chiamata. Magari poi si lamentava degli inutili allarmismi, ma era sempre pronto a precipitarsi a domicilio di chi ne proclamava il bisogno. Anche di un moribondo, di un paziente la cui sorte appariva irreversibilmente segnata. A nessuno aveva mai negato la sua assistenza ed il suo conforto. Eppure raccoglieva solo ingratitudine. Ingratitudine e maldicenze velenose da ogni ambiente, ad ogni occasione, in risposta a miracolose guarigioni e a generose beneficenze. Con amarezza estrasse lorologio a catena dal taschino, certificando che la mattinata stava per scivolare via, improduttiva ed insignificante.
- Rosina, fai entrare il prossimo...
Nella voce di Rosina tremava ancora una punta di risentimento per la scenata precedente.
- Veramente cè un tizio, al quale non farei aspettare il turno.
Sempre pronta a contrariarlo la sua segretaria! A fargli rilevare un suo errore o una sua insufficienza. Uninsopportabile coscienza critica. Con lovvia pretesa di agire per il suo bene. Per guardargli le spalle. Per salvaguardarlo dai pericoli. Una rompiscatole stava diventando. Ossessiva e possessiva. Soffocante sino a non farlo respirare. Le rivolse unocchiata ostile e indagatrice. Innegabilmente era sempre un bel pezzo di figliola! Le sue caviglie sottili e ben proporzionate, le ginocchia rotonde e appetibili, gli occhi mobili, saettanti, disponibili al sorriso, invitanti. Immerso nella sua contemplazione, sentiva il sangue rimescolarsi nelle vene e stentava a controllare limpulso di attirarla a sé e baciarla sulle morbide labbra. Nei suoi occhi cera una promessa di felicità e di abbandono che gli faceva paura. Conosceva i sintomi dellattrazione irresistibile per lei e non voleva ripiombarci. Non voleva ricacciarsi nel tunnel degradante di gelosie irrazionali e di sospetti infantili che si accompagnavano a quella passione, se vi si abbandonava totalmente, sciolto da ogni razionalizzazione e da qualsiasi freno inibitorio. Non voleva lasciarsi travolgere ancora una volta, correre il rischio di annientarsi nel suo amore. Forse la sua ossessività, la sua presenza assillante erano solamente comodi alibi. Specchietti per le allodole. Autoinganni. Che si era creati per mascherare la devastante paura che di lei qualcosa gli sfuggisse. Che la sua freschezza, la sua femminilità così ammaliante non restassero insensibili agli sguardi divoratori degli uomini che la conoscevano. Che la sua mente, la sua anima non si lasciassero affascinare dai tanti giovani colti e brillanti pronti a corteggiarla. Liberi per giunta di amarla senza riserve e comproprietà. Nel modo totale ed esclusivo che lei desiderava. Senza ipocrisie, infingimenti o limitazioni. Con la schiettezza e lautenticità connaturali alla sua indole più riposta. Anche se avvertiva la profondità e la grandiosità del suo amore, sentiva che qualcosa di lei le sfuggiva. A dispetto delladorazione per Ippocrate, Rosina conservava spazi di libertà mentale incontrollabili. Se entravano insieme in una festa, in un salotto, in un locale, calamitava su di sé gli sguardi di tutti gli uomini. E lei se ne compiaceva. Non avvertiva imbarazzo né fastidio. La sua spiccata femminilità se ne beava. Con laggravante dellinvolontarietà. Dellinnocenza. Lei non sembrava far nulla per attirare quelle attenzioni. Ma se ne compiaceva. Con una civetteria insopportabile. Inaccettabile per un egocentrico come lui. Ad un certo punto si era stancato di inseguirla in tutti i corteggiamenti che la insidiavano. Lorgoglio non gli consentiva di esternare la sua vergognosa, ricorrente gelosia, perciò si era esercitato ad ostentare indifferenza. Indifferenza, noia e insofferenza. Non resisteva ai continui dubbi di tradimento. Troppe variazioni di pressioni. Continue giravolte di budella. Laveva ricollocata in un angolo. Si era illuso di confinarla in una posizione di marginalità sentimentale. Di trasformarla in un optional. Una costante variabile. Riscoprì il piacere di tradirla. Per il semplice gusto di tradire. Di farsi inseguire, a sua volta. Di farle subire qualche Filomena. Di farla rodere dalla gelosia. Voleva ribadire la sua centralità nel rapporto, la sua prevalenza, la sua virilità. Ma forse era solo unillusione. La sua bellezza, la sua spontaneità, la sua giovinezza erano di gran lunga più forti. Per lennesima volta provò a rimetterla in riga, al suo posto. A rammentarle limportanza delle regole.
- Qui tutti rispettano il turno: la legge è uguale per tutti... per i lunghi e per i corti! Ma, chi sarebbe, poi, questo tizio?
- Non lo so... non me lha voluto dire...
- E allora?... E arrivato da molto?
- Niente... meno di mezzora... Sta, lì, rincantucciato, in fondo alla sala...
- E dunque?
- Mi guarda! Ecco, da quando è entrato, mi fissa con i suoi occhi penetranti...
Come fosse una novità o una sorpresa! Tutti i clienti sembravano volerla divorare con gli occhi! Ippocrate provò a sdrammatizzare.
- Ti fissa?.. Magari gli piace il nudo dipinto delle tue spalle...
- Non scherzi, dottore... mi fissa che mi vuole spogliare... e muove il baffo... a intervalli regolari.
Sorvolando sui tentativi di penetrazione corporea, egli si soffermò sugli strani ritmi delluomo.
- Come sarebbe a intervalli regolari?
- Ho cronometrato i movimenti! Ogni trenta secondi fa: quick - Per essere più credibile Rosina cercava di mimarlo - e sbilancia il baffo destro.... passano trenta secondi fa: quick e saltella il baffo sinistro. E procede così ritmicamente...
Cagliostro seguiva il suo movimento affascinato.
- Ma, se sta zitto, come fai a sapere che vuole entrare?
- Appena è arrivato ha fissato questa porta... ha contratto i muscoli facciali, ha stirato al massimo la pelle lustra delle guance, mentre arricciava il naso, assottigliava il mento e protendeva le labbra chiuse...
Il medico lassecondava nella mimica, compiaciuto. Rosina era simpaticissima. Si faceva amare per questa carica di simpatia che sprigionava. In momenti simili la trovava irresistibile.
- ...insomma come un leprotto davanti a una macchia di rovi?
- .... non proprio... piuttosto come un cavallo al quale si infili una mosca nelle narici...
- ...Allora ha sbruffato?
- Sbruffare non direi...però gli sè accigliata bruscamente la fronte nella direzione della porta...
- ... E tu?...
-.... Niente.... ho avuto una tale fifa che ho abbassato immediatamente lo sguardo e mi sono concentrata nella lettura dellelenco telefonico...
Ispirava tenerezza. Si sentì ancora perdutamente innamorato. Pentito dei momenti di felicità sprecati. Bruciati in contrapposizioni strategiche, orgogliose schermaglie ed impuntature adolescenziali. Solo il tempo dentro di lei risultava significativo. Rispetto allintensità di quegli istanti, quando lei gridava di felicità, tutto era vuoto, privo di consistenza. Un non senso.
- .... E lui?...
Lei insisteva consapevole di averlo riagganciato. Di esercitare su di lui un dominio pieno ed incontrollato. Aveva riacquistato il suo sorriso birbante e malizioso.
- .... Sbirciando con la coda dellocchio ho notato che ha tirato le mani fuori delle tasche, si è seduto e ha ripreso il movimento ritmato del baffo...
Era realmente impaurita? O semplicemente si fingeva impressionata? Stava recitando a soggetto? Le aveva insegnato troppi trucchi. A volte gli somigliava a tal punto da riconoscersi nei suoi semplici gesti quotidiani. Decise di non dimostrare di prenderla sul serio.
- Tutto qui?
- E le sembra poco? Io non ci resisto seduta sotto quegli occhi che mi scrutano come due spade taglienti...
Se erano soli, gli dava del lei solo per una forma di civetteria raffinata. Lo teneva a debita distanza. Quando capiva di averla avuta vinta. Di avere avuto ragione per lennesima volta. Lui ne era consapevole, ma le concedeva lo stesso il piacere di mettere a segno il colpo. Ammainando bandiera senza ritegno.
- .... e sia! Fallo entrare e non se ne parli più! Però, scusati con gli altri clienti che stanno lì da due ore a fare il turno.
Rosina riaprì la porta dellanticamera.
- Lei.... lei...in fondo... proprio lei con il baffo... prego... si accomodi...
Luomo che avanzava lentamente indossava un vestito di velluto a coste, una camicia azzurra, su cui spiccava una cravatta sgargiante, rossa e gialla. I capelli brizzolati erano coperti da un elegante cappello, inclinato verso sinistra. Calzava stivali lucidi e un fazzoletto rosso gli penzolava dal taschino della giacca. Sui pantaloni un cinturone di cuoio con una fibbia dorata e, intorno al collo, una sciarpa di lana rossa. Sul medio della mano destra risaltava un anello, con una grossa pietra rosa, che faceva il paio con un'appariscente spilla sul bavero sinistro della giacca. Come calamitato dal suo incedere, Ippocrate si alzò dalla scrivania ed accennò a farglisi incontro.
- Prego, si accomodi... signor?
Lindividuo avanzava con le mani a cinto e il petto in fuori, ostentando indifferenza.
- ... Prego?....
- .... Dicevo.... signor?
Per tutta risposta si sedeva e distendeva i piedi sulla scrivania.
- .... il mio nome non ha importanza, ma gli amici mi chiamano Ermes ed i più intimi semplicemente Baffo, perciò se lei vorrà diventare amico mio, Ermes o Baffo mi può chiamare...
Sconcertato e sbigottito, preso evidentemente in contropiede, Cagliostro osservava gli stivali e non riusciva a reagire. Indi, con una mano, metteva in salvo il suo ricettario da quei piedi barbari e sfrontati.
- Ermes?! Baffo?! Come vuole... Per me può andare bene anche Baffo, purché non mi metta i piedi sulle ricette o sulle medicine.
Luomo ebbe come un sussulto. Il suo baffo ricominciò a vibrare allimpazzata e il suo sguardo esprimeva risentimento e disprezzo.
- Deve ringraziarmi che non glieli ho messo ancora sulla faccia, perché questo meriterebbe...
Sorpreso da questattacco diretto, il medico abbozzava una reazione.
- Come si permette? Chi è lei per parlare di meritare?...
- Io sono il messaggero di Giove e degli dei, ma lei... saccontenti di conoscermi per quello che vede...
Con movimenti studiati, quasi a rallentatore, Baffo uscì dalla tasca un lungo coltello e incominciò a limarsi le unghie, poi glielo agitò sotto gli occhi, costringendolo ad arretrare.
- Lo vede questo temperino? Io preferisco usarlo come tagliaunghie. Ha la lama sottile e precisa, ma anche così lunga.... da trapassare una costola o recidere unarteria....
Adesso era terrorizzato, in ogni caso cercava di darsi un contegno, di ricomporsi nellaspetto, facendo ricorso alla sua maschera professionale.
- Orbene? Mi dica cosa posso fare per lei... Non sono un chirurgo, perciò non mi interessano le sue lame...
Baffo tagliò un foglio di carta, con gesti esplicitamente provocatori.
- Potrebbero interessare alla sua lingua: una bella potatura e finirebbero le sue chiacchiere vuote e scriteriate, che ci stonano la testa sullOlimpo!
La migliore strategia di fronte ad unaggressione violenta era fingersi stonati. Tanti processi lo avevano reso consapevole che niente confonde un giudice o un inquisitore che la smemoratezza o la vuotaggine, linsignificanza delle risposte. Cercò di girare alla larga. Senza irrigidirsi nel diniego. Affidandosi al possibilismo.
- Chiacchiere? Sì forse ogni tanto... per creare opinione... per non perdere il mio potere contrattuale...
Baffo lo interruppe con piglio, fermamente deciso a non concedergli spazi per vagheggiamenti o digressioni.
- Lascia stare i contratti nuovi! Ti basta il patto che hai suggellato con noi dei, quando ti abbiamo fatto vincere il concorso comunale. Accontentati se non ti vuoi mettere la maschera!
Finalmente un appiglio. Un cespuglio cui aggrapparsi per non affogare nella melma che lo sovrastava.
- E perché, non vi ho ripagato abbastanza? Quante volte, di notte, mi avete prelevato per portarmi sullOlimpo, in cielo, sulle nuvole, a cucire qualche ferita? Di quelle che vi fate litigando tra voi! O a curare la bronchite di qualcuno che non poteva scendere sulla terra, in città?
A queste ultime parole le vibrazioni del baffo si trasformavano in fibrillazioni.
Ecco te lavevo annunciato che chiacchieri a sproposito! Sembri una zingara che predice il futuro. Hai dimenticato i precetti incisi sulla lastra di marmo della Tabula smaragdina. Chi ti ci porta a intrufolarti nella stesura del piano regolatore, nella sanatoria edilizia e nella divisione degli appalti?
Inibito dalla pericolosità delle accuse, Ippocrate si rintanava conigliescamente .
Mischiarmi?! Diciamo che ho appena espresso qualche opinione!
La lingua non ha ossa, ma rompe losso. E la tua è una linguaccia dinferno, che taglia, fora e non ti secca mai, dal mattino alla sera. Cagliostro era raggelato. Non bastava la terra, adesso anche lOlimpo contro di lui. Lo guardò di sottecchi avviarsi alluscita, ancora più minaccioso.
- Ti conviene darle una regolata, se non la vuoi trovare su uno scannatoio...!
Limmagine del suo più prezioso strumento tagliuzzato e macerato su un pezzo di legno, stimolò la sua reazione. In fondo, una delle migliori difese è lattacco. Dovette guardare in fondo dentro se stesso, scavare nella sua identità più remota e profonda, per attingervi lorgoglio e le energie per contrapporsi efficacemente a quel cingolato che lo stritolava senza rispetto alcuno.
- Mi minacci? Vorresti spaventare me che ho sfidato impavido lInquisizione, Hitler, Stalin e Pinochet? Che sono sopravvissuto alle galere di San Leo e ai fuochi del rogo? Io non sono mai stato prigioniero di nessuna epoca e di nessun potente. Ho sempre scelto la mia funzione da uomo libero nel pensiero e nelle azioni.
Ma Ermes, dopo averlo strapazzato come persona, non prese in considerazione neanche le sue esistenze precedenti.
Agli Dei moderni non gliene frega niente di questi tuoi trascorsi. Oggi chi ha frumento macina!
Cagliostro chiuse gli occhi esterrefatti e si tappò le orecchie con le dita. Si rifiutava di stare ancora ad ascoltare quelle ignominie. Doveva trattarsi di un brutto sogno. Un incubo spaventoso e dissacrante. Quando li riaprì per fortuna era finito. Di Ermes o Baffo, comunque si chiamasse, nemmeno lombra, nella stanza. Limpressione era, in ogni caso, fortissima. Non sarebbe stato più lo stesso. Nemmeno quando aveva svolazzato nel vento del Nord, verso la nebbia e il freddo, spendendo qualche parte di sé, diminuendosi ad ogni fermata, aveva disperso tanta luce e calore. Ma nessuno può essere più se stesso, se è messa in discussione la sua integrità fisica, la sua identità.
Gesù, Gesù, che tempi! Non cè più rispetto neanche per la Storia! E ora cosa posso fare? A questo punto solo mio suocero, che traffica sempre con gli Dei, mi può consigliare. Rosina, vedi se nel cortile cè Melchiorre, il figlio di Angelina, che debbo mandarlo a sbrigare una commissione...
Di monelli che giocavano per la strada ce nerano sempre a sufficienza. Bambini poveri, di famiglie numerose che i genitori buttavano piccolissimi per strada perché la strada insegna a vivere. É la maestra più affidabile ed istruttiva. Con il vantaggio di non costare neanche il becco di un quattrino. Ciò che t'insegna la strada, il quartiere occorrono pile di libri per pareggiarlo. Molti andavano a bottega dal sarto, dal fabbro, dal calzolaio, dal falegname. Nessuna retribuzione, ma, quando consegnavano un paio di scarpe o un vestito, la mancia era sicura. Altri se ne stavano per ore a giocare. Piccoli e grandicelli mescolati insieme. A nascondino. O a rincorrersi. Nei cortili assolati, brulicanti di comari e di galline, era il regno dei monelli di quartiere. Si insinuavano nei pianterreni, nelle smisurate scale esterne, si nascondevano negli angoli più bui e si inseguivano fino a perdersi nelle viuzze e nei concimai, ammassati a circondare e chiudere le periferie. Ogni monello aspettava un signore che lo chiamasse per un servizio. Era quello il momento fortunato della sua giornata. Poteva sperare in una fetta di pane e cipolla, o di anguria dissetante o di pomodoro, secondo la stagione. I monelli andavano a servizio con scrupolo e professionalità. Sperando di essere richiamati unaltra volta.
Mentre Rosina usciva a chiamare il bambino, Ippocrate si indirizzò verso Filomena, abbandonata a se stessa, dietro il divisorio.
Cara Filomena , mi ero quasi dimenticato di te! Dunque, doveravamo giunti?
La ragazza aveva cambiato umore. Era stressata dallattesa.
Ai nervi, dottore! Ma i nervi ora dallinguine ... mi sono arrivati alla testa. Che mi è diventata di nuovo pesante e ... mi sto pure congelando tutta!
Anche il povero Ippocrate era stressato. E poi cera Rosina vigile, dietro la porta. Sicuramente stava origliando. In perenne agguato. Pronta a saltargli addosso. O a ricattarlo. A non concedersi a lui per chissà quanto tempo. E lui non poteva immaginarsi lesistenza senza il suo profumo, il suo fiato sul collo, il calore della sua pelle che gli appiccicava facendolo impazzire. Non voleva rischiare di perderla. Cera troppo traffico in ambulatorio. Meglio rinviarla ad una tranquilla visita pomeridiana.
Mi dispiace, Filomena, ma è stata una mattinata movimentata. Non potresti tornare in un momento più tranquillo?
Filomena era molto annoiata, ma aveva assistito allandirivieni mattutino e si rendeva conto che Ippocrate non laveva tralasciata volontariamente. Quelluomo la intrigava troppo per rinunciarvi definitivamente. Optò per i tempi supplementari.
- E va bene torno, torno. Ma intanto, che mi prendo per questo mal di testa che mi è tornato?
Per il mal di testa ... purtroppo mi sono finiti gli ovetti vaginali ... - Ippocrate si grattava il capo, ma lantica saggezza popolare venne in suo soccorso - ...ecco, arrivata a casa, prendi un quarto di chilo di patate, lo tagli a fettine, né troppo spesse né troppo sottili, le distendi contigue su un fazzoletto e te lo avvolgi stretto, stretto intorno alla fronte. Entro unora, al massimo, sarà tutto passato.
- Male che vada ci faccio una frittata con le uova!
Il piccolo Melchiorre entrava affannato.
Dottore, che vuole sbrigata qualche commissione? Vuole che le vada a comprare un cetriolo, un mazzo di lattughe, due melanzane fresche di acqua buona di San Giovanni?
Melchiorre, mi dovresti andare a chiamare mio suocero, lo zio Sarino Piedemansueto. Lo sai dove abita, no? Nella discesa del pisciatoio! Fatti una corsa, da bravo!
Sì, lo so. Ci vado subito - Acconsentiva il monellaccio, ma non accennava ad uscire.
Ancora qui indugi? Sbrigati che ho fretta.
Melchiorre indugiava ancora, come un ciclista allo scatto, in una corsa a cronometro.
Me ne sto andando, dottore.
Finalmente il medico si illuminava.
Ah, ho capito! - Rosina prelevava dall'armadietto una fetta di pane ed una di cipolla, le affettava con il bisturi, le offriva a Melchiorre e poiché il ragazzo non si decideva - Sfila pure quattro fichi dalla treccia che si bagna la bocca!
E finalmente il ragazzo usciva saltellando contento e si perdeva tra i canti dei mietitori che rientravano a casa nel tiepido calore del tramonto.
***************
Capitolo III
Un timido amore
Il cortile di Via Santa Chiara, in cui si affacciava lambulatorio di Ippocrate Cagliostro, a tarda sera cambiava funzione ed atmosfera. Quando si affievolivano gli ultimi schiamazzi dei ragazzi e le comari ritiravano le sedie dai pianerottoli, davanti gli usci delle case, tacevano anche le voci ed il silenzio era interrotto soltanto dal ritmico russare di qualche stanco mietitore, che dormiva, la finestra aperta, vicino al davanzale, o dallo sbuffare di un mulo, punzecchiato da qualche mosca cavallina, che gli si infilava, a sfotterlo, nelle narici. Il sole aveva reso infuocati il pavimento acciottolato e i due sedili in pietra arenaria. Allingresso del cortile una chitarra ed una fisarmonica intonavano una serenata. Nella penombra della notte, unombra si muoveva furtiva verso Lucia e le sfiorava le mani. La ragazza era emozionatissima.
- Non credevo che tu venissi.
Il dottor Niní dei Svacisvitevorissirevormati approfittava delle tenebre, per incontrarla, di soppiatto, eludendo la stretta sorveglianza di Cagliostro.
- Ti dispiace se sono venuto a contemplare i tuoi occhi fini, la testolina bionda e il tuo dolce petto, tutto miele e manna, né?
I suoi occhi la carezzavano più insistenti e penetranti delle sue dita. Lucia era lusingata dalle sue parole, che ne risvegliavano la natura sognatrice e ne accendevano la sensualità.
No. Mi fa molto piacere.
- Perché ti fa piacere, o mia ghirlanda?
Parlava come un libro stampato! Quasi un poeta innamorato.
- Così. Mi fa piacere.
Ninì diveniva meditabondo ed accorato. La voce impastata di rimpianto e di malinconia.
- Per me ieri è stata una giornataccia vuota ed insignificante. Ballonzolando qui e là non ti ho vista. Erano chiuse le finestre della via, dalle quali di solito ti affacci: quando ti affacciavi ogni cosa splendeva e scompariva il buio in questo cortile. Una voce nel cuore mi cadeva goccia a goccia: "La bella che tu cerchi non taspetta...".
Le sue attenzioni le davano sicurezza. Fiducia nel presente e nel futuro. Coscienza della propria bellezza e del suo fascino acerbo. Era stato così sin dal primo momento. Si sentiva un brutto anatroccolo, prima che lui la desiderasse. Quando laveva conosciuto allUniversità, mentre faceva la coda per accedere alla segreteria di Facoltà. La sua testa spennacchiata ed il suo viso allampanato si ergevano sul suo collo di giraffa, sopra le teste, svettante come un guerriero gallico. Apparentemente un tipo insignificante. Persino buffo. Ma, quando si girò ed incrociò il suo sguardo, le gambe le si afflosciarono istantaneamente. Come se un fulmine lavesse folgorata. Illuminata di un incendio ardente. Anche a lui doveva essere successo qualcosa di simile, perché i suoi occhi verdi non la mollarono più. Sembravano uscirgli dalle orbite. Leggerle nellanima il bisogno di tenerezza e di adorazione.
- Io ero alla finestra. Tu non sei passato.
- Sono passato alle sedici, né!
Quellaccento ricercatamente milanese, odioso per suo padre e ridicolo per tanti coetanei, quel suo esibizionistico toscaneggiare, tipico del siciliano che va a vivere fuori per un lungo periodo, la faceva letteralmente impazzire. Glielo faceva apparire diverso dai suoi amici. Al riparo dei rischi di provincialismo, di assumere gli aspetti più deteriori della sicilianità. Ninì si trasfigurava. Non era più il ragazzo sempliciotto, un pò ingenuo ed emotivo, che lei aveva deciso di abbordare quella mattina, indovinandolo insicuro, farfugliante ed esitante. Diveniva la molla, il pretesto per sprigionare le sue fantasie. Per lasciare galoppare limmaginazione a briglia sciolta. La pietra squadrata, il masso angolare sulla quale edificare i suoi castelli di sabbia.
- Alle sedici ero alla finestra. Quando tu sei passato, forse mi aveva chiamato la mamma un attimo.
Lucia era una ragazzina ancora ingenua, ma, con il suo sicuro istinto femminile, sapeva rendersi interessante e seducente.
- Quando la metropoli è più briosa e la calca più frastornante, amo mettermi al riparo in casa da sola. Vivere con me stessa mi dà serenità, equilibrio. Richiamo alla mente la tenuta lontana, laggiù, dietro le gole della Tardara, a perdersi nel mare azzurro. Non cè barriera nello spazio delle mie fantasie. Penso alle mulattiere alberate, alle file di arbusti olezzanti, alle calandre che svolazzano, a radere le terre gialle di spighe di rossello. Percepisco bisbigli, echi, rumori, persino qualche motivo solitario che sale dai giardini di limoni, ripetitivo e malinconico come un flashback.
Lamore illimitato per la sua terra era laspetto più appariscente ereditato dal padre. La nota di magia che ancora la legava a lui. Per il resto la sua immagine gli era scaduta completamente. Lo sentiva distante anni luce, assente dalla sua vita e dai suoi pensieri. Astrattamente assorto nei suoi progetti politici, nel suo lavoro e nei suoi amorini passeggeri. Gli faceva quasi tenerezza la sua incapacità di rassegnarsi ad invecchiare. Ad accettare le rughe che incavavano il suo viso. La pancia che gli si arrotondava. La testa pelata come un melone. Pateticamente stiracchiava i pochi capelli superstiti sulle tempie. Gli faceva il riportino! Come trasportare acqua con un cesto bucato. La intenerivano i suoi goffi tentativi di apparire ancora interessante a tutte le ragazze che conosceva. Persino alle sue amiche. Rischiava il ridicolo. Alla fine glielo avrebbe cantato chiaro e tondo. Appena ne avesse trovato il coraggio. Intanto non rimediava neanche la forza di gridargli in faccia il suo amore per Ninì. Era scontata la sua opposizione a un ragazzo del Nord. Leghista per giunta! Era bastato lo sconcerto nel suo sguardo, laltra mattina, in ambulatorio, a fugarle ogni dubbio residuo. Moglie e buoi dei paesi tuoi, sentenziava sempre! Inutile farsi illusioni di cambiarlo. Dopo i quarantanni difficilmente le persone sono disposte a mutare, a mettersi in discussione. A rischiare nuovi, imprevedibili sentieri. Si attaccano come le ostriche a se stessi, agli oggetti che hanno comprato, ai feticci che si sono scelti, alle idee che si illudono di coltivare, ai valori cui pensano di essersi ispirati, ma anche ai loro difetti più macroscopici, alle loro debolezze, alle stesse grettezze del loro vivere. Si rinchiudono in un recinto e si lasciano assediare. Queste miserie chiamano vita, mentre la loro vita, quella che avevano sognato, è già volata via, è diventata una meta irraggiungibile, altro da sé. Invecchiano. Perdono smalto e voglia di scommettersi. Diventano molluschi abitudinari. In attesa della fine incipiente. Invecchiare è cominciare a morire. E Ippocrate non se ne rendeva conto, ma si stava giocando il dono delleterna giovinezza, elargito dalla divina natura alla sua insaziabile sete di sapere e di sperimentare. La sua paternità ormai era meglio apprezzarla per quel poco che si ritrovavano in comune, piuttosto che ricercarla in unutopistica flessibilità, in un suo sforzo di apertura alle sue esigenze di ragazza spensierata. Lunico spazio di condivisione, lunico terreno dincontro rimaneva lamore viscerale ed indomabile per i dolci tramonti siciliani, quando l'ultimo raggio indora le nevi della montagna e il fumo si svolge dai casolari, e le campane degli armenti risuonano nella valle, e la campagna si nasconde lentamente nella notte.
- Inseguo i meriggi di luglio, quando il sole pervade la landa riarsa e latmosfera caliginosa della canicola pare incombere sulluniverso e la cicala, accovacciata tra gli ulivi, modula la melodia dell'ora silente. Fantastiche notti intense, lucciole stregate, cori di vendemmiatori. Mi inabisso nel canto remoto dei carrettieri, che sfilano nella piana fragrante di veccia, tra grovigli inerti e cupi come fantasmi, nel barlume ambiguo della lunazione...
Ninì lamava proprio per la sua capacità di sognare! Di rievocare le sue fantasie fino a farle sembrare reali. A coinvolgere nella ricerca di sogno. A cancellare ogni bruttura e difficoltà dellesistenza giornaliera. Il difficile consisteva nel dirglielo esplicitamente. Era terrorizzato dalleventualità di un suo rifiuto.
Anche a me piace fantasticare nelle lunghe notti d'inverno, spazzate dalla tramontana e dai nubifragi, quando i pioppi singhiozzano nel temporale e intonano chimeriche storie. Rimugino sulla mia infanzia consumata in Sicilia. Rivedo poggi, burroni, scorciatoie, sorgenti, quello stesso arbusto su cui si spegne il sole d'autunno ...
Nel cortile il silenzio era così profondo che si ascoltavano i loro sospiri, le stesse pulsazioni dei loro cuori. Per qualche secondo tacquero entrambi guardando il cielo terso, senza neanche una nube leggera. Un meteorite si sfilava repentino. Lucia temeva di non meritare tutta la felicità che la riempiva. Di essere banale, inidonea.
- Forse, ti secca essere qui solo con me. Vorresti andare a parlare con quelle mie amiche dellaltra sera, in discoteca?
- Quelle ragazze non mi interessano. - lui ribatté perentorio.
- Nessuna? - insisteva civettuola.
Nessuna, né.
- Non c'è proprio nessuna ragazza che ti attrae? - mentre gli si parava dinanzi provocante.
- Sì... una. Ma non è fra quelle. - Ninì aveva già perso la bussola.
- E dov'è? - facendo la finta tonta.
- In questo cortile, né...
Un altro piccolo sforzo ed era quasi fatta!
- E tu la desideri quella ragazza?
- Molto, né.
Bisognava estorcergli le parole con il cavatappi! Stavolta anche il "né" le risultava irritante. Lucia si sentiva un Commissario in una stazione di polizia.
- E lei ti vuol bene?
Un amore mille pene! Era tentata di sgattaiolare furtiva nellambulatorio del padre ed attrezzarsi delle sue tenaglie cavadenti.
- Non so. Credo di sì.
Lucia lo incalzava decisa. Ormai sentiva di tenerlo in pugno. Ma cera sempre leventualità che sdrucciolasse!
- E tu glielo hai assicurato che la ami?
Pedalava concitato come un ciclista in dirittura darrivo!
- No. Non glielho ancora dichiarato.
É pur vero che la mitezza è la virtù dei forti, ma, in queste circostanze, anche Giobbe avrebbe rischiato di smarrirla!
- E quando glielo dirai?
Non rispondeva. Lucia guardava sempre il cielo, ma la sua mano gli vibrava nella mano.
Ma che fai, stai tremando? Che ti succede? Sei nervosa? Perché ti fai rossa come un peperone?
Quasi piangendo, sbottava.
- E diglielo poverina che la fai tanto soffrire!..
Socchiudendo gli occhi e facendo uno sforzo enorme, finalmente Ninì sembrava lasciarsi andare.
- Glielo dico in questo momento &ldots;.
Ma lemozione era più forte della sua volontà. Esitante, tornava a guardare intorno, cercando scampo nel paesaggio celeste.
- ... luna piena, che giochi a nascondino fra le nuvole a spasso per il cielo, rosellina che ti pieghi e ti chiudi impaurita dal gelo, velluto di rugiada sullo stelo, fresca foglia verde di una viola, dove come un chicco di corallo dorme una coccinella, grillo che russi appisolato, sotto alberi dall'ombra trasparente, ape che dormi senza pensieri fra i fiori penzolanti, usignolo che diffondi il tuo canto, venticello visibile che incanti, cadenza sparsa in fondo alla strada, carrettiere che canti, mare che taci vestito d'argento, barca che dondoli col marinaio, fontana cristallina, stagno silenzioso, fiume corrente e chiaro, odoroso giardino pergolato ... suggeritemi le parole che non trovo ...
Lucia sentiva la felicità invaderla. Finalmente! Era ora!
- Come? Che dici?
Sbloccandosi improvvisamente, le stringeva le mani.
Sei tu! Tu sei più bella della luna, più fresca della rugiada e più melodica del carrettiere!
Io? Non è vero...... non ci posso credere! Aspettandoti, come aquiloni, messi in fila correvano leggeri e spensierati i miei sogni. La mia vita era una penna sgangherata e niente affanni! Le mie speranze, barche di carta, infradiciate, contrastavano con la forza del vento fino a riprendere a piovere e a giocare. Non voglio più navi, ormai, tra le voragini, sotto al mare, dove si spegne ogni ardore e si inabissano tutte le speranze di chi ama!
Ninì saltellava come un pazzo, ormai incontenibile, tra i viali del giardino. Raccoglieva una rosa. Rosa. Carnosa. Inebriante.
Sì, tu, proprio tu! Tu sei la mia rosa fresca ed aulentissima! Tu sei la mia carne! Tu sei il sangue mio! Tu sei il mio fiato!
E tu sei la calamita del mio cuore, il mio diavolo venuto dallinferno! Vai a dormire adesso che mi scoppia il cuore! &ldots; vattene, matto che sei, prima che si svegli mio padre!
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Capitolo IV
Elisir
Ippocrate era già sveglio, da qualche ora. Anzi, a voler essere più precisi, non aveva per nulla preso sonno. Chissà chi aveva lasciato aperte le finestre della camera da letto con la luce accesa e lambiente si era riempito di zanzare. Ora era arcinoto a parenti, amici e vicini che, se un moscerino si aggirava nellambiente circostante, veniva immediatamente calamitato dalla pelle di Cagliostro, che ne era la vittima sacrale prediletta. Il suo sudore, il suo profumo attiravano irresistibilmente e fatalmente tutti i punzecchiatori nel raggio di centinaia di metri. E non cerano spiralette, insetticidi e pomate che avessero una reale capacità dissuasiva. Fargli riempire la stanza da letto di volatili significava quindi non volergli far chiudere occhio! Se avesse avuto voglia di bisticciare avrebbe anche saputo individuare chi si era macchiata la coscienza con lennesimo attentato al suo riposo notturno, ma quella era proprio una serataccia. Non provava gusto neanche a sbraitare con Bastiana! Né a destarla per punirla, costringendola a condividere la sua insonnia. Quella appena conclusasi era stata una di quelle giornate che lasciano sfiniti e scombussolati. Pazienti sfasati e pretenziosi. Ospiti arroganti ed oscuramente minacciosi. Familiari sanguisughe e disobbedienti ai suoi desideri. Vecchi amori possessivi e vincolanti. Nuove chances miseramente naufragate. Concreti rischi di sgraditi intrufolamenti tra le mura della sua stessa casa. Razzisti padani e folclorici negri con gli occhi posati sulle sue figliole. Per ghermirle. Sottrarle al suo affetto. Anzi aveva avuto la sgradevole sensazione che lamore delle sue figlie gli fosse già stato rubato. Volatilizzato senza che ne se fosse neanche accorto. Forse si era distratto eccessivamente? Lasciato fuorviare dalle sue ricorrenti passioni? Trascinato dai suoi impegni sicilianisti? Surclassato dal suo ambulatorio e dai suoi clienti? Non aveva delegato con troppa disinvoltura i propri doveri e poteri alla sua mogliettina? Era mai stato presente nei bisogni, nei dubbi, nei sogni, nelle speranze della loro adolescenza? Da quando non le accarezzava? Da quando non trovava il tempo di ascoltarle? O non provava a capirne i cambiamenti? Si sentiva scontento ed insoddisfatto di se stesso. Solo. Maledettamente solo. Da anni avvertiva londa del suo isolamento progredire in proporzione al moltiplicarsi della gente che transitava nella sua esistenza. Più il suo ambulatorio si affollava di pazienti, si riempiva di postulanti e di falsi amici, maggiormente si sentiva attanagliare da una sensazione di abbandono, di estraneità alle persone, di indifferenza agli eventi che si accavallavano. Schifato. Tutti pretendevano qualcosa che lui non era in grado di dare. Nessuno sembrava disposto ad offrirgli niente gratuitamente e spontaneamente. Per lo meno di autentico. Di elettrizzante. Di intenso e bruciante. Che non suscitasse il suo istintivo rifiuto. Una crescente sensazione di nausea. Rivoltante. Verso persone prima stimate. Verso luoghi piacevoli ed ameni. Verso sentimenti che avevano dato significato al suo esistere. Annoiato. Le giornate si snodavano ripetitive. Le albe si alternavano ai tramonti, scontate e prevedibili. Il colore del cielo, il profumo dellaria, il cinguettio dei passeri sotto le grondaie, il belato delle capre, al passaggio mattutino sul selciato, suoni, colori, echi sapori, erano come immersi in una caligine grigia. Opprimente. Agghiacciante. Una coltre di piombo. Soffocante. Silenzi muti. Espressioni stilizzate. Era come se quella vita che lui aveva sempre idolatrato, che aveva studiato, corteggiato ed, infine, fatta propria, posseduta in eterno, improvvisamente gli sfuggisse. Senza alcuna plausibile spiegazione. Quasi si fosse interrotto quel magico filo che lo aveva legato direttamente agli esseri viventi, alla natura. Che lo aveva consacrato essenza della materia. Luce per risvegliarla. Nella sua spiritualità. Aveva perso il bandolo della matassa. Rischiava di smarrire la sua stessa identità. Dopo aver amato la vita in tutti i suoi aspetti e le sue forme, averne assaporato dolcezze ed amarezze con gusto, averne sperimentato i sentieri più impervi ed accidentati, la vita sembrava essere divenuta estranea ai suoi occhi. Gli scorreva davanti inafferrabile. Improvvisamente incomprensibile. Inspiegabilmente ostile. Resisteva alla sua corte. Reagiva alle sue sdolcinature. Era diventato incapace di fecondarla. Sterile. Impotente. Inadeguato ai suoi capricci. Alle sue svolte impensabili. Flebile. Troppo flebile per leternità. Stanco dellimmortalità. Forse aveva bisogno di una pausa. Uno stacco fisico. La riconquista dellinerzia. Una piattaforma che gli ridesse slancio. Lentusiasmo di vivere. Per viverla intensamente la vita, bisogna agognarla. Forse gli necessitava una vigorosa iniezione di energia. Ognuno di noi si trova quotidianamente in particolari frangenti in cui può trovare o non trovare quello che sta cercando. Se quello che si sta cercando si trova in una zona di tale astrattezza da non poter essere in alcun modo reso visibile, allora nessun frangente, favorevole e sfavorevole che sia, permetterà mai di trovarlo. Da troppo tempo non assaporava il suo elisir di lunga vita. La sua polizza di assicurazione contro la morte. Ogni mago nasce e muore nudo. La ricerca è solo una scommessa. Sembrava una notte adatta per una ricarica. La luna era abbastanza tonda per fecondare i bacilli di fichi. Non cera tempesta di scirocco che potesse disturbare levaporazione dellalloro. LOrsa Maggiore presentava una giusta inclinazione sui rami della quercia, allangolo Nord del cortile. Ippocrate si diresse deciso verso il suo misterioso laboratorio. Egli era gelosissimo dei segreti della sua scienza alchemica. Nessuno, nemmeno i familiari o Rosina erano mai entrati nel suo tempio misterioso. Laccesso era rigorosamente interdetto a tutti da serrature inespugnabili. Aperta la porta, Cagliostro fu subito investito da un flusso di odori pestilenziali, muffe stantie e polveri. Levò lo sguardo al cielo ed invocò " maq ben", il figlio della putrefazione. Si diresse al banco delle reazioni e dovette faticare parecchio per disseppellire da uno spesso strato di polvere le provette, la Crisopea e l'Atanòr. Pulì sbrigativamente il paiuolo, il serpente Ourobos, il forno e l'alambicco, con un panno che avrebbe avuto bisogno di uno sciacquio in lavatrice. Finalmente accese un fuoco nella caldaia e vi pose a scaldare un pentolino, mezzo pieno dacqua metallica, chiedendo il soccorso di "Khairùm", il vivente. L'alambicco andava alimentato lentamente, a bagnomaria, per non pregiudicare la finezza, la fragranza ed il fruttato, facilmente degradabili con temperature di distillazione elevate. Ippocrate aggiunse subito uno spizzico di zolfo, fusibile, tingente e moltiplicante, una presa di resina di guttaperca, nonché due dita di succo di more. Un dito in più dellultimo esperimento considerando che laumento di polvere, originato dal passaggio dai carretti ai camion sulle strade di comunicazione, ne aveva indebolito le capacità di fermentazione. A causa dei numerosi trattamenti antiparassitari alle piante, temeva che anche lolio doliva avesse perduto acidità insatura, perciò ve ne versò tre cucchiaini. Sciolse nella serpentina di scorpione solo un cucchiaio di grasso di maiale, in quanto il mangiare dei porci non aveva subito significative evoluzioni. Versò invece ben tre vasetti di mercurio fermentato con oro rincrudito. L'oro è incorruttibile. Non si ossida, né è alterato dal fuoco. Affidò questo momento delicato alle cure di "nevèlah", la carogna. Con soddisfazione prese atto che l'ossidazione procedeva bene poiché il liquido, che inizialmente sembrava color pepe gettato su brodo grasso, diveniva nero testa di corvo e di dragone. A questo punto prelevò da una provetta una strana polvere di vetriolo azzurro e lintegrò, mandando tutto in fermentazione. I vapori venivano convogliati, attraverso il cappello ed il duomo, nella parte basale della colonna di distillazione. Subito inserì foglie di timo, basilico, colocasia, menta, alloro, rosmarino, zafferano, uno spicchio daglio, una scorza di mandarino di Ribera e una punta di coltello di estratto di pomodoro essiccato. Il barilotto di borbottaggio era sormontato da sette piani di distillazione e finiva in un cannello di raffreddamento. I vapori concentrati si immettevano in un tubo refrigeratore, a serpentina, immerso in acqua fredda. Dopo tre minuti di evaporazione, Cagliostro scese il pentolino dal fuoco e vi aggiunse dieci grammi di crusca, tre punte di spighe sbriciolate ed un millimetro di urina dasino, ben conservata in unampolla di vetro e molto puzzolente. La pazienza dellasino pare che sia indispensabile ad evitare sbalzi di pressione e conseguenti pericoli dinfarto. Mescolò tre volte in senso antiorario, indi associò due foglie dedera, un fiore di loto, un bicchiere di succo duva nera e mezzo boccale dambrosia. Era necessaria la vigile assistenza di "ànkh", la vita. Attraverso il gruppo di controllo delle frazioni di testa e di coda cominciava l'esalazione bianca, cosicché il liquido assumeva carattere di fissità e di incorruttibilità, quasi una nuda spada brillante. Mischiò ancora con tre giri in senso orario e versò una provetta di acido lisergico e, per sperimentare prodotti più recenti, mezzo calice di Coca- Cola. Nel colore citrino era come se sbocciassero delle rose rosse, che si evolvevano in amaranto sanguigno. Lelisir ricominciò a gorgogliare, come se digerisse il crogiuolo di elementi, perciò gli sembrò il momento di buttarvi dentro una polvere gialla, che sprigionò un profumo euforizzante. Ippocrate Cagliostro contemplava estasiato ed inebriato. Ogni mutazione è un viaggio verso una verità errante. Chissà se, per unaltra volta, il suo elisir gli avrebbe regalato la vigoria, lenergia e lardore necessari a vivere! Se avrebbe riconsacrato la sua carne e il proprio sangue nella luce dell'oro alchemico! Ogni alterazione contiene l'onnipotenza della continuità. Gli effetti dellelisir sono sempre incontrollabili. Si conosce veramente qualcosa solo se si è capaci di trasferirvi la propria coscienza. Se si abbatte l'inganno della separazione e si dissolve il fisso e il volatile. Lultima volta si era addormentato per due giorni filati. La realizzazione magica comporta un'integrazione armonica. Scrupolosamente liberò dalla polvere secolare lultima provetta e versò una quintessenza ambrata nel pentolino. Per moltiplicare l'elisir lo incerò e lo travasò tutto quanto in unampolla capace. Doveva berlo a caldo, quasi a rischio di scottarsi.. Senza contare il pessimo gusto e lodore schifoso! Ci voleva stomaco per vivere a lungo! Socchiuse gli occhi, levò lampolla in alto, spalancò la bocca e trangugiò. E fu istantaneamente buio di torpore dilaniante.
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Capitolo V
Un amore spaventato
Allangolo opposto del cortile Geltrude coccolava Alì Salem, assorta nel tentativo di esorcizzare lalba che stava per spuntare.
- Non cè cima del monte che il sole faccia rosseggiare; trema ancora la rugiada nei prati e il tuo amore mi attanaglia meravigliosamente e mi sovviene ad ogni ora.
Alì era un ragazzo fantasioso e sensibile. Peccato non parlasse ancora bene litaliano! Stravedeva per Geltrude. Non gli era mai capitata una ragazza così ribelle, dinamica e anticonformista. Con lei era impossibile annoiarsi. Non cera niente di scontato e di prevedibile. Ad ogni svolta dangolo riservava una rivelazione.
Amore te me fare infollire. Incarnata scendere la chiaria e Favignana spunta dal suo mare. Un verdone volare e cinguettare e si alzare per salutare il sole, ma uno sparviero gli tagliare il volo e gli volere strappare le unghiette. Timido rincantucciarsi nel suo nido per tentare a mala pena di salvarsi. E non sazzarda più ad affacciarsi e più non cantare.
Geltrude non era certo un personaggio da facili abbandoni sentimentali. Fino ad Alì il suo interesse per un ragazzo oscillava tra i dieci minuti e larco di una giornata. Stravagante e disincantata, non aveva mai creduto nellamore. Al massimo nel sesso o in qualche trasgressione esperienziale. Da quando aveva incontrato lui, aveva perso completamente la testa. Ogni leonessa finisce per amare il suo domatore. Non si riconosceva più. Si sentiva incredibilmente romantica e sentimentale. In sintonia con la natura e con il creato intero. In grado di ascoltarne gli echi più sottili, di aspirarne gli odori.
- Il bosco ha ormai la lingua del vuoto. Canta la musica della passività. Del nulla. Era il gufo, poco fa, non il cardellino, quello che ti ha ferito lorecchio inquieto: canta tutte le mattine tra la zagara inebriante degli aranci e dei limoni, laggiù. Lassenza della vita. Dei meriggi sfavillanti nei canneti. Credimi, amore, era il gufo. Niente è allucinato. Puoi ancora stare.
Sorrideva rammentandosi di quella sua vecchia zia, che, a sera, metteva indietro le lancette dellorologio per far rimanere il fidanzato a casa sua per qualche altra ora. Aveva ascoltato sempre con scetticismo quella storia e adesso anche lei tentava di truccare le ore. Di bloccare il fluire ineluttabile delloscurità. Di misconoscere i barlumi inequivocabili dellalba che si avvicinava. Alì aveva, però, troppa fifa di Cagliostro. Il ricordo dello scontro mattutino nel suo ambulatorio lo induceva a comportamenti prudenziali.
- Quello che gorgheggia essere il cardellino, messaggero dellalba, non il gufo: guardare, amore, quelle maligne strisce come già frastagliare di chiarori i margini dei cirri fuggitivi che da Levante si sfare, nel mio cuore un dolore fare divampare.
Geltrude non si saziava mai di lui. Aveva appena finito di assaporarne i baci e le carezze che già tornava ad ardere dal desiderio. Insaziabile. Famelica ed insaziabile del suo amore. Con gli altri si stufava subito. Li trattava come oggetti usa e getta. Con lui anche la meccanica ripetizione di un amplesso assumeva il sapore della novità. Tutto lappagava di quel che le faceva. Se la leccava con la punta della lingua sul collo magro e slanciato entrava in fibrillazione. Se le succhiava e le mordicchiava i seni desiderava che la possedesse di forza, senza indugi.
- Già vuoi andartene? Non hai fegato. Hai paura della luce che ti si sbriciola addosso. Sei grande e grosso, ma senza un brandello di coraggio.
Lo punzecchiava. Si divertiva a provocarlo. A lanciargli continue sfide. La consapevolezza del proprio fascino laveva avvezzata a giocherellare con gli uomini. A stimolarne la reattività, persino la gelosia. Era espertissima nel tendere la corda fino a rischiare di spezzarla e nel volgere in scherzo ogni tensione drammatica. Si inventava corteggiatori, spasimanti, configurava intrecci, storie che accendevano la fertile fantasia di Alì. Ne solleticavano lamor proprio, il maschilismo e la possessività. Di colpo si ritraeva. Cambiava le carte in tavola. Tramutava tutti i fantasmi evocati in amicizie innocenti. Alì si ritrovava ridicolizzato in un demente irascibile. In un individuo infermo di gelosia. Spesso lo stimolava a contrapporsi a suo padre. Ne saggiava lardire e limprudenza. Ma Alì non aveva alcun desiderio di incontrarsi con Ippocrate. Non voleva correre il pericolo di farsi sorprendere in quel cortile ad amoreggiare. Non gli importava neanche di apparire codardo ai suoi occhi. Era troppo innamorato della Sicilia per rischiare di farsi cacciare via per accontentare un suo capriccio. Si sentiva un riccio di mare tanto nero da essere spaccato in due. Annientato.
- Tuo patraccio me fare ritirare permesso di soggiorno e ordinare ai suoi sgherri me tagliuzzare: io rientrare o madame me rinchiudere cella, o sgherri me fettinare. Io portare dipinta la tua immagine in mio cuore.
Geltrude ne disapprovava la mancanza di iniziativa, lincapacità di affrontare apertamente suo padre. Lei non laveva mai temuto. Non si era mai chiesta cosa pensasse di un suo atteggiamento. Aveva precocemente sviluppato unautonomia comportamentale che la faceva agire per come sentiva. Senza porsi il problema delle conseguenze. Né di preventive approvazioni. Sfidarlo, contrapporsi alla sua volontà pervasiva e tirannica era una goduria. Forse per questo si era legata immediatamente ad Alì. Era certissima che lui non avrebbe mai accettato un ragazzo di colore. Amarlo, sceglierlo, portarglielo a casa era come tagliargli la faccia. Le sarebbe piaciuto trattenerlo ancora nel cortile. Farsi sorprendere tra le sue braccia, al suo risveglio. Dargli il senso dellirrinunciabile.
- I fiorellini sonnacchiosi stanno ancora stretti stretti con le teste a penzoloni. Quella luce laggiù non è il chiarore del giorno: io lo so; è una stella cadente, esalata dal sole per farti da faro stanotte sulla via di Porto Palo.
Innamorato sì, ma non cieco come lei! Era evidente che la notte se ne stava andando. Era scivolata via senza che se ne accorgessero. Tra amplessi e carezze. Perduto tra le sue calde braccia. Inebriato dai suoi umori. Adesso non cera più tempo. Doveva squagliarsela. Altrimenti si sarebbe ritrovato in qualche bagnarola, tra i marosi del Mediterraneo!
- Essere tutte consumate le stelle della notte e il giocondo mattino, sulla punta dei piedi, si affaccia alle cime di monte Genuardo dietro un velo leggero di brume. Ora, o andar via e vivere, o restare qui e soffrire prigione o rischiare di morire.
Lei non sentiva ragioni. Non voleva ascoltarne per niente. Non si staccava di un millimetro. Era da stacanovisti staccarsi dalle sue parole mielate, dal suo caldo respiro.
- Dunque resta, amore, allenta le tue redini e i tuoi affanni dilettosi: non è ancora necessario andar via.
Davvero difficile congedarsi in queste condizioni! Unimpresa eroica, quasi temeraria! Infine si vive solo una volta! Era preferibile abbandonarsi alla corrente. Scivolare sullonda mobile, nella carezza dellalitare mattutino. Cavalcare londa senza stare a interrogarsi. Prendere il tempo come capitava, senza soverchie preoccupazioni.
O mio bel viso dallo sguardo soave, io dentro divampare damore. Quanto duro tacere e fuggire! Mi prendere pure; e mi mettere a morte. Io essere contento, se così tu volere. Me dire che quel barlume laggiù non essere locchio di Aurora, ma un pallido riflesso della fronte di Geltrude e che essere il gufo quello che, alto sul nostro capo, batte col suo trillo agli archivolti del cielo.
Davanti al suo cedimento, al rischio che lui perdesse il controllo, Geltrude riacquistava lucidità e grinta. Nascondeva le carte truccate e rimetteva in circolo quelle vere. Meglio un Alì a mezzadria, a tempo, celato tra i velami della notte, ma vivo, piuttosto che la sua assenza definitiva. La sua eclisse. Le era impossibile prefigurarsi unesistenza senza i suoi baci ed il suo amore.
- Sì, è; è giorno. Fuggi, presto! Se qui ti trova mio padre! Vai via. Non è il gufo, quello che canta così stonato e sforzato.
Per Alì era più difficile giocare a rimpiattino. Non conosceva le raffinatezze delle esposizioni e dei rientri. Come un trattore a testata calda stentava a partire, ma, una volta in moto, non sapeva frenare bruscamente. Come una Maserati a un semaforo rosso. I pattini gli slittavano!
- Io avere più voglia di restare che fretta di andare. La tua disianza me togliere il cuore e tenere il mio corpo incatenato in suo potere. Tu venire ed essere la benvenuta, o morte. Geltrude così volere. Che esserci, anima mia? Noi seguitare a parlare: non essere ancora giorno.
Ma Geltrude era protesa in una rapida inversione di marcia; non voleva rischiare la sua vita, perciò cambiava decisamente opinione. Cercava di confonderlo con una serie di immagini affatto limpide e lineari.
- Assicurano che il cardellino fa le sue partiture con struggenti divisioni; ma questo canto non è così, no, anche se divide noi luno dallaltra. Dicono altri che il cardellino e il rospo brutto si sono scambiati gli occhi. Oh, si fossero così scambiati anche le voci, perché questa armoniosa rapsodia ci stringe di gelo, ci strappa braccio da braccio e ti caccia lontano da me, dando la sveglia allalba. Ora sì, va.
Alì ormai era in preda ad un delirio. Le tenebre amiche e il chiarore denudante si confondevano sotto i suoi occhi. Smanie contrastanti stravolgevano il suo spirito, frammiste ad ansie e a torbidi timori.
- Luce, sempre più luce, intorno; buio, sempre più buio, nella nostra angoscia. Oh, io potere restare, come ladro nascosto, che nessuno vedere! Solo tuo amore mi tenere in desiderio e mi dare speranza di gioia. Io sono come il mare che morde la terra e si ritira.
Li richiamava alla realtà la comparsa della madre, che, dal balcone, aveva seguito palpitante il loro colloquio. Bastiana conosceva a fondo suo marito. Con il suo benestare gli si poteva calpestare anche il viso con le suole delle scarpe, ma guai a cercare di prenderlo per i fondelli! O a sottovalutarne le potenzialità di ira e di violenza. Potevano scattare anche per un moscerino che si andava a posare, senza permesso, sul suo naso. Ippocrate aveva un temperamento fanciullesco. La sua tendenziale schiettezza rischiava di rasentare lingenuità. Tollerante per convinzione e cultura, amava vivere e lasciare vivere. A tratti tendeva a sfuggire alle difficoltà, a glissare i problemi. Preferiva prendere la vita come una festa continua, negandone le brutture e virando davanti alle scogliere. Ogni mattino il suo risveglio si accompagnava con il desiderio di essere accettato. Come un attore sul palcoscenico. O uno scrittore alla presentazione di un suo libro. Ogni dissenso rischiava di sprofondarlo in una crisi depressiva. Se si imbatteva in velenosi serpenti a sonagli nascondeva la testa come lo struzzo. Da consumato giocatore, al rischio di uno scacco matto sceglieva lo stallo. Come i più raffinati diplomatici, aspettava che le matasse più ingarbugliate si sgrovigliassero da sole. Se, però, incrociava esplicite contrapposizioni, testardi dinieghi, tentativi di destabilizzarne lapparente potere familiare, di minarne lautorità, di metterne in discussione i ruoli consolidati, raccoglieva senza esitazioni il guanto della provocazione. Guai allira dei calmi o alla cattiveria dei buoni! Ne avevano immagazzinato riserve così cospicue da straripare su tutto ciò che li circondava, travolgendo ogni argine, senza un briciolo di rispetto o pietà per sentimenti e persone. Bastiana aveva quasi sempre goduto della sua elasticità mentale, ma aveva anche sperimentato la durezza, lombrosità, la caparbietà dei suoi momenti negativi. Quando si incupiva, Ippocrate si schermava in una torre davorio impenetrabile, diventava distruttivo e odioso, si seppelliva in un egoismo così gretto e meschino da rendere insopportabile coabitare con lui. Il suo sguardo sfuggente ed opaco, il suo passo felpato e fraudolento, le sue parole lame taglienti e penetranti. Conosceva larte di amare illimitatamente, ma anche quella di colpire a morte. Aveva unagghiacciante capacità di congelare entusiasmi e sentimenti. Gettiti dacqua fredda su carboni accessi. I carboni friggevano più dellolio bollente. Tante volte lei aveva ipotizzato di abbandonarlo solo come un cane. Ai suoi pregiudizi politici e razziali. Tra labbraccio asfissiante di Rosina e lillusione di eterna giovinezza, alimentata da vogliose clienti. Solo con le sue responsabilità di padre. Visto che non era possibile ricondurlo a quelle di marito. Il disprezzo del tradimento laveva sferzata ripetutamente. Ferita ed annientata nella sua femminilità. Frustrata nella sua gioia di esistere. Era stata sempre una donna desiderabile. Aveva dovuto ricorrere ad altri maschi per riconquistarne la consapevolezza. Avvertiva lesigenza di una svolta. Una boccata dossigeno. La riconquista di uno spicchio di cielo azzurro. Un taglio netto. Azzerare tutto per ripartire da capo. Rinunciare alle ricchezze e alle comodità della sua posizione. Riscommettersi ad altre latitudini. In unaltra dimensione. Unaltra esistenza. Comportamenti lineari. Autentici. Si era scordata di cosa fosse vivere. Tanto a lungo aveva vegetato nel conformismo e nelle abitudini civili. La sua personalità annegata nei suoi capricci. La sua creatività infranta dalle convenzioni. Rivoleva la sua vita smarrita. Sognata di nascosto. Pudicamente. Senza il coraggio di gridarla a tutti ad alta voce. Come una donna sincera e pazza. Ma lamore per Lucia e Geltrude aveva sempre finito per prevalere. Pretendere di essere sinceri a se stessi e agli altri significa essere autentici pazzi. Inguaribili. Senza speranza di miglioramento alcuno. Da manicomio. Perciò equilibrio, serietà ed autocontrollo. Le sue figlie erano le entità più autentiche del suo esistere. Quel trascinare giorni vuoti, insignificanti, ore inutili, senza emozioni, minuti sprecati, privi di mordente, solamente nella crescita di Lucia e Geltrude trovavano senso e giustificazione. Ogni giorno si facevano più belle. Centuplicavano tutto il fascino che in lei ineluttabilmente scemava. Le sue ragazze finirono per essere le sue aspirazioni mancate, i suoi sogni bruciati, la compensazione delle sue frustrazioni. Senza condizionamenti proiettivi. Scontava troppo la mancanza di autentica libertà per ipotizzare di condizionarne il modo di essere. Piuttosto preferiva accompagnarne la maturazione, assecondarne le inclinazioni, essere latente nelle loro esperienze come una presenza vigile e silenziosa. Riconoscersi in loro, nelloriginalità dei loro percorsi esperenziali. Senza invaderne le scelte, né snaturarne il carattere. Erano cresciute diverse, Lucia e Geltrude. Quasi antitetiche. Come se la natura avesse scisso le contraddizioni della sua persona in due più coerenti e omogenee. Nelle azioni, nel sentire di entrambe si gratificava di scovare sprazzi di quella vita autentica che ad un certo punto sembrava esserle sfuggita di mano. Non poteva permettere che la Storia di sconfitte e di paure si ripetesse su di loro. Doveva proteggere e tutelare la spontaneità e la loro aspirazione ad una vita vera.
Bambina mia! Potrebbe piombare qui tuo padre. E spuntato il giorno: sta in guardia, e occhi aperti.
Geltrude se la prendeva ora con lalba. Non poteva avercela con la madre, che spezzava il loro fraseggio. Sapeva che stava dalla parte dei suoi desideri.
- Allora tu, birichino sole di Sicilia, allontani lamore dalla mia vita! Meglio una notte di pioggia e di nuvole e una gran luna per sognare!
Alì si avviava mesto fuori del cortile. Nella sua pelle ardeva il seme della sua sconfitta. Non era questione di soldi o di posizione sociale. A ciò poteva porre facilmente rimedio. Ma la sua negritudine, anche se parziale, si frapponeva come un muro invalicabile tra sé e Geltrude. Cagliostro non riusciva ad immaginare di stringere tra le braccia, con amore, un nipotino pizzicato di nero. Per staccarla da lui, per raffreddare i suoi bollori aveva messo in discussione anche la sincerità del suo amore. In una recente conversazione con Geltrude aveva persino insinuato che fosse solo una questione di permesso di soggiorno. Che Alì volesse farsi sposare semplicemente per ottenere la cittadinanza italiana. Predicava di ferirla solo per il suo futuro. Voleva aprirle gli occhi. Metterla in guardia. Evitarle guai peggiori. Ma lei gli occhi li aveva abbastanza aperti. Spiritati quasi! Non era più la bambina ingenua che pendeva dalle sue labbra. Pronta a qualsiasi sacrificio per farsi bella ai suoi occhi. Aveva smitizzato da qualche tempo la sua figura. Lo scarnificava nelle sue doppiezze, nelle sue incoerenze, nelle sue incrostazioni limitative. Le sue stesse idee politiche divenivano linee di confine invalicabili. Barricate che lo ricacciavano in una visione angusta dellumanità. Eppure si proclamava filantropo ed egalitario. Aveva sperimentato sulla sua pelle il peso di ben altre intolleranze e discriminazioni. A conti fatti suo padre gli appariva un bla-bla-bla. Uno che si ricamava addosso alle parole. Che si gratificava del loro morbido suono. Senza dargli sostanza. Coerenza. In quegli anni tutti i Siciliani rischiavano di risultare, come lui, predicatori astratti e vuoti di una religione di fratellanza universale. Pronti a combattere contro preconcetti e razzismi che li concernevano. Nel Nord dellItalia, dellEuropa e del mondo. Nei riguardi delle pelli slavate e bianchicce. Ma anche ad erigere le barriere della loro Storia, della loro indubbia cultura, della loro stessa pelle, prevalentemente olivastra e bruna, nei confronti di gente più povera e più scura. Ognuno finisce per appoggiarsi sempre al più basso dei muri vicini. Per trovare perennemente una diversità su cui scaricare le proprie mortificazioni ed il personale desiderio di rivincita.
- Addio, addio; ancora un bacio, e andare.
Cogliendo il suo disorientamento, Geltrude gli gridava forte la sua passione.
- E così, sparisci, mio amore, mio signore, mio dolcino, amico mio! Voglio tue notizie per ognuno dei giorni contenuti in unora, ché ogni minuto è tanti giorni; oh, ma così avrò la pelle flaccida e raggrinzita, prima di rivedere il mio Alì Salem!
- Addio, me non perdere occasione per mandarti mio saluto, amore caro.
Insoddisfatta delle sue rassicurazioni, Geltrude lo stimolava a promesse impegnative.
- Oh! Credi che noi un giorno potremo vivere insieme ?
- Senza dubbio. E tutte le nostre spine dora fore allora per me una rosa da carezzare.
Geltrude era ormai lombra della ragazzina sventata e sbarazzina ed appariva profondamente turbata. Il suo Alì gli sembrava distrutto. Annientato dal rischio concreto di perderla per sempre.
- Signore Iddio, ho brutti presentimenti. La luce spegne la notte. Lamore. Rompe i nostri desideri di essere niente. Ti vedo ora che sei lì in basso, come uno zombi. 0 minganna la vista, o sei molto pallido. Ormai nessun velo copre pudicamente il niente, chiarissimo allorizzonte.
Doveva ben esserlo per sbiancare la sua pelle neretta! Figurarsi le guance di Geltrude! Si sentiva un guscio di noce svuotato. Un treno inoltratosi in un binario morto. Senza energie. Senza desideri. Vacua e sterile. Alì ne percepiva il progressivo distacco. Come se si ponesse fuori della coscienza del mondo.
Tu mi credere, amore, anche tu ai miei occhi sembrare pallida. Senza di te, mi percorre la carezza dellalveare. Io non sono! Il dolore, riarso di sete, si bevere tutto il nostro sangue. Adieu! Adieu!
Lei non si rassegnava a privarsi del suo calore, ma non sapeva che Santo pregare. Frequentava così raramente la Chiesa che aveva perso ogni confidenza con i Santi. Come la maggior parte dei Cattolici riteneva di avere assolto i suoi doveri con il Battesimo e la Cresima; non andava a Messa la Domenica, né prendeva la Comunione. Di confessarsi neanche a pensarlo! Perché raccontarsi ad un altro comune mortale, svelargli le proprie debolezze, le proprie incertezze, quel trasgredire le opinioni prevalenti che i Preti si ostinano a bollare dinfamia, affibbiandogli lepiteto di peccato? Eppure, in minuti come questi, sentiva la mancanza di Dio. Avvertiva lassenza di un riferimento certo, sicuro cui affidare il proprio destino. Una relatività che escludeva ogni assolutezza. Ogni ateo finisce per scontare il peso della sua solitudine. Lassenza implica penuria, indigenza, povertà, miseria. Si connota di grettezza e squallore. É ombra latitante, esclusione, frammentazione. Costringe a focalizzare le proprie insufficienze e limitazioni. Ad avvertire pungente lincapacità di fare da sé. Dio non si può inventare. Nellimmensità dellinverno. In un attimo di debolezza. Solo a Paolo è apparso come un nulla sulla via di Damasco. A chi non ce lha, fermo e sicuro al proprio interno, non resta che il capriccio della sorte. La speranza della sua volubilità. Non cera vento nellalba di Geltrude. Non incenso. Nel completo essere giorno un rintocco madido e vuoto di campane.
- 0 Fortuna! O Fortuna! Ti sei votata tutta allOnorevole Liccasarda! Niente carne, musica, tensione. Pelle lungo il cui crinale essere squartata. Simulando il senso di me in lui. E di lui nella passività del mio nulla. Ma tu sei mutevole e incostante. Che te ne fai di lui solo? Sii incostante, o Fortuna. Elemosina nel cortile sorpreso dalla gelida tramontana. Dal muro dellindifferenza. Nel pianto e nel cristallo. Bianca e lucida guglia di ciminiere. Morire è transitare. Assumere la morte nella vertigine della meraviglia. Solo in una favola di elaborazione collettiva potrò sperare che mi restituirai Salem.
Mentre Alì si dileguava come una falena nella luce che avanzava, Geltrude si irrigidiva accanto allantico ulivo saraceno. Segmento inerte nel cortile. Concentrata sul subliminale. Completamente sfasata. Uno zero tagliato. In lei pulsava la necessità del nulla. Di vuoto. Di silenzi nuovi. Ogni esperienza del mondo le appariva assurda. Alienante. Non era.
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Capitolo VI
Una spiga nel sole
Sarino Piedemansueto non ne poteva più di suo genero Ippocrate. Non passava mese che qualcuno non venisse a lagnarsene da lui. Pazienti trascurati, padri e mariti gelosi, vicini di casa disturbati da rumori notturni, tutti ricorrevano da zio Sarino. Parlavano a suocero perché genero intendesse. Lui stesso era molto contrariato della scarsa attenzione verso la figlia Bastiana ed era disturbato dalle ricorrenti dicerie sui gallismi del genero. Non che ne fosse scandalizzato. Ai suoi tempi, anche lui non disdegnava qualche uscita fuori piede, ma aveva corso la cavallina sempre con discrezione, senza dare occasione da sparlare alla gente, che, nei bar e nei Circoli, sembrava non trovasse altro modo di trascorrere il tempo libero, né di rendersi intollerabile a sua moglie Maria L'Uccella, Baronessa della Ristuccia, che, allatto del matrimonio, gli aveva portato una dote considerevole e la rispettabilità della sua condizione nobiliare. Per essere stato combinato, con tanto di sensali e di laboriose trattative tra le famiglie, il suo poteva considerarsi un matrimonio riuscito. Maria lUccella era rimasta al suo fianco nella buona e nella cattiva sorte e lui non era mai venuto meno ai suoi doveri coniugali e le aveva garantito quella rispettabilità cui lei aspirava. Per un periodo erano stati angustiati dal cruccio della mancanza di un figlio maschio, ma si trattava di nuvole passeggere. Erano invecchiati insieme con saggezza. Sarino era un uomo donore, ossequiato e benvoluto. Rispettava tutti, anche la terra che calpestava, perciò veniva rispettato. La sua Sicilia era anche questo. Se un potente ti voleva ribadire la sua forza si limitava a offrirti umilmente i suoi servizi. Servire non era una mortificazione. Significava sentirsi utili a qualcosa. Costituiva un alto privilegio. Rifiutare i servizi di qualcuno era un gravissimo affronto. Un errore imperdonabile. Unevidente impennata di collo. Era il simbolo di una superbia da punire in modo esemplare. Costringendo ad abbassare la cresta. Per il suo carattere orgoglioso Ippocrate incorreva spesso in questo peccato. Come nella leggerezza di parlare troppo e a sproposito. Non capiva che il silenzio era doro purissimo e la parola di mediocrissimo argento. Non distingueva la necessaria differenziazione dei livelli dei suoi discorsi. Faceva le stesse valutazioni su fatti e persone, in ambienti riservati o al bar. Esprimeva ad alta voce i suoi pensieri più scomodi. Con il rischio di pericolosi rimbalzi. Quando si accorgeva di aver fatto qualche frittata, era già tardi. Toccava a lui correre ai ripari. Salvarlo da qualche sgarbo. Dal rischio del piombo. A costo di garantire personalmente per lui. Di cospargersi il capo di cenere. Era faticoso, ma lo faceva con una certa soddisfazione. Lo faceva sentire importante.
La questione con gli amici di Baffo te lho chiarita e sistemata in modo definitivo: basta che non ti metti in testa di fargli concorrenza nel decidere della vita e della morte dei tuoi pazienti e ti lasciano tranquillo.
Ippocrate si mostrava visibilmente sollevato. Riusciva a rivolgersi a lui direttamente, mentre, in genere, si arrampicava sugli specchi o ricorreva a imbarazzanti colpi di tosse per attirarne lattenzione.
Grazie, papino. Non so come farei senza di lei!
Troveresti un altro merlo al quale stonare la testa! -
Sarino non si lasciava incantare, né menare per il naso tanto facilmente. Anzi. Cercava subito di monetizzare il momento favorevole.
- Siccome siamo qui, non potresti fare una visita a tua suocera, che non la posso sentire più lamentarsi tutto il giorno?
Maria L'Uccella non aspettava altro. Era acquattata, in agguato, pronta a ghermire la sua preda prediletta.
Niente, lascia stare! Avere un genero dottore, luminario della scienza, e non averlo per noi è la stessa cosa! Per me non trova mai tempo... neanche per controllare se ho la pressione bassa alta e la normale giusta &ldots;
Ippocrate conosceva bene la solfa. Sua suocera era una lagna programmata. Ogni occasione era buona per torturarlo con i suoi malanni immaginari!
Ma se gliela controllo tutte le domeniche e le feste comandate, ogni volta prima di metterci a tavola! Ma, lei, poi che si sente?
Maria L'Uccella, guardandosi intorno, quasi a cercare unaltra persona.
Lei? Lei, chi?
Ippocrate non ce la faceva proprio! Invidiava quei generi che, ad ogni occasione, " papà e mamma" glielo sbattevano in faccia ai suoceri. Lui non ci riusciva. Con tutti gli sforzi reiterati. Un groppo gli attanagliava la gola. Quasi a soffocarlo. Le parole gli restavano in bocca. Si rifiutavano di uscire. Ricorreva a tutti gli stratagemmi alternativi. Circonlocuzioni. Tintinnii di piatti e di bicchieri. Messaggeri occasionali. Di fronte a questa violenta aggressione diretta farfugliava.
Lei &ldots; lei &ldots; voi, insomma &ldots;
Maria L'Uccella lo incalzava, implacabile.
Voi? E lui cosa centra?
Sfiancato e sfibrato come un topolino inseguito da una gattona.
No, dicevo, voi &ldots; lei &ldots; insomma tu &ldots;
Finalmente appagata di vederlo deragliare.
Tu? A me? E che siamo andati a scuola insieme?
Lo scrutava dallalto in basso. Sprezzante. Quasi con commiserazione.
- Guarda, vai ad imparare a parlare, se vuoi discutere con me!
Contorcendosi le mani, con uno sforzo sovrumano, come se dovesse evacuare, dopo aver divorato un intero paniere di fichidindia di Santa Margherita di Belice.
- Mammina, baronessa, voi, dicevo, come vi sentite?
Maria si distendeva sorridente e soddisfatta. Quando gli estorceva "mammina" era come se le si rimarginasse una ferita al cuore. Ritrovava dincanto il maschio che non aveva potuto avere. Neppure tra i nipoti. Ecco, così va meglio, figlio mio. A me mi chiamano lUccella per parte di mio padre, ma, per il lato di mia madre, nobile sono: mia nonna era baronessa della Ristuccia!
Sarino era spazientito. Sopportava da una vita queste esternazioni di presunta nobiltà.
E va bene! Lo sappiamo tutti che hai sangue blu nelle vene! Ma ora digli a nostro genero i tuoi malesseri.
- Mi sento come unarancina in petto!!
Sarino, che non ci sentiva bene, ma rifiutava lapparecchio acustico, per superbia.
Arancina?!
Angina! Angina pectoris! - Chiariva Ippocrate, mentre si chinava ad ascoltarle il cuore. - Sono tutte fisime! Fisime, coccole e capricci!
Sì, ma ci ho il grasso sopra il cuore! Mia cugina, la Duchessa delle Fratte è andata dal dr. Stipisi e gli ha prescritto una scatola di Patatina &ldots;
Sarino non si persuadeva Mutandina?!
Anche la concorrenza di Stipisi adesso!
- &ldots; pantetina! &ldots; pantetina ci vuole per i grassi &ldots; ma per voi la migliore ricetta è una lavata di scale la settimana&ldots;
Ma, per i trigliceridi e per il colastigliole?
Sarino ripeteva interrogativo, stuzzicato nella sua golosità.
Stigliole?!
Ippocrate cominciava a perdere le staffe. Ad accedere allassenza..
Scale, scale! E se non le bastano le scale, cè anche questo mio cortile, da scopare e lavare!
Maria LUccella cercava di impietosirlo, piagnucolosa.
Ma se ho una cisti ovale, lernia al discolo, lulcera doganale e le vene vorticose e bellicose! Rischio un cactus cerebrale o uno shock profilattico!
Sarino era allibito. Non usava profilattici da tempo immemorabile. Ormai con moglie erano come fratello e sorella. Quando non si guardavano come cani e gatti!
Cactus profilattico?!
- Fammi fare almeno un esame delle frecce, una flebo di plasmon per rinforzo, mandami alle cure termiche di Sciacca, scrivi qualche supposta antispasimo o mandami a un controllo da un esperto del branco, per esempio da un ortopiede &ldots; o a farmi una visita ornitologica &ldots;
Ogni volta da impazzire! Occorreva un glossario su misura per interpretarla. Controllandosi a stento, passava alla terapia.
State tranquilla, mammina! Un brodino di galletto e passa lulcera duodenale. Tre fiori di malva bolliti e si purifica tutto lorganismo&ldots;
Sarino interveniva a dargli man forte.
Se proprio vuoi abbrancare qualche medicina, prendila scaduta, così almeno è innocua!
Ma lUccella riprendeva a svolazzare indomabile.
Sì e le mie sogliole lancinanti? E i miei dolori deambulanti? Ippocratuccio mio, forse ho pure la gotica, sogliole continue al meniscolo, il diabete merlino e tu non mi vuoi fare neanche una lenzolina?
Non dovete fare abusi di cibi &ldots;
Sempre pronta a fraintendere quando il discorso non le conveniva, lUccella si involava per altre rotte celesti!
Bada a quello che dici! Io non sono abusiva! Ogni tanto mangio qualche fritto misto di pesce bollito e ingoio qualche pillola che mi fa arrossire &ldots; a volte sono deturbante se prendere questa o quella, ma non sono abusiva e non ho presentato domanda di sanatoria!
A tranquillizzarlo irrompevano nel cortile Lucia e Ninì. Era come se le sue membra si sbudellassero per divenire coriandoli di carnevale!
- Papino, ti vorrei presentare il mio ragazzo, il dr. Ninì dei Svacisvitevorissirevormati.
Cagliostro era stupefatto dellardimento della sua figlia più dolce e remissiva. Si sentiva oltre le cose.
Chi? Questo razzista polentone! Lo conosco bene. Mia figlia non sposerà mai un leghista!
Niní dei Svacisvitevorissirevormati tentava di prenderlo in controtempo.
Io non sono un razzista, né tanto meno un polentone, né?. Mio nonno paterno proveniva da Favara e mia madre da Bisacquino, né?
Ma Ippocrate non si lasciava disorientare.
Magnifico! Da un pesco è nato un coniglio! E allora perché parli come un leghista padano? Il lupo ulula quando ha fame o è irato: non usa il linguaggio della scimmia! Se hai sangue siculo nelle vene saprai dire: ddu, dda, sciarra, funnacu . Avanti, provaci. O testa o capestro!
Il giovane informatore scientifico farfugliava.
Du &ldots; da&ldots; funaco&ldots;
Nel frattempo entravano anche Geltrude ed Alí Salem, provocatoriamente avvinghiati. Laria cominciava a divenire soffocante. Quasi irrespirabile. Un nulla luminescente e astratto. Fili neri impigliati e raggrumati. Spilli. Zolfanelli accesi. Piccoli fuochi in un grande buio. Senza alcun marchio. Ippocrate apostrofava Ninì, soddisfatto del suo fallimento.
Ecco, hai fallito la prova del nove!
Anche Persefone interveniva a rafforzare le sue convinzioni. Purtroppo solo lui poteva vederla ed ascoltarla.
- La nostra lingua odora di pistacchio e di mandorle sgusciate, di fichidindia, di nepitella e di zagara in fiore, di mare verde e pieno di paranze, di cielo con le notti chiare, di passioni chiuse dentro il cuore ardente. Non c'è al mondo cosa più divina, né fontana d'acqua più pura e cristallina: è balsamo, è ristoro, è medicina.
Ninì si dichiarava rammaricato di essersi allontanato dalle sue radici.
Me lo diceva sempre la buon anima di mio nonno Onofrio! Chi non si scorda il dialetto siciliano è come se conservasse un pezzetto di Sicilia dentro il cuore!
Ma Ippocrate non mostrava alcun segno di indulgenza o di appannamento. Appariva determinato a non fargliene passare nessuna liscia.
E qui ti sei fottuto! Errore grave, mio aspirante genero: il popolo siciliano è una nazione perché sente la sua Storia e si è rinsaldato facendo la sua rivoluzione. Il siciliano non è un qualsiasi dialetto. La nostra è una lingua e trasmetterla, insegnarla significa trasmettere i nostri proverbi, la nostra antica saggezza, i nostri valori più puri e tradizionali, insomma la nostra stessa sicilitudine. Per questo tutti i Siciliani che lavorano nel mondo, dallAmerica alla Germania, dallAustralia alla Padania, la conservano gelosamente.
Ninì lavrebbe volentieri mandato a quel paese con tutta la sua filosofia e le sue borie, ma teneva troppo a Lucia per potersi concedere questo lusso.
Anche a casa mia tutti parlano il siciliano. Io ho cercato di perdere laccento per essere assunto alla Sanifera Medicinali, ma, se mi serve ad avere il vostro permesso per amare Lucia, sono pronto a recuperarlo!
Come se bastasse darsi una riverniciatina per riconquistare unidentità perduta! Miserabili tessitori di trame spoglie!
Superficiale! Fai proprio discorsi superficiali! Pensa, invece, alla straordinaria sorte del popolo siciliano.
Davanti ai suoi occhi scorrevano le immagini dei Siciliani che vanno per il mondo a milioni. Mai per spirito di conquista, ma per umiltà e fatica. E lo percorrono da cima a fondo. Lo frugano instancabilmente. In ogni fessura, nazione, città, paese. In mezzo ai grattacieli e in mezzo alle foreste. Infine, se ne tornano a casa. Non cè, in tutto il mondo, un popolo più girovago, onesto e laborioso; nemmeno gli Inglesi, nemmeno gli Ebrei. E non emigrano solo i più poveri, i contadini, i braccianti, i falegnami, i barbieri, i calzolai, i manovali. Anche i medici, i professori, gli ingegneri, gli scienziati, gli inventori vanno dappertutto. Per dieci, quindici anni. Imparano a parlare inglese, spagnolo, tedesco, e conoscono le più ricche culture, ma non dimenticano mai la lingua siciliana. Solo pochissimi rinnegati, senza patria, non la insegnano ai propri figli.
Come seguendo il filo del suo pensiero, Alì Salem si lanciava in una dichiarazione dintenti!
Anche io imparare siciliano per avere tua benedizione paterna! Io disposto anche andare scuola serale!
Ippocrate si sentiva assediato. Circondato a destra e a manca da possessori di fedi rozze e grigiastre. Di esorcismi. Di scienze senza luce. Come sentimenti oscuri. Coperti di veli e vernici.
E a te, chi ha rivolto la parola? Tu, ti dovresti dare almeno una riverniciata, unimbiancatina alla tua pelle africana, prima di aspirare alla mano della mia Geltrude! Non voglio un nipote negro!
Ali non si lasciava smontare. Aveva riacquistato smalto e ardire. Trovava ispirazione negli occhi luccicanti damore e nella mano, intrecciata alla sua, di Geltrude.
Io avere già sua mano nella mia! Non avere bisogno di respirare! Ma anche tu razzista, leghista e tu contraddire. Anche tu africano per Padani razzisti! E poi tuoi nipoti non nascere belli neri; nascere caffè chiaro e capelli lisciare!
Geltrude semplificava.
Il nero non toglie bellezza!
Cagliostro stava perdendo ogni controllo. Che cosa aveva fatto per meritarsi un destino così infame? Un nulla impregnato dassenza. Secca. Vana. Parolaia. Eccitata.
Niente, non voglio sapere niente! Mi sbatterei la testa al muro! Lucia, Geltrude, io vi diseredo. Capito, né? Voi non vedere più da me neanche un Euro. Guarda un po! Con tanti bei ragazzi siciliani, uomini donore, a disposizione, un leghista ed un africano si vogliono andare a prendere! La Sicilia non vuole più invasori. Se verranno qua altri cani traditori, moriranno tutti squartati e impiccati.
In Ninì riaffiorava una punta di vittimismo. Riemergeva la nota debole e meditabonda della sua personalità.
Quello siciliano è ormai un destino di sconfitte. La nostra è una Storia irredimibile&ldots; di sonno e di odio &ldots;
Nei momenti più drammatici della sua esistenza Ippocrate Cagliostro tendeva ad evadere dalla realtà che lo circondava. Si rifiutava di leggerla. Di consegnarsi a lei prigioniero. Le vicende, le stesse parole divenivano trampolini da cui lanciarsi nelle sue meditazioni.
Ma come si può odiare sotto il cielo della Sicilia, tra il languido profumo dei fiori d'aranci, la sensualità dei gelsomini, i palmizi svettanti, i templi greci e le reminiscenze di grandezza, di abbondanza e di allegria, che sono disseminati dappertutto in quest'isola felice? In questo giardino odoroso abbiamo accolto chiunque. A tutti abbiamo aperto le nostre case e il nostro cuore. La nostra ospitalità è ineguagliabile.
Ecco il suo mondo! Tra splendide dee e meravigliosi poeti! Estraneo alle miserie quotidiane. Assente alle sue figlie. Al suo lavoro. Alle contraddizioni e alle meschinità del vivere terreno. Il suo pensiero diveniva parola.
- Amo lorgoglio e il coraggio della gente che sorride amabile nelle strade assolate, piene di silenzi e di misteri. Amo la mia terra per il mare azzurro, l'amo anche quando non dovrei, quando il levante, nelle notti, batte e sferza come un lamento le chiome leggere degli alberi di pepe. Lamo perché è calda e selvaggia, perché lei è sola come me quando ha bisogno di aiuto.
Sarino Piedemansueto decise di approfittare di questo momento di intensa immedesimazione del genero. Ne conosceva a fondo i punti vulnerabili.
E tu, figlio di questa terra e di questa cultura, vorresti opporre i tuoi miseri pregiudizi alla forza dellamore?
Pensare era semplicemente vuoto. Tintinnare e sbiadire della pioggia. A interpretare il desiderio e la paura di smarrirsi.
Pregiudizi? Io pregiudizi? Ma un leghista! Un africano! Ti sembrano scelte sopportabili per un vero siciliano?
Anche Maria lUccella affondava il bisturi. Sembravano una chitarra e una fisarmonica!
E allora io che dovevo fare quando mia figlia ha deciso di sposarti? Mia figlia, un fiore di gelsomino, baronessa della Ristuccia come me, nelle braccia del figlio di Peppi Formicola, lultima delle persone! Niente ho fatto! Mi sono inchinata le corna e ho detto: piegati giunco che passa la piena!
Cagliostro ondeggiava. Come una quercia scossa da raffiche di mazzamauriello, repentine e imprevedibili. Accettare di non essere espressione di se stesso. Accusato di razzismo! Lui che si era battuto per affermare il diritto allumanità di tutte le razze! Subire la predica e i rimbrotti di quellantipatica di sua suocera! Nullificarsi! Boccheggiava. Stentava ad alzare lo sguardo, quandecco irruppe nel cortile, un tizio vestito da americano in vacanza. Calzava scarpe bianche, cravatta gialla striata, giacca cachi, pantaloni con le brache e sprigionava allegria da ogni muscolo del corpo.
Compare Ippocrate, lasciati abbracciare! Non mi riconosci più? Non ti ricordi? Chi sono? Mi&ldots;mi&ldots;mi..
A stento Ippocrate trattenne la parolaccia.
Melanzana!
E che ti sembro una melanzana? Ma che melanzana! Mister Joe sono! Tuo compare! Quanti anni che non ti vedo, ma, appena ho baciato questa mia terra, mi dissi: a mio compare Cagliostro devo andare a visitare &ldots;
Cagliostro lo fissava con gli occhi fuori delle orbite.
Vero, tu sei! Ma quanto sei cambiato!
Mister Joe era indubbiamente trasformato. Gli anni scavano impietosi nei volti di ognuno. Deformano le linee delle figure. Comunemente rendono più sgradevoli alla vista. Imbruttiscono le sembianze. Appesantiscono. Rallentano landatura. Un processo ineludibile. Democraticamente rivolto a tutti. Ma non tutti consentono di farsi trasformare interiormente. Alcuni non rinunciano mai ai tratti salienti del loro carattere. Joe non aveva perso il senso vivo della battuta immediata. Sagace e scultorea.
Ma pure tu mi pari cambiatino! Ti lasciai capellone e ti ritrovo un poco tignosetto!
Cagliostro era travolto dalla commozione. Lincontro con Joe evocava una miriade di memorie e di sensazioni.
Joe, amico mio, fratello mio! Ora che ti sento, certo che mi ricordo! Come sei tramutato! Quasi, quasi, non ti riconoscevo! Sei partito che eri un ragazzino! Dove sei stato tutto questo tempo?
Come a tutti i giramondo a Joe piaceva rievocare le sue avventure.
Ho girato, tanto ho girato! Da principio sono stato in Nord America, in città che tutto lanno nieva e nieva. Mugghiava il vento che scendea dalle colline, ma cera tanto lavoro e tanti bisiniss! Stavo benone; tutti i picciotti siciliani lavoravamo duro, ma stavamo bene...
Eri felice. Ma della Sicilia, niente ti mancava?
La domanda di Cagliostro attivava il tasto della nostalgia.
Eccome! Il cobalto e lo smeraldo del mare siciliano, il suo splendore di spuma, la sua levità colore di cielo e di vino. Le macchie gialle delle ginestre. Il rosa degli oleandri e delle buganvillee. Le urla dei pescivendoli nellaria salmastra di Porto Palo. La luce tagliente sulle crepe delle case di pietra nera. Persino laria mi mancava! E poi l'odore soave, come dire la fleva, del nostro pane di vero grano. In America, entri dal fruttistendo, cerchi unarancia e trovi checche, candi, scrima, insomma dolciumi, gelati, e tutto cheap, cheap, a poco prezzo trovi, entri in uno story, un grande magazzino, zeppo di bordi, di avventori di ogni risma, e tutto ci trovi.
Ippocrate lo guardava in bocca, estasiato.
- Che meraviglia! Tutte queste cose ci trovi in America?
A Mister Joe sembrava di aver esagerato. Di avere trascurato una penuria. Unassenza che sentiva ancora pizzicargli il cuore.
- Ma non ci trovi i balconi spagnoli che arpionano i muri corrosi dal sole, il fiaccolare giallo del fiore di melograno, le chiazze di trifogli, di malve, di fiordalisi nei prati riarsi, tra le spighe di porpora e lassedio assordante di cicale. You want buy images? Farm? Vuoi comprare belle statue? Una fattoria? Vuoi comprere una macchina che scocca dun frullo centomila fusi? E io tante volte: yes, tutto mi compro! E faccio business. Non puoi figurarti i bissiniss che faccio. Mi sposo con una avvenente negretta americana, dorigine sudafricana e mi ingrasso che non ti dico&ldots; &ldots; ma poi!
Ippocrate era affascinato dal suo racconto.
Poi? Che cosa poi?
Mister Joe diveniva triste. Un velo di malinconia appannava i suoi occhi. La sua voce si abbassava. Assumeva toni dimessi e confidenziali.
Poi sopraggiunge la depressione, la grande crisi! Niente moneta, niente più lavoro. La vita duole e prosciuga anche le parole. Mi manca il chiacchierio sereno della piazzetta Merlini, dal barbiere o intorno al banchetto del calzolaio. Le dita dei miei figli sempre più magre. Prendo il vapuri, la nave, e torno in Europa, in Sguizzara. Allinizio, lavoro negli orologi e ricomincio a respirare, ma dura poco, Sguizzara chaisse, ScheiBe: armi e bagagli e di nuovo via apro un ristoro a Bonn, in Germania.
- Pure i polentonissimi sei andato a ristorare? Ne hai avuto di fegato!
- Cugno no? Gli aromi e i sapori della cucina siciliana ubriacano e stordiscono i docceland: un poco di pasta con sarde e finocchietto, cipolla e pinoli, un piatto di maccu di fave, quattro stigliole al sugo, uno spezzatino alla birra, un po di trippa al pecorino, due polpette gustose di uova o di neonata, quattro sarde a beccafico, una cassata di ricotta e i tedeschi si leccano i baffi! Una bottiglia di Monte Olimpo e si sentono in Sicilia, tra gli dei! Borraccia! Brigone! Pugnunaim! Io parlo sguizzero, spagnolo, russo, americano! Zorf! Zurilesciorf! Incontro gente di tutte le lingue, diventiamo fratelli nel sudore e nel lavoro, ma mi sento sempre più siciliano.
Ippocrate appariva sbalordito da questi ritmi frenetici.
Madonna del Carmine e non ti girava la testa!
Riaffiorava lamico dalla battuta pungente. Pizzicante e figurativa!
La testa giria agli animali sedentari come te, che vivrebbero cento vite, storditi da questa eterna Primavera! Molti siciliani siamo viaggiatori. Camaleontici. Trasformisti. Noi il trasformismo ce labbiamo nelle vene. Ce lha dato nostra madre quando siamo nati. Non è che tu prendi uno di Bolzano o di Pordenone, lo accompagni in uno story e quello al fruttistendo gli chiede: mi può dare un chilo di trasformismo, per favore? Quello mica te lo può dare! Nel mondo ci industriamo a fare di tutto: architetti e contadini, machos e stilisti raffinati! Ma conserviamo sempre gusto per la vita.
Ippocrate sentiva che era giunto il momento di spiegarsi. Non poteva consentire che il suo migliore amico si formasse una falsa impressione della sua esistenza.
Non è vero, non sono un sedentario. Anchio, nelle mie tante vite, un po di mondo me lo sono girato: Parigi, Boemia, Mosca, Pechino, Baltimora. Ho fatto molti viaggi sia tutto attorno alla camera delle mie riflessioni che nei templi e nelle quattro parti del mondo, ma solo in questa terra di dei, semidei ed immortali la mia scienza è veramente apprezzata.
Mister Joe intonava ora il suo canto di sicilitudine riconquistata.
Anche io come vedi sono ritornato. Anche se, per necessità e per irrequietezza, tante volte lho tradita, la Sicilia è rimasta sempre un luogo della mia anima, my love, lamore mio, incommensurabile, nel mio cuore, my love, lamore mio incancellabile, un sogno da riassaporare in eterno, la terra in cui riportare la mia famiglia, i miei figli, per questo ho mandato a studiare allUniversità di Palermo mio figlio Salem...
Una mazzata! Una clava opprimente a incurvare le sue spalle. Le ultime parole di Joe lo annichilirono. Troppo vicine e fusionali per farsi esistenza. Se guardiamo attentamente in un cristallo scopriamo che è possibile solo il mutamento. Se guardiamo in unacqua profonda lalterità del pensiero è a portata del nostro respiro. La relazione era differenza. Il distacco lo sgomentava. La sua infelicità scaturiva dalla sua inettitudine a collocare nel giusto modo idee, pensieri, sentimenti. Bordi incerti. Decentrati ed ambigui. In ombra. Ai limiti del tempo.
Salem tuo figlio?!
Ripiegava su di sé. Stravolto. Inebetito. Stroncato. Intubato in un canale vuoto. Come se il flusso della vita si fosse interrotto. La vita non può opporsi alla morte. Non esiste una condizione del disordine. Nella vita si accumula sempre morte, fino a finire sepolti dal suo accumulo. Il dolore proviene dalla stessa gioia. Dalla luce. Dalla pietà. Dallamicizia. Dallamore. Conficcarsi interamente in un altro è impossibile. Lui amava il volto di Rosina. Si appassionava al suo corpo. Voleva conficcarsi in lei. Come se fosse il punto di abisso. Stabilito in un istante eterno. Prima del tempo. Persino della paura. Del ruotare incessante del nulla. Nellattimo della fatalità. Nella libertà delle passioni è il senso della verità. Ma generarla equivale a lacerarsi.
- Perfetto! La vescica sul carbonchio!
Si sentiva imprigionato, piccolo, errabondo, ansioso di non morire a se stesso. Di guarire dallaggressività latente. Essere nulla del pensiero. Liberarsi. Oscillante. Vagante. Dalle disarmonie prestabilite. Pensare senza balaustre. Astrarsi dalla materialità vuota ed incongrua. Foriera di indizi e tracce. Che finiscono nella silenziosa immensità. Buia di colpe e desideri. Vivere per vivere. Intensamente. Ogni durezza è vibrazione. L'opacità trasparenza. Il suo tentativo di ristabilire un equilibrio nel suo disordine interiore era fuorviato da una fulminante irruzione di sua moglie, Bastiana, la Baronessa della Ristuccia, di Rosina, della signora Biagina Savitteri, di Melchiorre e di alcuni contadini che portavano Efesto, disteso su una scala, che sanguinava vistosamente. Sembrava che mezzo paese si fosse fissato un appuntamento per affondare il dito nelle sue piaghe! I vincitori del gioco sono i perdenti, quando il passatempo si fa serio! Immediatamente Cagliostro riassumeva un atteggiamento professionale.
Efesto, che ti è successo? Come ti sei ridotto in questo stato? Fatti guardare un po da vicino!
Era sbrindellato da ispirare pietà! A stento riusciva a spiegarsi.
Lamore mio, Afrodite, invidiosa di Artemide, volendola emulare, se ne andava a caccia di pernici, rimaneva impigliata tra i rovi, sospesa nel vuoto, e si metteva ad invocare aiuto. Mi è toccato arrampicarmi su una quercia e acchiapparla. Ma, quando stavo per ridiscendere, il ramo ha ceduto e mi sono sfracellato a terra...ahi, ahi! Sono tutto fracassato!
Alì Salem, preoccupato, si dava da fare a quattro mani. Per ingraziarsi Ippocrate si improvvisava aiutante infermiere.
Efesto perdere sangue! Efesto emorraggiare! Bisognare subito intervenire ...
Nel cortile la concitazione era elevatissima. Anche la signorina Biagina Savitteri era prodiga di consigli.
Dottore Cagliostro, per interrompere lemorragia i punti bisogna dargli!
Rosina entrava nellambulatorio e ne tornava mostrando un aguglione.
Io sono pronta, dottore!
Anche Melchiorre dava il suo contributo, arrivando con un gomitolo di spago. Sempre pronto ad offrire i suoi servigi.
Questo spago le basta? Se vuole un aguglione più grosso, mi faccio una corsa verso le Scalacce, dal sellaio.
Ippocrate, che già era frastornato per gli affaracci suoi, era visibilmente confuso da quellincessante viavai di persone. Disperato, finiva per scaricare la sua tensione sul malcapitato ragazzino.
Tu non ti muovere perché sei più dannoso di una lumaca! Sempre da me questi Dei vengono a finire! Prima si sfasciano la testa con i loro capricci e le loro bizzarrie e poi la vogliono sanata da me!
Guardava le ferite preoccupato e alzava le braccia al cielo, in segno dimpotenza. La luce e l'apparenza della vita appartengono alla debolezza. Sembrava in preda ad una crisi depressiva! Il suo pensiero pencolava. Stava per staccarsi.
- Qui la faccenda è seria! Troppo seria! E chi lo deve cucire? Io per ora ho troppi pensieri. Qui un dottore ci vuole, un dottore giusto!
Melchiorre ci inzuppava un po' di mollica, restituendogli pan per focaccia.
Meglio chiamare un prete con lolio santo!
Sarino non tralasciava di riaffermarsi uomo pratico e di sangue freddo.
Mettiti sotto questo vaso da notte, perché altrimenti sporchi questo bel cortile!
Tutti lo guardavano perplessi. Pensare alla pulizia del selciato mentre Efesto correva il rischio di tirare le cuoia! Ce ne voleva di cinismo!
Il medico era ancora disorientato. In un tempo senza tempo. In una musica senza giorno. Nell'ombra della verità. Si rivolgeva ai contadini.
- E che? Ancora qui siete? Sbrigatevi a portarlo in Ospedale!
Completamente fuori di sé, incosciente di stare in piedi, dava ordini a Rosina.
- E tu scrivi il referto: Efesto ribaltava da un albero: sospetto trauma cronico e tallonite. - Dopo averlo scrutato più attentamente - Diagnosi: mollezza alla testa; valida contusione dito pollice piede sinistro; slogatura di piragna, contusione da calcio di Giove alla coscia destra; praticare antitetanica ...o salasso!
Sarino, che temeva, more solito, di aver frainteso Salasso?!
Bastiana cercava di richiamarlo alla realtà.
Ma se perde sangue a violino! Ippocrate, se non ti sbrighi, lammalato se ne va ...
Ma il grande medico continuava a stare con la testa nel pallone. Troppi eventi avevano squassato, in una sola giornata, la sua vita. Voleva tirare i remi in barca. Abdicare ad ogni responsabilità e funzione. Assentarsi dai suoi eccessi dira. Si teneva abbracciato allaria e al respiro delle parole che incontrava.
Giusto, giusto, bisogna fare in fretta! Rosina, concludiamo: si richiede ricovero per insufficienza venale...!
La sua adorata mogliettina approfittava dellevidente abbassamento di guardia, per tentare un affondo.
Vedi come si muore! La nostra vita è una spiga di Ristuccia carezzata dalla brezza della Primavera: basta un soffio di levante e la sradica dal corpo. Perché renderla più amara con pregiudizi superati e chiusure? Perché vuoi vietare alle tue figlie di cercare, a loro modo, la strada per essere felici e amareggiarti la vita tu stesso?
Anche Lucia era decisa a far valere le sue ragioni.
Io amo Ninì, lasciamelo sposare!
E Ninì non balbettava più! Scandiva impegni solenni e chiari.
Anche io amo Lucia, perciò amo anche la Sicilia! Ti prometto che ai tuoi nipoti insegneremo il siciliano!
Ippocrate Cagliostro non si era mai sentito così debole. Quasi un comunissimo mortale. Come se lelisir ingurgitato avesse fatto cilecca. Questeventualità lo rendeva triste. Sbigottito. Vuoto. Andò a cercare conforto nello specchio, che gli rimandò implacabile limmagine di un vecchio, incerto, prigioniero delle sue paure. Vivo e morto. Incerto di sé. Un attimo di sospensione. Angoscia e resistenza. Nulla nel corpo. I suoi capelli stavano diventando più scuri ed i suoi occhi neri. Il ferimento di Efesto, come ogni evento, poteva essere una fortuna. Una terribile percezione di vulnerabilità. Unoccasione singolare per invertire un processo di sfaldamento. Un incontro preciso e conturbante. Il vuoto non può ferire il vuoto. A patto di concentrarsi e reagire tempestivamente. Cercò di darsi una smossa.
	Cagliostro, ma che ti sei rimbambito? Dopo avere attraversato gli abissi della Storia ti perdi in un bicchiere dacqua? Rinsavisci! Ritrova il senso della tua eternità razionale! Torna ad essere un torrente in piena che trascina la vita. A curare i più grandi mali. La crisi. La pazzia. Di questo hanno bisogno i tuoi amici, la tua famiglia, la tua stessa adorata Sicilia!
Ognuno può essere un altro, ogni qual volta lo vuole. Simultaneo a se stesso. Senza escludere alcun elemento. Unassenza può farsi perdono. Accettazione. Morte e rinascita. Rinsavimento. Si può amare anche un'ombra. Nell'oscurità provvisoria. Prese dal cassetto della scrivania un ramo di acacia e lo sollevò nellaria grigia del cortile. Da grande iniziato. Si può pensare e vivere senza essere se stessi. Uguali. Estinguersi nel nulla. Fra due cerchi accecanti. Si avvicinò ad Efesto e gli fece sopra un segno di croce. Un Rito di morte e di vita. Immerso nel suo pensiero tornava colui che desiderava Risentiva affluire in sé, nei suoi gesti, nelle sue mani tutta la sua potenza di guaritore.
- Ed ora svegliati, alzati e cammina!
Istantaneamente Efesto si rizzò in piedi tra lo sbigottimento generale.
- Gesù e Maria! Gesù e Maria! Come lo ha guarito?!
Efesto si avviava fuori del cortile, ancora stordito e barcollante.
Mi sento la testa come una fontana, ma sono vivo e lemorragia mi si è fermata senza darmi un punto!
Ippocrate lo richiamava. Era come se un altro, ammansito, lo attraversasse. Se morisse nel vuoto. Con il granulo del cuore. Palpebre e ciglia vibravano sospese.Il corpo fracassato sotto pastiglie di luce. Ricoperto di polline, ceneri e scorticature. Nel paesaggio che si sbrinava. Nello sfumato. Nel nulla.
Efesto, amico mio, dove vai? Non ho ancora finito...
Geltrude non intendeva associarsi al plauso generale.
Se ne va, se ne va e fa bene! Se non ti dai una smossa anche i tuoi Dei ti abbandonano. Svegliati! Non vorrai certo che me ne scappi! Con me ti conviene abbassare la cresta!
Alì Salem aveva riacquistato tutto il suo smalto.
Mio nonno materno, nobile africano! Io non uccello ... io famiglia elefante bianco!
Ippocrate appariva rinfrancato. Aveva riconquistato il pieno dominio di sé. Era una sorta di imbuto sospeso nel tempo. Verso l'ambra e il verde.
Lascia perdere questi riferimenti bestiali! I soprannomi di animali e di piante non sempre sono un segno buono!
Bastiana sapeva bene come finire di scioglierlo. Staccarlo. Oltre il suo essere mente e corpo.
- Ippocrate, questo nostro vivere è sempre un convivere; questa nostra libertà è sempre un soffrire, rinunciare e servire. Noi siamo destinati a scontare i nostri egoismi, a lacerare i nostri particolarismi, la nostra stessa singolarità, se vogliamo coesistere con gli altri.
Pressato da tutti. Azzittito. Sospeso su di un vuoto sconosciuto. Tra celle e teche. Colate vive di sabbia e di squame. Bagliori prigionieri di pugni chiusi. Ippocrate esplodeva.
- Non stuzzicarmi più! Basta con questi ritornelli! Non farmi delirare!
Ma sua moglie ormai non si fermava più di colpirlo nei suoi rimorsi. Di ridestare ogni sua rimozione.
- Tutta la vita è ricerca, eterno viaggio, per chi vuol porre il suo nido nel rifugio della primavera. Non vi è un giardino nel mondo, dove l'aprile e le rose sospirino immuni da morte. Non vi è un Eden dove il Bene assicuri frutti: la felicità è una stagione che, appena si trova, è sfiorita; la primavera trascorre in ogni nostro viaggio. Non guastare la Primavera di questi ragazzi! Non vedi come la nostra vita ha ormai il giallo delle foglie autunnali? Non buttare giù dallalbero anche il loro nido di sogni e di favolose illusioni.
Tagli con le forbici. Ruote piene di occhi. Improvvisamente Ippocrate cambiava tono. Quasi vivesse di nuovo la propria morte. Autonomamente. Senza coazione.
- Basta! Mi avete convinto! Chi ha fatto ha fatto, basta che ci sia la pace! Non voglio essere guastafeste per nessuno! -
Con un sorriso disteso ed aperto si rivolgeva alle figlie ed ai generi. Inventando un linguaggio di accettazione. Di attenzione. Di giustificazione. Senza i modi bruschi del suo sospettare. Disarmato e disarmante. Nell'acqua senza lido né scheggia.
- Venite, qui, lasciatevi abbracciare! Avete tutti il mio consenso e la mia benedizione.
Nel cortile si levavano grida di esultanza. Ippocrate veniva meno. Opaco e sonnambulo. Senza morire nel concreto. Oltre i golfi d'acqua che riardeva. Una specie di inclusione dissolvente. Di dolce assimilazione. Agli spazi interni del vento. Smentendo la sua presunta tirchieria porgeva un blocchetto di assegni alla moglie.
- Anche per te, Bastiana, da domani esisterà linfinito. Ti potrai svegliare al canto del gallo, senza angoscia. Certa che ti sto dormendo accanto. Ti do questo blocchetto dassegni fresco. - giocherellava a ritrarlo e ad offrirglielo - Te lo do? Te lo do?&ldots;così ti potrai scapricciare!
Scherzava nel clima di riconquistata armonia familiare. Caracollava su un cocuzzolo né ripido né blando. Senza soluzione di continuità. Nellincendio del sole morente sul cortile. Nel tenero verde del mandarino. In dissonanza con il piacevole blu del mare. Aperto e selvatico. Baluginante tra le foglie del fico. A demarcare il muro invalicabile del cortile. Tra le ali tese e mutile dell'albero di spezie. Lillusione di un bagliore. La flessuosa rotondità dello spazio chiuso che sembrava assumere forme geometriche. Lineari. Simmetriche e quadrate. Ma il diavolo fa la pentola e dimentica di chiuderla con il coperchio! Inaspettata, Filomena sopraggiungeva nel cortile. Saettante. A smembrare quel muro. Quasi svestita. Con una provocante minigonna ed una camicetta scollatissima. Aurora del senso. Di un esistere pecioso e berciante. Tutti si bloccarono estasiati ad ammirarla, ma Filomena non si lasciava intimidire. Un acino di mandorlo tra i denti. Come se gli altri non ci fossero. Un'iridescenza frizzante. Di oblio. Di transizione. Di intervallo. Di slittamento. Completamente disinibita. Diretta sulloggetto del desiderio. Come una zolla di terra bagnata.
	Dottorone mio! Ho finito le supposte effervescenti di aspirina!
Ippocrate Cagliostro ancora studiava la risposta più opportuna. Un punto instabile di suoni e sensazioni. La ragazza guardava perplessa la scena finché non incrociò il suo sguardo birbantesco e smaliziato. Ai Siciliani non serve la parola. Un lampo degli occhi è più che sufficiente. Gli sguardi generano storie. Il linguaggio è assenza. Nullità. Dolore e piacere risiedono nell'attimo. Nel sottile e trasparente precipitare del tempo. Nell'acqua che sfugge. Quasi fredda. Un po salata. Bagni rivelatori. Nel senso pieno della sospensione. Il battito è la vita.
- Magari, per approfondire la visita, ripasso più tardino?!
Nelle ultime carezze del sole, il fragrante mandarino saraceno appariva stralunato. Spaurito. Rimbecillito. Troppo a lungo lusingato, blandito e lisciato dalle umane affezioni. Circuito da furtive attenzioni. False tenerezze. Sdolcinate. Orribili pietà. Finalmente stravolto. Ridimensionato nella sua condizione coatta di mandarino domestico. Isolato e indifeso. Carcerato di un cortile. Come Bastiana dei suoi gioielli. Come Rosina della sua passione. Come Cagliostro della sua Sicilia. Dei suoi incantesimi. Galere dorate. Ma pur sempre prigioni. Assediate dagli oggetti. Da legami associativi e schematizzazioni. Da certezze barcollanti. Da vanità inamovibili. Superbie paurose. Forme vuote. Vacue. Ombre minacciose. Piani divisi allinfinito. In una differenza abissale. Per picchi di pensiero. Era come se Ippocrate si spogliasse di ogni sua traccia ancestrale. Nella frammentazione della mente. Nel delirio dellirrazionalità. Nella condensazione della ragione. Trasfigurazione e redenzione. Al di là di ogni limite intrinseco. Nell'inerzia del pendolo. Nella magnificenza di esistere. Di respirare in un paese di sogno. Nel quale per tutto l'anno sono sovrani la primavera e l'estate. Dove nell'inverno giogaie increspate e dentate sono smaltate di boccioli odorosi. Dove è possibile incoronare di rose in fiore l'albero di Natale. Il Paradiso qui, sulla crosta terrestre, è la Sicilia. Un soffio. Un lampo. Anime irrisolte di navigli. Nella quiete della notte, il mare suona una nenia malinconica sull'arpa tesa tra mitici faraglioni. La mente apre le labbra chiuse. Ciascuno cementa se stesso. Qui ogni ciottolo racconta una vicenda, ogni filamento d'erba ha un gorgheggio, ogni finestra un amore. Questo è l'unico cantuccio della terra da cui si può dialogare con tutti gli astri. Nobile e viandante. Sentiva tutti gli uomini come suoi fratelli. Tutti i popoli e i paesi gli erano cari, ma questa era la patria in cui Ippocrate aveva scelto di vivere e morire. Immerso nel suo cielo. Come un corvo che piroetta nellaria. Nella luce bassa a filo d'orizzonte. Nel torpore gialliccio dei paeselli di tufo. Tra macchie di rovi come un lupo errabondo. Nelle radici che si infiltrano infide negli spacchi, esplodendo di fibre e di orditi. Per ricominciare ciò che finisce senza finire. Perdersi per ritrovarsi. Disciogliersi. Come il suono di un mantra nel vento. Per reintegrarsi. Sull'erba penetrante per ruzzolarsi e corrervi come un puledro. Nell'acqua trasparente per guizzarvi dentro come un pesce. Orrore e bellezza, banalità e sublime sfumavano come un singhiozzo in un sorriso. Ippocrate sentiva fremere in sé qualche cosa di ciascuna specie di animali e di tutti gli istinti e i caotici desideri delle creature inferiori. Un amore impulsivo. L'ambizione irresistibile di riscoprire l'unione originale del reale. Un sentimento profondo dei diritti delle essenze della terra e del Cielo. Immaginazione, desiderio e volontà. Amando d'un amore bestiale tutto ciò che viveva e germogliava nella sua isola. Tutto. La statua enigmatica e la pietra che si sfaldava. I giorni e le notti. Le pietre dei templi drizzate nei latrati come cani incatenati. I fiori e le tempeste. La spiga carezzata dalla brezza e baciata dal sole. I fichidindia spinosi e i cardi secchi. Gli sterpi dei boschi e gli incendi delle aurore. La sbirciata mesta e la carne smaniosa dei suoi abitanti. A testa alta verso la vita. A sbarbare il baleno cosmico dell'occasione prestabilita. Sognando di affogare ogni sua uggia nella grazia inimitabile della sua ardente terra. Consapevole delle proprie forze. Del loro gioco e del loro limite. Sicuro di non rinvenirsi mai più nelle tenebre senza ritorno. Di riappropriarsi per sempre del suo spirito vitale e dei suoi sogni. Nel tempo e nello spazio senza frontiere.
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INDICE
Capitolo I Né in cielo, né in terra pag. 2
Capitolo II Tra amarezze e bagliori pag. 26
Capitolo III Un timido amore pag. 54
Capitolo IV Elisir pag. 61
Capitolo V Un amore spaventato pag. 65
Capitolo VI Una spiga nel sole pag. 74