LE (DIS)AVVENTURE DI UN LAUREATO IN CERCA DI LAVORO

"Amore, è bellissimo!"

"Si, è vero, e guarda, come è vispo e ci osserva con quei suoi occhietti&ldots;Ci verrà su un figlio intelligente e bravo, un dottore o chissà un grande imprenditore&ldots;"

"Si, magari come quello della FIAT, come si chiama? Ah, Agnelli."

L’oggetto di tanto interesse era il sottoscritto, anche se in versione baby: un neonato uscito dalla pancia della mamma da appena cinque minuti e che già faceva sognare lei e il babbo Pietro, che sognatore fino ad allora non lo era mai stato.

La mamma, lei si, era sempre stata una tipa romantica, con quella sua aria vaga e remissiva che aveva subito fatto innamorare di lei il baldanzoso Pietro, a quel tempo ancora marinaio con pochi soldi ma tanta energia e voglia di lavorare, supportate anche dalla sua giovane età. I due si sposarono presto e non per qualche "vergogna" (come si diceva al tempo) ma per la fretta e lo slancio tipico della loro età, lei di ventuno anni e lui di solo due più grande.

E qui cominciò a rivelarsi il carattere, poi non così docile, della mamma: non ci fu verso per il marito di convincerla ad abitare con i suoi, ma ad ogni tentativo lei invariabilmente tirava fuori uno dei suoi luoghi comuni sui rapporti fra suocera e nuora. E che importa, poi se le due donne erano diventate le più grandi amiche del mondo, tanto da allearsi a volte anche contro il povero Pietro.

Come per i vestiti del futuro neonato (ossia io) sarei nato femmina, a quanto dicevano univocamente i sogni della nonna e le sensazioni della mamma, d’accordo anche in questo.

E, allora, tutti i parenti a regalare vestitini rosa, copertine per la culla ricamate di fiori, fiocchettini per i capelli, bambole&ldots; persino un fiocco rosa era stato apprestato per il giorno fatidico.

Figuratevi lo scompiglio quando, invece di una femminuccia, ero uscito io, un maschietto, dopo che era già stato preparato il completino rosa con cui vestirmi.

Sorrisi da parte di tutti, sorrisi di trionfo del babbo e degli uomini della famiglia e di imbarazzo della mamma e delle donne che, ognuna a modo suo, avevano parteggiato per lei.

Superati, però, i primi commenti sull’equivoco (naturalmente troppo brevi per il caro Pietro, ma lunghissimi per la moglie) cominciarono subito i cori di congratulazione cui prima ho fatto solo accenno.

E non contava il fatto che tutti i marmocchi, appena nati, piangano e scalcino un po’, e che non ci sia neonato di cui si sia detto che è bruttino: no, la mia straordinaria bellezza e vispezza erano segno di un futuro da uomo di affari, magari proprio come Agnelli.

E peccato che la FIAT sia in crisi&ldots;

 

Inizia ora la parte cosciente della mia vita, quella su cui mi affido alla mia memoria e non a quella, a volte deviata da impressioni personali, di parenti e genitori.

Non che interessino molto i miei primi ricordi, l’asilo, i primi amichetti&ldots; quelli sono parte di un passato quasi identico per ognuno di noi.

I sogni di gloria che su di me si continuavano a fare, non furono smentiti in quegli anni, e d’altronde non ve ne era l’occasione.

Ero un bimbo un po’ troppo vivace, tanto che mia madre salutò con sollievo il mio spiccato interesse nello sport, come un modo per lasciarmi sfogare senza che facessi troppi danni in casa.

Cominciai prima, dai sei anni, dalla danza: io e la mia compagna di ballo del momento piroettavamo ignari davanti giurie di vecchietti e madri interessati a tutto fuorché ai nostri giri di valzer e che nel frattempo controllavano la lista della spesa o si scambiavano commenti su chi aveva sposato questo o quel personaggio della tv&ldots;

Ma ben presto mi stancai di dover sottostare ai capricci di qualche bimbetta che si sentiva una primadonna e pretendeva di essere trattata come tale tanto da addurre a pretesto una "micrania" (parola che impiegai tempo per decifrare, corrispondente alla più nota emicrania) ogni volta che non aveva voglia di impegnarsi.

E noi, giovani ometti? Bisognava che fossimo sempre galantuomini&ldots;

Non che mi disturbasse molto portare fiori (tra l’altro colti nel campo dei vicini) il giorno della gara, però dover essere sempre compiti e non poter neppure dire alla compagna – che so? Che il suo alito non era proprio dei migliori e quindi sarebbe stato meglio che mangiasse almeno una o due caramelline prima delle prove - era troppo per me.

Così a tredici anni mi ritrovai podista, e me la cavavo niente male.

Ero sempre tra i primi, peccato una mia attitudine alla distrazione e alla svagatezza mi portasse a errori banali sempre agli ultimi metri.

Si rivelava un lato particolare del mio carattere: ero volenteroso e pieno di entusiasmo ma, allo stesso tempo, pronto a dare tutto me stesso solo per ciò che mi interessava e in cui credevo davvero.

Non mi piacevano regole vuote da seguire senza saperne il motivo e se ne ero costretto lo facevo di malavoglia&ldots;

Così andò anche per il Liceo: avevo scelto l’indirizzo scientifico, ma come spesso accade per le scuole italiane, quella in cui ci trovavamo, i miei compagni ed io, era un vecchio edificio con classi troppo piccole e professori più impegnati a riempirci la testa di nozioni che a farci capire qualcosa in più.

In quattro dei miei cinque anni passati li, fui rimandato in almeno due materie tra cui anche disegno – e fui l’unico – non perché fossi stupido, ma per una semplice, banale motivo: non studiavo.

Arrivavo a casa dalla scuola, lasciavo la cartella e la svuotavo solo il mattino dopo per riempirla di nuovo.

Solo grazie alla mia intelligenza e senso logico – per essere modesti – riuscii a cavarmela in tutti quegli anni e a tirarne fuori dopo solo i canonici cinque anni, un 40/60 – così erano i voti di allora -.

Per mia madre fu un piccolo dramma personale, fatto di rimproveri, piccole minacce, lusinghe&ldots;

Niente da fare.

In compenso da quei cinque anni ricavai tanti amici, di cui pochi però ancora rimasti, ma soprattutto&ldots; beh, mi vergogno a parlarne, ma ebbi la mia prima cotta.

Lei si chiamava Serena, era bionda, occhi azzurri, vitino da vespa&ldots;

Una splendida principessa per i miei sogni adolescenziali.

E io, che avevo ereditato senza accorgermene il temperamento romantico della mamma, la corteggiai con fiori, cioccolatini e bigliettini profumati rubati dal beautycase di mamma finche finalmente si accorse di me, ci mettemmo insieme e fu&ldots;

Una catastrofe!

CONTINUA SU http://utenti.lycos.it/noworks