PROLOGO

Quante storie ci sono a questo mondo&ldots; storie grandi e piccole, storie affascinanti e suggestive e storie apparentemente ingenue e insignificanti&ldots; Ma tutte celano messaggi preziosi e importanti; tutte, come le ostriche in fondo al mare, nascondono perle di saggezza che aspettano solo di essere scoperte e portate alla luce. Sta a noi, poi, ignorarle o farne tesoro.

Purtroppo nella nostra epoca, ubriaca di immagini fantasmagoriche e di effetti speciali, dove per far rumore bisogna gettare bombe e per farsi amare esibire un bell'involucro, non importa se vuoto, ci capita spesso di passare davanti indifferenti ad un barbone che muore di fame e di freddo, di calpestare i sentimenti e di ignorare le cose semplici, senza immaginare quali meravigliosi tesori potrebbero riservarci.

Così mi è accaduto, l'altro giorno, di scorgere nel traffico frenetico di tutti i giorni, che porta via gente, macchine e cose, due graziosi orsacchiotti che guardavano per terra. Stavano fissando una piccola margherita che, per puro caso, era spuntata sul marciapiede a dispetto del cemento, e nessuno li aveva notati, né aveva notato la margherita; forse, chissà, avevano pensato di essere alle prese con una delle tante trovate pubblicitarie che ormai non incantano più, oppure con due bambini con indosso un buffo costume di Carnevale. Mi sono chinata su di loro, stupita, ed essi, per nulla impressionati, mi hanno sorpreso ulteriormente con una frase curiosa:

- Hai visto questa margherita? E' riuscita a nascere qui, sull'asfalto. Ha saputo sfidare il vostro progresso. Non ti sembra un inno alla natura, alla vita?

E parlavano con estrema naturalezza, come se mi conoscessero da sempre. Io li ascoltavo senza capire esattamente dove volessero arrivare con quella pittoresca ma oscura allusione; i due orsacchiotti continuarono:

- Così comincia ogni rivoluzione. Con una piccola cosa. Basta avere buona volontà e non demordere. Se si vuole cambiare il mondo, in qualche modo bisogna iniziare, noh?

Allora compresi e sorrisi.

Essi si alzarono insieme, come d'intesa, e risposero:

Li invitai ad accompagnarmi nella mia passeggiata, mentre parlavano. E, camminando per le vie della città, squadrati di tanto in tanto dallo sguardo contrariato di un vigile, di una vecchietta o di una donna intenta a spingere avanti il passeggino, venni trasportata per qualche istante in una vicenda magica e tragica, dai contorni talmente sfumati da apparire inverosimili. E imparai molte cose, quel giorno, e la perla che avevo appena scoperto mi fece sentire ricca e felice, più ricca di tutti coloro che invece, presi dalla frenesia quotidiana e dalla perenne corsa all'oro, all'inseguimento di un arricchimento puramente materiale, non si erano fermati.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 1

La bella stagione era ormai finita, erano le ultime giornate di sole che settembre regala alla natura in attesa dell’inverno, e gli uccelli, fra le chiome spoglie degli alberi, salutavano cinguettando il miracolo di ogni anno, in virtù del quale la flora invecchia, perde i capelli, si sbianca e muore per poi tornare a rinascere. Le piante intrecciavano i loro rami nudi come se volessero stringersi fra loro per proteggersi meglio dal freddo: in realtà la loro fratellanza non conosceva tempo, in tutte le stagioni, nel bosco di Spigargento, gli alberi si tenevano per mano, ma era un prodigio che in autunno era possibile osservare più da vicino. Ai loro piedi, un orsacchiotto raccoglieva le ghiande da terra e le riponeva in un cestino infilato sotto la zampa.

D'un tratto qualcosa turbò la quiete della foresta. I passerotti di colpo tacquero, e l’orsacchiotto, messo in allarme, alzò la testa; si avvide allora che il suo pelo si era rizzato, come elettrizzato. Era l’avvisaglia di un evento insolito.

La bestiola, tuttavia, non si lasciò prendere dal panico, e all’apparizione dell’essere, invece di darsi alla fuga, rimase fermo nella radura, in attesa, mentre gli uccelletti volavano via, spaventati.

 

Il bosco proseguiva ancora per un paio di metri e poi terminava nel punto in cui cominciava la Valle. Già da lontano era possibile scorgere lo squarcio luminoso aperto dagli alberi che, come i tendoni di un sipario, si ritiravano ai due lati rivelando la scena. Ed era una scena idillica e fiabesca, quella di un mondo animalesco dove tutti lavoravano e si volevano bene, e dove i sentimenti umani come l’odio, l’invidia, l’avidità, erano del tutto sconosciuti.

L’Orsacchiotto dopo qualche esitazione aveva esaudito la richiesta della straniera di essere condotta in quel posto, ligio al comandamento della comunità che imponeva l’ospitalità in quanto sacra, e ora si trovava a dover fare i conti con la visibile curiosità dei suoi compagni.

La sconosciuta era alta, altissima (più di un metro e mezzo), con zampe molto lunghe e del tutto prive di peluria, e una strana stoppa scura che le scendeva giù dalla testa, anche questa alquanto strana.

Gli Orsacchiotti le si fecero intorno e presero ad annusarla incuriositi: l’essere aveva, oltre al bizzarro aspetto, un insolito odore. Portava un mantello rosso, una gonna dello stesso colore, una giacchetta verde e un paio di stivaletti marroni, e i piccoli abitanti della Valle sulle prime si mostrarono un po’ sospettosi. Ma per fortuna la nuova arrivata sembrava tutt’altro che inoffensiva: non solo si lasciò fiutare senza batter ciglio, ma il suo volto, visibilmente intenerito da quei piccoli fagotti di pelo che l’avvicinavano e le si arrampicavano addosso, si atteggiò ad un caldo sorriso, e presto essa parlò:

- Chi è che comanda, qui? – chiese dolcemente, accarezzando uno degli Orsacchiotti per dimostrargli la sua simpatia.

Gli Orsacchiotti si scambiarono una rapida occhiata, come se dovessero decidere a chi toccava di presentarsi al cospetto dell’imperatore Stefano.

Prima di partire in direzione della tana reale, il prescelto si volse ancora un volta verso la sconosciuta, per esser sicuro che non si trattasse di uno scherzo. Ma non c’erano dubbi: il suo sguardo, sorridente ma serio, dava ad intendere di non ammettere repliche. Convinto, l’Orsacchiotto girò le spalle al gruppo e si allontanò a balzi per assolvere il suo compito.

Informato dell’accaduto, Stefano si mostrò, come sempre, saggio ma niente affatto arrogante: chiese all’Orsacchiotto tutto ciò che questi fosse in grado di dirgli sulla sconosciuta (che non era molto di più di ciò che lui aveva visto), e quando seppe che le sue intenzioni non parevano affatto malvagie, ci rifletté un po’ su, quindi si decise ad andarla a vedere di persona (se così si poteva dire).

Nel frattempo, la fanciulla veniva fatta oggetto delle domanda più astruse da parte degli Orsacchiotti, soprattutto dei cuccioli, che a stento riuscivano a tenere a freno la loro curiosità; domande tra cui si destreggiava sorridendo e distribuendo coccole e vizi a destra e a sinistra:

- L’ho regalata a un povero orsacchiotto che era senza, e ora preferisco portare questi, che erano i vestiti di mia nonna!

- L’ho portato via a un uomo cattivo che lo agitava davanti a un toro. A me non piace veder maltrattare gli animali.

- Sono fili che tengo per gli uccellini: quando vogliono farsi il nido vengono da me, e io ne regalo a tutti. E non finiscono mai!

In quel momento sopraggiunsero Stefano e il suo messaggero: il primo era un orsacchiotto come gli altri, ma la fanciulla riconobbe subito in lui e nel suo portamento dignitoso la figura dell’imperatore degli Orsacchiotti.

- In cosa posso servirla? – domandò Stefano in tono rispettoso e per nulla intimorito.

- I miei ossequi, maestà – rispose la straniera senza che nelle sue parole vi fosse ombra d’ironia. Gli occhi degli astanti erano ormai tutti calamitati su di lei.

- Io sono la Protettrice di Orsacchiotti. Ho saputo, non chiedetemi come, dell’esistenza di questa landa isolata, e mi sono chiesta se non avevate bisogno di un’eroina che vi difendesse.

La prima parte del discorso aveva già sollevato un coro di meraviglia presso il popolo degli Orsacchiotti; ma le altre parole furono sottolineate da uno scroscio di risa a malapena contenute; fu necessario l’intervento dell’imperatore per riportare l’ordine nel branco.

- Lei dunque ritiene che a noi sarebbe necessaria una&ldots; protettrice? – chiese questi senza scomporsi, malgrado il mormorio ondeggiante che correva intorno a lui, e sulle ali del quale le insinuazioni dell’ignara fanciulla fluttuavano come un gas esilarante – Non sa che questa è un’oasi di pace? Qui non girano né belve feroci né malintenzionati. Noi Orsacchiotti viviamo tranquilli e felici senza bisogno di niente né di nessuno.

- Ma voi non avete mezzi per difendervi – continuò la Protettrice – Forse non è mai successo&ldots; ma se capitasse di qui qualche bestia pericolosa? Voi, lo capisco, rappresentate il candore, l’innocenza del mondo animale; ma io rappresento la civiltà, l’efficienza di quello umano, e mettendo la seconda al servizio del primo potremo stabilire un buon rapporto d’interscambio vantaggioso per entrambi.

L’ondata d’ilarità crebbe nelle file degli Orsacchiotti mettendo in imbarazzo la malcapitata, che si era aspettata un’accoglienza ben diversa; l’imperatore, sempre mantenendo una mirabile padronanza di sé, cercò di giustificare quella reazione e di farle capire nel modo più diplomatico possibile quanto ridicola suonasse, ai loro orecchi, quella sfilza di paroloni:

- Io non comprendo cosa lei stia cercando di dire – disse con calma – Capisco solo che le sue intenzioni sono buone, e la ringrazio. Ma, come le ripeto, noi stiamo bene così. Se vuole essere nostra ospite per un po’ di tempo o, addirittura, vivere con noi, sarà la benvenuta. Ma non si spinga oltre: glielo chiedo per favore, senza imporglielo. Ho sentito brutte voci sul conto degli uomini; da qui non sono mai passati, ma da generazioni si tramandano storie orribili in proposito e non vorrei, con rispetto parlando, che la sua venuta fosse per noi un male invece di un bene.

Detto questo, l’imperatore si congedò fieramente, lasciando la Protettrice in balia delle risatine dei cuccioli e degli sguardi scettici degli adulti che erano subentrati all’iniziale curiosità, ora che la misteriosa visitatrice era stata meglio inquadrata. Questa rimase per un attimo in piedi in mezzo alla radura, con la delusione e la perplessità dipinti sul volto; a scuoterla fu un cucciolo che, tirandola per il mantello, le chiese sarcasticamente.

- Ehi, Protettrice, la tua pelliccia l’hai regalata a un orsacchiotto, vero? E visto che io sono freddoloso, posso prendermelo, questo?

- Ehi, Protettrice – fecero eco altri due Orsacchiotti – e noi possiamo prenderci i tuoi stivali per giocare alla corsa nei sacchi? Noi non abbiamo i sacchi, lo sai, non siamo civili come voi&ldots;

- Sì, pigliateveli&ldots; ma&ldots;ehi! Un momento! – aveva appena realizzato di essere vittima della derisione generale, che già i due pestiferi se la stavano filando saltellando uno per stivale, e così veloce che la Protettrice, a piedi scalzi, riusciva a malapena a star loro dietro. Annaspando, inciampò malamente in una radice e, mentre era ancora a terra dolorante, si sentì strattonare i capelli.

- Ehi, amici pennuti! Cercate del materiale per costruirvi il nido? – squillò un’altra vocetta infantile, dietro di lei – Allora fatevi sotto: offre la Protettrice!

La Protettrice ebbe appena il tempo di cacciare un urlo: uno stormo di uccelli impazziti si stava abbattendo su di lei come se avesse appena avvistato una preda.

Un nuvolone fumettistico avvolse allora una strana scena, nella quale quella che fino a pochi istanti prima era parsa una creatura angelica si era ora trasformata in una furia indiavolata, intenta a lottare come un’ossessa per difendere i suoi capelli da quei volatili chiamandoli con appellativi ben poco gentili, e l’attenzione degli Orsacchiotti si spostò nuovamente su di lei. Ma l’impressione che suscitò questa volta fu di contrappunto, anzi, di disgusto.

- Venite via, bambini – dissero, raccapricciate, le madri trascinando via i piccoli, che le seguirono di malavoglia ("accidenti, proprio ora che cominciavo a divertirmi!") – S’è fatto tardi, e poi questo non è spettacolo per voi.

La Protettrice era rimasta a terra, malconcia, spettinata e ricoperta di piume, ma raggiante per l’esito della lotta: era riuscita a strappare ai suoi aggressori ben tre capelli dal becco! Ma l’atteggiamento delle Orsacchiotte le ricordò che aveva un’immagine da difendere: di colpo tornò in sé, si alzò, si ricompose e, volgendosi agli abitanti della Valle, declamò:

 

- Signori, suvvia, cos’è questo fuggi-fuggi? Sapete meglio di me come funziona la natura: è la lotta per la sopravvivenza, che tutti ben conoscete. Ma non temete: non mi azzarderò mai a fare del male a nessuno dei vostri cuccioli; so che siete buoni e innocui. Per dimostrarvi che sono vostra amica, vi canterò una canzone!

E imbracciata la chitarra, l’"arnese" misterioso su cui l’avevano interrogata gli Orsacchiotti, intonò, suo malgrado, una melodia sgangherata e grottesca che, invece di dar voce ai suoi nobili propositi, servì a metterla ancora più in ridicolo:

Sono la Protettrice di Orsacchiotti,

sono qui per protegger gli Orsacchiotti

e per portar tra voi la giustizia

trallalallà&ldots;

Scuotendo la testa, gli Orsacchiotti, stavolta senza distinzione fra grandi e piccoli, si allontanarono, inghiottiti dalla notte che cominciava a dipingere di nero il cielo della landa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 2

Nella Valle degli Orsacchiotti era in corso una bella festa e la Protettrice era stata invitata dall’imperatore a parteciparvi, ma ella si sentiva talmente demoralizzata per gli avvenimenti del giorno prima che preferì starsene in disparte, con la sua chitarra.

Era riuscita a recuperare il suo mantello, anche se tutto lacero; gli stivaletti le erano stati riportati dalla madre dei due Orsacchiotti e ora, contemplandosi da capo a piedi, così conciata, si domandava dove avesse sbagliato. Era arrivata tutta entusiasta, ansiosa di fare del bene a quel microcosmo popolato di esseri ingenui e indifesi; poi non solo era stata accolta con freddezza e con noncuranza, ma quei mocciosi le avevano riservato un trattamento impertinente, che si sarebbe aspettata solo dai cuccioli d’uomo. In quel momento tutti i suoi buoni sentimenti erano spariti, lasciando il posto alla sua indole impulsiva. E adesso chi l’avesse vista non avrebbe mai riconosciuto in lei l’eroina buona di ventiquattr’ore prima, né fisicamente né moralmente.

Avrebbe voluto farsi perdonare, ma in che modo, se gli Orsacchiotti rifiutavano il suo aiuto? Forse doveva cogliere l’occasione per dimostrar loro di cosa era capace, e di quanto poteva rendersi utile.

Proprio mentre ragionava così, sentì odore di bruciato.

Sapeva che era nella tradizione "popolare" della Valle accendere falò di sera, in occasione delle feste, ma le sembrava che il crepitio provenisse da lontano, dalla direzione del villaggio. Colta da un impulso d’angoscia frammista alla gioia di poter finalmente dar prova della sua efficienza, si levò in piedi e si slanciò verso il punto in cui riteneva si annidasse il pericolo.

Era effettivamente una casa quella che stava bruciando, e tutto il popolo degli Orsacchiotti faceva capannello lì attorno. La Protettrice si fece strada fra i piccoli abitanti del villaggio, nel disperato tentativo di raggiungere e di domare l’incendio. Era talmente allucinata da quella visione e dal desiderio di far bella figura che non si accorse che le espressioni che la circondavano non erano affatto intonate alle circostanze di quella che lei considerava una grave disgrazia.

Impugnando un secchio d’acqua, lo gettò sul fuoco, poi lo riempì e lo vuotò di nuovo, e continuò così una terza volta, una quarta, una quinta, fino a che le fiamme non furono sparite del tutto e non s’intravide la sagoma nera della casetta bruciata. La Protettrice sorrise, soddisfatta, e già si aspettava di essere colmata di gratitudine per il suo gesto eroico&ldots; e invece il muto commento che lesse nei musi degli Orsacchiotti la rigettò nuovamente in preda alla confusione.

"Dove ho sbagliato?" si chiese.

- Quella era una casetta abbandonata – osservò un Orsacchiotto anziano, impietosito, rispondendo al suo sguardo interrogativo – e ogni anno c’è l’usanza di dar fuoco ad una casa abbandonata, per ricordare un famoso incendio scoppiato vent’anni fa, dove un’intera famiglia venne portata in salvo grazie all’intervento di un coraggioso Orsacchiotto.

- Un orsacchiotto coraggioso?!?! – esclamò incredula la Protettrice, con aria smarrita. Era vero, dunque: il suo aiuto non era affatto necessario, lì. Gli Orsacchiotti, per quanto piccoli e apparentemente docili, sapevano cavarsela benissimo da soli, lottare contro le forze della Natura e, forse, anche contro gli animali feroci.

La poveretta si ritirò sconsolata, accompagnata dalle sghignazzate dei piccoli Orsacchiotti. L’imperatore, bonario come al solito, lasciò correre e seguì preoccupato con lo sguardo la lunga figura che si allontanava, disegnando un’ombra ancora più lunga per terra. Ma l’Orsacchiotto che aveva parlato rivolse un’occhiata severa ai monelli, che bastò a metterli a tacere più di mille discorsi. Gli Orsacchiotti si resero conto di essere stati troppo maligni. Decisero che dovevano farsi perdonare, in qualche modo.

Il giorno successivo la Protettrice, nella casetta che le era stata assegnata nel villaggio, fu svegliata da delle voci stridule provenienti da fuori.

Uscì, e vide un Orsacchiotto che scappava fra gli alberi, in cima a una collinetta, inseguito da un lupo:

- Aiuto, Protettrice! Aiuto, mi vuol mangiare!

La Protettrice esitò un momento, indecisa se intervenire o no. Si guardò intorno: gli Orsacchiotti sembravano indifferenti alla scena, impegnati nelle loro faccende quotidiane; alcuni passeggiavano tranquillamente per la Valle come se niente fosse. Tanto cinismo la lasciò interdetta, e la prima cosa che provò questa volta di fronte alla nuova occasione che le si offriva di sbaragliare beffe e pregiudizi, fu costernazione. Dov’era finita la filosofia di bontà, di solidarietà e di coraggio di cui gli Orsacchiotti avevano fatto la loro bandiera? Nessuno si muoveva in aiuto di quel povero cucciolo: si comportavano tali e quali agli essere umani!

Indugiò ancora un attimo, un po’ per la sorpresa, un po’ per essere certa di non agire inopportuna, quindi si decise. Brandendo il suo "arnese" (che ora doveva assolvere le funzioni di arma da combattimento), si avventò sul lupo famelico, gridando:

L’Orsacchiotto si fermò di botto nel prato sulle sue zampe posteriori, si volse e rimase ad assistere alla scena con un’espressione indecifrabile sul muso. La Protettrice minacciava l’animale spavaldamente, facendo roteare il suo arnese, e il lupo, reclinato all’indietro, ne osservava le evoluzioni più stupito che spaventato.

- Ah-ha, osceno decomposto organico, non ringhi più, eh? T’insegno io a dar fastidio a chi è più piccolo di te! Razza d’impunito che non sei altro, avvoltoio mancato&ldots;!

A questo punto la nostra eroina si arrestò, non perché avesse esaurito gl’insulti (in quel caso quel piccolo incidente si sarebbe rivelato provvidenziale per lei, poiché quella era una delle cose che più la seccavano), ma perché si era resa conto che qualcosa non andava. Lupo e Orsacchiotto continuavano a seguire il suo braccio nella sua folle giravolta, e fu allora che la Protettrice, volgendo gli occhi in su, si avvide che la chitarra era rimasta impigliata fra i rami di un albero e che il braccio girava a vuoto come l’elica di un mulino. Arrossì, abbozzò un sorriso che voleva quasi essere di scusa e, come un’attrice che ha sbagliato la sua parte, dopo aver recuperato la sua arma, si apprestò a riprendere la sua performance da dove l’aveva interrotta, con il beneplacito dei presenti.

E con un gesto netto e deciso, assestò un bel colpo sulla testa del lupo, mentre l’Orsacchiotto saltellava, esultante, agitando le zampette e strillando:

La fanciulla mandò un sospiro di soddisfazione e ripigliò fiato per proferire qualche frase di circostanza come "Oh, via, non ho fatto che il mio dovere&ldots;", mentre il suo cuore gongolava per la gioia di quella piccola rivincita.

In quella accadde qualcosa di strano. Il corpo a terra sembrava privo di vita, eppure in qualche modo si muoveva; la schiena s’incurvava, come in preda a chissà quali spasimi, e si percepiva un flebile mormorio da sotto la pelliccia: "Accidenti, però questo non era in programma, eh?" "No, ma che ne sapevo, io?" "E già, intanto la botta me la sono presa io, non tu&ldots;!". La Protettrice trasecolò e, prima che l’Orsacchiotto potesse fermarla, allungò una mano e si mise a frugare nel pelo del lupo (sotto il quale, nel frattempo, si erano andate disegnando due gobbe): vi trovò una cerniera, la tirò, e scoprì la piccola truffa che era stata architettata alle sue spalle. Due Orsacchiotti sbucarono fuori imbarazzati, con la faccia di chi è stato appena sorpreso a trafugare un barattolo di marmellata.

- Piccoli birbanti, ma che&ldots;! – proferì, girandosi ora verso di loro, ora verso l’altro complice, dietro di lei, che aveva riflessa sul muso la stessa espressione colpevole – Ma che impudenza! E io che ho pensato&ldots;!

La stessa Protettrice non sapeva che dire. Nel villaggio gli Orsacchiotti non si erano persi un dettaglio della scena.

Era stato tutto concertato, preparato, tutti avevano tramato spudoratamente alle sue spalle al solo scopo di farla sentire necessaria, importante. E lei non capiva se doveva commuoversi o irritarsi. Lasciò ricadere lungo il fianco il braccio armato e, prima di andarsene, fece una carezza ai cuccioli.

Si rassegnò. Erano bestie troppo intelligenti, oltre che coraggiose. Erano del tutto in grado di competere con lei e i suoi simili.

Tuttavia, non intendeva andarsene senza prima aver insegnato loro almeno qualcosa che ella considerava fondamentale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 3

- Vedete questo? – disse la Protettrice agli Orsacchiotti che, più divertiti che interessati, l’ascoltavano nella presentazione dei suoi bizzarri prodotti – Questo è un trapano elettrico. Permette di fare dei buchi senza la minima fatica. Avete presente il nostro amico picchio? Ebbene, questo aggeggio vi consente di perforare una superficie dura esattamente come lui: con la stessa velocità, con la stessa profondità&ldots; Capite? Noi uomini siamo riusciti, con la nostra intelligenza, ad inventare cose che supplissero a tutte le nostre lacune, che ci permettessero di fare quello che solo certi animali possono fare : volare, correre più forte, svolgere certi lavori più rapidamente&ldots;

- Scusa, Protettrice – intervenne un Orsacchiotto – scusa se t’interrompo, ma&ldots; che bisogno abbiamo noi dei buchi? A cosa ci servirebbero?

- Io lo so cosa sono – interruppe un altro Orsacchiotto, che voleva dimostrare di saperla lunga – Sono delle figure che gli uomini appendono al muro, delle figure fatte con dei liquidi colorati, che dovrebbero rappresentare i boschi, i monti, le colline, gli animali&ldots; Ma che ce ne facciamo, noi, dei quadri? Abbiamo un paesaggio vero che è cento volte più bello!

- O non sarà – continuò l’Orsacchiotto saputello, come se niente fosse – che voi poveri uomini tenete i quadri per nostalgia, perché in quelle orribili città dove vivete non avete più neanche un fiore da guardare? Perché l’unico modo per vedere fiori o alberi è in un quadro o in fotografia?

- Vabbè, lasciamo perdere – disse la Protettrice – per costruire le case dovrete piantare dei chiodi, noh? E il trapano ve lo permette senza alcuno sforzo!

- Noi le nostre case le facciamo con la paglia e coi tronchi d’albero, che piantiamo nella terra senza i vostri chiodi.

- Ma insomma, le porte, le finestre, i mobili, in qualche modo li fisserete, li terrete insieme, noh?

- No. Non li abbiamo nemmeno. In casa abbiamo solo un tronco, che usiamo come tavolo, e ci sediamo per terra.

- Non ci servono. Ma scusa, Protettrice, tu non eri quella che una volta portava la pelliccia, come noi, e che i vestiti li ha messi solo perché aveva dato la sua pelliccia in beneficenza?

La Protettrice arrossì e tacque.

- E quanto alle porte e alle finestre&ldots; Che bisogno c’è di serrare tanto le case? O non sarà che tra voi uomini c’è tanto odio e tanto egoismo che ci si deve difendere gli uni dagli altri come nemici, e difendere delle cose che in fondo non hanno nessun valore?

Visto che il discorso finiva immancabilmente per ritorcersi contro di lei, la Protettrice lasciò cadere l’argomento.

- Oh, no – esclamò il solito Orsacchiotto, a nome di tutti i presenti – Ma noi vogliamo comunque vedere come funziona. Coraggio, Protettrice, lo provi!

A quel punto la Protettrice si rese pienamente conto dell’assurdità di ciò che stava facendo: nella Valle degli Orsacchiotti non c’era nemmeno una presa dove attaccare il trapano, e si sentì di nuovo così fuori luogo che fu invasa da un impellente desiderio di scavare una buca di mille metri e di infilarvisi dentro.

Con le Orsacchiotte non ebbe miglior fortuna. Tentò di propinare loro degli arnesi da cucina, ma la sua dimostrazione sortì lo stesso effetto di quella del trapano: le Orsacchiotte non sapevano che farsene, perché la loro cucina non era elaborata come quella delle donne; si nutrivano solo di carne cruda o, al massimo, dell’erba dei boschi, naturalmente non condita. Quanto alla lavatrice e al ferro da stiro, riuscì solo a farle ridere, e quando provò a fare una dimostrazione pratica coi bagnoschiuma e con gli shampoo, l’Orsacchiotto usato come cavia si mise a piangere perché quelle strane sostanze gli davano bruciore agli occhi, e smise solo alla vista delle allegre bolle di sapone che si sollevavano dalla schiuma, giocherellone come tutti i cuccioli del mondo, prorompendo in bianche strida di meraviglia.

Morale della favola: la fanciulla alla fine della giornata si ritrovò al punto di partenza, con le pive o, meglio, con i suoi attrezzi nel sacco, invenduti: l’unica sua consolazione era quell’Orsacchiotto che, contrariamente al suo costume, non voleva più uscire dalla tinozza, dove gridava e batteva le mani, estasiato dal miracolo delle bolle di sapone.

Rimuginava ancora sulle sghignazzate degli Orsacchiotti e pensava:

"E meno male che non ho tirato fuori il rasoio depilatore!"

Si voltò a guardarli, mentre ballavano e saltellavano allegri, intorno al fuoco, intonando canzoni sane e del tutto prive di malizia.

"Ma come possono essere così felici?" si domandò ancora per l’ennesima volta, e per un momento le sembrò che il suo mondo stesse traballando insieme a tutte le sue regole, messo in discussione dall’incrollabile felicità di quello degli Orsacchiotti, e che tutto ciò a cui era abituata come qualcosa d’indispensabile fosse diventato di colpo superfluo e vacuo. Ma scacciò rapidamente quel pensiero, come un moscone importuno, e si fossilizzò ancora di più sulle sue convinzioni:

"No&ldots; ci dev’essere qualcosa di cui han bisogno, che noi possiamo insegnar loro&ldots; la loro dev’essere una felicità solo illusoria" e mentre era immersa in questi ragionamenti, sentì la voce vivace di un Orsacchiotto che la chiamava:

- Ehi, Protettrice, perché te ne stai lì in un angolo? Vieni a tenerci compagnia!

La Protettrice sorrise. Dopotutto, erano simpatici. Si alzò, e corse a prender parte alla festa, dove i piccoli partecipanti, già dimentichi della sua ultima gaffe, l’accettarono e la trattarono come una di loro.

- Ma insomma, cosa vai cercando, ragazza? – gli domandò a un certo punto Stefano, mentre erano seduti sotto un pino. Ormai anche con lei l’imperatore aveva abbandonato il lei ed era passato confidenzialmente al tu; era un segno di affetto e di considerazione da parte sua, anche se la Protettrice se ne sentiva un po’ urtata.

- Cosa vado cercando? – la Protettrice tornò ad assumere l’espressione smarrita che le procuravano le sempre più numerose sorprese della Valle, e che l’atmosfera della festicciola aveva momentaneamente mitigato – Io, niente; o, meglio, sto cercando, sì, di capire qual è il vostro segreto, cosa avete voi che noi non abbiamo; sì, perché dovete pur avere qualcosa in più&ldots; non ho mai visto nessuno, dalle mie parti, così felice! Eppure noi abbiamo tutto&ldots;!

- Tutto&ldots; - l’imperatore ciondolò la testolina in segno di paternalistica comprensione – Cosa vuol dire "tutto"? Per voi "tutto", da quel che ho capito, sono le cose materiali: soldi, gioielli, vestiti, marchingegni complicatissimi&ldots; tutte cose che noi non abbiamo. Sono dunque queste, secondo voi, che fanno la felicità?

- "Secondo voi": un momento, noi non siamo mica tutti uguali&ldots;! Siamo sei miliardi d’individui, mica possiamo essere tutti uguali!

- Nemmeno noi lo siamo&ldots; L’unica differenza è che voi lo fate credere: da quando sei arrivata qui, mia cara, hai fatto di tutto per imporci i "vostri" aggeggi, le "vostre" abitudini, come se voi tutti, dalle tue parti, foste veramente uguali.

- E in queste cose, in effetti, lo siamo, e io continuo a pensare che il vostro modo di vivere dovrebbe cambiare, è troppo arretrato. Vi rendete conto che in duemila anni l’uomo ha inventato cose importantissime, cose che hanno contribuito a cambiare tutto, sulla Terra, che hanno rivoluzionato la vita delle persone?

- Yawn! – sbadigliò, poco riverentemente, alle loro spalle, un Orsacchiotto, che aveva ascoltato l’ultima, pomposa, frase del discorso, e che si allontanò borbottando: "Ci risiamo&ldots;"

Stefano lo guardò, quindi si volse di nuovo verso la sua interlocutrice, a cui rispose con indulgenza, senza alterare il suo tono serio e pacato:

- Duemila anni&ldots; certo&ldots; ma a quanto pare, non vi sono bastati per imparare qualcosa che per noi è ben più importante: l’arte di amare. Sì, fanciulla, perché con tutta la vostra intelligenza, con tutte le vostre invenzioni, voi avete continuato a scannarvi e a farvi del male nei secoli dei secoli, e vi scannate e vi fate del male ancora adesso, solo che con sistemi più sofisticati&ldots; Non sarà – aggiunse riprendendo suo malgrado le parole provocatorie dell’Orsacchiotto che le aveva già chiuso la bocca durante la dimostrazione dei prodotti – che, impegnati com’eravate ad inventare sempre nuove cose materiali per "stare meglio", avete finito col trascurare quelle spirituali, e ora non riuscite più a volervi bene?

La Protettrice tacque. I discorsi e gli atteggiamenti dei piccoli abitanti della Valle riuscivano sempre a disarmarla, mentre avrebbe voluto essere lei a stupirli con le sue parole. D’improvviso il suo volto s’illuminò:

- Scommetto che non avete nemmeno delle leggi scritte! Che vivete nell’anarchia più assoluta! Ognuno è libero di fare quello che vuole, qui, vero?

Stefano lanciò un’occhiata agli Orsacchiotti intenti a ballare e a divertirsi nel bosco, e che di tanto in tanto gli mandavano qualche amichevole cenno di saluto.

- Non proprio&ldots; - ribattè più amareggiato che raggiante di doverle dare quella notizia: ora gli dispiaceva quasi deluderla – Aspettami qui.

E così dicendo, si assentò dignitosamente, mentre gli Orsacchiotti, sorpresi, si erano fermati e si stavano assiepando sotto il pino:

- Se tutto va bene, finalmente avrò vinto! – esclamò la Protettrice con un’aria trionfante, e già si figurava di ricevere le scuse dell’imperatore, che per farsi perdonare le offriva – ammesso che sapesse cosa fosse! – un contratto di assunzione come "protettrice ufficiale degli Orsacchiotti", perché ci voleva pure qualcuno che mantenesse l’ordine, lì! – Il vostro capo si è momentaneamente ritirato – aggiunse sfoderando un sorrisetto beffardo.

Gli Orsacchiotti stavano già chiedendosi l’un l’altro cosa si fossero detti poc’anzi la Protettrice e l’imperatore per provocare quella misteriosa assenza, quand’ecco Stefano ricomparire con un pacco di fogli sotto la zampa che subito la Protettrice, accecata dalla boria e dall’eccitazione, non notò, tant’è vero che si lasciò sfuggire immantinente un’esclamazione di vittoria:

L’Orsacchiotto, in tutta risposta alle sue maliziose parole e alla visibile curiosità dei suoi sudditi, le porse con semplicità i preziosi documenti, e poi osservò la reazione sul suo viso, cui quel colpo di scena aveva conferito le sembianze di un cielo sereno oscurato dalle nuvole.

La Protettrice lesse minuziosamente i testi di legge: erano impeccabili. Scritti in un linguaggio semplice, comprensibile a tutti – e anche allora il solito pensiero la sfiorò, implacabile: "D’altra parte, a che serve, poi, adoperare un linguaggio tanto burocratico, se nessuno lo capisce?" - , riassumevano senza troppi fronzoli né troppe perifrasi i concetti fondamentali dei codici umani: giustizia, libertà, uguaglianza, ma con rispetto delle diversità&ldots;superandoli persino, in chiarezza ed efficacia.

- Mi dispiace, Protettrice – disse l’imperatore con rammarico – non avrei mai voluto darti questa umiliazione.

Messa in scacco, la Protettrice chinò la testa: l’orgoglio e l’intelligenza del popolo degli Orsacchiotti la schiacciavano con la pesantezza di un macigno, di una grossa boccia di ferro, e le sue teorie ora giacevano a terra inermi come i birilli abbattuti da uno strike. Quello fu il colpo di grazia per lei.

Il giorno dopo decise di preparare le valigie e di tornarsene a casa.

 

 

Il commiato fu molto semplice.

Gli Orsacchiotti furono molto carini e gentili, e le fecero promettere che sarebbe ripassata a trovarli, ché era sempre la benvenuta.

La Protettrice, col suo mantello rosso sulle spalle, gli stivaletti scuri e la sua buffa giubba verde, per la verità faceva pensare più a Cappuccetto Rosso di ritorno dal bosco dopo aver incontrato il lupo che ad un generale in ritirata dopo una disonorevole sconfitta sul campo.

"Credevo di avere molto da insegnare loro" si ripeteva "E invece mi sono accorta che era da loro che potevo imparare tante cose. Guarda come si comportano: ridono, ma senza alcuna malignità, senza infierire né farsi fregio dei loro principi e delle loro ragioni. Sono più sportivi di me"

Agitò la mano in segno di saluto, sforzandosi di sorridere e, afferrate le valigie, s’inoltrò nel bosco.

"Forse un giorno si ricrederanno" tentava di consolarsi ancora, mentre camminava pestando il tappeto di foglie secche che l’autunno aveva formato per terra. Gli alberi, tenendosi per mano, parevano fissarla con aria sardonica, come se potessero carpire i suoi pensieri e volessero risponderle che tanto era tutto inutile, che la sua era solo presunzione e che non poteva pretendere di cambiare un mondo vergine che non le apparteneva. "Forse si renderanno conto che la loro vita non è veramente felice come pensano" continuò fra sé e sé, ignorandoli "che possono avere di meglio&ldots; Ma sarà difficile&ldots;"

D’un tratto si arrestò. Aveva udito, dietro di sé, un rumore sospetto. Si girò appena in tempo per vedere un lupo che si dirigeva a grandi balzi verso di lei.

"Quei pestiferi sono di nuovo in vena di scherzi stupidi" pensò seccata, e posò a terra le valigie. "Adesso mi sentono".

L’animale correva in modo sicuro e spedito: la sua andatura non aveva niente di quella, goffa, del lupo simulato dagli Orsacchiotti. I movimenti erano troppo sincronizzati per essere eseguiti da due animali. La Protettrice inghiottì la saliva e rimase ferma in mezzo al bosco, impietrita dalla paura. Finché si era trattato di sorprendere una bestia feroce mentre era impegnata a dar fastidio ad un Orsacchiotto, non si era fatta problemi ed era stata pronta ad agire, intrepida come un leone. Ora, trovandosi nelle condizioni, inaspettate, di doversi difendere da sola, si sentiva impreparata e impotente.

Il lupo sopraggiungeva verso di lei ed ella, vedendosi perduta, vacillò all’indietro e inciampò malamente nella radice di un albero.

- Aaaaaaah!!!!! – gridò, da terra, vedendo il muso dell’animale avvicinarsi a lei. E si mise a strillare disperata con quanto fiato aveva in gola, invocando soccorso; era così sconvolta che non era nemmeno accorta che due Orsacchiotti erano accorsi e le erano accanto. Dovettero scuoterla per farla tornare alla realtà.

- Fate qualcosa, per carità, salvatemi! – disse, concitata – non vedete che questa belva mi vuol divorare?

- Sei ancora rimasta alla favola del lupo cattivo? – domandarono ironicamente gli Orsacchiotti – San Francesco non vi ha insegnato niente, a voi uomini?

- Povera Protettrice – sospirarono loro – Sei talmente impaurita che non ti sei nemmeno accorta che questa povera bestia voleva solo dimostrarti la tua simpatia.

La Protettrice ammutolì. Il lupo la stava leccando come un cane che fa le feste al proprio padrone. Arrossì e, per darsi un contegno, scostò da sé con la mano l’animale.

Gli Orsacchiotti allora fecero per andarsene, preferendo anche per quella volta che il silenzio parlasse da solo e che la Protettrice arrivasse da sola alla conclusione che erano di nuovo riusciti a dimostrarle qualcosa.

- Scusate ancora – gridò loro dietro umilmente, soggiogata da tanta avvedutezza – Ma per curiosità: in questi casi come fate, voi Orsacchiotti?

I due interpellati si fermarono. Il lupo stava passeggiando tranquillamente fra i tigli. Uno di loro si mise a dimenare la zampa e a stuzzicarlo con lo stesso verso con cui gli uomini chiamano i cani e i gatti; il lupo si voltò e, rispondendo ai segnali che si facevano sempre più incalzanti, mosse deciso verso di lui. Fu un attimo: l’Orsacchiotto si spostò; nel punto in cui il lupo terminò il suo agguato scattò qualcosa, e subito dopo il poveraccio si ritrovò appeso per una zampa al ramo di un albero, col corpo dondolante e lo sguardo disorientato dalla velocità con cui tutto era accaduto.

Dopo quest’ultima lezione, gli Orsacchiotti presero la via di casa per la direzione opposta a quella della Protettrice che, balbettando, non riuscì a dire altro che:

- Pensaci tu, Protettrice – suonò, ormai lontana, la vocetta degli Orsacchiotti, dal profondo del bosco – Noi non ci arriviamo. In fondo, il lupo è lontano parente del cane. E il cane non è forse il vostro migliore amico?

"Forse, chissà, sono io ad aver bisogno di un protettore" pensò la Protettrice, mortificata, mentre tirava giù dall’albero il povero lupo intrappolato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 4

Nel piccolo negozio-albergo di Via Cristoforo Colombo l’attività ferveva; il proprietario accoglieva i clienti con il suo sorriso più smagliante, riservando il suo tono più arrogante a Lorenzo, intento a sistemare la roba sugli scaffali nel retrobottega, e a Giovanni, che si attardava nel servire gli avventori.

- Forza, muoviamoci un po’ qui, ‘ché il servizio lascia a desiderare&ldots; Sì, signora, desidera? In che posso servirla?

Carlo, che quel giorno era addetto alla pulizia delle camere e che ora stava scendendo le scale per andare a vuotare il secchio della spazzatura, afferrando al volo alcuni brandelli degli sproloqui del padrone rifletteva sul mistero dei mille volti del suo capo:

"Parola mia" pensava "I padroni sono la razza più strana che io conosca. Hanno una duplice natura: quella di circostanza e quella di arroganza, secondo la categoria di persone con cui hanno a che fare. Se si tratta di persone che devono portar loro dei soldi, diventano spiriti angelici, tutti sorrisi e bontà; quando invece hanno a che fare con noi dipendenti, che costiamo e basta, allora si trasformano in cani arrabbiati pronti anche a mordere se contraddetti."

Preso da questi ragionamenti, era giunto all’ultima rampa di scala, e la sua figura era quindi ora visibile al capo, quando questi, nello scorgerlo, assunse istintivamente la sua faccia di arroganza e gli urlò accigliato:

- ‘Bé, Carlo, perché ti gingilli in quel modo? Su, sbrògliati! Il tempo è denaro, quante volte devo ripetervelo?

Carlo non era affatto uno scansafatiche, ma aveva un difetto che non si conviene ai lavoratori: quello di pensare troppo. Era il filosofo del personale, e a volte le sue riflessioni lo distraevano dalle occupazioni del negozio. E il proprietario del "Papavero Azzurro" non era uomo da tollerare che i suoi dipendenti perdessero tempo. Era capace di ragionare solo in termini matematici, e la sua anima assomigliava in modo sconcertante a ciò per cui viveva: i soldi, che, per l’appunto, hanno due facce, due volti.

Si avvicinava l’ora della chiusura. Il locale era ormai deserto.

Carlo stava risalendo le scale che conducevano alle camere, quando il tintinnìo della porta che si apriva lo richiamò. E quello che esso annunciava non era un arrivo come gli altri: si trattava di una fanciulla bruna di media statura, vestita in modo dimesso, apparentemente insignificante, ma che tanto ai suoi occhi quanto a quelli del proprietario incarnava una speranza o un timore, seppure molto diversi.

- Aurora – la voce del padrone si fece atona, né dolce né severa, come se non sapesse decidere su quale tonalità sintonizzarsi – Qual buon vento ti porta?

Aurora chiuse la porta dietro di sé e si fece avanti con un’aria sconsolata.

- Ebbene? – chiese ancora il padrone, visto che la sua interpellata non rispondeva – Che nuove mi porti?

In realtà il capo sapeva benissimo quale vento portava Aurora; ciò che voleva sapere era se il vento in questione fosse arido e secco oppure generoso, portatore di manna.

La giovane scosse la testa:

E non aggiunse altro.

Il capo capì che era la presenza dei suoi dipendenti ad imbarazzarla; non tanto quella di Lorenzo e di Giovanni, quanto piuttosto quella di Carlo, e si volse con aria burbera verso la scala:

Carlo riprese a salire, tenendo però lo sguardo e l’orecchio rivolti verso il basso. Sapeva benissimo di cosa si trattava, e capiva anche che il signor Paroldi l’aveva allontanato volutamente da lì perché lo riteneva pericoloso; d’altra parte, come poteva lui, da sotto, vedere se aveva finito o no il lavoro nelle stanze? Tuttavia, la sua fine intelligenza e il suo fiuto da Sherlock Holmes non si sarebbero lasciati mettere la museruola tanto facilmente. Avrebbe continuato a vigilare su ciò che accadeva intorno a sé senza darlo ad intendere.

Non appena fu scomparso dalla loro vista, il capo ed Aurora ripresero la loro conversazione.

- Cos’è questa storia? – sbottò Paroldi, che le ultime parole di Aurora avevano messo in allarme, risvegliando la sua natura arrogante.

- E' così, signore. La Valle degli Orsacchiotti non è quel Paradiso che lei forse si aspettava di trovare, se lei per Paradiso intende una terra ricca e prospera; le uniche ricchezze, là, da quello che ho potuto constatare, sono quelle naturali, cioè il bosco, il sole, le stelle&ldots;

- Sì, capo, ma per loro sono gli unici tesori che contano veramente, e con essi l’amicizia, l’amore, la solidarietà&ldots;

- Sì, sì, vabbè, ma oro non ne hanno, oro? E argento, pietre preziose?&ldots;

- Be’, a me non interessa se loro sono felici o meno con queste cose; a me interessa che lo sia io. Se loro ne possono farne volentieri a meno, le diano a noi! Sapremo come farne uso, puoi starne certa.

- Ma signore, le ripeto che in quel posto non c’è nulla di tutto ciò! E mi creda, ho cercato in tutti i modi di allettarli con le nostre comodità tecnologiche, con i nostri elettrodomestici&ldots;

- E loro? Si saranno entusiasmati, immagino&ldots; Non avevano mai visto niente del genere in vita loro, eh? Loro non ci arriverebbero mai, scommetto&ldots;! Quelle care e innocenti bestiole!

- No, capo, tutt’altro; mi sembravano, anzi, piuttosto annoiati dai miei discorsi e dalle mie dimostrazioni. Alcuni me l’hanno fatto capire garbatamente; altri mi hanno chiaramente mandata a farmi friggere. Sono come noi, d’altronde: non sono tutti uguali&ldots;

- Ah, è così? Brutte bestiacce ingrate! È questo il loro ringraziamento? Cerchiamo di civilizzarle, di far loro conoscere delle meraviglie che nemmeno si sognano, e loro&ldots;

- Sfruttarle? Che brutta parola. Io non prendo niente senza dare niente in cambio. Noi offrivamo loro delle invenzioni che avrebbero reso la loro vita più facile in cambio di un piccolo contributo pecuniario&ldots; Era un baratto in piena regola, mica uno sfruttamento&ldots;!

- Le dico che loro non hanno bisogno di queste cose: hanno tutto ciò che serve loro nel bosco e a loro basta. A questo punto mi sembra che imporgliele, le nostre cose, sia offensivo: loro potrebbero pensare che, perché sono diversi da noi, li consideriamo inferiori&ldots;

- E non lo sono, forse? Vivono ancora come i nostri antenati, come i pitecantropi&ldots; Scommetto che non sanno neanche parlare.

- Sanno parlare benissimo. E fanno dei ragionamenti così intelligenti da lasciare a bocca aperta. Hanno persino delle leggi scritte, pensi. Ne rimarrebbe sorpreso, se li vedesse.

- Non m’interessa vederli. E non m’interessa nemmeno conoscerli, né tantomeno leggere le loro stupide leggi. L’unica cosa che m’interessa è se ci possono essere utili.

- Oh, sì, capo, moltissimo, mi creda! Hanno moltissimo da insegnarci! E’ vero, la loro è una terra ancora, per così dire, selvaggia, ma proprio perché selvaggia e incontaminata forse è migliore della nostra. Gli Orsacchiotti sono esseri puri, non ancora corrotti dal dio denaro, dai fantasmi dell’egoismo e dell’avidità. Hanno dei sentimenti genuini, e per questo, be’&ldots; credo di poter dire di aver scoperto un nuovo Eden.

Il capo sembrava infastidito da tutte queste chiacchiere. Le sue parole si muovevano su una lunghezza d’onda diversa da quella di Aurora.

- Non ci siamo capiti. Tu devi scoprire se in quella landa ci sono risorse da sfruttare, come te lo devo dire? Quando ti ho spedita là, mi sembrava di aver parlato chiaro. Ricordati che hai un debito in sospeso nei miei confronti.

- Non credo che quella terra sia così povera come quei citrulli ti vorrebbero far credere – proseguì Paroldi come se non avesse sentito – Probabilmente, loro sono convinti che non ci siano risorse perché non le considerano preziose, perché per loro non contano niente. Ascoltami bene: voglio che tu torni là e ricominci la ricerca da capo, chiaro?

- Non mi dirà che devo tornare a recitare la commedia della dolce fanciulla pronta a proteggere quegli esserini indifesi da ogni pericolo? Non mi sembra proprio il caso!

Avrebbe voluto aggiungere anche "E non mi sembra che ne abbiano nemmeno bisogno", ma l’atteggiamento del capo non era molto conciliante, senza contare che c’era la faccenda di quel debito in sospeso&ldots; Tacque, dunque, e reclinò il capo docilmente, senza più replicare alle ultime, inflessibili parole del suo interlocutore:

- Io voglio che tu torni là, nei panni della Protettrice di Orsacchiotti, e che ricominci tutto dal principio. Intesi?

Detto questo, il capo le girò le spalle e si ritirò nel suo ufficio per occuparsi di alcuni conti.

Aurora rimase in mezzo al negozio, avvilita. L’idea di dover tornare ad umiliarsi in quella ridicola parte che, soprattutto ora che aveva scoperto la vera natura degli Orsacchiotti, le andava un po’ stretta, non la entusiasmava molto. Oltretutto, se non avesse portato al proprietario del "Papavero azzurro" uno straccio di prova che la Valle degli Orsacchiotti era una terra che faceva al caso suo, cioè ricca d’oro, non sarebbero valsi a nulla gli elogi dei veri valori e della genuina felicità degli abitanti della Valle. Sospirò, e stava ancora rimuginando su come uscire da quella situazione imbarazzante, quando udì dei passi provenienti dalla scala, e una voce la chiamò:

La fanciulla riconobbe Carlo. Aveva ascoltato tutto il discorso.

Aurora lo guardò allibita.

- Carlo, non ti permetto&ldots;! Sai bene come sono combinata&ldots; Mio padre era suo socio d’affari e aveva un conto in sospeso con lui, un conto piuttosto salato, se non lo sai! E ora io sono legata mani e piedi, non ho scelta. Non voglio rischiare di dover pagare il mio debito altrimenti; conosco persone che sono state rovinate dal tuo padrone. Lo sai com’è fatto. Ha già fatto in modo che io non trovassi un lavoro, di qualunque tipo, e che non potendo pagare l’affitto, mi facessi gettare in mezzo alla strada.

- E per evitare di essere rovinata sei disposta anche a sacrificare i tuoi ideali e ad effettuare delle scorrerie in una terra sotto mentite spoglie, con l’intenzione di derubarla?

- Smettila, Carlo. Io non ho ancora derubato nessuno. E non è detto che lo farò. E poi io non vado affatto contro i miei ideali. Cosa vuoi che me ne importi di danneggiare dei sacchi di pulci retrogradi ed oziosi, che passano la giornata a trastullarsi in cose inutili&ldots; e che non hanno neppure il cellulare?

- Mmmh&ldots; Tu non me la dai a bere, Aurora. Non sei capace di far finta di essere cinica e insensibile. Guarda che io ho sentito tutto. So benissimo come la pensi.

Aurora lottò con tutte le sue forze per impedire al rossore d’imporporare le sue gote, ma invano: il volto prese il colore del suo mantello, ed ella dovette cercare di darsi un contegno per non perdere la faccia di fronte a quell’accorto indagatore. Carlo aveva ragione: non era una maestra nell’arte degli inganni, e nella Valle ne aveva dato prova più di una volta, scontrandosi con la naturalezza degli Orsacchiotti.

- Sono&ldots; sono delle bestiacce infide e crudeli. Mi hanno bersagliato con ogni genere di dispetti. Hanno fatto di tutto per farmi sentire inadeguata e inutile. Meritano una lezione. Per questo ho accettato di andare di nuovo là: per rovinarli! Così, se non avrò trovato quello che il capo cerca, se non altro mi sarò vendicata, avrò avuto la mia piccola soddisfazione personale!

Carlo ormai ascoltava le sue invettive con scarsa convinzione: la verità danzava senza veli davanti ai suoi occhi, come Isadora Duncan, e a nulla valevano i goffi tentativi di Aurora di mascherarla infervorandosi nei suoi discorsi e agitando le braccia per conferir loro un peso maggiore di quello che avevano: l’espressione che li accompagnava non era intonata, tradiva la sensibilità e la dolcezza del suo carattere. Carlo le rivolse ancora un’occhiata ironica prima di tornare di sopra:

- Sarà&ldots; Ma a me, non la fai&ldots; L’Aurora che conosco io è ben diversa. Sono sicuro che se tu potessi, saresti pronta a difendere veramente quegli Orsacchiotti, ad armarti di scudo e di lancia per loro, come se fossero figli tuoi&ldots;

E mentre risaliva, squadrandola con uno sguardo che ora era più carico di tenerezza e di ammirazione che d’ironia, la Protettrice di Orsacchiotti sembrava essersi arresa alla finezza psicologica di Carlo, e non sapeva più che dire per riacquistare credibilità.

- Non è vero niente&ldots;! – mormorò, ma il tono arrogante mal si adattava alla sua voce, e il suono con cui le uscirono queste parole era debole e docile.

Per quanto si sforzasse, non le riusciva d’imitare quello del padrone del "Papavero".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 5

Quella che si annunciava all’alba era una piacevole giornata.

Il Cielo, magico bastimento in perenne viaggio sopra la Terra, navigava tranquillo, condotto da un giovanotto nelle cui mani il Sole, coi suoi raggi, pareva proprio il timone di una nave mastodontica.

- Forza, uomini, forza! Gettate l’àncora! – gridava ai marinai che, posati sulle nuvole, correvano a destra e a manca, spinti dal vento.

Erano giunti ad una tappa del viaggio (la prima? la seconda?), nella fetta di mondo a cui ora toccava essere illuminata dal Sole, e dove quindi si apprestavano a fare scalo. I marinai fecero cantare la catenella a cui era legata la Luna-Ancora, che con un volo vertiginoso precipitò nel vuoto e terminò la sua caduta dall’altra parte della Terra, in un mare oscuro trapunto di stelle.

- Ah&ldots;eccoci arrivati – proferì il giovane, lasciandosi sfuggire un sospiro di sollievo. – Com’è dura essere un vecchio lupo di cielo!

- Eh, sì – ribattè il suo nostromo, comodamente sdraiato su una nuvoletta verde – Ma tutto sommato, non è poi così male. Noi non invecchiamo né moriamo mai, e la nostra vita è immune da tutte quelle disgrazie che toccano agli esseri umani.

- E chi lo dice? Io, certo, mi sento sempre giovane e pimpante, ma a volte ho dei momenti di debolezza che mi preoccupano&ldots; Ho l’impressione di non essere eterno nemmeno io, che anch’io, prima o poi, mi estinguerò. Cosa ne dici, Poliside?

- Mi pare impossibile, Capitan Sebastiano. Io la vedo sempre al meglio della forma: dopo migliaia di anni lei conserva ancora una forma smagliante; piuttosto, credo sia questa bagnarola a cominciare a dare dei segni di cedimento. Lo stesso suo timone d’oro non è più quello di una volta.

- No, Capitan Sebastiano, mi meraviglio di lei: dovrebbe sapere, con l’esperienza che ha, che l’oro non si arrugginisce. Però può invecchiare. E ora il suo timone non è più così brillante. D’altra parte, capitano, lei capisce, le piogge sono necessarie, se vogliamo veramente prenderci cura della Terra.

- Sì, e quando esagerate e provocate dei disastri, distruggendo case, allagando strade e uccidendo persone, chi ripara?

- Ha ragione, Capitan Sebastiano, io cerco sempre di evitarli, ma sa&ldots; non dipende sempre e solo da me. Per esempio, ci sono quei due birichini di Didimo e di Audenzio, che quando si mettono a giocare o litigano fanno scoppiare il finimondo. L’altra settimana il Vento, per il suo compleanno, aveva regalato ad Audenzio un bel palloncino blu che doveva essere scappato a un bambino&ldots; be’, Didimo voleva giocarci a tutti i costi anche lui, e Audenzio voleva tenerselo tutto per sé, e alla fine hanno attaccato a malmenarsi, provocando una tempesta furiosa sull’Europa del Nord&ldots; Per giunta i due, presi com’erano dalla lotta, si sono lasciati sfuggire il palloncino e così ci hanno rimesso pure loro&ldots;

- Qui nessuno cresce, come le ripeto, o comunque cresce con molta più lentezza che sulla Terra. E’ questo il problema. Didimo e Audenzio hanno già combinato parecchi guai nel corso della storia. E poi c’è Iolanda&ldots;

- Ah, no! Non mi nominare Iolanda, per favore! Non vorrai rovinarmi la giornata, Poliside! Andava tutto così bene&ldots;

- Ma se esiste, non posso fare a meno di nominarla&ldots; Fa parte anche lei dell’equipaggio, dopotutto&ldots;

- Già&ldots; è proprio vero che una donna a bordo porta solo sciagura&ldots; Ecco un’altra causa delle tempeste che sconvolgono la Terra&ldots;

In quel momento si udì una voce gaia intonare una canzone, in lontananza.

- Oh, Cielo&ldots; – sospirò Capitan Sebastiano portandosi la mano alla testa con disperazione – eccola che arriva; ti prego, Poliside, mandala via&ldots;

- Ah, no, capitano, io in queste storie preferisco non immischiarmi&ldots; Anzi, è meglio che mi allontani e che vi lasci soli. Prima o poi si dovrà pur decidere, noh? – disse Poliside allegramente strizzando l’occhio e, dato alla sua nuvola un colpetto come se fosse una cavalcatura da spronare, volò lontano sulla sua groppa. – Io intanto andrò a dare un’occhiata a cosa succede sulla Terra&ldots;

In quella comparve la dolce Iolanda, più bella che mai sulla sua nuvoletta. Capitan Sebastiano sbuffò, infastidito.

- Per niente. Se scopre che sei qui, saranno dolori&ldots; L’ultima volta ha fatto scoppiare una bufera, per questo. Isabella, come devo dirti che io e te non andiamo bene insieme? Io sono il Sole, e tu una nuvola&ldots; Siamo incompatibili!&ldots;

- Si attrarranno, ma non funzionano! E adesso fila, prima che arrivi Zenobio! Non voglio grane, per oggi! Se ci vede insieme, è capace di prendersela con me!

- Come vuoi tu, amore. Ciao, ci vediamo&ldots; - e la sua voce carezzevole e vellutata la accompagnò finché non fu scomparsa.

- E’ proprio una pioggia, quella&ldots; Cosa c’è, Poliside? – queste ultime parole erano rivolte al suo nostromo, che in quel momento stava tornando trafelato sulla sua nuvoletta.

- Ci sono novità, Capitan Sebastiano&ldots; ricorda quella fanciulla che era andata a visitare la Valle degli Orsacchiotti?

- Sì, per Diana, certo che me la ricordo&ldots; Quella che agiva per conto di quel campione di cupidigia che è il proprietario del "Papavero Azzurro"&ldots; Ebbene?

- Ebbene, sembra che il padrone del negozio l’abbia costretta a tornare là, per vedere se la Valle può essere sfruttata in qualche modo&ldots;

- Ma allora è proprio vero: non è pura curiosità, per visitare dei posti nuovi che la Protettrice si era spinta fin là!

- Purtroppo no. Ho paura che anche l’ultimo baluardo di terra non corrotta sia destinato a essere brutalmente calpestato.

- No, Capitan Sebastiano, no: l’ha detto lei stesso che questo non è il modo migliore per risolvere le cose.

- Per aiutare gli esseri umani, no; ma per farli ragionare, sì!

- Mi dia ascolto, per ora lasciamo correre: Vediamo prima che piega prenderanno le cose.

E Capitan Sebastiano e il suo nostromo rimasero a guardare.

 

 

 

 

Torniamo indietro di qualche giorno.

Dopo quel colloquio con il signor Paroldi, Aurora aveva sentito un forte bisogno di distrarsi, e di lì a poco si era ritrovata sulla pista del parco di Montereale a volteggiare coi suoi roller-skates, fedeli amici a cui si affidava per dimenticare i cattivi pensieri. Pattinare la risollevava, la faceva sentire per un attimo staccata dal mondo e dalla realtà che la circondava: mentre sfrecciava veloce come una libellula, dimenticava tutto e si sentiva estasiata, invincibile, preda di un impeto e di un’ebbrezza così forte che non l’avrebbe cambiata con nessun tesoro, neanche il più prezioso. Questa ebbrezza, e quella della fantasia, altro balocco con cui amava trastullarsi quando era triste, erano le sue più grandi passioni.

"Se potessi far provare questa sensazione al proprietario del ‘Papavero Azzurro’" pensava in quei momenti magici, con una punta di malinconia che di tanto in tanto faceva capolino nella sua euforia "Se potessi donargli anche una sola briciola di questa gioia&ldots; e fargli dimenticare quel vile denaro che lo rende così schiavo&ldots; E' vero, lui problemi economici, diversamente da me, certo non ne ha&ldots; ma vale la pena, se poi ci si fa tanti nemici? Può anche darsi che sia io a sbagliare, chi lo sa, visto che ormai senza soldi non si vive nel mondo d’oggi&ldots; eppure&ldots; io non riesco ad idolatrarlo tanto, soprattutto dopo aver visto come vive la comunità degli Orsacchiotti&ldots; Ma non ci sarà proprio nessuno che la pensa come me?"

- Sono dunque così sola? – quest’ultima frase, epilogo del suo monologo silenzioso, le sfuggì ad alta voce mentre, fermatasi, stava appoggiata alla ringhiera della pista.

- Oh, no, non lo sei affatto! – rispose una voce vivace alle sue spalle, che pareva aver aspettato il frangente giusto per intervenire.

Aurore si voltò, malgrado avesse già capito di chi si trattava. Era Matteo, un giovane che conosceva da diversi anni, e che più volte aveva manifestato una certa simpatia nei suoi confronti. Abitava da quelle parti e l’aveva vista spesso pattinare; per questo la sapeva un’assidua frequentatrice della pista, e veniva sovente ad insidiarla lì.

Matteo non le era affatto indifferente; anzi, le piaceva molto ma, come la maggior parte dei ragazzi che aveva conosciuto (e come quasi tutti gli esseri umani), le sembrava troppo materialista, troppo lontano dal suo modo di vedere le cose.

Ella avrebbe voluto qualcuno che le offrisse sogni, balocchi e nuvolette azzurre e rosa, e Matteo non le aveva mai dato l’impressione di essere il tipo giusto.

Fece una pausa. L’atteggiamento freddo di Aurora lo aveva un po’ prevenuto. Esitò un momento prima di chiederle un’altra cosa personale:

- Non ci abito da più di un anno in quella casa laggiù in fondo. Non potevo più pagare l’affitto e mi hanno sbattuta fuori – Bisognosa com’era di buttare fuori la rabbia che aveva dentro, Aurora, suo malgrado, si confidava quasi senza rendersene conto. – Ora sto al dormitorio pubblico! Così saprai dove venirmi a cercare, contento? – E due lacrime le scorsero lungo le guance.

- Aurora! – Matteo divenne improvvisamente serio. Si accostò alla ringhiera e vi appoggiò le braccia ai due lati di Aurora, come per abbracciarla. Ma lei si era rigirata. – Ma che idee ti metti in testa?&ldots; Io non sapevo niente&ldots; Hai bisogno di aiuto? Se vuoi, posso&ldots;

- Io me la cavo benissimo da sola! – sbottò Aurora ricacciando in dentro le lacrime – So bene che tu sei un impiegato di banca e io, solo una povera disoccupata che fino a un po’ di tempo fa faceva qualche mediocre traduzione per guadagnarsi un boccone di pane, ma questo non significa che io sia una buona a nulla!&ldots; Oltretutto, presumo che tu vorrai qualcosa in cambio&ldots;

- Non dire sciocchezze – obiettò Matteo, urtato – io non intendevo quello. Perché mi tratti così? Io non ti ho fatto niente.

- Era tanto che non ci vedevamo&ldots; e pensavo che tu saresti stata contenta di vedermi. – il giovane sospirò - Aurora, che cosa posso fare con te?

- Regalarmi una valigia di sogni, catturare le nuvole e giocare a nascondino con me – rispose Aurora, trasognata, come parlando a se stessa.

- Oppure&ldots; portarmi nella – e qui s’interruppe, come colpita da un’idea, per poi riprendere disincantata, sempre come dimentica che qualcuno la stesse ascoltando: - Bah! Lasciamo perdere.

E detto questo, si staccò dalla ringhiera e si liberò dal cerchio delle braccia di Matteo, pattinando verso l’uscita.

- Sì. Ho da fare – le era di colpo tornato in mente il compito affidatogli dal proprietario del "Papavero Azzurro".

- Be’, mi ha fatto piacere vederti – disse Matteo ironico. Ora era lui che si avviava verso il cancello – E se ti càpita, ogni tanto, di pensare a me, mi raccomando, scaccia quel pensiero! Hai tante altre cose importanti per la testa, ci mancherebbe!

Aurora lo guardò andare via con un po’ di rimpianto per essere stata così rude con lui. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma si trattenne.

Quando si ritrovò di nuovo sola, si volse verso la casa bianca che si trovava dall’altro lato del parco. Un tempo lì era abitata anche sua nonna, e pattinare su quella pista la faceva anche riandare con la mente ai cari ricordi dell’infanzia, quando nei lunghi pomeriggi passati con lei, circonfusa dall’affetto e dalla dolcezza della vecchietta, si sentiva felice e importante e vedeva il mondo tinto di rosa e popolato di gente buona.

Si scalzò i pattini, li ripose nella borsa e uscì borbottando:

- Meno male che quel farfallone di Matteo non mi ha domandato che cosa faccio adesso per vivere. Mica potevo dirgli: la Protettrice di Orsacchiotti!

Stava risalendo la collina dietro la quale si trovava il bosco che conduceva alla Valle, quando Poliside e Capitan Sebastiano la scorsero. Aveva di nuovo indossato il suo buffo costume, e si sentiva più che mai ridicola; soprattutto, si vergognava di tornare in quella landa beata ad ingannare i suoi ignari abitanti con le sue false parole.

Eppure non poteva permettersi di dire di no al signor Paroldi.

Ma cosa avrebbe raccontato, questa volta, agli Orsacchiotti, per poter assolvere la sua missione e cercare di scoprire se la loro era effettivamente una terra ricca?

"Potrei non fare niente" pensò "Potrei evitare proprio di approfittare di questi innocenti, e poi raccontare invece un po’ di panzane al capo&ldots; lui le merita sicuramente di più&ldots; In fondo, non si sognerebbe mai di venire a controllare, l’ha detto lui stesso."

In breve si trovò al limitare del bosco.

Camminava sicura, con in mano il suo fedele bastone, compagno di esibizioni eroiche e canore, quando qualcosa, per terra, la fece sussultare. Aveva visto una vipera strisciare sulle pietre guizzando la sua lingua biforcuta; fece un balzo indietro inorridita, ricadde sul piede sinistro e poi, per istinto, si appoggiò su quello destro come in un passo di danza: sentì allora scattare, nel punto in cui era atterrata, una trappola, un’altra delle trappole di cui gli Orsacchiotti avevano disseminato il bosco. Il laccio penzolò al di sopra della sua testa, e la Protettrice si rese conto di aver evitato per un pelo la sua insidia.

- Chi è là? – suonò una voce, dall’interno del bosco. Due Orsacchiotti erano accorsi, attirati dal rumore, a vedere se c’era qualche pericolo in agguato – Sei tu, Protettrice? – dissero poi, nel vederla.

- Sì&ldots; Un momento di distrazione e facevo la figura del prosciutto appeso. Non c’è che dire – commentò, poi, ammirata – Sono trappole da veri professionisti.

E la Protettrice, scortata dagli Orsacchiotti, prese volentieri la via che conduceva alla Valle.

- Ah, sei tornata, Protettrice? – la salutò cordialmente l’imperatore Stefano – Non sei offesa con noi, dunque?

"Offesa?" pensò stupita Aurora "Dovrei ancora essere io l’offesa? Dopo quello che ho fatto loro?" Ma sorrise educatamente:

- No, no, ci mancherebbe. Ho già dimenticato tutto. Siete sempre i miei migliori amici.

- Meglio così – e l’imperatore orsacchiotto si congedò per tornare nella sua tana.

- Una cosa ancora non ho capito – gli gridò ancora la Protettrice, andandogli dietro – Il segreto della vostra felicità.

Stefano si arrestò.

- Il segreto? Ah! Mi meraviglio di te, Protettrice, membro di una comunità che, da quello che mi hai detto, si vanta di aver avuto dei grandi uomini, dei geni di saggezza che hanno fatto scoperte rivoluzionarie – e nel così dire, imitò il tono declamatorio e la prosopopea della Protettrice – e che hanno insegnato ai loro simili delle grandi verità&ldots;! La vostra straordinaria umanità non conosce dunque la ricetta della felicità?

- No&ldots; - la Protettrice quasi si vergognava di doverlo ammettere – e sono tornata per saperla da voi.

- Andiamo, Protettrice. L’altra volta mi hai fatto capire di non aver bisogno dei nostri consigli, perché il vostro sistema di vita è impeccabile e dovremmo essere noi ad imparare da esso. Ne abbiamo già discusso abbastanza. Se ti guardi attorno, non penso ci voglia molto a capire cos’è che ci fa felici.

- Evidentemente il niente. Perché voi non avete niente. Né oro, né argento&ldots; né pietre preziose.

- Ci risiamo. Quando vorrete capire, voi umani, che chi non ha né oro né argento né l’argento, non è per nulla povero? Quello che ci rende ricchi non è l’oro, ma un altro bene inestimabile: l’armonia. Finché non avrete quella, e non vi accontenterete, non sarete mai felici.

- Già, è una parola&ldots; - la Protettrice abbozzò un sorriso mentre, con le mani dietro la schiena, tracciava un solco per terra.

E Stefano si allontanò, lasciandola preda dei suoi dubbi.

La Protettrice, rinunciando a lambiccarsi il cervello su cosa è giusto e cosa è sbagliato, si lasciò andare per terra, in mezzo all’erba e ai fiori. Il cinguettio degli uccelli e lo spettacolo degli Orsacchiotti che lavoravano senza alcun affanno le infondevano un senso di pace e di serenità. Avrebbe voluto mettersi a cantare, ma temeva di rovinare, come aveva già fatto al suo arrivo, l’atmosfera del villaggio, e così si limitò a canticchiare il suo inno a voce bassa:

Sono la Protettrice di Orsacchiotti

sono qui per proteggere gli Orsacchiotti&ldots;

Ben presto l’aria fresca che soffiava fra gli alberi, complice il gorgheggio di un usignolo posato sul ramo di un albero, proprio sopra la testa della Protettrice, le insinuò un leggero torpore. La Protettrice appoggiò la chitarra a terra e, accostatosi all’albero, si addormentò. Dormì a lungo, e poco prima di svegliarsi, in quello stato di dormiveglia nel quale spesso avvertiamo sensazioni strane e abbiamo l’impressione di acquistare poteri e percezioni sovrannaturali, le parve di udire una voce lontana, strana, gridare:

Ma non ebbe il tempo di stupirsene: aprendo gli occhi, vide la Valle degli Orsacchiotti buia e deserta, spenta di tutti i rumori e di tutte le voci. Si udiva solo il canto dei grilli, e alcuni piccoli Orsacchiotti giocavano nel prato.

Si sorprese di aver dormito tanto, lei che di solito faticava a prendere sonno. Si stropicciò gli occhi e chiese agli Orsacchiotti:

"Caspita, come hanno fatto, senza orologio?" e manifestando la sua curiosità a viva voce, domandò loro:

- Non lo so. Papà dice che noi abbiamo un orologio interno, e che sappiamo sempre che ora è: dev’essere una cosa naturale.

- Ah&ldots; Ma – l’istinto materno le si risvegliò in quel momento, in ritardo sui suoi sensi – Dite un po’, marmocchi: che fate ancora in piedi a quest’ora? Non dovreste essere a casa? Oppure qui, i vostri genitori vi lasciano andare in giro tranquillamente di notte?

- No, no, certo che no – esclamarono in coro i cuccioli con le loro voci argentine – Non lo sanno neanche, che siamo qui: guai se lo scoprissero&ldots;

"Ah, meno male: tutto normale" pensò rilassata la Protettrice, ma subito dopo si riprese: "Come, normale? Che vadano in giro a quest’ora? Che qui ci siano così pochi pericoli da non aver nulla da temere?"

Nel frattempo, uno degli Orsacchiotti si era accostato a lei:

La Protettrice riconobbe in lui il piccolo Orsacchiotto che durante la dimostrazione dei prodotti le aveva chiesto cosa fosse un quadro.

- Ma che dici, piccolo?!?! Io, rendervi infelici? Perché dovrei? Io ero venuta per insegnarvi delle cose, per rendervi la vita più facile, ma se non ne avete bisogno&ldots;

- L’ha detto lo zio, parlando a mio papà; diceva: la civiltà è brutta, se la portano qui staremo male tutti, e forse moriremo. Dimmi, Protettrice, la civiltà è una malattia così brutta? Si può guarire? Perché se proprio la dobbiamo prendere, spero che almeno non sia pericolosa! Io non voglio che mamma e papà muoiano!

La Protettrice ascoltava allibita. Ma chi aveva messo in giro quelle malelingue? Avrebbe voluto rassicurare l’Orsacchiotto, fargli capire che non c’era niente di cui aver paura, ma come faceva a spiegargli che cos’era la civiltà? O, almeno, a spiegargli che non era pericolosa? Il loro mondo, così diverso da quello umano, sicuramente la concepiva come qualcosa di oscuro, di dannoso. Immediatamente ella fu colpita da un paradosso: che gli Orsacchiotti non avessero paura di girare di notte, ma che tremassero come foglie appena sentivano parlare di civiltà, il loro vero babau. Si figurò la scena di un papà Orsacchiotto che, per convincere il figlioletto a mangiare la minestra, gl’intimava:

- Sta' tranquillo – cercò di calmarlo la Protettrice, stringendolo affettuosamente a sé – Vedrai che la civiltà non verrà, qui.

- E se verrà – aggiunse, poi, con un sorriso, mostrando all’Orsacchiotto la sua arma – la prenderemo a bastonate!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 6

Il giorno dopo, la Protettrice salutò gli Orsacchiotti per andare a fare un giretto nel bosco.

"Sì, farò così" pensava allegramente, saltellando fra gli alberi e facendo roteare la sua chitarra "Dirò al proprietario del ‘Papavero’ che non ho trovato un bel niente. Che ho scavato e ho scandagliato la Valle da cima a fondo senza reperire nemmeno l’ombra di una pepita. Quello che di più prezioso avevano erano disposti a darglielo, ne sono sicura, ma lui non ne ha nemmeno voluto sentir parlare. Al diavolo lui e le sue idee venali! E se vorrà punirmi, io mi rifugerò qui. E vivrò qui per sempre, alla faccia di tutti quelli che mi vogliono male!"

In quella si bloccò. Aveva udito dei passi, in lontananza, e la cosa che più l’atterrì era che non sembravano quelli di un animale. Stranamente, avvertì un terrore ancora più forte di quello che aveva provato quando si era vista venire incontro il lupo. Il suo cuore le faceva presagire qualcosa di losco. E la minaccia non tardò ad annunciarsi.

I passi si avvicinarono, e attraverso gli alberi si fecero strada due figure umane: la Protettrice riconobbe in loro le persone di Lorenzo e di Giovanni.

- Aurora, ci manda il padrone del "Papavero". Ha detto che la missione che ti aveva affidato era piuttosto delicata, e anche piuttosto difficile, e così ha pensato che un po’ di aiuto non ti avrebbe nuociuto. Dobbiamo darti una mano a cercare l’oro e le pietre preziose; su, facci strada.

"Li ha mandati per controllarmi, perché non si fidava di me, quel vecchio filibustiere" pensò la Protettrice e, rodendosi, si girò per tornare indietro e per guidare i due commessi alla Valle. "Questi sono come burattini nelle mani di Paroldi" rifletté ancora "Fanno tutto quello che dice lui, e sono avidi tale e quale a lui. Bisogna starci attenti."

Gli Orsacchiotti rimasero alquanto sorpresi da quell’arrivo imprevisto. I due individui condotti dalla Protettrice non ispiravano loro molta simpatia.

- Niente paura – esclamò la Protettrice, tentando di arginare il più possibile i sospetti – Questi sono miei amici. Non vi faranno nessun male, vero, Giovanni e Lorenzo? – con queste ultime parole si era rivolta ai due accompagnatori, a cui aveva lanciato un eloquente sguardo di ammonizione.

Gli abitanti del villaggio non sembrarono molto persuasi. Un Orsacchiotto si avvicinò cautamente a loro, fiutando i loro piedi. Anche la Protettrice, al suo arrivo, era stata sottoposta a quel trattamento, che rappresentava un po’ il rito che si compieva ogniqualvolta un essere sconosciuto, specialmente se umano, metteva piede nella Valle; ma, al di là della curiosità frammista a timore con cui ella era stata accolta, l’impressione era stata ben diversa. La disposizione di quei due figuri trapelava in modo evidente dai loro gesti, dai loro atteggiamenti, in cui l’istinto e l’ipersensibilità degli Orsacchiotti leggevano come in un libro aperto, riuscendo subito a cogliere i veri propositi che animavano chiunque si spingesse da quelle parti. La stessa loro reazione di fronte a quell’irritante ispezione bastò a dissipare ogni dubbio: Giovanni, senza dargli il tempo di formulare giudizi di sorta, si liberò del piccolo importuno allontanandolo malamente con un colpo di piede:

Giovanni, come riavutosi, assunse un’espressione compunta; quindi si chinò sull’Orsacchiotto e, accarezzandogli dolcemente il pelo, gli disse, con un tono troppo mieloso per essere sincero:

E mentre l’Orsacchiotto lo fissava con aria interrogativa, frastornato da quel curioso voltafaccia, Giovanni si drizzò e disse sottovoce alla Protettrice:

Aurora li seguì con un’espressione disgustata mentre si avvicinavano all’imperatore, che intanto era stato avvertito del nuovo arrivo, e gli parlavano con affettata gentilezza. Avrebbe voluto picchiarli, scacciarli da quell’oasi di bontà e di purezza, in cui essi erano venuti a ronzare come due germi infettivi, ma preferì prima vedere l’evoluzione delle cose. Chi lo sa, magari le loro intenzioni non erano tanto malvagie.

"Forse quell’Orsacchiotto ha ragione: la civiltà è proprio una malattia contagiosa" pensò risentita.

Dopo alcune ore, la Protettrice li vide tornare da lei.

La Protettrice si domandò di cos’avessero discusso con l’imperatore; si unì comunque a loro, dopo aver salutato i suoi piccoli amici.

Sulla via del ritorno, essi le spiegarono le trattative che avevano fatto:

- Abbiamo concluso degli ottimi affari, con l’imperatore. Gli abbiamo detto che abbiamo intenzione di costruire delle fabbriche, là, e di far lavorare gli Orsacchiotti. In cambio, loro ci daranno un piccolo contributo.

Aurora rimase a bocca aperta:

- Cos’avete fatto?!?!

- Te l’ho detto. Poi fabbricheremo dei luoghi di divertimento, dei cinema&ldots; e magari rimoderneremo quelle casupole di paglia e di legno, le sostituiremo con delle case di mattoni o di cemento. E faremo anche fare delle strade&ldots;

- No, non proprio. Ma per avere quello che vogliamo ottenere qualcosa bisognerà pur promettere, noh? E cosa possiamo offrir loro di meglio?

- E non mi direte che loro hanno accettato?!

- L’imperatore non mi sembrava contrario. Mi guardava un po’ esterrefatto, ma alla fine, con la mia parlantina l’ho convinto.

- Non è possibile. Io non ci credo. L’imperatore è un uomo&ldots; voglio dire, un orsacchiotto saggio. Non può aver acconsentito ad un simile progetto!

- Ma quale saggio&ldots; Come vuoi che possa essere saggio, un animale? Per forza ha acconsentito&ldots; scommetto che non capiva nemmeno di cosa stessi parlando.

- Ma sì che lo capiva! Io lo so! Come può permettere che distruggano così barbaramente la Valle degli Orsacchiotti?&ldots; E poi, cosa vi possono dare, in cambio, se non hanno niente&ldots; voglio dire, niente di quello che noi consideriamo prezioso?

- E chi dice che non ce l’abbiano? Secondo me ce l’hanno, ma lo nascondono&ldots; Lo cercheremo. E poi, non ti preoccupare per i tuoi Orsacchiotti, non soffriranno affatto per le novità che apporteremo al loro mondo primitivo&ldots; non ci saranno nemmeno più! – ridacchiò cinicamente Giovanni.

- Che se non avranno oro da darci, ci prenderemo le loro pellicce, così li stermineremo tutti! – e la sua sadica risata coprì il rumore dei passi della Protettrice, che a quella drammatica notizia era corsa via angosciata, dirigendosi verso la Valle.

Voleva sapere. Voleva capire. Non poteva essere vero&ldots; Giovanni doveva aver convinto Stefano, ma non di certo con quelle chiacchiere. Probabilmente gli aveva raccontato qualcos’altro.

Forse era ancora in tempo per salvarli. Correva a perdifiato, preoccupata come non lo era mai stata per nessuno, nemmeno per se stessa.

Era ormai a pochi metri dalla Valle, quanto sentì qualcuno assalirla da dietro e gettarla a terra. Aurora cacciò un urlo.

- Giovanni! Lasciami! – gridò, ma due braccia robuste la girarono e, con sua grande sorpresa, si trovò faccia a faccia con Matteo.

- Dove vai di tutta fretta, Aurora? – sorrise questi – Non ti aspettavi di trovarmi qui, eh?

- Come ho fatto a sapere che eri qui? Le tue parole di ieri non mi avevano convinto molto: avevo capito che eri nei guai, ma non sapevo cosa stessi covando, così ti ho aspettata dietro l’angolo, ti ho seguita dopo che eri uscita dalla pista di pattinaggio, e ti ho vista entrare in questo bosco. Dopo un po’ ti ho persa di vista, e ti ho cercata fino a tarda sera; alla fine ho deciso di rimandare al giorno dopo. Oggi, dunque, sono tornato, ed eccomi qui. Che ci facevi con quei due? Non mi dirai che ti sei messa in qualche giro losco?

- Senti, Matteo, ora non ho tempo di spiegarti. Lasciami andare, sono di fretta, ho una questione urgente da sbrigare.

- Uhmm&ldots; è proprio questo che mi piace di te: che sei sempre così misteriosa&ldots; E cosa significa questo bizzarro costume? Non è un costume da trafficante di droga, e neppure&ldots;

- Vuoi lasciarmi andare, Matteo, per favore? Proseguiremo il discorso un’altra volta. Non ho tempo per le chiacchiere, ora.

Matteo allentò la presa, a malincuore, e Aurora sgusciò via come un razzo.

"Ci mancava pure Matteo, con le sue mattate" pensava la Protettrice, mentre si avvicinava alla Valle.

- Dica pure il mio sbalordimento! Come ha potuto, maestà? Come ha potuto? Allora è proprio vero: lei ha capito cosa le proponeva quell’uomo!

- Protettrice, io ormai già da tempo mi aspettavo una cosa del genere. Quando sei arrivata avevo già fiutato qualcosa, anche se non ho voluto dire niente: nessun essere umano aveva mai calcato il suolo della Valle degli Orsacchiotti, prima, e il tuo arrivo non mi è parso un buon segno. Ma poi ho visto che le tue intenzioni non erano cattive, che volevi solo provare a propinarci qualcuna delle vostre – ahem – pillole di saggezza, e niente più. Ti ho lasciata fare, e sei stata tu stessa a capire che noi non sapevamo che farcene. Tuttavia, come ti ripeto, avvertivo qualcosa di infausto, nell’aria&ldots; e la venuta di oggi me l’ha confermato. Purtroppo, se questo è il nostro destino, noi non possiamo opporci: non c’è niente da fare; checché se ne dica, voi uomini siete superiori a noi e siete destinati a dominarci. Preparerò i miei sudditi: all’inizio protesteranno, ma poi si dovranno piegare al mio volere, anzi, al vostro.

- Ma no! No! Non bisogna ragionare così! Sa quanti popoli, nel corso della storia, si sono ribellati ad altri che pretendevano di sottometterli con la prepotenza?

- E come hanno fatto? Con la forza, scommetto. No, no, mi spiace, Protettrice, noi siamo contro la violenza. Siamo più deboli, e se doveste usare le vostre armi, si scatenerebbe la guerra. Non spargiamo sangue inutile.

L’imperatore conosceva bene gli uomini. Sapeva che tra loro, diversamente che fra gli altri animali, la violenza genera violenza, anche se fatta per legittima difesa, e che la lotta può protrarsi anche all’infinito.

- Ma saranno loro a&ldots; - stava dicendo, ma si fermò. Non voleva rivelare a Stefano la notizia più agghiacciante. Era meglio cercare di fare in modo che l’irreparabile non avvenisse, senza fare inutili allarmismi.

- D’altra parte – proseguì Stefano – Voi avete le armi, la tecnologia: l’hai detto tu stessa. A tutto questo, noi cosa possiamo contrapporre? E’ vero – sorrise, commuovendo la Protettrice – il nostro mondo avrà tanti vantaggi, ma non può sopravvivere, è troppo arretrato&ldots; Avevi ragione tu, Protettrice.

Aurora quasi piangeva, e ne era sorpresa.

Fino a qualche settimana fa si sentiva orgogliosa di far parte del genere umano, si fregiava dei suoi meriti e delle conquiste fatte dai suoi simili nel corso della storia, ed era ansiosa di "convertire" gli Orsacchiotti, di fare della loro Valle una colonia civilizzata, prendendo i suoi abitanti sotto la sua ala protettrice e insegnando loro tutte quelle cose che non sapevano, così come i genitori fanno coi figli. Ora tutto il suo orgoglio era scomparso, e provava persino vergogna. Vergogna di essere umana, vergogna di aver pensato anche solo per un momento che il "suo" mondo fosse migliore di quello solo perché diverso, vergogna di aver desiderato di diventare la loro "protettrice", cioè la loro despota, spinta da quel pietoso paternalismo che è tipico dei razzisti&ldots; Si rese pure conto, nello stesso tempo, di essere stata anche lei vittima, nella vita, di un pregiudizio simile: "Sono fortunata" si era sempre detta "perché sono nata in un mondo che rispetta le donne, che le considera alla pari degli uomini&ldots; Non come una volta, ‘ché le donne erano schiave&ldots;’" Ma era proprio tutto vero? Era vero che le donne sono rispettate? Sua mamma le raccontava spesso di quei cortei di donne che sfilavano per le strade, tanti anni fa, portando cartelli di protesta e chiedendo a gran voce pari diritti&ldots; Era grazie a loro, le diceva, se ora tu puoi fare gli stessi lavori degli uomini, puoi votare&ldots; E ora, poteva anche "fare il soldato"&ldots; Sì, perché le donne, dopo lunghe e accanite lotte, erano finalmente diventate "come" gli uomini: era questo che le femministe avevano voluto dimostrare, che per essere rispettate dovevano essere così.

"Se questi Orsacchiotti portassero dei vestiti, guidassero l’automobile e avessero il telefonino" concluse mentalmente "forse verrebbero rispettati, perché sarebbero come noi."

La considerazione era quindi una questione d’identità. Se tu sei come me, io ti rispetto e ti considero, ma se non sei come me no, non abbiamo niente da dirci, tu stai al tuo posto, e se vuoi far parte della mia comunità adeguati, mimetizzati, non ti distinguere. A meno che&ldots;

"A meno che" rifletté la Protettrice "Non mi servi". Già: la diversità degli Orsacchiotti faceva comodo al proprietario del "Papavero", se era proficua, così come la diversità delle donne faceva comodo agli uomini, un tempo, quando si trattava di tenerle in cucina (e allora si diceva che erano lavori "da donna").

Ma ormai era inutile stare a rimuginarci. Bisognava invece agire, darsi da fare.

- No&ldots; - mormorò – Non è possibile. Dobbiamo ribellarci, impedir loro di fare il loro comodo. Ci sarà pure un modo.

- Non lo so, Protettrice – la voce dell’imperatore era rassegnata, seppure dignitosa – Se vuoi provare a parlarci, fallo, ma io credo sia inutile. Io, comunque, non voglio più entrarci. So benissimo che opinione hanno di me quei tuoi&ldots; amici: mi considerano un povero orsacchiotto col cervello di un bambino, che accetta la loro misericordia come un favoloso regalo. E io glielo lascio credere. Non mi ascolterebbero mai, perché si sentono in diritto di comandarmi e di avere ragione, e per loro le mie ragioni non contano nulla. Purtroppo i miei sudditi sono giovani e inesperti e ci metteranno un po’ a capirlo. Non ci staranno tanto facilmente&ldots; - e così dicendo, prese congedo dalla Protettrice, che stava domandandosi anche lei se valesse la pena tentare la rivolta.

Dal bastimento di Capitan Sebastiano, intanto, gli eventi terrestri venivano seguiti con scrupolo e con costernazione dal capitano e dal suo nostromo.

- Secondo lei, chi vincerà? – chiese Poliside, con aria scanzonata.

- Questa non è una partita – rispose duramente il capitano – e nemmeno un film, di quelli che i terrestri guardano alla loro televisione.

- Appunto. Noi non abbiamo bisogno della televisione, vede? Abbiamo tutte le vicende del mondo sotto gli occhi, e quando una ci stanca, possiamo tranquillamente cambiar canale, e sintonizzarci su un altro Paese. Cosa preferisce vedere, adesso? La guerra in Kossovo? Gli scandali del presidente americano? C’è solo l’imbarazzo della scelta.

- Non scherzare, Poliside. C’è poco da ridere, in questo momento. L’umanità va a catafascio, e se non interveniamo&ldots;

- E che c’importa? – e Poliside si dimenava sulla sua nuvoletta gaiamente, beandosi della pace del cielo – E’ questo il nostro vantaggio: possiamo spassarcela tranquillamente, senza pensare ai problemi di laggiù. Tanto se scoppia una guerra noi siamo al sicuro, non corriamo nessun pericolo.

- Ora parli proprio come quegli uomini che, davanti alla televisione, guardano impassibili le immagini dei bambini che muoiono di fame, delle guerre, delle dittature che sfilano sotto i loro occhi e continuano a vivere come se niente fosse, con la scusa che tanto "non possono farci nulla". Sì, non possono farci nulla, anche se ormai le distanze sono abolite, se la tecnologia ha raggiunto livelli parossistici, se la ricchezza in certi Paesi è direttamente proporzionale alla povertà di altri&ldots; Quando poi si tratta di andare in vacanza, allora tecnologia, soldi e mezzi servono, eccome.

- Quante complicazioni, Capitan Sebastiano – sbadigliò Poliside – Noi non abbiamo nemmeno quelli, e quindi non possiamo veramente fare niente. Il nostro dovere è unicamente quello di far piovere, nevicare, grandinare e alternare giorno e notte.

- Ah, niente di grave, erano di nuovo Didimo e Audenzio. Stavano giocando alla battaglia delle nuvole, e a furia di combattere, hanno provocato un temporale sull’Inghilterra.

- Bisognerebbe spostarli di lì, quei due. Per forza gli inglesi si lamentano che lì, da loro, piove sempre&ldots;

- E dove li mettiamo? Ognuno ha il suo posto, quassù, e ciascuno è geloso del suo, ci vive da secoli e secoli, non sarebbe mai disposto a cambiarlo.

- Be’, vai a calmarli un po’, non vorrei scatenassero qualcosa di serio.

- Santo Cielo – disse Capitan Sebastiano una volta rimasto solo, usando la sua solita, tipica esclamazione – Quanti grattacapi deve avere un capitano&ldots; Altro che storie. Meno male che almeno con Iolanda non ho avuto a che fare, per oggi.

Aveva appena finito di dirlo, che udì qualcuno domandare, in tono minaccioso:

- Ehi, Capitan Sebastiano, come vanno gli affari? – non ci voleva molta immaginazione per capire che chi parlava voleva sapere ben altra cosa.

- Bene, ma che&ldots; - Capitan Sebastiano dapprima rimase confuso, poi trasecolò nel riconoscere la voce di Zenobio.

"Tempesta in vista" pensò, inghiottendo la saliva.

Zenobio, un ganimede altezzoso e imponente, lo squadrò dall’alto della sua nuvola blu e gli si fece incontro con fare deciso.

- Qua-qualche problema, Ze-Zenobio? – balbettò Capitan Sebastiano che, pur essendo capitano, poteva sentir paura anche lui, come tutti.

- Lei non avrà mica fatto qualcosa per illuderla? Per farle capire che è interessato a lei? Guardi che il fatto che lei sia il capitano e che possa ottenere quello che vuole non mi fermerà, il mio cuore non conosce ragione&ldots;

- Ma Zenobio, cosa ti sei messo in testa? A me Iolanda non interessa per niente, stai prendendo un granchio&ldots;

- Fra un po’ sarà lei a prendersi qualcosa&ldots; in testa, se non confessa tutto. Iolanda mi ha detto di essere pienamente corrisposta, che io non posso nulla contro di lei!&ldots; Questo sarà da vedere.

- Zenobio, ragiona. Ti ripeto che io non sono innamorato di lei, è una sua manovra per toglierti ogni illusione&ldots; Vuol farti capire che non ti vuole più intorno, che la lasci in pace&ldots; E, detto fra noi, in questo caso faresti meglio a lasciar perdere: che gusto c’è ad amare una donna che non ti vuole? E poi, guarda che soffocandola l’allontani, la infastidisci.

- Ah, vede? Allora è vero. Tutta la manfrina che lei non ama Iolanda, e poi mi dice di lasciarla perdere? Avanti, lo ammetta, che vuole togliersi dai piedi un rivale scomodo per poter stare con lei!

- No, non è vero, non è vero! – il povero Capitan Sebastiano, spaventato dalla brutalità di Zenobio, che l’amore rendeva doppiamente pericoloso, non sapeva più che dire, e tutto quello che poteva fare era retrocedere, impaurito. Poi, di colpo, si arrestò e si drizzò, fiero. Che diamine, era o non era il comandante lì, in fondo? Come poteva farsi sobillare in quel modo da un suo subordinato?

- Insomma, Zenobio – disse, cambiando tono di voce – Basta con queste storie. Chi credi di essere? Ti dico che tra me e Iolanda non c’è niente, e se non ci credi non posso farci nulla. Ora torna al tuo posto. Sei un marinaio, ricordalo!

- Io non ho soggezione di nessunoo!!! – urlò Zenobio, fra i denti e, punto sul vivo, sferrò il suo forte pugno contro un nuvolone carico di tuoni e di pioggia.

Non l’avesse mai fatto! La nube colpita rovesciò tutto il suo contenuto sotto di sé, e in breve il cielo rimbombò di un concerto di scrosci e di saette che si abbatterono senza pietà sulla Terra.

- Zenobio, che hai fatto di nuovo? – chiese Poliside, accorrendo trafelato.

- Siamo alle solite – disse Capitan Sebastiano, con le mani sui fianchi, lanciando un’occhiata furibonda a Zenobio, che ora si stava pentendo della sua impulsività.

La pioggia batteva la strada della Protettrice che, sulla via del ritorno, riparata a malapena dal suo mantello, ripensava ancora al discorso fatto agli Orsacchiotti, la cui reazione, come previsto, si era rivelata ben diversa da quella dell’avveduto imperatore.

- Ma allora, Protettrice, ci hai imbrogliato! – avevano gridato a una sola voce, sdegnati, – hai comprato la nostra fiducia!

Di fronte a quelle accuse prive di fondamento, Aurora non aveva saputo cosa rispondere. Aveva borbottato qualche sillaba, confusa, senza però riuscire a mettere insieme delle scuse accettabili. D’altra parte, ciò di cui l’accusavano non era tanto lontano dalla verità. Le sue intenzioni, in principio, erano state proprio quelle di "colonizzare" la Valle; se poi lei aveva desistito nei suoi propositi ed era arrivata a conoscere e perfino ad apprezzare la vita e le abitudini degli Orsacchiotti, questo poco importava. Il risultato era lo stesso: quegli uomini avevano invaso la loro terra, e ciò che gli Orsacchiotti vedevano in lei, ora, era una traditrice che prima li aveva allettati con lusinghe e promesse, che poi si era finta loro amica e che, infine, li aveva venduti miserabilmente a due avvoltoi pronti a sottometterli con le cattive, visto che con le buone lei non ci era riuscita. Inutile cercare di far loro credere che lei non approvava il comportamento di quegli individui, che, anzi, lo condannava. Ormai ogni parola era per loro moneta falsa, spacciata dalla "protettrice" al solo scopo di ammorbidirli e di rendere le cose più facili ai suoi complici. Aurora fu di nuovo sul punto di piangere: oltre alla Valle, ora anche l’amicizia degli Orsacchiotti rischiava di essere distrutta, se già non lo era.

- Non è vero&ldots; - gemette, nel disperato sforzo di convincerli della sua buona fede – Io non sapevo che loro sarebbero venuti qui!&ldots; Amici, dovete credermi! – ma lei stessa si rendeva conto che le sue parole non servivano a nulla. Ci volevano i fatti. Ma cosa poteva fare?

Questa domanda risuonava implacabilmente dentro di lei, mentre la fanciulla, sotto la pioggia scrosciante, lasciava la Valle. Stavolta se n’era andata perché si sentiva indegna di quel luogo. Le sembrava che la stessa terra malsopportasse la sua presenza e tremasse sotto i suoi piedi, pronta ad inghiottirla da un momento all’altro. Camminava quasi trascinandosi.

La voce di Matteo la scosse dai suoi pensieri. Appoggiato ad un albero, con le braccia incrociate, il giovane dava a vedere di averla attesa a lungo. Tuttavia sorrideva, bonario come sempre.

- Matteo&ldots; - Aurora, sconsolata e prostrata dagli ultimi avvenimenti, di fronte a quel viso amorevole fu quasi tentata di gettarsi tra le braccia del suo amico in cerca di conforto e di scoppiare in lacrime.

- Si può sapere che succede? – il tono di Matteo sembrava non ammettere più né scherzi né bugie, segno che aveva capito che nella vita di Aurora era in gioco qualcosa di serio.

- Poc’anzi mi hai detto che, secondo te, ero nei guai. Be’, è vero, però in questo momento c’è qualcuno che lo è più di me.

- Non m’importa. È qualcuno che mi sta molto a cuore. La cosa peggiore è che forse è troppo tardi.

In quel momento, come a conferma delle sue parole, le giunsero dei rumori fragorosi che fecero rimbombare tutta la foresta.

Che fossero di nuovo Giovanni e Lorenzo? No, i passi sembravano prodotti da molte più persone. Aurora attese che il rumore si avvicinasse, imitata da Matteo che, pur essendo ancora all’oscuro dell’intera faccenda, era curioso di vedere cosa stesse succedendo.

La sorpresa che si dipinse sul volto di Aurora lo distolse per un attimo dall’ascolto.

Matteo non ebbe il tempo di domandarle chi fosse Carlo. L’immagine del commesso a lei familiare si era materializzata fra gli alberi, insieme a quella di un gruppo di altre persone vestite con delle tuniche bianche e recanti delle croci.

Carlo non appariva molto ben disposto nei suoi confronti.

- Cosa ci faccio?! Esattamente quello che hai fatto tu finadesso, mia cara: mi guadagno il pane.

- Il capo ci ha obbligati a venire qui a civilizzare la Valle. Io mi sono opposto in tutti i modi; lui ha minacciato di licenziarmi, e alla fine siamo giunti ad un compromesso: sarei venuto qui, sì, a patto, però, di fare qualcosa di utile per gli Orsacchiotti, se così si può dire.

- Senti da che pulpito viene la predica&ldots; Aurora, se non sbaglio sei stata tu a far scoppiare la bomba; io ti avevo avvertita, e tu hai voluto agire di testa tua. Ormai siamo tutti implicati, e non possiamo più tirarci indietro.

- Devo convertirli alla nostra religione, far loro conoscere il nostro Dio e istruirli sui nostri precetti evangelici. Io sono stato seminarista, come sai.

- Ma chi dice che non abbiano una loro religione?

- Lo so benissimo, cosa credi? Ma il capo ha parlato chiaro: bisogna convertirli, perché non si dica che li abbiamo lasciati nell’ignoranza e nell’eresia. Bisogna che dimostriamo di non averli solo sfruttati&ldots;

- Di ipocrisia ormai ci nutriamo tutti, che vuoi farci. Ora vuoi farci passare, per cortesia?

La Protettrice, choccata e sgomenta, si tirò da parte; le parole severe di Carlo in procinto di compiere una missione umanitaria contro la sua volontà, l’avevano inchiodata come una fucilata. L’incubo stava per iniziare, ed era più spaventoso di quanto si sarebbe aspettata: l’invasione, a quanto pare, era alimentata anche da "buone intenzioni", magistralmente calcolate per mascherare quelle cattive. E contro una spedizione che, dal di fuori, sarebbe apparsa a tutti come un’opera di civilizzazione e di cristianizzazione, chi si sarebbe mosso per fare qualcosa? Nessuno, fra i suoi simili, probabilmente, l’avrebbe ascoltata.

- Ora arrivano anche i soldati&ldots; - disse Matteo, annoiato; non aveva ancora realizzato bene se quello con cui stava avendo a che fare fosse una recita o uno scherzo di cattivo gusto.

- Salve, Protettrice – salutò Giovanni, apparendo in quel momento a fianco di Lorenzo. Avevano entrambi un’espressione molto soddisfatta, soprattutto Giovanni, che guardava tronfio la Protettrice, esibendo la divisa che indossava come una bandiera, il simbolo della superiorità che poteva vantare su Aurora, ora che il suo capo l’aveva nominato comandante del suo esercito. Le uniformi avevano tutte come distintivo un papavero azzurro.

La Protettrice, ancora un po’ smarrita, non ebbe subito la forza di ribellarsi. Rimase per un momento inerme; ma dopo che l’aitante comandante fu transitato con il suo esercito, ritrovò la padronanza di sé e gridò, come se lui fosse ancora lì:

- Comandante, eh? Ma te la faccio vedere io, te la faccio! – e con tutta la forza del suo temperamento si precipitò dietro gli invasori. L’atteggiamento megalomane di Giovanni l’aveva come risvegliata da uno stato d’ipnosi, mettendola di fronte a ciò che era veramente male, e che nel comportamento di Carlo era invece più sfumato, più velato e difficilmente riconoscibile.

- Aurora! Dove vai? – esclamò Matteo, che la fuga fulminea della fanciulla colpì più del passaggio di quei misteriosi individui. D’altra parte, il giovane non aveva occhi che per lei.

- Scusi, signore – lo richiamò invano un "soldato" che era rimasto indietro rispetto all’esercito; Matteo, senza ascoltarlo, corse difilato dietro ad Aurora.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 7

Al limite del bosco, dove gli alberi cessavano di tenersi per mano per lasciare perennemente aperta la porta della Valle, gli uomini avevano varcato la soglia ed erano irrotti selvaggiamente in quel microcosmo arcadico scampato forse per puro miracolo al progresso del mondo umano, e dove ora essi intendevano riportare l’orologio avanti e ristabilire la verità storica. Una verità di cui l’uomo si è appropriato, e che considera la vita al di fuori del suo controllo un sopruso e uno schiaffo al suo orgoglio.

La Protettrice accorse ansimante, inseguita a ruota da Matteo.

- Aurora, posso venire con te? – le domandò questi, raggiungendola e ponendosi al suo fianco allorché lei si era arrestata e, con gli occhi sbarrati, osservava quello che ora stava accadendo intorno a sé.

I soldati avevano messo al lavoro gli Orsacchiotti, e ovunque, nella pacifica Valle, urgevano i preparativi di quella che si annunciava essere una nuova città: la costruzione di case, di fabbriche, di edifici.

La Protettrice aveva l’impressione di sognare, e non sapeva come agire: avrebbe voluto intervenire e sbaragliare tutta l’assurda messinscena a cui stava assistendo, quella mascherata che addosso al mondo genuino e fresco degli Orsacchiotti stava proprio come un costume da Carnevale: ridicolo, perfino volgare. Però la rabbia e lo sgomento erano talmente forti da paralizzarla, e così rimaneva lì, impalata, senza riuscire a raccapezzarsi.

Fu la commovente ribellione di un Orsacchiotto a rompere gli indugi.

Mentre Giovanni, ebbro di potere, con il suo sorriso beffardo e superbo cucito in volto, si compiaceva di poter finalmente comandare lui, ed emulava l’esaltazione del proprietario del "Papavero" nel dare ordini a quegli esserini indifesi e sottomessi, un cucciolo, interpretando il rancore che pure covava negli animi degli Orsacchiotti, alzò la testa.

- Forza, bestie, forza! – gridava il neo comandante con una vanagloria insopportabile, per nulla incurante degli sguardi furibondi che i suoi subordinati gli lanciavano da tutte le parti – Bravo, fagotto di pelo, continua così.

Con queste parole compiacenti, egli aveva apostrofato il padre del piccolo, che aveva risposto fulminando il suo aguzzino con un’occhiata di disprezzo.

- Ehi, voi, ma chi vi credete di essere? – aveva suonato allora, nel silenzio generale, la vocetta dell’Orsacchiotto, che in quella sequenza avvilente non ci aveva visto più.

- Zitto, Valentino, per carità, zitto! - aveva sibilato il padre, terrorizzato, prevedendo già le conseguenze di un simile sbilanciamento. L’imperatore aveva parlato chiaro: non bisognava opporsi agli uomini, per quanto ingiusto potesse sembrare il loro operato.

A quell’innocente protesta, Giovanni trasalì, colto alla sprovvista. Non si aspettava delle insubordinazioni nelle file degli Orsacchiotti; forse non pensava nemmeno che questi animali potessero avere un’anima.

Si volse, serio, verso il piccolo impertinente, con l’espressione accigliata di chi non ammette di essere contraddetto.

- Lo scusi, signore – mormorò il padre, imbarazzato – Il mio piccolo non voleva offenderla&ldots;

- Ma certo che volevo, papà! – sbottò Valentino indispettito e per nulla intimidito da quel figuro che, a suo parere, nessun diritto aveva su suo padre, a parte quello di essere umano. Era piccolo, ma perfettamente in grado di distinguere tra il loro modo di vivere e quello imposto ora da quei prepotenti – Perché ti devi far trattare così? Tu e gli altri avete sempre lavorato senza che nessuno vi dicesse come farlo e quando farlo. E allora come mai adesso lui lo fa? Chi è lui?

- Valentino! – proruppe il padre, e alzò la zampa per dargli uno scappellotto, ma subito si fermò, sentendo su di sé lo sguardo inflessibile ed eloquente dell’uomo, che lasciava intendere che a comandare lì, prima di tutto, era lui. Sostenne a fatica quello sguardo, confuso e poco abituato com’era alle tirannie, e disse, a mo’ di scusante:

- Non sanno che devono rispettarvi, abbia pazienza, da noi le cose funzionano diversamente&ldots;

- Vorrai dire che hanno sempre funzionato diversamente, orsacchiotto! Adesso il divertimento è finito, le cose sono cambiate, ed è ora che impariate a comportarvi civilmente. Un’altra manifestazione d’indisciplina come questa, e vedrai!

L’Orsacchiotto ebbe un brivido nel sentir pronunciare la parola "civilmente" e, intimorito più da essa che dal tono minaccioso in cui l’uomo l’aveva proferita, chiese ancora umilmente scusa mentre, a fatica, tentava di trattenere il suo scatenato cucciolo dallo scagliarsi addosso a quello spilungone arrogante.

- Va bene, per questa volta passi&ldots; riprendi il tuo lavoro. E anche voi! – urlò Giovanni volgendosi agli altri Orsacchiotti, che quell’incidente aveva momentaneamente distratto dalla loro occupazione – Chi vi ha detto di fermarvi? Avanti, muoversi.

Di fronte a questa scena degradante, la Protettrice sentì la rabbia montarle dentro fino a farla quasi esplodere: fu la molla che la fece scattare. Accecata dall’odio, si avventò su Giovanni.

- Aurora! – gridò Matteo, spaventato, ma non riuscì a fermarla.

- Calma, calma, fanciulla, cos’è questa presa di posizione? – Giovanni le parò davanti la mano, sfoderando nuovamente il suo sorrisetto maligno, più tagliente di una spada. Non sarebbe stata certo una donna ad impressionarlo, per di più sola contro tutti.

- Chi ti dà il diritto di comportarti così, Giovanni? – disse la Protettrice, con ira.

- Tu non t’impicciare, ragazza. Qui sono io a comandare, e tu e questi stupidi quadrupedi dovete ficcarvelo bene in testa.

- La missione all’inizio era stata affidata a me. Se non ci fossi stata io a venire qui e poi a fare il rapporto al vostro capo, probabilmente tu e quell’altro non sareste stati neanche interpellati.

- Invece lo siamo stati. E ora tu, qui, non conti più niente, non ha importanza cos’hai fatto o che cosa non hai fatto.

- Non lo sei mai stata, lo sappiamo tutti e due – a quest’insinuazione, Aurora arrossì, sotto gli occhi indignati degli Orsacchiotti, che ora sentivano confermati una volta di più i loro sospetti sulla doppia faccia della fanciulla – E comunque il capo mi ha dato degli ordini precisi. Dobbiamo imporre il nostro dominio qui, e se lo facciamo senza la loro collaborazione, si parlerà di un’invasione bella e buona.

Rispondere a questa montagna di corbellerie, concentrato di cinismo e di opportunismo, era del tutto inutile, tanto più che Giovanni aveva dalla sua Paroldi. La Protettrice divenne più cauta, e tentò l’arma della diplomazia.

- Giovanni, loro hanno un sistema diverso – ora il suo tono era tranquillo, anche se solo apparentemente - Non ci sono capi, qui, nessuno comanda. Non sanno neppure cosa significhi. Soprattutto, nessuno umilia. Bisogna capirli, venire loro incontro.

- Capirli? Venir loro incontro? – ridacchiò Giovanni, schernendola, come se la Protettrice si fosse espressa in turco – Mi fai ridere,&ldots; "protettrice"!&ldots; Capire delle bestie&ldots; Questa è bella&ldots; Povera la mia Aurora, si vede che hai visto troppi cartoni animati, in tv&ldots; - e così dicendo le voltò la schiena, senza più contenere le risate.

- Brutto&ldots;! – ringhiò la Protettrice e, senza più controllarsi, alzò la sua chitarra in aria, e la calò violentemente su Giovanni.

Il colpo fu forse più forte di quanto ella avrebbe voluto. Un "ooohh&ldots;" di meraviglia e di orrore echeggiò in tutte le bocche, ma quando gli Orsacchiotti videro il loro aguzzino a terra, privo di sensi, subentrarono l’entusiasmo e la soddisfazione.

Aurora, cosciente con un attimo di ritardo dell’imprudenza commessa, si mise la mano sulla bocca e fece un passo indietro, atterrita.

Da tutte le parti le giungevano grida di approvazione e di disappunto.

Ad essere contenti erano soprattutto i piccoli, mentre i grandi si sentivano perduti, perché sapevano che a pagare le spese per quella rivendicazione della Protettrice sarebbero stati loro, poi.

- Misericordia, cos’hai fatto, Protettrice? – disse Stefano, accostandosi a lei, in tono di rimprovero.

Aurora taceva, con gli occhi sempre fissi su Giovanni, svenuto.

- Aurora, per carità, andiamocene! – la implorò Matteo, tirandola per il braccio – hai ancora il coraggio di rimanere qui? Su, vieni!

Aurora, stavolta, ancora imbambolata e stupita da ciò che lei stessa aveva fatto, dopo qualche resistenza lo seguì docilmente o, meglio, si fece quasi trascinare fuori dalla Valle, dove la gioia e il panico dilagavano senza posa.

- Adesso finalmente tutto si spiega – commentò Matteo, quando Aurora ebbe finito d’informarlo sui retroscena – Ma cosa combini, bella mia?

La fanciulla, seduta per terra, con la schiena appoggiata ad un albero e il capo chino, non aveva l’aria di ascoltarlo.

- Povera me&ldots; E io che volevo aiutarli&ldots; Ora, invece, sarà ancora peggio, tutto si ritorcerà contro di loro, e chissà cosa mai succederà&ldots;

Non sapeva proprio che pesci pigliare. Aveva sbagliato tutto, fin dal principio: ora lo riconosceva.

- Matteo – piagnucolò – che cosa posso fare, adesso? Io pensavo di far bene&ldots; fin dall’inizio pensavo di far bene. Dev’essere una mia prerogativa: le mie intenzioni sono sempre buone, e tuttavia finisco invariabilmente per far del male, per calpestare qualcuno. Dimmi, sinceramente: secondo te, sono sbagliata? Cosa c’è, in me, che non va?

Matteo si era seduto accanto a lei e le sfiorava dolcemente i capelli.

- Certo, con questo costume indosso, - disse sorridendo – non puoi essere presa molto sul serio&ldots;

Stava cercando di sdrammatizzare, ma le sue arti, del tutto fuori luogo, vennero di nuovo accolte male:

- Matteo, ti prego, non scherzare. Adesso che ti prendo in considerazione, che ti chiedo un consiglio, fai l’evasivo? Per favore, rispondimi: visto che io, evidentemente, non trovo mai la formula giusta, secondo te come devo fare per fermare quegli sciacalli e per impedir loro di distruggere la Valle?

- Ho paura che abbia ragione tu&ldots; oramai è troppo tardi. Gli Orsacchiotti possono ben poco contro gli uomini di Giovanni e oltretutto, se, come mi hai detto, Stefano ha ordinato loro di non ribellarsi, non lo faranno.

- E se lo faranno sarà la loro fine&ldots; - completò lei – e io, da sola, non posso far nulla. Perché, perché gli ho fatto questo? E’ tutta colpa mia, hanno ragione a odiarmi, sarebbe strano il contrario.

- Non essere così dura con te stessa, Aurora; tu non volevi che si arrivasse a questo punto: eri in una situazione difficile, e hai accettato di esaudire la richiesta del padrone del "Papavero" per non incorrere in malanni peggiori.

- Sì, ma ora? E comunque non era una buona ragione. Non era giusto che, per rendermi importante agli occhi del sig. Paroldi, dovessi passare sopra i cadaveri degli Orsacchiotti, che in fondo sono sempre esseri viventi, come te e come me – e le si accapponò la pelle al pensiero dei suoi piccoli amici barbaramente uccisi da quelli che per lei erano i suoi veri selvaggi: Giovanni e i suoi sporchi scagnozzi, imbevuti di spocchia e di vile cupidigia.

- E' vero – intervenne Matteo, afferrando al volo una volta per tutte l’occasione che gli si presentava per dichiararsi e, rivoltando come un guanto quell’argomento, che stava diventando il pomo della discordia fra loro, decise di trasformarlo nell’argomento-galeotto – tu spesso agisci in modo contrario a come pensi. Per esempio, con me sei sempre fredda e cinica, mentre in realtà sappiamo tutti e due cosa provi, vero? – e accompagnò queste parole con un gesto affettuoso, passandole il braccio dietro la schiena.

- Lasciamo perdere il momento, Aurora, per te il momento, a quanto pare, non è mai quello giusto! È da tanto tempo che te ne voglio parlare, quanto ancora intendi aspettare? E visto che siamo in argomento, vuoi per una volta essere coerente coi tuoi pensieri?

- E' proprio perché ho agito male troppe volte che ho paura di sbagliare di nuovo&ldots;

- Forse dipende dal fatto che non hai mai seguito davvero il tuo cuore. O che hai aspettato troppo a farlo.

- Può darsi. Se io avessi pensato prima a schierarmi in difesa degli Orsacchiotti, a quest’ora non saremmo a questo punto, e io&ldots;

Questo discorso fu interrotto dalle labbra di Matteo che, dopo aver intimato:

"Sstt&ldots; ora basta parlare di quest’argomento", si accostarono a quelle di Aurora, impedendole di continuare. Aurora non oppose resistenza. Chiuse gli occhi e, ubbidendo a Matteo, si lasciò guidare dai suoi sentimenti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 8

Capitan Sebastiano era sempre più turbato. Gli avvenimenti della Terra stavano prendendo una piega preoccupante. Dopo l’acquazzone causato da Zenobio, avrebbe voluto ritirarsi in un angolo e non pensare più a niente, dimenticare le tante emozioni che si erano susseguite, una dietro l’altra, in quel movimentato turno diurno. Ma evidentemente la giornata non aveva ancora terminato le sue sorprese. E non appena uno Zenobio avvilito e un Poliside impassibile avevano preso commiato da lui, egli era stato richiamato da un forte trambusto proveniente da sotto: era la confraternita di Carlo che avanzava nella foresta degli Orsacchiotti, quella stessa foresta dove gli alberi si tengono per mano in segno di amicizia. Di lì a poco quell’amicizia sarebbe stata calpestata barbaramente dall’esercito di Giovanni e la Protettrice, inorridita, li avrebbe inseguiti per far giustizia. L’occasione, più per disgrazia che per fortuna, come sappiamo, non aveva tardato a presentarsi: la sete di potere di Giovanni non si era arrestata nemmeno di fronte all’innocenza di un piccolo Orsacchiotto che, ignaro, aveva voluto difendere il padre dalla strafottenza dei nuovi venuti. La Protettrice non aveva retto più, e aveva messo nel suo gesto tutta la sua volontà di riscattare un popolo defraudato della sua libertà e, nello stesso tempo, di rovesciare ciò di cui Giovanni era simbolo, e cioè la soverchieria del sig. Paroldi e di tutti coloro che pretendono di succhiare spudoratamente il sangue altrui.

Tutto questo era accaduto sotto gli occhi increduli di Capitan Sebastiano, che mai si sarebbe aspettato un simile sviluppo in così breve tempo. L’intervento di Aurora era stato acclamato da lui come un’azione giusta e riparatrice. Tifava per gli Orsacchiotti e per la loro "protettrice" con fervore, e aveva incoraggiato e osannato la fuga nel bosco, al riparo, di Aurora e di Matteo. Ora, però, temeva per la loro sorte e per quella degli abitanti della Valle. C’era poco da stare allegri: quali atroci punizioni si preparavano, dunque, per i suoi eroi?

- Cosa succede, Capitan Sebastiano? – gli chiese Poliside, comparendo sulla sua nuvoletta verde.

- Le cose si mettono male. La Protettrice ha compiuto un gesto nobile, certo, ma quel che ha fatto ora si ritorcerà sicuramente contro di lei e contro gli Orsacchiotti. Vedi quel tipo disteso, laggiù, in mezzo alla Valle? È Giovanni. Era stato mandato a capo di un esercito per invadere la Valle e per imporre il proprio dominio; anzi, quello del capo del "Papavero"; ma la Protettrice, con una botta, l’ha mandato al tappeto.

- Non sono dello stesso avviso. Ci vuol ben altro. Per sgominare quegli sciacalli bisognerebbe mobilitare un altro esercito, ma&ldots;

- Be’, anche lui comanda una specie di esercito, per la conversione degli Orsacchiotti.

- Ebbene, non potrebbe fermarli lui? Lui era con Aurora, ricordo bene che la pensava come lei riguardo agli Orsacchiotti.

- Inutile, anche lui dipende da Paroldi e ha paura di lui. Temo che si potrà contare solo su Aurora. Solo che è sola&ldots; Ma dov’è, ora?

Aurora in quel momento, veramente, era in un’altra dimensione. Stretta fra le braccia di Matteo, dimentica di tutto ciò che le stava intorno, sonnecchiava e si cullava su un’altalena di sogni e di colori incantevoli. Si vedeva per mano al suo cavaliere, mentre varcava la soglia della Valle, sulle prime un po’ titubante, ma poi rassicurata dalle ovazioni e dalle grida di benvenuto che salutavano il suo ingresso. Poi passeggiava per la landa festeggiata come un’eroina dagli Orsacchiotti; all’orizzonte, fulgida e fiera nel sole che lo coronava e lo irradiava coi suoi raggi, si stagliava la figura dell’imperatore Stefano, che l’attendeva per tributarle la sua parte di onori: non le chiavi della città, ma un bastone di legno col pomo a forma di cuore, come simbolo del "potere" che tutti gli abitanti volevano conferirle all’unanimità, un potere però concepito in modo diverso da quello degli uomini, un potere che prima di tutto era dato dall’amore. Sarebbe stata la loro protettrice e amica, lo sarebbe stata veramente ora, e avrebbe difeso per sempre la Valle dagli uomini e da tutti gli ospiti indesiderati. E questo proclama era appoggiato dall’esibizione pubblica degl’invasori, ora imprigionati in una grossa gabbia, mentre i loro seguaci, dopo la loro cattura, si erano dati vilmente alla fuga, abbandonando il campo. Stefano leggeva su un papiro il resoconto, semplice e succinto, delle epiche imprese della Protettrice, di come ella aveva saputo sconfiggere brillantemente gli usurpatori del trono di Sua Maestà l’imperatore e riconquistare così la fiducia perduta.

Aurora si sentiva al colmo della felicità e, rivolta a Stefano, domandò eccitata:

Gli Orsacchiotti si guardarono spaventati, ma poi sorrisero, consenzienti, loro malgrado, e Stefano, scambiato con loro un cenno d’intesa, acconsentì alla richiesta. E la Protettrice, imbracciata la chitarra, si apprestò a cantare, mentre i piccoli amici rabbrividivano, come in vista di una nuova invasione nemica.

Fu in quell’attimo, mentre il sogno si chiudeva sull’immagine degli Orsacchiotti che fuggivano da tutte le parti nel sentire le note diffondersi nell’aria, che Aurora si sentì scuotere dolcemente per le spalle.

- Ah, sei tu, tesoro? – disse la fanciulla, stropicciandosi gli occhi, compiaciuta e un po’ sofferente per essere stata strappata a quell’ebbrezza onirica – che c’è?&ldots;

- Giovanni?! – nell’udire quel nome, Aurora si riebbe all’istante – Che vuol fare quel ribaldo? Che vuol fare ai miei Orsacchiotti?!?!

E senza aspettare risposta, la Protettrice balzò in piedi e galoppò verso la Valle.

Poi si rivolse al giovane che era lì con lui e che Aurora, nella fretta, non aveva neppure notato. Era lo stesso che, il giorno prima, era rimasto in ritardo sugli altri uomini di Giovanni: non approvava l’iniziativa a cui gli era toccato di prendere parte, e avrebbe volentieri fatto qualcosa per sventarla, se fosse stato possibile.

- Niente da fare – disse – Quando quella parte, chi la ferma più? Ma se è come dici tu, per ora, per fortuna, non dovrebbero esserci pericoli. Speriamo solo che questo non sia l’indizio di qualcosa di ben più grave.

Il soldato era sopraggiunto poco prima; proveniva dalla Valle e aveva notizie importanti da dare alla Protettrice. Vagava per il bosco in groppa al suo cavallo, alla ricerca della fanciulla e, dopo ripetute invocazioni, gli aveva risposto alfine una voce maschile.

"Cerco la Protettrice di Orsacchiotti, sa mica dov’è?"

"Vuol dire Aurora? Chi è lei?"

"Sono uno degli uomini di Giovanni Cortese, non si ricorda di me? Lei è il fidanzato?"

"Diciamo così. Aurora ora sta dormendo. Cosa vuole da lei?"

"Avrei delle notizie urgenti. Ricorda che la sua ragazza aveva steso il mio capitano con un colpo? Be’, quando s’è riavuto, ha fatto fuoco e fiamme, s’è messo a insultare e a strepitare contro tutti; ha chiesto dove s’era cacciata quella sciagurata, quell’Attila in gonnella, e visto che nessuno rispondeva e che lei non si vedeva, se n’è andato furibondo, minacciando di tornare e di fare un macello. I soldati gli sono andati dietro, tentando invano di calmarlo. Gli Orsacchiotti, nel frattempo, accoglievano la sua partenza con esplosioni d’indicibile giubilo, mentre Stefano, nella sua saggia prudenza, manteneva la sua regale flemma. Ora gli Orsacchiotti sono di nuovo liberi, ma per quanto? Per questo volevo consultarmi con la Protettrice, per decidere sul da farsi."

"Ho paura che la Protettrice potrà fare ben poco. Non vi sembra di chiederle troppo? Non può, lei da sola, combattere contro tutto l’esercito di Giovanni e del suo tirapiedi, Lorenzo, o come diavolo si chiama."

"Ma io volevo solo un parere: io sarei stato per un ammutinamento contro il capitano, ma i miei compagni non sono d’accordo, alcuni hanno paura, altri sono accecati dalla cupidigia quanto lui, se non di più. Se si potesse magari concertare un piano, prima che quel fanatico torni&ldots;"

"Purché quel fanatico poi non se la prenda con lei&ldots;" e Matteo, con fare paterno, si era chinato su Aurora e l’aveva svegliata, anche se l’idea di coinvolgerla nuovamente in quell’intricata faccenda dopo aver fatto di tutto per sottrarvela, non gli piaceva molto.

Aurora, riportata a terra a precipizio dopo quel magico volo sulle ali della fantasia, come Icaro fuori dal labirinto, era volata senza aspettare spiegazioni in soccorso dei suoi amici, scordando di colpo tutte le raccomandazioni con cui Matteo, la sera prima, si era affannato a metterle il cuore in pace.

Con sua grande meraviglia, la Protettrice aveva trovato una Valle in preda alla confusione e all’abbandono. I lavori erano stati lasciati a metà; il popolo degli Orsacchiotti era sparso per la landa, come smarrito e incerto sul da farsi. Molti, partiti gli uomini, respiravano nuovamente il profumo della serenità e dell'autonomia, ma nell’aria c’erano anche incertezza, paura e perplessità.

- Protettrice, che facciamo ora? Torneranno? – i cuccioli le corsero incontro cercando rifugio.

- Protettrice, come la mettiamo, adesso? – chiese, a sua volta, un Orsacchiotto adulto, manifestando i suoi dubbi in modo adulto.

- Se ne sono andati, dunque? – balbettò Aurora, incredula, stringendo a sé i piccoli batuffoli di pelo – Che la lezione che gli ho dato sia servita?

Quelle parole bastarono a convincere gli ignari Orsacchiotti che non c’era più nulla da temere. Ora che la Protettrice si era, in un certo senso, riabilitata ai loro occhi, era più facile crederle.

- Hanno avuto quello che si meritavano! Per la Protettrice hip&ldots; hip&ldots; - esclamarono i presenti, fuori di sé dalla gioia, e questa volta guardando a lei come alla loro vera paladina.

Ma Aurora non riusciva a darsi pace. Non osava confessare neppure a se stessa che quella era una situazione provvisoria, e che non sarebbe passato molto perché l’esercito di Giovanni tornasse, più agguerrito che mai.

Matteo e il soldato arrivarono in quel momento.

- Aurora! Non avrai fatto loro credere che è tutto finito? – domandò Matteo, in tono di rimprovero.

Anche Carlo, unico rimasto fra gli umani, la fissava severamente.

- E perché no? – Aurora accennò agli Orsacchiotti, in preda a una frenesia di festa – Perché allarmarli inutilmente, con una cosa contro cui non potranno nulla, povere bestiole? Guardale, come sono felici. Lasciamo godere loro gli ultimi momenti di libertà, non guastiamoglieli.

I tre uomini ubbidirono a colei che meglio di tutti conosceva gli abitanti della Valle. La Protettrice vide concretizzarsi il suo sogno nel momento in cui i suoi Orsacchiotti la sollevarono e la portarono in trionfo per i prati del villaggio, ma senza riuscire a provare la stessa voluttà.

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 9

- Lasciamoli dunque sfogare, finché possono, Aurora. E tu non ti preoccupare, non serve niente – e tenendola per mano, Matteo si avventurò con lei fra le piante e i fiori, alla scoperta della meravigliosa Valle – Vediamo piuttosto di visitare questo posto. Che diamine, non dirmi che da quando sei qui non ti sei spinta oltre le case!

Aurora, infatti, non l’aveva mai vista tutta. Ogni volta che era venuta lì, aveva qualche pensiero in testa; aveva ben altro a cui pensare, che a visitare le bellezze del luogo. Ma ora che lo faceva, lo trovava più bello di quanto si fosse immaginata.

- E’ bellissimo – diceva, affascinata.

E la compagnia di Matteo, che col suo radioso sorriso e col senso di sicurezza che emanava aveva il dono di restituirle gioia e fiducia, aggiungeva ancora più magia a quella gita. Si lasciava condurre come estasiata, rapita non solo dalla bellezza e dall’armonia della Valle, ma anche da qualcosa che con la Valle non aveva nulla a che vedere: la bellezza e l’armonia di Matteo. Sedettero sulla riva di un ruscello, ed ella appoggiò la testa sulla sua spalla.

- Matteo - Aurora sospirò; non riusciva, malgrado tutto, a non pensare al terribile destino che sarebbe toccato ai suoi protetti - So che sono noiosa, ma&ldots; non si potrà fare proprio niente per loro?

- E cosa vuoi fare? Tu, per me, hai fatto anche troppo. Non vedo perché te la devi prendere tanto. Dopotutto, solo solo or&ldots;

- Ti sbagli, Matteo, sono molto di più. Anch'io, all'inizio, avevo quest'opinione di loro. Loro sono inferiori a noi, non sanno vivere, hanno tutto da imparare da noi&ldots; Ma ti sei mai chiesto che cosa penseranno loro di noi?

- Su, su, non rovinarti la vita in questo modo. Le cose sono già abbastanza complicate così, senza che tu ci metta la tua parte. Rilassati un po' anche tu, adesso, ne avrai diritto, noh?

Aurora cercò di ascoltarlo; d'altra parte, le riusciva difficile resistergli. Questa era la cosa che più la spaventava: che, cioè, quand'era fra le braccia di Matteo perdeva la testa, si lasciava andare e dimenticava i suoi doveri, com'era successo la notte scorsa.

E senza proferir parola, ella, inebriata, lasciò che la ragione, esausta, si assopisse e che il cuore prendesse di nuovo il sopravvento, e si lasciò avvolgere dall'abbraccio di Matteo, desiderando solo di sentirsi coccolata e protetta, lontana dal mondo, dalla Valle degli Orsacchiotti, da Giovanni e da Carlo&ldots; e da tutto ciò che fino a poco prima le era turbinato nella testa.

 

Sì, era una giornata davvero speciale, quella, per tutti. Mentre Aurora cercava, nella pace e nel silenzio della macchia, di trovare in Matteo quello che aveva sempre sognato, gli Orsacchiotti tornavano ad adempiere alle loro occupazioni quotidiane con uno spirito nuovo, senza dover sottostare a nessun padrone. Solo Stefano, affiancato dal suo accorto consigliere Antonellino, non era tranquillo. E fu su suo ordine che Antonellino indisse una riunione generale per preparare i sudditi alla prossima, temuta disgrazia che si prospettava per la sventurata Valle. Sistematosi dietro un ceppo e dopo avervi battuto sopra alcuni colpi con un sasso per richiamare la loro attenzione, l'Orsacchiotto chiamò dunque intorno a sé i suoi compagni dicendo in tono solenne:

Il consigliere li mise dunque al corrente della minaccia che incombeva sulla Valle. Fece prima un breve riassunto della storia della loro terre, e ricordò la leggenda, che gli Orsacchiotti si tramandavano da secoli, secondo cui tempo fa la Valle era abitata da orsi selvatici, oppressi dal despota Planticzuma. Un giorno i plantigradi si erano sollevati e avevano scacciato il tiranno che, da allora, non aveva più fatto ritorno, né nulla si era più saputo di lui. Molta acqua era passata sotto i ponti, nel frattempo: gli orsi erano cambiati, si erano rimpiccioliti, il loro pelo si era sfoltito e si era fatto più fine e più lucente, e la loro indole, più docile e più pacifica. Tuttavia, gli indovini del villaggio avevano più di una volta, e soprattutto recentemente, profetizzato un arrivo insolito e improvviso, senza nemmeno escludere che si trattasse proprio di lui, di Planticzuma, tornato forse dopo un lungo viaggio per vendicarsi del popolo che l'aveva bandito dal suo regno. Gli Orsi della Valle avevano sempre avuto vita lunga, anche se nel corso degli anni si era andata accorciando sempre di più; si poteva quindi supporre che quello che diceva di chiamarsi Giovanni fosse in realtà, se non lui, che la vita a contatto con gli uomini doveva aver contribuito a rendere più simile a loro, un suo inviato, un suo servo. D'altra parte, la sua natura, primitiva e aggressiva, era molto vicina quella degli uomini: per questo nel mondo umano poteva aver trovato il suo habitat naturale, e dopo aver conquistato una certa "posizione sociale" (concetto, osservò Antonellino, di comprovata importanza nella civiltà umana), un certo prestigio, aveva deciso che aveva tutte le carte in regola per passare all'azione e per riconquistare il potere perduto. Ma gli Orsacchiotti di oggi nulla avevano da spartire con quelli, robusti e violenti, di allora: non avrebbero più potuto aver ragione sul terribile Planticzuma, il cui vantaggio, per di più, era centuplicato dall'appoggio dei suoi potenti alleati umani e delle loro armi micidiali. Giorni difficili si preparavano, quindi, per la Valle, e anche se gli Orsacchiotti ora speravano, grazie all'azione della Protettrice, di essersi liberati una volta per sempre dell'invasore, in realtà la loro felicità era destinata a durare ben poco: non era una resa del nemico, quella, ma solo un armistizio.

Gli allegri Orsacchiotti, che per la verità avevano ascoltato con una punta di scetticismo la storia di Planticzuma e la sua identificazione con Giovanni Cortese fatta da Antonellino, dovettero comunque ammettere che ciò che il consigliere diceva corrispondeva al vero: che si trattasse o che non si trattasse del tiranno redivivo, Giovanni era sempre pronto a colpire. E sui loro musetti calò un'ombra scura. Ora che aveva aperto loro gli occhi, Antonellino si apprestò dunque a fare, per conto dell'imperatore, un altro discorso diplomatico per predisporre gli animi, così com'era già successo alla vigilia del primo arrivo delle truppe di Giovann Ma stavolta gli fu impedito. Il morale dei sudditi, inciampato nelle sue parole e rovinato a terra in malo modo, subì subito dopo un'improvvisa impennata in virtù di quelle stesse parole. La rievocazione delle gesta dei loro antenati li inorgoglì e li caricò come un'iniezione di fiducia. I piccoli animali misero da parte la loro mitezza e si calarono per un attimo nei panni, anzi, nella pelle degli antichi abitanti della Valle, che con grande coraggio e dignità avevano saputo affrancarsi dal giogo di Planticzuma.

- Insomma - si dissero l'un l'altro, capendosi al volo - siamo o non siamo orsi, in fondo? E non avremo mica paura dell'uomo? Noi siamo più forti, gli animali selvaggi sono tutti più forti di lui, avremo la meglio!!! - e la voglia di riscossa, alimentata dal ricordo del passato, divenne un solo, forte, grido.

Antonellino tentò disperatamente di riportare l'ordine nell'uditorio, ma le urla lo assediavano da tutte le parti e si sentiva schiacciato, annientato, come se la vittima del rancore generale fosse lui, invece di Giovanni.

- Che succede? - domandò Aurora, giungendo in quel momento per mano a Matteo.

Rientrata dalla passeggiata, si aspettava di ritrovare l'atmosfera serena che aveva lasciato; quel disordine, così insolito fra gli Orsacchiotti, la lasciò di stucco. Carlo, che era stato testimone della riunione di Aurora, appoggiato pigramente ad un albero e con un'espressione che lasciava intendere che non c'era niente di nuovo sotto il sole, la mise sommariamente al corrente degli ultimi fatti:

- Il consigliere dell'imperatore stava cercando di preparare psicologicamente gli Orsacchiotti al prossimo attacco di Giovanni, e d'improvviso è scoppiato il finimondo.

L'avara spiegazione di Carlo non valse a soddisfare la curiosità di Aurora, sempre più allibita dallo strano comportamento dei suoi beniamini.

Nessuno le dava risposta. D'un tratto, il polo d'attrazione si spostò sull'Orsacchiotto più intraprendente, che dal punto esattamente opposto a quello in cui si trovava Antonellino, esclamò:

- Ai posti di combattimento, compagni! - e tutti, concordi, ubbidirono, volgendosi dalla sua parte e lasciandosi pilotare verso l'entrata della Valle.

- Be', ora sono pronti - gemeva tra sé e sé Antonellino - ma non nel modo che intendevo io&ldots;

Si sentiva quasi responsabile del putiferio che aveva scatenato, pentito di aver parlato loro dei loro eroici ascendenti e della storia della cacciata di Planticzuma.

Gli Orsacchiotti si erano schierati su due fronti, ai due lati della porta d'ingresso della Valle e, acquattati tra i cespugli e le piante, attendevano trepidanti il sopraggiungere di Giovanni e dei suoi uomini.

- Sapremo bene come accoglierli - era l'imperativo che correva di bocca in bocca, tra i discendenti di Planticzuma; a nulla sarebbero servite, ormai, le concilianti parole di Stefano: quello che avevano subìto poc'anzi era un sopruso bello e buono, e bisognava vendicarsi, fargliela pagare. I piccoli plantigradi non intendevano per nulla al mondo farsi di nuovo usurpare tutto ciò che apparteneva loro: la libertà, l'autonomia, la stessa Valle.

- Ci siamo, ci siamo! Arrivano! State pronti! - gridò accorrendo Ubaldo, l'Orsacchiotto che faceva da palo all'entrata, nel bosco.

Tutti si prepararono all'agguato. Presto una figura umana si disegnò nello squarcio aperto dagli alberi, e la trappola scattò. Un'orda di Orsacchiotti arrabbiati si slanciò su di lui mordendo e graffiando a più non posso, come non aveva mai fatto con nessun animale feroce.

- Buoni&ldots; buoni&ldots;! - supplicò una voce disperata, accompagnata da un dimenarsi di braccia che si agitavano all'impazzata per difendersi da quelle bestie scalmanate.

- Misericordia! Quello è Claudio! - esclamò, da lontano, Aurora, riconoscendo il pacifico soldatino che aveva contrastato in tutti i modi l'azione di Giovanni - Fermi, per carità, fermi!

Gli Orsacchiotti erano talmente accaniti che neanche l'intimazione della Protettrice servì a fermarli; Aurora dovette correre personalmente in soccorso del malcapitato ed ebbe ancora il suo daffare per liberarlo da quegli artigli, che si ostinavano a non volerglisi staccare di dosso.

- Claudio, mi dispiace&ldots; - si giustificò la fanciulla, confusa - Pensavano che fossi Giovanni. Spero che non ti abbiano fatto male&ldots;

- Sai qualcosa, per caso? Buone nuove? - la domanda di Aurora era retorica; sapeva bene che c'era ben poco da illudersi.

- Purtroppo no - rispose, infatti, il soldato - Giovanni è proprio dietro di me. Fra non molto arriverà. Ma gli Orsacchiotti non vorranno mica accoglierlo così?

- Temo proprio di sì - disse la Protettrice, sconsolata - hanno alzato la cresta e sono decisi a difendere ciò che è loro con le unghie e coi denti (è proprio il caso di dirlo). Non vogliono rendersi conto che così peggioreranno le cose.

- Già - sospirò Claudio, guardando i suoi aggressori che tornavano ad appostarsi in posizione strategica, in mezzo alla vegetazione - I malefici influssi umani cominciano a farsi sentire. Saranno dolori, per loro&ldots;

L'arrivo profilato da Claudio non tardò ad annunciarsi. Gli Orsacchiotti rizzarono il pelo nel sentire lo spostamento d'aria e l'atmosfera impregnarsi di un ben noto, sgradevole odore; quando a questi indizi si aggiunse il rumore di foglie calpestate, essi si apprestarono ad un nuovo attacco. Questa volta, però, attesero che l'elemento visivo completasse il quadro, per evitare di cadere in un altro sbaglio.

Ma Giovanni, nel comparire sulla soglia della Valle con un falso sorriso e la spontaneità di chi si sente a casa propria e in diritto di fare ciò che vuole, li prevenne abilmente con la sua sciolta loquela da venditore e ciarlatano.

- Ehi, giovanotti, calma, con chi credete di avere a che fare? Con un criminale incallito, forse? Se non sbaglio sono io che dovrei essere in collera con voi, dopo quello che voi e la vostra padroncina mi avete fatto&ldots; Ma guardate che io non sono più arrabbiato con voi; vi perdono&ldots;, a patto che voi riprendiate il lavoro da dove l'avete cominciato e che non facciate più storie&ldots; Amici come prima, allora? Che ne dite?

Gli Orsacchiotti si bloccarono, annichiliti, presi in contropiede. Stavano per gettarsi su quello che per loro era un sobillatore, un oppressore, e ora questo li inchiodava con delle parole che tutto avevano meno che odio, prepotenza o disprezzo. Si imponeva a loro come se fossero suoi amici; non solo: dichiarava di non avercela con loro, rovesciando inaspettatamente una questione che fino a poco prima sembrava ritorcersi senza alcun dubbio contro di lui. Era lui ad aver ragione; loro erano in torto, e gli dovevano delle scuse. Questa curiosa sensazione che il furbo Giovanni, addestrato sapientemente alla scuola di Paroldi, era riuscito ad insinuare in loro, li tenne momentaneamente sospesi, distraendoli dal proposito che in un primo tempo si erano prefissi, ed il sedicente capitano ne approfittò così per fare un cenno ai suoi uomini, che si addentrarono di gran carriera, indisturbati, nella Valle.

- E in quanto a te - disse poi, facendosi incontro ad Aurora e minacciandola con il suo bastone - in quanto a te, giovane impudente, per questa volta passi, ma prova ancora a farmi un affronto simile o a mettermi in qualsiasi modo i bastoni in mezzo alle ruote, e vedrai! Se pensi che ti abbiano reso la vita difficile fin’adesso, aspetta di aver assaggiato la mia vendetta!

Stefano scosse la testa come se sapesse già in anticipo che le cose dovessero andare così, perché ormai conosceva gli uomini quanto i suoi sudditi.

 

 

 

 

CAPITOLO 10

I lavori ripresero, dunque, nella Valle, e gli Orsacchiotti tornarono a chinare la testa senza proferire una parola di protesta.

Seduta in un angolo, la Protettrice assisteva impotente al supplizio perpetrato ai danni dei suoi amici e sentiva su di sé tutto il peso del rimorso per ciò che aveva e per ciò che non aveva fatto. Matteo cercava invano di consolarla. Aveva anche cercato di convincerla a lasciare la Valle, dove la sua presenza era ormai inutile, ma lei, indignata, aveva ribattuto:

- No! Questa è la mia seconda casa, la mia seconda famiglia! Deciderò io se e quando andarmene, e mi batterò fino all'ultimo per i miei Orsacchiotti. E, se sarà il caso, morirò con loro!

Matteo aveva tremato a queste parole. Temeva già da prima per la sua incolumità, da quando ella aveva osato affrontare Giovanni, e soprattutto ora che questi l'aveva brutalmente ammonita di non immischiarsi negli affari non suoi&ldots; Ma per quanto lui potesse premurarsi di tenerla il più possibile lontana dai guai, non poteva impedirle del tutto di fare sua la causa degli Orsacchiotti.

Nel corso dei lavori, avvennero altri incidenti, e all'inizio Giovanni fu stranamente indulgente, resse la faccia di circostanza fingendo di perdonare gli Orsacchiotti e mostrandosi sempre amabile e comprensivo; atteggiamento, questo, che naturalmente strappò ad Aurora ringhia di rabbia e minacce borbottate fra i denti. Ma l'inesperienza dei piccoli quadrupedi, poco abituati ad un ritmo così frenetico ed estenuante, finì col produrre sempre più ripetuti sbagli, che misero a dura prova la simulata pazienza di Giovanni e dei suoi uomini. Gli Orsacchiotti, soprattutto, non avevano molta dimestichezza con il martello, coi chiodi, col trapano e con tutti quei curiosi aggeggi che la Protettrice aveva cercato di far loro conoscere. Le loro zampe, per di più, non erano fatte per maneggiare e per tenere fermi quegli arnesi, non avevano l'elasticità delle mani dell'uomo, e le difficoltà che incontravano erano quindi doppie, se non triple, rispetto a quelle di un operaio umano. E se Giovanni in quel momento così delicato si sentiva quasi obbligato dalla responsabilità del suo incarico a mantenere un buon rapporto coi suoi subordinati (anche se neppure la sua faccia di circostanza era destinata ad avere vita lunga), i suoi soldati, che non avevano nessun interesse a trattarli bene, non perdevano occasione per vessare i poveri Orsacchiotti, attraverso i quali si compiacevano anzi di poter finalmente realizzare il loro frustrato desiderio di potere. Bastava che un Orsacchiotto facesse cadere qualche cosa in terra perché i militari, divenuti sempre più cattivi e insensibili, prorompessero in ogni sorta d'improperi contro il responsabile e contro tutta la sua razza. La Protettrice era stata tentata più volte d'intervenire, ma Matteo l'aveva puntualmente trattenuta, supplicandola di lasciar perdere, per evitare grane.

Dopo un po', ella non riuscì più a sopportare quello strazio; si alzò e si allontanò, pregando Matteo di non accompagnarla. Aveva bisogno di restare sola e di riflettere.

Perché i suoi simili si comportavano così? Perché si permettevano d'insediarsi in un posto che a loro non apparteneva e di perseguitarne gli abitanti senza sforzarsi nemmeno di conoscerli, prima, di capirli, di trattare veramente con loro da pari a pari? Non sapeva spiegarselo.

Camminò fra le piante del boschetto situato oltre il villaggio, lo stesso dove aveva passeggiato romanticamente, il giorno prima, insieme a Matteo. Sperava di trovare delle risposte nella pace che dominava il laghetto, i prati, gli alberi e la volta del cielo, ma le sembrò invece che anche quel posto incantevole, come tutta la Valle, avesse perso tutta la sua armonia dopo la venuta degli uomini e che il bacillo della civiltà saturasse ormai irrimediabilmente l'aria, rendendola elettrica e soffocante. Dov'era quel magico balsamo che le medicava i polmoni e l'animo, restituendole pace e tranquillità quando si spingeva da quelle parti? Lo stress e l'agitazione avrebbero presto mietuto vittime anche fra gli Orsacchiotti, che difficilmente ne sarebbero sopravvissuti.

Nel cielo, Capitan Sebastiano, con accanto il fedele Poliside, la osservava angustiato.

- Capitan Sebastiano, e se le dessimo un piccolo suggerimento? - chiese Poliside, serio.

- Suggerimento?! - il capitano, appoggiato al timone, lo guardò come se fosse impazzito. La sua abituale indifferenza, venata di sottile sarcasmo, nei confronti dei problemi terrestri, lo aveva sempre irritato, e quella proposta gli parve del tutto insolita in lui.

- Sì, capo. Non si era parlato dell'oro, delle pietre preziose? Se si potessero trovare, gli Orsacchiotti, almeno, sarebbero salvi.

- Non chiamarmi "capo": io non sono mica il capo del "Papavero Azzurro". L'oro, hai detto? - i mutamenti repentini facevano parte del carattere di Poliside, è vero, ma lui non aveva mai mostrato d'interessarsi sul serio a quelle cose, se non per compiacere il suo capitano: era proprio la fine del mondo! Ma era meglio ascoltarlo: forse lui aveva davvero la chiave per risolvere quella difficile situazione.

- Sì, capo. L'oro. Per gli Orsacchiotti forse non avrà più valore del fango delle rive di quel laghetto ma agli uomini, come lei ben sa, può far perdere la testa, è come una droga.

- E chi dice che non ne abbiano? Purtroppo in questo caso mi tocca dar ragione al signor Paroldi, a Giovanni e alla loro teppaglia: l'oro, ahimè, c'è, anche se non nella quantità da loro supposta. Vede quella grotta laggiù? Là si nasconde qualcosa, e se Aurora, col nostro aiuto, lo scoprisse&ldots;

- Purché quel guastafeste di Matteo non rovini tutto. Lui cerca sempre di trascinarla fuori, e ora che lei si sta innamorando, spesso lo segue ciecamente.

- Eh&ldots; anche l'amore, purtroppo, può essere una droga molto potente. Per fortuna non è dannoso come il denaro. D'altronde, deve capire Matteo: vuol bene ad Aurora, e lo fa per lei, perché teme che le succeda qualcosa, che se la prendano con lei.

- Già, l'amore&ldots; che bella cosa&ldots; Ma su, muoviamoci. Cos'hai in mente, Poliside?

- Allora lo sai anche tu, caro? - squillò in quella la vocetta di Iolanda, che aveva afferrato la prima parte del discorso di Capitan Sebastiano.

- E' questo il tuo guaio, Iolanda. Tu pensi troppo&ldots; Poliside, che stai facendo?

Il nostromo aveva appena staccato uno dei raggi d'oro del timone e lo stava scagliando su Aurora.

- Ma cosa ti salta in mente? Adesso si arrabbierà, maledicendo chi le ha combinato quello scherzo. Se a te arrivasse qualcosa in testa, staresti a vedere di cosa si tratta o te la prenderesti con chi te l'ha tirata?&ldots;

- Be', se si trattasse di un oggetto d'oro, non mi preoccuperei sicuramente di chi me l'ha tirato&ldots; Trattandosi degli uomini, poi&ldots;

Ma Poliside aveva già lanciato il secondo raggio.

- Ohi ohi&ldots; un altro di questi colpi, e altro che logoro,&ldots; il mio timone sparirà del tutto&ldots;

- Sfido, io&ldots; - si frammise Iolanda, che non si era persa una parola di quella buffa diatriba - E' proprio vero che voi uomini dite, dite, e poi alla fine ne capite meno di una capra&ldots; Avete dimenticato che quelli sono raggi di sole? Se quella se li è sentiti arrivare in testa, avrà pensato tutt'al più di aver preso un colpo di sole e che il tempo, visto che il cielo era così nuvoloso, oggi è un po' bizzarro. Tra tutti e due&ldots;

- Senti, Iolanda&ldots; - ringhiò Capitan Sebastiano, che aveva già un diavolo per capello, e che le stoccatine di quella saputella facevano imbestialire ancora di più.

- Be', capitano, è vero, non ci avevo pensato: una volta sulla Terra, i raggi perdono il loro aspetto di oggetti d'oro&ldots; - ammise Poliside - è chiaro&ldots; come il sole!

- Già&ldots; e anche io comincio a vederci chiaro - proseguì Iolanda con aria circospetta - Adesso capisco perché non mi guardi neanche. È per quella che ti scaldi, eh? Ti preoccupi tanto per lei&ldots;

- Insomma, Iolanda, basta! Ho altro a cui pensare, ora! Vai a scocciare un po' Zenobio, piuttosto!

E nel così dire, la spinse da parte, facendola cadere pesantemente su una nuvola nera.

Era la nuvola della grandine. Sotto il peso, raddoppiato dal vigore della spinta di Iolanda, esso espulse una violenta pioggia di grandine proprio sulla testa della Protettrice.

- Ma che succede al tempo, oggi? - le venne fatto di chiedersi, come aveva previsto Poliside - Prima, con cielo tutto coperto, il sole mi picchia addosso con la veemenza di una canicola; ora si mette addirittura a grandinare!

Si mise a correre a perdifiato per la landa, finché, poco distante, non adocchiò una grotta.

- Capitan Sebastiano! Capitan Sebastiano! Guardi! In un modo o nell'altro, siamo riusciti nel nostro intento!

Capitan Sebastiano, che era ancora arrabbiato con Iolanda, nel vedere Aurora che si dirigeva verso la grotta che per gli Orsacchiotti rappresentava la salvezza, s'illuminò.

- Sebastiano - Iolanda, risentita, si era rialzata e si stava riavvicinando al suo offensore - Questa da te non me la sarei aspettata! Come hai osato&ldots;

- Iolanda, sei magica! - esclamò Capitan Sebastiano fuori di sé dalla gioia, senza ascoltarla e, abbracciatala, le stampò un bacio sulla guancia che la lasciò senza parole - Brava!

Iolanda, che non aveva ben compreso ciò che era accaduto, rimase così stordita e così deliziata, che si mise a balbettare senza riuscire a mettere insieme una frase sensata:

L'unica cosa chiara, lampante, era che lui l'aveva baciata per la prima volta, e lei non riusciva a capacitarsene.

Nel frattempo, sulla Terra, la Protettrice perlustrava la grotta.

"Sicuramente, era qui che un tempo dormivano o cercavano rifugio gli Orsi selvaggi&ldots; Poi si sono evoluti anche loro, e si sono messi a costruire case&ldots; senza però perdere molte delle loro abitudini."

E, scrutando le pareti, provò, divertita, a vedere se recavano delle iscrizioni o dei disegni come quelli che gli uomini primitivi avevano lasciato nelle caverne. Non vi trovò nulla.

"Peccato" pensò "Questa poteva essere una prova da esibire a quei cervelloni per dimostrare che anche gli Orsacchiotti avevano una loro cultura e, quindi, una loro intelligenza. Anche se a loro forse sarebbe importato fino ad un certo punto, perché non gli avrebbe fruttato niente&ldots;"

E il suo sguardo si spostò dalle pareti di roccia al pavimento, ricoperto di polvere e di muschio. Voleva sedersi per terra e, per evitare di sporcarsi, decise di usare come sedile una grossa pietra: la stava avvicinando al muro quando, nel tirarla via, la sua attenzione fu attratta da qualcosa di lucente.

"E quello cos'è?"; ma non ci mise molto a capire. Il suo animo, a quella visione, s'illuminò, come se la luce si fosse proiettata anche dentro di lei.

"Santi numi, ma allora&ldots;"

Aurora fu lì-lì per svenire, tanta era l'emozione che l'aveva investita. Ma invece di cadere all'indietro, si lasciò andare in avanti, sulle ginocchia e, una volta in terra, prese a scavare freneticamente, carponi, a togliere la polvere e la terra per accertarsi che ciò che aveva visto non fosse frutto della sua fantasia e, poi, per cercare tutto quello che c'era da cercare.

E di tanto in tanto si pizzicava con la mano sinistra per accertarsi di essere sveglia, mentre con la destra seguitava la sua ricerca, una ricerca spinta non dall'avidità, dalla bramosia del denaro, ma solo dall'amore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 11

Se Aurora avesse potuto vedere cosa accadeva nella Valle, però, avrebbe avuto ben poco da sorridere.

Giovanni, Lorenzo e i suoi uomini, in sua assenza, si erano abbandonati ai soprusi più sfrenati nei confronti dei loro sottoposti. La proverbiale goccia era stata quella che aveva avuto per protagonisti il capitano e una graziosa femmina. Durante la costruzione della chiesa, il capitano si era accorto che un'Orsacchiotta, invece di lavorare con gli altri, stava trasportando un po' d'acqua in un contenitore di legno che era andata ad attingere al laghetto; l'aveva subito raggiunta, le si era parato davanti e con un tono foriero delle peggiori sciagure, l'aveva richiamata:

L'Orsacchiotta, messa di fronte ad una mancanza che non immaginava neppure di aver commesso, aveva assunto un'espressione di terrore e si era affrettata a chiarire:

- Ma io&ldots; io&ldots; pensavo che quelli fossero lavori riservati ai maschi&ldots; Da sempre, noi femmine ci occupiamo dei nostri cuccioli, mentre gli Orsacchiotti fanno i lavori più pesanti&ldots; Cerchi di capire, il mio piccolo è a casa malato, devo prendermi cura di lui&ldots; - ed era sicura che l'umano avrebbe capito, se non altro perché c'era di mezzo la salute del suo piccolo.

Ma l'occhiata con cui Giovanni l'aveva fulminata era stata così gelida da far rabbrividire anche una pietra.

- Lavori riservati ai maschi?! Ma su che razza di idee retrograde viaggiate, bestie che non siete altro? In una società civile non ci sono differenze tra i sessi, non esistono lavori per maschi e lavori per le femmine&ldots; O forse credevi di scantonare il lavoro, con questa scusa?&ldots;

L'Orsacchiotta si era messa a piangere, ferita dalla spietatezza di quell'uomo che predicava la giustizia e l'uguaglianza trattandola come un essere inferiore e privo di sentimenti. È vero, lei era ignorante, cosa ne sapeva di società civile, di lavori per tutte e due i sessi, di parità&ldots;? In quel momento ciò che più le premeva era il suo Orsacchiotto malato&ldots; Come poteva abbandonarlo per andare a lavorare coi maschi e per dimostrare che non ci sono differenze fra maschi e femmine?

Giovanni, per nulla toccato, aveva alzato ancora la voce:

E siccome la poverina si limitava a rimanere lì, in lacrime, con il secchio di legno posato in terra, lui aveva alzato il braccio armato di frusta per colpirla&ldots;

Gli Orsacchiotti videro quel gesto, e in un istante tutte le parole e gli atteggiamenti stucchevoli con cui quel miserabile conquistatore aveva mascherato fino a poco prima la sua vera natura furono spazzati via, cancellati e dimenticati. L'indole brutale dell'uomo fece scattare l'indole brutale e selvaggia nell'animale, a cui gli Orsacchiotti avevano provvisoriamente messo la sicura. L'eredità ancestrale dei sudditi di Planticzuma riesplose all'unisono in tutto il popolo della Valle e si abbattè sulla meschinità antropomorfica. Giovanni si vide all'improvviso venire incontro un branco di quegli animali che aveva creduto mansueti e inoffensivi e la sorpresa fu tale che non pensò neppure a scappare: gli Orsacchiotti ebbero così buon gioco a gettarglisi chi su un braccio, chi su una gamba, chi in testa, chi sulle spalle. Un soldato, vedendo il suo superiore in pericolo, spianò il fucile, ma altri Orsacchiotti, da dietro, lo immobilizzarono prontamente, cingendolo a loro volta da tutte le parti. Mentre lottava accanitamente per sciogliersi da quel groviglio, Giovanni, e con lui anche i soldati, la squadra di Carlo, e perfino Matteo (individui diversi, ma tutti comunque uomini) non riusciva ancora a capire perché proprio quell'episodio, e non altri, avessero fatto scatenare su di sé una simile reazione. Lui, uomo civilizzato, appartenente ad una società moderna basata sulla parità dei diritti fra i sessi, ma anche sulla sopraffazione fra i sessi, non sapeva di aver calpestato, oltre alla libertà e alla bellezza della Valle, una legge fondamentale nella comunità degli Orsacchiotti: nessun maschio deve far del male a una femmina, le femmine sono sacre. In natura non esistono né la violenza né lo stupro. La femmina ha i suoi compiti, diversi da quelli del maschio, ma non per questo è inferiore al maschio. E la sua dignità è intoccabile: il maschio non può accoppiarsi con lei finché non è pronta.

Stefano, chiamato d'urgenza da alcuni degli Orsacchiotti che si erano astenuti da quell'aggressione, accorse trafelato; gli occhi di tutti i presenti erano ora puntati su di lui, come sull'unico in grado di fermare la furia vendicativa dei suoi sudditi.

- Fermi! - gridò - Che fate?

Ma anche i suoi ordini furono raccolti con parecchio ritardo. Gli Orsacchiotti sembravano sordi alle sue intimazioni; continuavano ad infierire imperterriti sulla belva umana, e solo dopo che l'imperatore ebbe implorato due o tre volte, più forte, di smetterla, mollarono la presa.

- Sono desolato, capitano - disse poi, rivolto a Giovanni, ma non aveva bisogno nemmeno di guardare la faccia aggrondata dell'aggredito per prendere atto che ormai scusarsi era inutile; tutto era perduto, la Valle si era rovinata con le sue stesse mani. D'altronde, egli aveva già anche previsto che sarebbe finita così; sapeva fin da prima che i suoi sudditi non avrebbero mai tollerato che qualcuno s'insediasse in casa loro e la facesse da padrone.

L'orgoglio congenito della razza, lo stesso che aveva armato la rivolta contro Planticzuma, non aveva mentito.

- Stefano, ti avevo avvertito! - sputò Giovanni, fuori di sé dalla rabbia. Tutta la sua falsa benevolenza, i suoi modi gentili e concilianti erano spariti persino al cospetto dell'imperatore, che ora era diventato per lui un Orsacchiotto come gli altri, indegno di essere rispettato - Ti avevo avvertito di tenere a bada questi selvaggi, pensavo di potermi fidare almeno di te! È proprio vero: siete tutti uguali!

Stefano per un attimo affrontò con gli occhi l'uomo ma poi reclinò il capo, arrendendosi alla giustizia che gli veniva imposta e che voleva l'essere umano che offende padrone, e l'animale che offende, un facinoroso da punire. Era un brutto segno. Se l'imperatore abbassava la testa, significava che era finita.

- E adesso vi dimostrerò quanto può costare un ammutinamento di questo genere!

E, nel silenzio di panico e di terrore che era piombato sulla Valle, Giovanni fece ai suoi uomini un cenno che non sarebbe stato facilmente dimenticato. L'ordine fu prontamente eseguito, e una raffica di colpi sferragliò implacabile sui graziosi animaletti, senza far distinzione tra offensori e inoffensivi, tra cuccioli e adulti, tra maschi e femmine. Invano risuonò l'ululato, straziante, di tutti i superstiti: i proiettili seguitarono a trafiggere corpi su corpi, trasformandoli in un batter d'occhio in bambolotti di pezza privi di vita. La situazione si era capovolta. Se prima era stato l'uomo ad essere preso in contropiede, sottomesso in un campo in cui aveva dimostrato di avere meno competenza rispetto all'animale (la forza fisica), ora era l'animale a venir colto nel suo punto debole, schiacciato da uno strumento contro cui nulla poteva: la tecnologia. E l'effetto sorpresa aveva nuovamente giocato a sfavore della parte lesa, cui era del tutto sconosciuta la velocità e l'atrocità delle armi da fuoco.

La strage fece impallidire lo stesso Matteo. Ovunque si vedevano madri chine sui cadaverini dei loro piccoli, cuccioli che piangevano le loro mamme morte, Orsacchiotti gementi accanto ai corpi dei fratelli, delle mogli, dei mariti. Qualche Orsacchiotto correva ferito e sanguinante, in cerca d'aiuto.

Reduce dalla provvidenziale scoperta, Aurora tornava ora al villaggio e le pareva di volare, tanto era felice. Sapeva che l'oro non sarebbe servito a far sgombrare l'assedio dalla Valle, ma avrebbe potuto forse blandire un po' Giovanni e magari renderlo più disponibile nei suoi confronti: se gli uomini corrotti hanno un prezzo, grazie all'oro ora Aurora avrebbe potuto trattare con loro e rendere meno dure le condizioni imposte agli Orsacchiotti.

Lo spettacolo che le si offrì quando rientrò alla base potò ogni sua speranza e la riempì di raccapriccio.

Si pentì nuovamente di come aveva agito, di essersi allontanata, permettendo, involontariamente, che un simile massacro venisse consumato.

Ma se la sua apparizione non sortì l'effetto voluto, quello di un deus ex maquina, per gli Orsacchiotti, lo ebbe in compenso per Giovanni, che nel vederla identificò subito in lei il capro espiatorio su cui riversare le sue colpe.

- E sappiate - disse infatti, puntando il dito contro la malcapitata - Che se questo è successo, potete ringraziare solo lei! Sì, proprio la vostra "protettrice"! E' stata lei a battere bandiera qui, come sicuramente saprete, e ad armare quest'esercito. Noi non siamo altro che burattini nelle sue mani, sicari che eseguono pedissequamente i suoi ordini.

Il tono con cui ora parlava agli Orsacchiotti non era più di scherno o di sfregio, ma nuovamente di circostanza. Come sempre quando gli conveniva, aveva preteso che essi capissero i suoi intricati discorsi, e mirava a tirarli dalla sua parte, a far loro credere di essere solo una vittima delle circostanze. Per questo si atteggiava a loro amico.

E gli Orsacchiotti intesero (salvo per quel "pedissequamente") e si volsero tutti verso di lei, come cannoni puntati contro una condannata a morte: Aurora tornò ad essere il bersaglio degli sguardi infuocati e dell'odio di coloro che aveva cercato di proteggere con tutte le sue forze&ldots;

- Amici, non gli crederete, spero? Ma non vi rendete conto che così fate il suo gioco? Io sono vittima quanto voi&ldots; Amici&ldots; Amici&ldots; Orsacchiotti!

Ma ogni difesa era vana.

Gli Orsacchiotti rimasti illesi, cui la morte dei loro compagni aveva tolto ogni ragione, impedendo loro di leggere gli oscuri disegni dell'astuto Giovanni, la circondarono armati di pietre, sfoderando i denti acuminati. La macchina messa in piedi dal sedicente capitano funzionava alla perfezione, coinvolgendo nei suoi ingranaggi i malcapitati abitanti della Valle, ed espellendone tutti i pezzi indesiderati.

- Ami&ldots; oh, è inutile!&ldots; - Aurora dovette nascondersi dietro un albero e da lì, facendosi scudo con il mantello dalla gragnola di sassi di cui era fatta oggetto, gridò:

Matteo stava già correndo in suo aiuto e sperava che questo, finalmente, l'avesse convinta ad andarsene da quel posto; invece, vedendosi trascinare in una nuova avventura, mandò un sospiro.

- Se le cose vanno avanti di questo passo, temo non molto. Ma se non vuoi venire, rimani pure qui. Per me questa è una cosa d'importanza vitale.

E si lanciò per la landa solitaria. Matteo, che non conosceva e non amava la Valle come lei, ma che avrebbe fatto qualunque cosa pur di vederla felice, la seguì di malavoglia.

- Capisci, Matteo? - disse Aurora, mostrandogli il filone d'oro che spiccava nel pavimento della grotta - Con questo pensavo di poter salvare gli Orsacchiotti almeno dalla morte, ma visto come si sono messe le cose&ldots; ci sarà un cambiamento di programma.

- E che intendi fare, allora? - chiese Matteo, con un'aria insieme annoiata e preoccupata.

- Lo userò lo stesso, per corrompere Giovanni e i suoi uomini! Bisognerà solo cercare di portarlo fuori di qui.

- Già, impresa facile&ldots; Hai presente la fatica che facevano i minatori, una volta, per estrarre l'oro e le gemme dal sottosuolo? E se non sbaglio usavano degli arnesi che si chiamano piccozze&ldots;

- Che diamine, certo che lo so, ma non c'è tempo. Per questo ho portato questa.

- Certo. L'ho trafugata dal deposito dell'esercito di Giovanni. Se la gettiamo qui dentro, l'oro verrà fuori.

Matteo non sapeva più se ridere o se impressionarsi di fronte a questa sua nuova uscita. Avrebbe voluto tentare di dissuaderla: l'esplosione avrebbe potuto essere pericolosa&ldots; Ma Aurora era così convinta, che gli parve fiato sprecato dire qualcosa.

Uscì con lei fuori dalla grotta, ed entrambi si posero a debita distanza prima di lanciare l'ordigno.

- Vedrai, Matteo, vedrai! - gli occhi di Aurora brillavano, pregustando la scena che si preannunciava - Quello sbruffone vuole diventare ricco e potente? E io lo accontenterò. Lo renderò tale. Ma senza tirare in balle quelle povere creature. Ah, lo sistemerò per bene, lo sistemerò!

E palleggiava con la bomba da una mano all'altra, ridendo tra i denti, e senza rendersi conto di cosa succedeva alle sue spalle. Matteo, che aveva come lei lo sguardo rivolto verso la grotta, si girò in tempo per vedere la sagoma minacciosa di un soldato dietro di lei.

Il sorriso sparì dal volto di Aurora, mentre due mani corpulente l'afferravano per le braccia.

Mentre la Protettrice si dibatteva con tutte le sue forze, l'omone guardava la bomba.

- Volevi compiere un attentato al capitano, eh? Ma ti ho colto con le mani nel sacco.

Matteo si era già mosso verso di loro, ma Aurora gl'intimò:

- Lascia stare, Matteo, me la cavo da sola. Ma tu, che diamine dici? Un attentato? Cosa ti salta in mente?

- Sì, con questa bomba&ldots; Ma non nel modo che pensi tu! Lasciami e vedrai. Non te ne pentirai, te lo assicuro!

- Ti dico di no, specie di spaventapasseri! Ti pare che farei saltare in aria i miei Orsacchiotti?

- Se mi lasci, non potrò certo farti saltare in aria qui, non voglio saltare anch'io col mio ragazzo, e se scappo, non temere: faranno presto a riprendermi. Ora che ho tutto l'esercito di Giovanni e la Valle degli Orsacchiotti contro, non avrò molto scampo, non ti pare?

Il soldato la lasciò andare, curioso di vedere cos'avesse in mente, ma sempre tenendola d'occhio. Fulminea fu l'azione della Protettrice che, appena libera, proiettò il braccio indietro insieme con tutto il corpo, per poi scagliarlo in avanti con lo stesso movimento di una catapulta&ldots; Quindi, sotto gli occhi esterrefatti del soldato, la grotta rimbombò facendo tremare tutta la terra intorno; i soldati, chiamati a raccolta dalla Valle, si videro piovere addosso una manna che sul momento scambiarono per una tempesta di meteore.

- No! La Protettrice ci sta bombardando con le armi atomiche! - scappò detto al più pauroso.

La magica parola echeggiò di bocca in bocca: "oro!", "oro!", "oro!", e i soldati, abbandonate le armi, si dispersero da tutte le parti come tante galline a cui venga gettato il becchime. L'idea aveva funzionato.

Ma, per ironia della sorte, in mezzo a tutti quei soldati che correvano come impazziti di qua e di là senza riuscire ad afferrare neanche una pepita, la sventurata fanciulla se ne beccò un bel pezzo dritto in testa e, dopo una lieve giravolta, stramazzò a terra.

- Aurora&ldots; Acciderba&ldots; - imprecò Matteo - Ma che bel fenomeno&ldots; Prima coinvolge tutti nelle sue mirabolanti imprese e poi, sul più bello, sviene. Su, sbrigati! Non c'è più tempo da perdere!

- Il bel fenomeno sei tu&ldots; - mormorò la Protettrice nel riaversi, dietro a Matteo, che si stava avviando a grandi passi verso il villaggio - Sempre pronto ad intervenire, e quando ho veramente bisogno di te, ti defili!&ldots;

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 12

- Ascoltatemi, amici - esordì Matteo, che aveva preceduto di parecchia strada la Protettrice, al villaggio - Smettiamola di farci guerra fra di noi. Io e Aurora, e anche Carlo, siamo dalla vostra parte, e saremmo pronti a farci in quattro per voi. La Protettrice ha appena compiuto un atto di grande coraggio, è riuscita a distrarre momentaneamente l'esercito di Giovanni e dobbiamo approfittarne subito, se non volete che avvenga l'irreparabile.

Ma gli Orsacchiotti sembravano aver perso definitivamente ogni fiducia nell'uomo, chiunque fosse, e ascoltavano i discorsi del giovanotto con un rancore a malapena contenuto. Un Orsacchiotto parlò per tutti:

- Sì, eh? Un atto come quello dell'altro giorno, che sicuramente era preparato, e che ci ha causato tanti guai? È inutile, ormai non c'ingannate più con le vostre parole, né tu, né quella fanciulla che dichiara di essere la nostra protettrice. Le parole lasciatele ai vostri politici, ai vostri venditori di fumo, noi ne abbiamo abbastanza. Se dobbiamo morire, preferiamo morire con dignità, dopo aver combattuto fino all'ultimo, e senza lasciarci abbindolare dai vostri trucchi. Avrete i nostri corpi, le nostre pellicce, se le volete, ma non le nostre anime! Perché non ci avete lasciati in pace? Noi stavamo così bene, vivevamo tranquilli, senza odiarci né senza farci del male&ldots; cosa vi abbiamo fatto per meritare questo?

Matteo non seppe cosa rispondere; dopo aver riflettuto un momento, ritentò:

- E' vero&ldots; Avete ragione, ma&ldots; sbagliate ad incolpare anche Aurora. Lei non voleva che si arrivasse a questo; lei voleva solo esservi amica&ldots; la conosco troppo bene, è troppo buona, troppo pura di sentimenti per concepire simili, diabolici progetti.

- La tua Aurora è esattamente come tutti gli altri uomini: finge. È stata lei ad architettare tutto, ormai lo sappiamo!

Agli Orsacchiotti doleva molto, malgrado tutto, dover constatare certe cose su colei a cui si erano così affezionati, che consideravano una sorella.

- Ma Orsacchiotti, come potete credere più a quel vile filibustiere, a quel doppiogiochista di Giovanni che ad Aurora? Il cattivo è lui, non capite?

- Cattivo, cattivo&ldots; Tutte storie. È Aurora che recita la commedia, come dite voi, e&ldots;

- Senti chi parla di recitare!

Aurora rientrava in scena sul teatro della Valle, lupus in fabula, proprio in quel momento.

- Senti senti&ldots; proprio voi mi giudicate una commediante, ingannatrice ed esperta nell'arte dell'insidia&ldots;e voi sareste degli angeli, allora? Vi ricorda qualcosa, questa?&ldots; - e sventolò, davanti al suo pubblico, la pelle di lupo con cui al suo arrivo i cuccioli, con la complicità di tutto il villaggio, le avevano giocato il brutto tiro degli Orsacchiotti in pericolo.

Toccò agli Orsacchiotti, stavolta, di rimanere senza parole.

La Protettrice allora continuò:

- Bel ringraziamento, dopo tutto quello che ho fatto per voi! Credete forse che l'abbia fatto per ottenere qualcosa? Sappiate allora che poc'anzi ho fatto saltare quella grotta laggiù, dove si nascondeva un filone d'oro, al puro scopo di far attirare sul posto gli uomini e di salvarvi. Fossi stata come mi dipingete, avrei approfittato tranquillamente della situazione e mi sarei impossessata di quell'oro, infischiandomene se voi stavate o non stavate bene!&ldots;

Molto spesso la credulità è più propria delle folle che dei singoli, la cui personalità tende ad annullarsi e a confondersi nel branco, rendendo la massa fragile e in balia delle correnti più forti, come un arbusto che si volge nel senso in cui soffia il vento. Ora gli Orsacchiotti, suggestionati dalle parole di una Protettrice più convincente e autoritaria del solito, parvero ricredersi, ma uno di loro, dalla personalità particolarmente forte, fu pronto a ricatturarne l'attenzione:

- Certo - disse, alzando la voce - Vi spiego io com'è andata! La signorina qui presente aveva fatto saltare la grotta proprio per impadronirsi dell'oro, se no come avrebbe potuto portarlo via di lì? Poi, però, l'esplosione ha attirato anche i soldati e così lei è dovuta fuggire, e ora che ha nemici da entrambi le parti cerca di riconquistarci perché le conviene, noh?

E l'Orsacchiotto assunse un'aria di sfida. Ma la Protettrice aveva tanta rabbia in corpo, e temeva tanto di sprecare anche quel preziosissimo tempo che si era faticosamente guadagnata, che non ci pensò due volte a togliere di mezzo quel guastafeste: lo afferrò per la zampetta, gli appioppò due sculaccioni e lo tirò da parte.

- Insomma, Orsacchiotti, fate come volete. Io vi dico che il tempo stringe, che se volete mettervi in salvo, dovete farlo alla svelta! Parlo nel vostro interesse, che diamine!

Gli Orsacchiotti, ancora sconvolti per la strage perpetrata da Giovanni e dai suoi uomini e confusi su chi fosse loro amico e chi no, erano incerti sul da farsi. Pochi avrebbero voluto lasciare la Valle; avrebbero preferito piuttosto morire lì. Spaventati, in preda al panico, si abbandonarono ad una corsa disperata, senza mèta, che li disperse in tutti gli angoli della landa; in quel fuggi-fuggi generale, tuttavia, un pensiero chiaro e preciso sembrava accomunare la mente di tutti: l'intenzione assoluta di non voler imboccare la direzione dell'uscita.

Nella confusione che si venne a creare, la Protettrice ne prese in braccio in due, e due o tre la seguirono, aggrappandosi a lei come all'ultimo baluardo che rimaneva loro. Poi si guardò attorno, contemplando per l'ultima volta quel posto che aveva sperato divenisse per l'umanità un punto di partenza da cui ricominciare tutto da capo; anche per lei partire si rivelò piuttosto difficile, quasi quanto per i suoi piccoli abitanti. Nel frattempo, Giovanni era riuscito, con fatica, a domare il parapiglia provocato nel suo esercito dalla pioggia d'oro della grotta. Contrariamente alle previsioni della Protettrice, egli aveva saputo padroneggiare, solo fra tutti, i suoi appetiti e, agendo come un vero capitano, si era messo ad inseguire i suoi uomini lanciando comandi imperiosi a destra e a sinistra, e nel giro di pochi minuti aveva riportato l'ordine nella truppa. Poi, dopo una ramanzina coi fiocchi in cui aveva richiamato i suoi uomini ai loro doveri, aveva intimato di far rotta verso la Valle, rimasta incustodita, e di rimandare a dopo il pensiero dell'oro. La calata dell'esercito, in mezzo al pandemonio che era ora invece esploso fra gli Orsacchiotti, risolse contemporaneamente Aurora e Matteo su due azioni contrastanti: la Protettrice, per istinto, fu spinta di nuovo a restare, nell'assurdo desiderio di difendere la Valle; Matteo, altrettanto d'impulso, decise di porsi in salvo con lei, ma fu più rapido nel mettere in atto il suo ben più sano proposito. Senza darle il tempo di opporsi, l'afferrò per la vita e la trascinò fuori, con tutto il carico degli Orsacchiotti in braccio e attaccati alla sua gonna.

- Zitta! - sibilò lui. La prese fra le braccia, senza curarsi del peso che recava con sé, e si dileguò per il bosco, correndo con quanto fiato aveva fra gli alberi che si tenevano per mano lasciandosi solo in prossimità della Valle.

La fanciulla non osò obiettare; anzi, in cuor suo lo ringraziò per averla salvata, con la sua prontezza di riflessi.

Alle loro spalle, il sipario calava per sempre sul teatro della Valle.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 13

Una settimana dopo la folle scorreria degli uomini di Giovanni, che avevano dilagato nella Valle portando razzia e distruzione, Aurora, su consiglio di Matteo, aveva sporto denuncia contro il Capo del Papavero, accusandolo di aver preso deliberatamente possesso di un territorio demaniale, di averlo devastato e di avervi praticato la caccia senza regolare licenza.

Il risultato di queste pesanti accuse, l'arresto e la reclusione in attesa di giudizio, avrebbe dovuto far sentire soddisfatta la povera Aurora che, invece, accolse la notizia come una magra consolazione e, come sempre autodistruttiva, passò lungo tempo a macerarsi, domandandosi perché, al posto di combattere contro i mulini a vento, non le fosse venuto in mente prima di rivolgersi alla legge.

La sua natura ingenua e sognatrice le aveva, come sempre, giocato brutti scherzi: era vissuta tutto quel tempo come in una favola, e aveva dimenticato il confine tra fantasia e realtà, oltre il quale al "cattivo", prima o poi, tocca fare i conti con la giustizia. Questo pensiero pratico, che avrebbe potuto risparmiarle tante preoccupazioni e tanti travagli, era venuto invece, del tutto naturalmente, a Matteo. Aurora avrebbe anche voluto che la colpa di Paroldi venisse riconosciuta nella sua pienezza, che, cioè, egli venisse accusato di una pena ben più grave, quella consona alla realtà: ciò che il proprietario del "Papavero azzurro" aveva commesso, infatti, per lei era molto di più di una semplice violazione di terreno demaniale con esercizio di caccia illecita; era intromissione nell'altrui proprietà (quella degli Orsacchiotti) e aperta trasgressione dei diritti umani. Ma il concreto Matteo le aveva fatto notare che una simile denuncia sarebbe caduta nel vuoto, se non si fosse addirittura ritorta contro di lei. Chi avrebbe potuto concepire, infatti, che un danno, di qualsiasi tipo, arrecato ad un animale, potesse essere equiparato a quello causato a una persona? Sparare ad un orsacchiotto in un bosco, per la legge umana non è omicidio, bensì azione di caccia, lecita o illecita; e il regno degli animali vi è contemplato come "bene demaniale", dove chiunque può entrare e uscire indisturbato senza tema d'incorrere in sanzioni di sorta. E Matteo sapeva bene a cosa sarebbe andata incontro la sua Aurora formulando un'accusa in termini diversi da quelli previsti da tale legge: alla pubblica derisione, al rischio di essere considerata una fanatica o un'invasata. Qualche piccola discussione ella l'aveva già avuta con un agente di polizia, con cui si era accalorata troppo nel difendere la dignità dei suoi Orsacchiotti. Di fronte alla frase classica da questi accampata ("andiamo, dopotutto sono solo animali&ldots;") lei, punta sul vivo, era insorta per dire il fatto suo al suo interlocutore, ma Matteo, sudando freddo, era stato lesto a tapparle la bocca con la mano e a trascinarla via prima che si compromettesse troppo, accompagnando il gesto con delle scuse imbarazzanti all'indirizzo dell'agente, che non sapeva se offendersi o se ridere. Lei stessa, poi, aveva riconosciuto che mettersi a strillare, com'era nelle sue intenzioni: "Badate! Io sono la Protettrice di Orsacchiotti; ho visto tutto con i miei occhi, sentirete presto parlare di me e vi pentirete di non avermi preso sul serio!" avrebbe significato attirarsi l'etichetta di squinternata, e quindi passare dalla parte del torto.

L'accusa di caccia illecita era già di per sé un po' traballante, poiché sia Giovanni sia i suoi uomini recavano ancora addosso le prove tangibili di essere stati aggrediti dagli Orsacchiotti: i colpi sparati, di conseguenza, potevano essere giudicati una legittima difesa.

Matteo, nel frattempo, l'aveva accolta in casa sua, cedendole la camera che fino a pochi anni prima era stata di sua sorella, ora sposata; la considerava comunque una sistemazione provvisoria per entrambi, poiché egli sperava sempre che, prima o poi, la sua corte serrata facesse breccia nel cuore di lei, e che Aurora finisse per contraccambiare il suo amore. Ma per ora i suoi continui richiami parevano non trovare eco in lei, e quel nome che lui non si stancava di scrivere sui vetri appannati dall'inverno, sui fogli, sui muri, sembrava solo una pallida imitazione di ciò che esso evocava. Aurora era sempre cupa, imbronciata, assomigliava più ad un tramonto nero che ad un'alba luminosa che tinge tutto di tinte pastello. Passava le giornate tappata nella sua stanza, a fissare gli orsetti di peluche con accorata nostalgia, o a giocherellare con la pelliccia di lupo con cui in un certo senso era iniziata l'amicizia fra lei e gli Orsacchiotti, quella stessa pelliccia con cui, per una curiosa coincidenza, era anche finito tutto, quella pelliccia che aveva visto sorgere e poi tramontare il sole su quel mondo magico e sull'esaltante avventura di cui ella era stata protagonista. Di entrambi le rimanevano, inoltre, alcuni fogli del "codice" degli Orsacchiotti; poche pagine che l'imperatore, generosamente, aveva voluto lasciarle al suo primo commiato. Aveva ancora davanti agli occhi, nitide e chiare, le immagini di lei che, prima di congedarsi da Stefano, ancora abbattuta per lo smacco delle leggi, si era vista imporre alcuni fogli di quel pacco che l'Orsacchiotto teneva ancora in mano, accompagnati da quest'osservazione:

"Tieni, Protettrice; se non ci vedremo più, prendi questi&ldots;"

"Perché? Per che farne?"

"Per mostrarli ai tuoi simili&ldots; Per far vedere anche a loro che non abbiamo bisogno di voi, che siamo autosufficienti&ldots; Tu hai l'animo buono e umile, e l'hai capito, ma non vorrei che altri uomini, attaccati al luogo comune dell'animale stupido e incapace, si mettessero in testa strane idee e congetturassero chissà quali piani sulla nostra Valle&ldots; E chissà che le nostre leggi non facciano anche comprendere loro molte cose, e che non li spingano a conoscerci meglio e ad instaurare un rapporto di reciproco arricchimento&ldots; morale, naturalmente."

Aurora aveva accolto quel dono come un ennesimo colpo basso, un ultimo sorso dell'amaro calice della sconfitta che era stata pocanzi costretta a bere. Gli stessi sudditi dell'imperatore avevano interpretato l'iniziativa del loro sovrano come uno schiaffo morale più che come un gesto-simbolo di amicizia verso gli uomini o come una precauzione contro le loro mire venali: la Protettrice, all'inizio, più che come una pericolosa colonizzatrice, era apparsa loro come una buffa ambasciatrice del mondo umano, da cui non c'era nulla da temere, se non qualche bislacca esibizione. E d'altra parte, le stravaganze in cui si era esibita sotto i loro occhi erano state di gran lunga più numerose delle sue imprese eroiche: dall'esilarante lotta con gli uccelli che volevano strapparle i capelli col becco, al patetico intrattenimento musicale tenuto lì, di sana pianta, in mezzo alla Valle; dal plateale attacco al lupo da essi simulato, nel corso del quale la mazza le era rimasta impigliata fra i rami di un albero, alla ridicola paura manifestata, subito dopo, di fronte ad un vero lupo&ldots; Solo in seguito, di fronte alla sua prima, vera prova di coraggio e di generosità, avevano cambiato parere su di lei e l'avevano finalmente presa sul serio, ora vedendola come una fata benefica, ora come una vile mentitrice e una doppiogiochista; ma il loro atteggiamento nei suoi confronti, in quel momento, era, senza che lei potesse minimamente sospettarlo, lo stesso che ella aveva verso di loro: di superiorità, di rassegnata accettazione.

Aurora da parte sua, dopo l'iniziale perplessità, si era sorpresa a meditare qualche losco piano: la sconfitta non le era andata giù, e aveva in mente di modificare le leggi in modo da danneggiare gli Orsacchiotti, oppure di farle veramente leggere a qualcuno, ma al puro scopo di ridere alle loro spalle, di farsi beffe di loro&ldots; Ma il modo in cui essi si erano fidati di lei consegnandole le leggi, il sentimento che le avevano manifestato, e che ella aveva scambiato per cieca fiducia, e che in realtà era scarsa considerazione, l'aveva commossa a tal punto da indurla a desistere. Mentre camminava nel bosco (poco prima d'incontrare il lupo) riflettendo su questi argomenti, aveva deciso che si sarebbe rifiutata di diventare anche lei una bieca schiava della mentalità di Paroldi. E con quell'animo si era presentata a lui. I fogli erano rimasti nella sua borsa, e lì li aveva dimenticati.

Ora, rileggendoli, non poteva trattenere le lacrime. Le pareva che, nella loro semplicità e nella loro equità, le leggi in essi contenute superassero perfino quelle umane;

Insieme a quello stralcio, la Protettrice aveva anche ricevuto una poesia, un brano di un lungo poema in cui un Orsacchiotto, secoli prima, aveva cantato l'epopea degli animali del bosco, alle prese con la lotta quotidiana per la sopravvivenza e con le persecuzioni umane:

a mamma Cerbiatto -

ho visto lì, fra gli alberi,

un uomo compiere un atto&ldots;

Subito mi è venuto in mente

che volesse fare un gioco.

La cosa mi ha stupita:

noi gli uomini li vediamo poco,

ma sempre fanno

qualcosa di brutto:

cacciano, abbattono gli alberi

fanno pic-nic per poi gettar rifiuti&ldots;

Insomma, rovinano tutto.

Ho pensato: "Meno male

che esiste qualche uomo

che vuol solo giocare"

Così mi sono slanciata.

L'uomo se n'era andato

Lasciando quel giocattolo lucente

che ora s'era innalzato

mentre prima era appena

un luccichìo fioco.

Era uno strano gioco:

crepitando e scoppiettando,

per terra eseguiva

una magica danza.

Quando calore emanava!

Ed era magico, perché aumentava

ogni volta che veniva in contatto

con qualche cosa&ldots;

Sono rimasta lì a fissarla,

affascinata

finché non l'ho toccata

e mi sono scottata.

E per istinto, mamma mia!

Come son fuggita via!

Altro che gioco,

quello era fuoco!

Pensare che io

trovavo così simpatico

quello scoppiettìo.

Sembrava una così bella magia&ldots;

interviene uno scoiattolo -

cos'è questa storia?

Di quale giocattolo

stavate parlando?

la piccola Cerbiatto -

è un pericolo.

L'ho riconosciuto al tatto&ldots;

Devasterà tutto, devasterà.

È una calamità.

Distruggerà tutto il bosco

Gli alberi, l'erba, ogni vita&ldots;

E ci ucciderà tutti.

Dobbiamo fuggire,

o per noi sarà finita!

Quel mostro ci raggiungerà,

è molto forte.

Dobbiamo star qui

a subire la nostra sorte.

Di cosa state parlando?

fra poco, quando

l'incendio divamperà

fin qui nella radura.

Ho tanta paura! -

La Cerbiattina risponde.

Cosa sono questi pasticci? -

s'immischiano due piccoli Ricci -

perché tanto baccano?

Che succede? -

A mano a mano

altri animali

fanno capolino

Dalla tana o dal nascondiglio:

un altro uccellino,

un coniglio,

un castoro&ldots;

che formano un coro

di vocine curiose

attorno alle due Cerbiatte.

Intanto le fiamme

Si agitano compatte

tra i rami

intessono tristi ricami

attorno all'erba e ai fiori,

divorando tutto.

Spariscono tutti i bei colori

Tutto diventa rosso e nero,

scuro come un mistero&ldots;

Poveri animali! Fra poco

Saranno anch'essi inghiottiti dal fuoco.

L'incendio trasforma il bosco

in un deserto.

Piante, alberi spariscono

come sparisce il concerto

di cinguettii e di altri versi.

Un silenzio di tomba

piomba

sulla foresta

distrutta

e tutto ciò che resta

è una cicatrice nera e brutta.

Tutto è silenzio e solo movimento

di foglie e rami morti

spostati dal vento:

come in una pantomima.

E le piante che ricresceranno

tra anni e anni

non saranno mai più verdi

come prima.

Ogni verso cadeva sul suo cuore come una coltellata, poiché la faceva riandare al pensiero della barbara distruzione della Valle.

- Io non so più che fare - ripeteva Matteo, parlando con Claudio - Sta sempre lì, rintanata in quella camera, a vivere di ricordi. Che diamine, dovrà pur rassegnarsi! Tanto, ormai, quello che è stato è stato.

- Lo so. Ma bisogna capirla. Sta attraversando un momento difficile. Proprio per questo dovresti starle vicino.

- Ma se è lei che mi sfugge! Si ostina a voler star sola, si rifiuta di vedere chiunque. Non mangia neanche più. Non può continuare così. Deve pensare anche un po' agli altri.

- Provaci, parlale. Magari, tirando fuori ciò che ha dentro, spezzerà questa barriera che si è creata intorno.

Matteo era un po' scettico. Salutò Claudio, e uscì dal caffè dirigendosi verso casa. Claudio, come tutti gli uomini di Giovanni e Lorenzo, erano stati ritenuti complici del fatto compiuti, ma rilasciabili dietro pagamento di una multa.

Aurora non era in casa. Aveva lasciato un biglietto: diceva di essere andata a "far prendere aria ai suoi pensieri e a farli svagare un po'". Questo misterioso messaggio lasciò il giovanotto interdetto.

"Benedetta fanciulla&ldots; Come si fa a capirla? Perché non si esprime come tutti i comuni mortali?&ldots;"

E si lasciò andare in poltrona ad aspettarla, sbuffando. Ma subito dopo ebbe un ripensamento: "Dopo tutto" si disse "Se veramente la amo e voglio conquistarla, devo anche imparare a penetrare il suo mondo e la sua natura, a farne parte"

Si mise dunque a riflettere su dove poteva essere andata la sua Aurora. E non ci mise molto ad arrivarci.

"Ma certo!" si risolse e, levatosi, afferrò il giaccone e si slanciò verso la porta.

Come previsto, Aurora era alla pista di pattinaggio. Volteggiando sui suoi roller-skates, si lasciava trasportare nei mondi paralleli e perpendicolari che la sua variopinta fantasia le fabbricava di volta in volta. Ma ora, in modo particolare, ella aveva per riferimento un mondo che non era affatto frutto della sua immaginazione, ma reale e tangibile. E vi nuotava freneticamente, senza esserne mai sazia, rivivendo con la memoria, in modo ossessivo, le vicende che si erano succedute in quei fatidici giorni, e che facevano ormai parte del suo giardino segreto. Di tanto in tanto il ricordo del tragico epilogo e della velocità in cui tutto era accaduto, e che lei cercava di allontanare il più possibile, si frammetteva prepotentemente come zizzania, facendole sorgere addirittura dei dubbi sull'autenticità della sua avventura, e le veniva fatto di chiedersi se veramente non fosse stato tutto un sogno ciò che aveva visto e sentito, se non avesse magari confuso la realtà con una delle sue allucinazioni.

Ma che importanza aveva?

Era tutto finito, andato. A lei non restava più niente. E correva, correva, nel disperato tentativo di riempire il vuoto dentro di sé. Morto il suo ideale, lo scopo per cui aveva lottato con tutte le sue forze nella Valle, disposta a mettere a repentaglio la sua stessa vita, si era sentita d'improvviso debole, gracile, demotivata. Era solo più l'ombra dell'eroina di qualche settimana prima. Per giunta, i ripetuti digiuni che s'imponeva la infiacchivano anche fisicamente, oltre che psicologicamente.

E, sospesa tra illusione e realtà, vide d'un tratto, o le parve di vedere, l'immagine di Matteo, fermo all'entrata della pista, che la osservava. Galleggiò per un po' verso di lui, mormorando:

- Proprio te, cercavo! - disse in un soffio, dal cerchio in cui si era chiusa, e da cui repelleva tutto ciò che con esso contrastava. - Sei tu, sei tu, che mi hai impedito di salvarli! Sei tu che mi hai sempre proibito di farmi coinvolgere troppo, che mi hai fatto credere di amarmi, mentre in realtà amavi solo te stesso, e di me, dei miei veri desideri, non te ne importava nulla! E mi hai privato egoisticamente di ciò che avevo di più caro! Vattene, non avrei mai voluto nemmeno conoscerti!

E avanzando con sempre maggior fatica, mosse verso di lui: avrebbe voluto dargli una spinta, e invece cadde a terra, a pochi metri da lui. Le ultime forze che le rimanevano le aveva profuse tutte in quella pattinata.

- Aurora! - Matteo si precipitò da lei, si chinò e la tirò su. Poi la prese fra le braccia, come se fosse stata una grossa bambola.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 14

Il medico disse che aveva bisogno di riposare e, soprattutto, di mangiare regolarmente e di evitare le emozioni forti.

Matteo, nel riaccompagnarlo alla porta, la lasciò tranquilla, dopo averla baciata amorevolmente sulla fronte.

La fanciulla non si era ancora del tutto ripresa; nel dormiveglia si agitava, come in preda a chissà quali spasimi. Intorno a sé, tutto era confuso e amorfo, privo di contorni ben definiti, una nebulosa evanescente nella quale si muovevano strane ombre scure.

Piano piano, però, la foschia andava definendosi, e anche le ombre non tardarono a prendere un aspetto chiaro e preciso: quello di tante nuvole e persone eteree, simili ad angeli, ma vestiti da marinai.

- Gettate l'àncora! - esclamò un giovanotto biondo, manovrando un timone d'oro.

Accanto a lui, stava un ragazzo posato su di una nuvola, abbigliato da nostromo e, più in là, una fanciulla dallo sguardo dolce, con la casacca da marinaio.

- Ehi, ci ha visti! - disse, preoccupato, Poliside, volgendosi a Capitan Sebastiano.

- Be', era ora, noh? - ribattè il capitano, sorridente - Finalmente abbiamo modo di conoscerla personalmente. Salve, Aurora. O dobbiamo chiamarti Protettrice? Benvenuta fra noi!

- Voi&ldots; voi mi conoscete? - balbettò Aurora - Chi siete?

- Chi siamo? - Capitan Sebastiano continuava a parlare per gli altri, che invece mantenevano una certa titubanza - Dovresti saperlo: ci vedi tutti i giorni.

- Ma&ldots; - Aurora tremava, un po' per la febbre, un po' per la paura.

- Vabbè, ti aiuterò io. Ci presentiamo: io sono Capitan Sebastiano. Questo è il mio nostromo, Poliside, e questa è&ldots; be', diciamo una buona amica, per ora.

E poiché la fanciulla seguitava a non capire:

- Io sono il Sole! Il capitano del cielo! E questo è il mio equipaggio: le nuvole.

Aurora taceva sempre. Non sapeva che dire. Così Capitan Sebastiano proseguì per lei:

- Non devi aver paura. Noi ti conosciamo bene; abbiamo seguito tutta la tua vicenda. Ti abbiamo anche aiutata, sai? Sei stata davvero fantastica, lasciatelo dire. Hai compiuto un'impresa straordinaria.

Aurora, incredula ed estasiata da quella magica visione che l'aveva sollevata in un soffio dalle sue miserie, per tutto il tempo in cui era stata zitta aveva oscillato dentro di sé tra il sì e il no, domandandosi se ciò che vedeva non fosse l'ennesimo scherzo della sua fantasia o una balzana realtà; il riferimento di Capitan Sebastiano la fece tornare bruscamente ai suoi tristi pensieri, ed ella si lasciò andare abbattuta sul cuscino.

- Ohimè - fu il suono che le uscì, alfine - dite pure sprovveduta!&ldots; Ho fatto tutto quello che potevo, per quei poveri Orsacchiotti&ldots; tranne quello che andava veramente fatto!

Non aveva più molta importanza se quei curiosi personaggi fossero veri o immaginari: la faccenda della Valle aveva il potere di chiuderla in se stessa come una crisalide nel suo bozzolo.

Capitan Sebastiano e i suoi uomini si scambiarono un'occhiata preoccupata, consci di avere toccato un tasto dolente, nella povera Aurora; ma il loro proposito era di affrontare un determinato discorso con lei, e per farlo dovevano pur passare per quello che poteva sembrare un terreno minato. Si addentrarono dunque, cautamente, nell'animo della fanciulla, soppesando le parole e usando il dovuto tatto. Dovevano adempiere al loro dovere, e aiutare colei che vedevano come la paladina dei valori morali dell'umanità.

- Aurora - si fece coraggio Capitan Sebastiano - D'accordo, tu forse hai sbagliato le mosse della partita&ldots; Ma ormai è inutile piangere sul latte versato, non è di certo reagendo così che aggiusterai le cose&ldots; Non capisci che adesso devi guardare avanti? E soprattutto, devi pensare alle persone che hai intorno, e che soffrono vedendoti così&ldots;

Aurora gli rivolse uno sguardo atono, privo d'espressione; poi i suoi occhi si posarono su Iolanda. Capitan Sebastiano, incuriosito, guardò dalla stessa parte, e si accorse che anche la sua corteggiatrice voleva parlare.

- Senti, Aurora - disse, infatti - hai accanto un ragazzo che ti vuole bene, che sarebbe disposto anche a dare la vita per te, e te l'ha dimostrato più di una volta, e invece di pensare a lui passi le giornate a pensare al passato? Andiamo, sveglia, avessi io la tua fortuna! Ricorda che i ragazzi di solito sono egoisti, quindi bisogna sfruttarli&ldots;!

Il capitano la spinse da una parte per impedirle di continuare.

- Non ascoltarla, Aurora: scherza. Però tutti i torti non li ha. Il passato è passato, non serve rimuginarci, la vita continua&ldots; E devi fartene una ragione. E' un po' come quando ti muore una persona cara: per un po' ci stai male, ma poi dimentichi e vai avanti&ldots;

Capitan Sebastiano e Iolanda continuarono a togliersi la parola di bocca a vicenda per un po', suscitando l'ilarità di Aurora che finalmente, dopo tanti mesi, tornò a sorridere; finché non si frammise Poliside:

- Aurora, forse il mio capitano e Iolanda non hanno saputo spiegarsi bene, ma quello che volevano dire è che invece di soffermarsi su ciò che si è fatto prima, bisogna pensare a ciò che si può ancora fare ora, per riparare agli sbagli commessi.

La sua constatazione, semplice e acuta, colse nel segno. Aurora tornò seria e rispose:

- Poliside, io ho tentato di riparare come ho potuto. Ho sporto denuncia contro Paroldi, ho cercato di attirare l'opinione pubblica sul crimine da lui commesso&ldots; Non mi credono o, comunque, non mi prendono sul serio: per loro, gli Orsacchiotti sono solo bestie, e io esagero nel parlare di massacro&ldots; Cos'altro potrei fare?

- Non è certo a questo che mi riferivo - proseguì con garbo Poliside - Si capisce, hai fatto benissimo a denunciare quel verme. Ma ciò che intendevo dire è che devi lottare per salvare almeno quello che la Valle, e la sua difesa, rappresentavano. Certo, se gli Orsacchiotti fossero sopravvissuti, avrebbero potuto insegnare molto agli uomini. Ma questo, purtroppo, non è stato possibile: perciò tu devi darti da fare affinché lo spirito della Valle non muoia, rimanga sempre vivo nel cuore dei tuoi simili. È importante.

- E come? - il viso pallido e smunto di Aurora si agitava, come se attingesse nuova linfa dai consigli di Poliside.

- Non certo andando in giro a parlare degli Orsacchiotti barbaramente uccisi come di una nuova strage degli Innocenti, rischiando di passare per matta. Devi predicare questi valori, trasmettere agli altri l'amore, la pace, il rispetto del diverso. Invitare gli altri a non lasciar morire i sentimenti, a non ucciderli con il denaro.

- No, perché? Ti farai aiutare da Matteo, e anche da Claudio, da Carlo, e da tutti coloro che saranno disposti a tentare la sfida. Sono molti più di quanto credi, Aurora, solo che sono nascosti.

Ora si era fatto silenzio, e tutti fissavano il nostromo, ammirati e commossi. Capitan Sebastiano e Iolanda, distolti dalla loro diatriba, erano increduli e meravigliati: non avrebbero mai sospettato che Poliside, notoriamente cinico e superficiale, potesse dare una simile prova di saggezza. Anche gli altri marinai erano sorpresi; gli stessi Didimo e Audenzio avevano messo da parte i loro soliti bisticci infantili per guardare, anche se, piccoli com'erano, non erano in grado di capire bene ciò che stava accadendo. Tutti erano raccolti intorno al fiero Poliside, come per formare una collana, alla cui estremità gli occhi espressivi di Aurora splendevano come le perle di un ciondolo, manifestando riconoscenza.

- Grazie, Poliside. E anche a voi, amici. Avete ragione, sono stata cieca ed egoista. Non mi sono resa conto che sbagliavo ostinandomi a voler tenere tutto per me il segreto della Valle invece di dividerlo con gli altri&ldots; Ma da ora prometto che farò come mi avete detto.

- Brava, Aurora! - e lo sguardo di Poliside catturò quello degli astanti, pilotandolo su di lei. Anche se gli altri, colpiti dalla sua discettazione, l'avevano dimenticato, era lei la vera eroina, non lui.

- Giusto - rispose ad alta voce al muto messaggio del suo nostromo Capitan Sebastiano - Allora, mi raccomando, Aurora! Sei tu la messaggera della Valle!

E tutto l'equipaggio della nave celeste alzò la mano in segno di saluto alla Protettrice di Orsacchiotti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 15

Era ormai giorno fatto quando Aurora riaprì gli occhi e vide dinanzi a sé i volti preoccupati di Matteo e del medico.

- Come stai, tesoro? - domandò lui - Nel sonno ti rivoltavi, sudavi, a volte sembravi sofferente, altre sorridevi&ldots;

- Matteo! - esclamò lei, giuliva, tirandosi a sedere sul letto - Ho avuto una rivelazione! Lo spirito della Valle non è ancora morto!

- Oh, Cielo, dottore, ci risiamo. Non c'è dunque speranza di guarirla da questa fissazione?&ldots;

Aurora si aggrappò a Matteo e prese a scuoterlo impazientemente:

- Matteo, per favore, non sto delirando, ti devo parlare. Manda via quell'individuo, è una cosa seria!

Imbarazzato dalla maniera poco gentile in cui Aurora si era espressa nei confronti del medico, Matteo lo invitò a prendere commiato, con mille scuse.

- Nessun problema - disse, comprensivo, il dottore - è una reazione tipica. La sua ragazza è un po' esaurita: ora avrà appena fatto qualche strano sogno e straparla; ma non si preoccupi, le passerà.

E una volta rimasti soli, alle proteste insistenti di lei, che cercava in tutti i modi di portare il discorso sulla Valle, Matteo rispondeva con amorevoli suppliche a riposare e a non pensarci:

- Cara, non ti senti bene&ldots; Non agitarti&ldots;

Quell'incubo non doveva proprio aver fine? Aurora ora parlava di misteriosi abitanti di un paese sconosciuto dai nomi altisonanti, come Sebastiano, Poliside, Zenobio, che l'avevano incaricata di non so che missione&ldots; e, confondendo nuovamente i sogni con la realtà, si era messa forse in testa di essere una novella Giovanna d'Arco, predestinata alla liberazione dell'umanità!&ldots; Era inaudito.

"Proprio a me doveva capitare&ldots;?" pensava, angosciato.

Una sola cosa gli dava sollievo, nella confusione che lo invadeva da tutte le parti di fronte alle farneticazioni di Aurora: che lei, dopo tanto tempo, gli parlava di nuovo, e sembrava essere tornata quella di prima, combattiva, ambiziosa, con lampi di eroismo donchisciotteschi che sconfinavano nella follia. Era un buon segno?

Quel diluvio di parole lo inondò come un balsamo tonificante, lavando via le apprensioni degli ultimi mesi, ed egli sentì come un abbraccio caldo al cuore: la strinse a sé, grato, soffocando i singhiozzi:

- Non ha importanza cos'hai sognato, cosa sei stata o cosa dovresti essere, amore. Quel che conta è che tu sia tornata, e io mi sento l'uomo più felice del mondo.

- Dài, Matteo! - sbottò lei, imperterrita - Se non vogliamo che i nostri sforzi e il sacrificio degli Orsacchiotti vada perduto, dobbiamo mettercela tutta per salvare il mondo! Dobbiamo predicare l'amore, non capisci?

Non c'era nulla da fare. Matteo fu tentato di risponderle male o di gettare la spugna e di lasciarla ai suoi folli progetti, ma poi rifletté un momento e cambiò idea. Per quanto assurdi potessero essere i discorsi di Aurora, l'idea di predicare l'amore non era sicuramente stramba. Dopotutto, vi sono politici che stordiscono le folle con promesse faraoniche, quelle stesse folle composte da adulti che poi prendono in giro i bambini che credono alla favole, o altri che mettono in piedi castelli di bugie mascherandoli con la retorica o con un sapiente uso delle parole&ldots; e che poi passano per geni anche se il loro fine ultimo è solo il denaro. Perché credere a loro e non ascoltare la propria ragazza che parla di portare l'amore nel mondo?

E Matteo accettò il ruolo che gli era stato assegnato, quello di fedele compagno della Protettrice. Che ora si sarebbe trasformata nella tutrice dello Spirito degli Orsacchiotti per diffondere amore nel mondo.

Nell'uscire sul pianerottolo, la rivide per un momento con il mantello rosso e gli stivaletti, circonfusa di un'aureola di dignità che incuteva rispetto a chiunque la guardasse.

- Andiamo? - chiese lei, vedendolo esitante.

- Sì - ribatté lui, scosso dalla sua contemplazione - Ma da dove cominceremo?

Nel frattempo, un inquilino stava salendo trafelato le scale: nel passare frettolosamente per la loro traiettoria, travolse nella sua corsa, senza volere, Matteo, facendolo cadere per terra.

- Ma stia più attento, accidenti! - urlò Matteo - Possibile che a questo mondo ognuno debba sempre badare i fattacci suoi, senza curarsi degli altri?

Aurora lo scrutò con aria inflessibile, quindi proferì:

Sulle prime Matteo non intese; poi, guardando il suo offensore, capì, e il suo viso si distese.

E gli strinse la mano.

Aurora sorrise e, imboccato il portone, uscirono insieme nel mondo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

EPILOGO

Ora sapete come sono andate le cose: sta solo a noi darci da fare per riesumare e lo spirito della Valle, che sopravvive negli Orsacchiotti che Aurora e Matteo hanno salvato dallo sterminio. Dove saranno ora Aurora e Matteo? Cosa faranno? Forse saranno in mezzo a noi, sperduti nella folla insieme ai milioni di altre anime che lottano tutti i giorni, a nostra insaputa, per fare del bene, e la cui voce viene tragicamente soffocata da quella delle bombe o di chi parla senza dire niente. Sono tutti in giro a cercare tesori e seminarli. Facciamo come loro. Non commettiamo l'errore di molti, che hanno ucciso l'anima di qualcuno senza licenza di caccia e li hanno depredati delle loro perle. Soffermiamoci un momento ad ascoltare gli altri, e dividiamone con loro le perle. E non teniamoci le nostre solo per noi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La sottoscritta Paola Pian, nata ad Asti il 18 agosto 1973, abitante a Montegrosso d'Asti, via XX Settembre 66, e-mail paola.pian@tin.it e autrice del presente scritto, dichiara la sua inediticità.