Flambèe

 

Dall'andare di un mare di gente vengono onde colorate a tinte forti. Sono maschere italiane che si rompono sullo scoglio della rapidità. Io vivo in riva ad un lago e conservo i frammenti che arrivano a me. Questo scrivo il 31 dicembre 1994 guardando le palle di un albero addobbato con grazia ed approssimazione. Sono una persona giovane, mi riconosco in Brighella ma vesto come Geppetto. Ho preparato un distintivo da poliziotto aspettando questo carnevale. Il mio compito è semplice. Devo portare fuori da qui una creatura che faceva il parrucchiere per signora. Ad una cliente ha fatto lo shampo con la benzina. Poi con un fiammifero e gridando "flambèe" le ha procurato dolorose ustioni. Devo portarlo fuori senza farlo alterare. I miei pensieri lo inseguono da giorni e adesso è carico d'ansia. Mi sento responsabile di lui e so che fuori non avrà vita facile. Lo attendono giudizi severi. Tutto è iniziato con una comunicazione, un preciso indirizzo, un gradito invito. La creatura deve essere fermata, nel rispetto delle regole. I Commissari hanno bisogno di me, io solo posso portarlo a loro. Ma in questo carnevale la mia lucidità è a pezzi. Vedo nuovi modi di essere, diversità che si riconoscono: un cardinale in danza, un arlecchino che non scherza, una pera di gommapiuma. E poi c'è questa creatura capace di burlarsi di chi lavora con intenzionalità. Più di così non verrà fuori. E' ora di spiegare. Sono i primi istanti del 1995. Nel paese dove vivo si saluta l'anno nuovo ed io penso al carnevale. E' un carnevale tra gli scogli del mare, tra la rapidità della gente. E' un incontro di coriandoli nati in fabbrica e non dalle mani dei bambini. Vanno veloci ai quattro venti, incontro alle maschere emarginate. Sono le maschere popolari, allontanate da quelle popolaresche. L'amore per la rapidità sta uccidendo un vecchio detto: "Chi va piano va sano e va lontano". In questo periodo dove tutti si sforzano di dare seri e credibili contenuti al proprio prodotto è arrivato un parrucchiere così stravagante da spingere ogni signora a pensare da quali mani si fa lavare. Un parrucchiere non vero.


Bambina sola

nel diritto all'accesso d'acque sopraffini, senz'oli petroliferi

d'Aosta ad Ostia come d'Arona a Roma

 

V'era ad una svolta, della strada con un quartiere da poco in periferia, una bambina con la ruzza, con un bel taglio di capelli alla maschietta scalato, a tratti carré sfilato. Una bambina vivace, rinsavita e strigliata, che aveva eletto a matrigna cara una educatrice vocata al contenimento e superamento di situazioni critiche in ambito di disagio minorile. La casa-famiglia dove vivevano, avviata da tempo al degrado, sorgeva in una zona insalubre, soprattutto d'estate, a causa di oggetti e contenitori abbandonati al cadere delle acque piovane; vicina a tanti tombini mai trattati con prodotti larvicidi, in cui dal ristagno si creavano sciami di zanzare tigri grandi, pericolosi, roboanti. Pomate e retine facevano parte del loro vivere ed il posto migliore dove passavano il tempo era un monastero poco lontano, posto in alto rispetto all'abitato. La bambina attendeva di ricongiungersi alla sua famiglia d'origine perché le sue figure di riferimento erano al momento instabili. I suoi genitori si erano sposati da poco, dopo un fidanzamento travagliato. Aiutati dai servizi sociali e dalla chiesa metropolitana si erano decisi a crescere per la via della giusta genitorialità.

Quando accadde quello che spinse la bambina a usufruire dell'aiuto delle forze dell'ordine era domenica mattina. L'educatrice eletta a matrigna stava facendo la pasta fatta in casa e mancava l'acqua potabile. Quella che usciva dal rubinetto, lì nell'acquaio dove la notte le formiche andavano a ripulire tutto, era marrone. Davanti alla farina a fontana, lì sulla spianatoia, attratta dal vuoto in cui si rompono le uova, visto che gli altri bambini se ne stavano purtroppo indisponenti a guardare senza voler aiutare, lei si era decisa ad andare a prendere una caraffa d'acqua di nascosto, per fare una sorpresa a tutti. Dopo aver chiesto il permesso di andare in bagno, con grande abilità neuromotoria, arrivò rapidamente all'ingresso laterale del monastero, quello che dava sull'orto botanico, tutto medioevale, dove c'era un ruscello ed uno stagno. Sapeva per certo della presenza di una fonte d'acqua antica e buona, di proprietà monacale, contesa a livello consortile pluri-municipale. Aveva assistito di persona all'imposizione dei sigilli per fini pubblici da parte dell'autorità civile, all'attuazione d'una recinzione in plastica arancione. L'unica cosa che la teneva in soggezione era il non ricordare la posizione di una fenditura che permetteva alla comunità religiosa l'ufficioso esercizio di un suo diritto all'utilizzo. Una fenditura che in un quatto quattro e quattr'otto le avrebbe permesso di attingere acqua, o da una cisterna o da un pozzo.

Per il brutto scherzo che gioca l'emozione della soggezione, tra le due porte che poteva scegliere, la piccola scelse quella sbagliata e si ritrovò subito persa in sciatte sale e corridoi freddi, in un'ala del monastero troppo grande persino per un adulto pratico del posto. Impaurita, incapace di orientarsi, pur volendo star ferma prese a correre, a correre a più non posso, con la caraffa in mano e urlando. E non la trattennero le transenne, non fu bloccata dall'oscurità. Schivato un chiostro luminoso e in degrado finì la sua corsa nella eco-lavanderia del monastero, accanto ad un gioiello di lavatrice tecnologica capace di lavare senza detersivi e risciacqui. Gli ioni pulenti prodotti attraverso l'elettrolisi, il carbonato di calcio impiegato come catalizzatore, non la tranquillizzarono quanto il pensiero che qualcuno sarebbe arrivato a riprendere i panni. Tra il rumore dell'acqua ionica e la soda passò così la tarda mattinata e quando l'ora del pranzo fu per lei l'inizio di un pesante silenzio già le forze dell'ordine erano all'erta per cercarla.


di Francesco Massinelli leggi anche le poesie