Daniele Cavalieri

Nato a Varese e residente a Bruxelles, esercito come Paesaggista.

Ho pubblicato un romanzo (Sindrome europea) e due racconti.


La Cerimonia

I

 

 

 

« C’è un tempo per vivere ed uno per morire. Oggi è un bel giorno per morire! »

Alessandro non capiva perché gli venisse in mente un'idea così stupida ogni volta che chiudeva gli occhi, proteggendosi dal sole che lo infastidiva. Forse perché il suo amico Antonio era morto solo una settimana prima!

« Ma che scempiaggini sto dicendo! », pensò convinto Alessandro e non riu­sciva ad allontanare quel pensiero dalla testa.

Il sole già così caldo ed il cielo così limpido, era un bel giorno per la cerimonia funebre. Antonio avrebbe voluto vederla ancora, una giornata così!

Antonio! Quando cercava di ricordare il viso dell'amico, già gli sfuggiva o si deformava come se il tempo lo stesse cancellando a poco a poco dalla sua memoria.

Provava una sensazione di malessere, ma non poteva farci nulla. La polvere che il tempo deposita senza sosta, avrebbe coperto tutto lasciando solo il fantasma di un ricordo che poi la vita avrebbe fatto di tutto per cancellare completamente.

Voci sommesse si perdevano, trascinate da quel vento salmastro che bruciava gli occhi.

Che cosa ci facevano tutte quelle persone così differenti su quell'isola grande come un granello di sabbia, un bruscolino dentro l'occhio del mare?

Tutti lì raccolti, tutti gli amici di Antonio presenti alla cerimonia per la sua sepoltura, ancora una volta riuniti cercavano di ricordarlo, forse solo per non dimenticare.

Si guardò attorno, alcuni visi poteva riconoscerli, la maggior parte non li aveva mai incontrati ma in ogni caso non si sarebbe mai immaginato che fos­sero tanti gli amici di Antonio!

Di alcuni non avrebbe nemmeno saputo stabilire l'età, di altri guardando come erano vestiti, non riusciva a capire dove lo avessero potuto incontrare. Dove era stato tutti quegli anni, per perdere quella parte della vita di Antonio che non riusciva a ritrovare nella sua memoria?

Forse Antonio li aveva conosciuti in un caffè, in una stazione o durante le vacanze, ma Antonio non aveva mai amato viaggiare ed in fondo che importanza aveva, saperlo!

Eppure per Alessandro era come un gioco, non poteva resistere, era più forte di lui anche se si rendeva conto che sapere non lo avrebbe consolato, lo avrebbe fatto sentire ancora più solo.

Chi poteva essere quell'uomo un po' curvo che parlava con Sara, tenendole le mani? Forse un professore, le mani troppo lisce e curate perché si dedicassero ad un lavoro manuale, lo sguardo troppo serio, Alessandro si domandava che cosa avessero potuto avere in comune Antonio e quell'uomo.

Antonio era un uomo semplice con una venatura di tristezza negli occhi, taci­turno, quando parlava non sprecava quasi mai le parole.

Alcuni anni prima aveva deciso di comprare coi soldi messi da parte, una pic­cola taverna su di un'isola greca, Folegandros poco più grande di uno sputo, in un villaggio che si trovava tra la montagna ed il mare. L'ombelico del mondo, come l'avevano soprannominata gli amici.

Tutti avevano pensato che fosse diventato un po' matto, « ma chi te lo fa fare di andare a perderti su quei quattro sassi arroventati dal sole? Pensi forse di essere diventato una lucertola?» lo canzonavano, ridendo di lui.

Solo ora Alessandro cominciava a capire la scelta dell'amico. Quando le gior­nate erano limpide come in quel giorno ed il vento s'infrangeva contro le rocce taglienti, la vista che si riusciva ad abbracciare dal paese toglieva il fiato e l'isola appariva come una macchia scura che veniva ad interrompere lucentezza del mare.

Antonio come era finito su quell'isola di scogli che sembravano le lame di un rasoio, battuti da un vento dispettoso, colpiti da un sole che feriva gli occhi tanto era forte?

Nel corso degli ultimi anni Alessandro se lo era domandato spesso, ma non aveva mai trovato una risposta e forse neppure Antonio avrebbe saputo ri­spondere.

Forse un giorno, si era semplicemente accorto che il suo tempo si era messo a scorrere più veloce, le giornate più corte, i fogli del calendario strappati senza avere il tempo di vederli ingiallire, la sua vita si era messa a correre all'im­pazzata ed ogni giorno quando si svegliava, si sentiva un po' più stanco.

Allora si era fermato ed aveva preteso che gli fosse restituito il tempo perso, lasciato trascorrere o che gli era stato rubato. Non ne aveva più molto di tempo, lo sapeva e lo voleva tutto per sé.

Alessandro guardò il mare che dondolava dolcemente. Il vento aveva comin­ciato ad alzare degli spruzzi schiumosi che andavano ad infrangersi contro la scogliera lontana. Attorno a lui la polvere, strappata dalla terra arsa, volteg­giava creando dei mulinelli che seguivano il soffio del vento.

Amava il mare come Antonio lo aveva amato, la sensazione che il suo colore cambiasse se­guendo le stagioni, la pace che gli dava quando era calmo, l'inquietudine che gli trasmetteva quando era in tempesta e lo faceva sentire così piccolo ed inutile.

Né lui, né l'amico erano nati al mare ma avevano imparato a conoscerlo con il passare del tempo ed ora che si trovava lì per assistere al fune­rale sentiva d'essere ritornato a casa, quella casa che guardandosi in­dietro, sapeva di non avere mai avuto.

Il piccolo cimitero ortodosso con le sue semplici croci di pietra, la terra secca come una pelle squamosa e quel cielo di un azzurro violento, gli ricordavano la Sardegna dove aveva vissuto anni prima e dove aveva lasciato degli amici che lo attendevano sempre con gioia.

Inspirò profondamente gli odori che la primavera diffondeva, il mirto e la fil­lirrea con il suo aroma pungente, il timo ed il fico d'India che forse non aveva un suo odore, ma che lui cercava d'immaginare. Il suono delle campane della chiesetta bianca arrivava fino a lui, interrotto soltanto dal latrato di qualche cane.

Ed era un suono dolce che cullava i suoi pensieri, il metallo percosso dal suo batacchio produceva delle note calde che venivano ad interrompere la sua tristezza.

- A che cosa stai pensando Alessandro? Da quando sei arrivato sei sempre così assorto, così lontano che avevo quasi paura ad avvicinarti. Lo so che non è il momento più adatto per parlare e farsi delle confessioni, ma che cosa ti sta succedendo? Non sembri più la stessa persona di quando ci siamo incon­trati l'ultima volta! Te lo ricordi?

- Ciao Sara! Ti volevo salutare prima ma eri così occupata che non volevo di­sturbarti.

- Ti ho scritto tante lettere, ho cercato più volte di mettermi in contatto con te ma non ti sei mai fatto sentire. Ho provato la sgradevole sensazione che non volessi più vedermi, che volessi tagliare ogni legame con il passato! Avrei voluto cercare di capire, trovare delle risposte alle mie domande, sa­pere quando Antonio si è reso conto d'essere malato ed invece tu sei scom­parso e non hai lasciato nemmeno una parola per me. Tu eri l'unico a sapere che era malato e non ne hai fatto parola con nessuno, non l'hai detto nemmeno ai tuoi amici e questo mi sembra davvero incredi­bile!

- Pensavo che lui ve ne avesse parlato! Solo più tardi ho saputo che aveva preferito tenerlo segreto ed in ogni caso, con che diritto ne avrei potuto par­lare io? É stata una sua scelta ed almeno in questo caso, era libero di fare quello che voleva della sua malattia.

- Io non parlo di lui ma di te! Come hai potuto considerarci così poco, avresti potuto fidarti di noi! Ho sempre pensato di conoscere gli amici fino a credere che non avessero più nulla da nascondermi. In fondo sono stata così presun­tuosa! Ho pensato di sapere tutto di loro, che non avessero più niente da mo­strarmi ed adesso mi accorgo che in fondo non ho capito niente. Anche Antonio che mi sembrava una persona tanto semplice, mi ha insegnato che la vita di un uomo non può essere radiografata, può essere solo immagi­nata!

- Anch'io pensavo di conoscerlo e solo perché ho incontrato alcune donne che ha amato, alcuni suoi amici, i suoi genitori. Adesso non ne sono più tanto si­curo! Mi trovo ad osservare le persone che sono qui e mi domando chi siano ed in quale occasione abbiano conosciuto Antonio! É possibile che abbia perso una parte della sua vita?

Se cerco di ricordarmi di loro, non rie­sco a dargli un nome né un tempo e mi domando da dove escano, se facciano parte di un'altra vita di Antonio che non ho conosciutoo e non immaginavo nem­meno esistesse. Allora mi chiedo dove sono stato tutto questo tempo. Come ho potuto riempire una vita che ha perso dei brandelli per strada?

Penso ad Antonio e mi domando se lui non avesse ragione a voler ricomin­ciare tutto da capo! É davvero così importante attaccarsi con tutte le proprie forze all'unica vita che ci è concesso di consumare?

- Alessandro, non cambierai mai! Non riuscirai mai ad essere pratico, conti­nuerai eternamente a perderti dietro ai tuoi inutili sogni! Guardati attorno! Apri gli occhi per un momento, anche se ti può fare male! Quanti dei suoi amici che erano anche nostri amici, sono presenti? Che cosa sai realmente della loro vita?

- Ho riconosciuto Cinzia bella come sempre, Sandro, qualche ruga in più ma lo stesso sguardo sfuggente e poi non ci ho fatto caso. Ad ogni modo avrò tutto il tempo per incontrarli! Per quanto riguarda la loro vita, conosco solo quello che abbiamo vissuto insieme e che hanno voluto farmi vedere.

- Non è questo il punto! Tu hai seguito sempre i tuoi impulsi ed adesso ti ri­trovi insoddisfatto come sempre! Loro, hanno sempre vissuto credendo che la loro vita fosse anche la loro occasione ed hanno trasformato i desideri in qualcosa che possono toccare. Ed in fondo chi può dire d'avere avuto ragione?

- Non ne ho idea! Almeno loro la mattina quando si svegliano hanno qualcosa in cui credere, che sia solo un'illusione non spetta a me dirlo. Io invece, non attendo più nulla! Quando mi sveglio sono solo e l'unico desiderio che ho è che possa accadere qualcosa nella mia vita che possa cambiarla.

Ma non siamo qui per parlare di me! In fondo quello che vorrei, è cer­care di ricordare chi fosse Antonio. Te lo sei mai chiesto?

Da quando mi trovo su quest'isola, mi domando ogni momento se lo abbia ve­ramente conosciuto e quando sento gli altri parlare di lui, mi chiedo se stiano parlando della stessa persona che ho conosciuto tanti anni fa. Ora, toglimi un dubbio Sara! Quante persone tra quelle presenti, hai già incontrato almeno una volta?

- Non capisco dove tu voglia arrivare! Ti interessa davvero tanto saperlo?

- Non è questo il problema! Hai detto tu stessa pochi istanti fa che consideravi l'amicizia come qualcosa di scontato e subito dopo hai ammesso che in fondo non lo conoscevi poi così bene Antonio.

Ed è proprio questo che mi infastidisce! Si pensa di conoscersi e che non esistano segreti tra gli amici, si scommetterebbe la testa, giocandoci le nostre certezze ed è sufficiente un dubbio per incrinare il nostro castello di carta velina! Mi rimane il cruccio di non essere riuscito a comprendere la sua decisione di ritirarsi qui, se non dopo la sua morte.

Sara lo guardò sconcertata. Si ricordava di un Alessandro allegro, ottimista, sempre pronto allo scherzo, tutte doti che lo rendevano simpatico a tutti. Si erano persi di vista da almeno un anno e non riusciva a spiegarsi come avesse fatto a cambiare tanto. C'era stato un periodo, tanto tempo prima, in cui ne era stata innamorata e pensava che questo bastasse per farle dire che lo conosceva bene. Che cosa voleva sapere di più di Antonio e che importanza aveva ormai saperlo?

Antonio era morto, la cerimonia stava per finire ed il sole era tanto caldo che la pelle le pizzicava un po'.

« Speriamo che la cerimonia non duri ancora molto! Non ce la faccio più a stare in piedi e poi mi sto già scottando! », pensava Sara e si sentiva irre­quieta, non sapeva se per le gocce di sudore che cominciavano ad imperlare la sua fronte o perché Alessandro era riuscito ad innervosirla con le sue ansie, i suoi stupidi dubbi.

- Quanto ti fermi ancora a Folegandros, Sara?

- Non lo so, penso due o tre giorni. Dipende anche da te, se vuoi che io resti!

Alessandro sembrava distratto e soprattutto non sembrava ascoltarla. Si era infilato gli occhiali scuri ed i suoi occhi ora si perdevano dietro quello schermo buio che ne nascondeva completamente lo sguardo.

Aveva sempre usato quella strategia infantile quando si sentiva imbarazzato, quando voleva proteggersi dallo sguardo degli altri o solo per concentrarsi, senza rischiare di essere infastidito. Se Sara avesse potuto seguire il suo sguardo fino al punto in cui andava a posarsi, avrebbe capito che si era immerso nell'acqua, dopo aver giocato a nascondino tra gli scogli.

- Mi ascolti Alessandro o ti sto forse annoiando?

- Scusami, stavo pensando che in fondo non mi dispiacerebbe restare qui! Ognuno di noi cerca qualcosa nella vita ed il più delle volte non si rende conto che l’oggetto del suo desiderio può nascondersi sotto il suo naso.

- E tu che cosa cerchi?

- Non lo so ancora! - disse Alessandro con una nota di tristezza nella voce.

 

II

 

 

 

La cerimonia stava volgendo al termine ed il sole di mezzogiorno disegnava sulla terra battuta del viottolo le ombre accaldate della gente che stava assi­stendo al rito funebre. Gli amici cominciarono a cercarsi ed una volta riunitisi a gruppi di due o tre, si mettevano a parlare tra di loro a voce bassa.

Le campane della chiesetta ricominciarono a scandire il loro rintocco metallico che si perdeva nella campagna, mescolandosi con il ragliare di un asino.

Alessandro sentiva le gambe pesanti, lo sforzo per reggersi ed una sgradevole arsura nella bocca, anche la testa gli girava un po'.

« É da ieri che non mangio niente, comincio a sentirmi debole! » pensò, cer­cando un punto d'appoggio per sostenere il peso del corpo che improvvisa­mente si era fatto pesante. Si sentiva scivolare a poco a poco ma non riusciva a reagire.

- Sara, Alessandro! Che fine avete fatto? Vi stavo cercando dappertutto per dirvi che abbiamo deciso di ritrovarci tutti quanti questa sera, a casa di Antonio!

La voce di Cinzia era inconfondibile e si adattava perfettamente ai suoi occhi color ardesia ed alle sue forme eleganti che in quell'occasione, venivano na­scoste dall'abito scuro scelto per quell'occasione.

Alessandro dimenticò per un attimo quella sensazione di debolezza che lo aveva costretto ad appoggiarsi al muro del cimitero e cercò di mostrare un abbozzo di sorriso ma i muscoli della bocca, rifiutavano di contrarsi. Lasciò perdere e con uno sforzo si levò gli occhiali.

- Ciao Cinzia, da quando non ci vediamo! Se non ricordo male, l'ultima volta che ci siano incontrati mi raccontavi di aver conosciuto l'uomo della tua vita e che presto vi sareste sposati. Sbaglio? Che fine ha fatto quel meraviglioso esemplare che fa parte di una razza in via d'estinzione? Non lo vedo qui con te!

- Riesci ad essere sgradevole anche in questo frangente! Ho sempre pensato che il tempo ti avrebbe addolcito ma vedo che mi sono sbagliata!

- Scusami Cinzia, hai ragione! Sai, quando sono teso non riesco ad essere gen­tile! Adesso mi sento veramente stanco, ho bisogno di rilassarmi, camminare sulla spiaggia e mangiare qualcosa, poi avremo il tempo di parlare e ti posso assicurare che non sarò più così sgarbato. Se volete scusarmi, vado a fare una passeggiata. Ci si vede questa sera, d'accordo?

Alessandro lasciò le due amiche a parlare tra loro e senza voltarsi, cominciò lentamente a percorrere il sentiero polveroso che lo aveva condotto al cimi­tero e che ora lo stava portando al mare.

Aveva una buona ora di marcia prima di raggiungere la spiaggia ed avrebbe avuto tutto il tempo per riflettere lungo il cammino.

Rincontrare gli amici dopo anni che non si vedevano, lo metteva un po' a disagio. Si sentiva indifeso davanti all'arroganza di un'apparenza che non amava, loro così sicuri di sé, lui così impotente davanti ad un fallimento an­nunciato e che non poteva nemmeno tentare di nascondere.

Che cosa aveva fatto della sua vita? Non aveva nulla, non una famiglia da mostrare e nemmeno un lavoro che lo soddi sfacesse. In quel momento avrebbe solo voluto diventare invisibile, passare inosser­vato od essere dimenticato. Ricominciare tutto da capo! E pensava: « Chissà perché proprio in questa occasione mi devono tornare queste ansie! Forse perché Antonio è morto! »

Ma questa idea non lo faceva sentire meglio anzi, gli trasmetteva la spiacevole sensazione di dovere, per una volta guardare in faccia la vita.

Un passo dopo l'altro, arrivò alla spiaggia, dove altre volte si era trovato con Antonio a guardare il tramonto. Non si era mai abituato a quello spettacolo ed anche se ogni volta era solo una ripetizione di un fenomeno già visto decine di volte, riu sciva ancora a non trovarlo noioso. E poi camminare sulla spiaggia gli riservava sempre delle sorprese, cose semplici ma non per questo meno preziose e per pochi attimi riusciva anche a sentirsi sereno.

Le spugne di mare abbandonate dalla corrente, le piante spinose che nascon­devano i loro aculei nella sabbia e quei legni contorti, le cui venature in ri­lievo gli ricordavano tanto la sua pelle che con il passare degli anni era di­ventata secca e rugosa, tutto gli sembrava nuovo.

Alessandro si guardò le mani. Quando era più giovane non gli era mai capitato di fare attenzione ai particolari del suo corpo e questo fino al giorno in cui, quasi per caso, si era accorto che qualcosa era cambiato.

Il cambiamento non era avvenuto all'improvviso eppure pur sforzandosi di ricordare, non poteva definire il momento esatto in cui se ne era reso conto. Sapeva solo che un giorno, sentendosi la pelle delle mani secca, si era fermato ad osservarle ed aveva notato che erano diventate meno sensibili, persa la loro morbidezza, ora si potevano distinguere tutte le linee che disegnavano infinite e minute trame geometriche.

La sera si sentiva più stanco e se esagerava con il vino, il giorno dopo tutto il suo corpo ne risentiva come se avesse fatto del sesso.

In fondo era ancora giovane, da poco superati i quaranta ora alle volte faceva fa­tica a riconoscersi, un tempo instancabile, adesso si sentiva svuotato ed il suo sguardo sempre distratto.

Aveva vissuto intensamente, non lo poteva negare! Aveva abitato in diversi paesi ed ammirato paesaggi che lo avevano la­sciato senza respiro, aveva appreso tante storie e conosciuto tante persone, eppure la domanda che ritornava ogni volta era sempre la stessa: « Potrei fermarmi a vivere qui?» e non era mai riuscito a trovare una risposta.

Quella condizione di nomadismo perpetuo lo aveva affaticato e non riusciva più a trovare uno stimolo valido che gli facesse venire voglia di continuare il suo viaggio. Anche incontrare gli amici era diventato complicato, sparsi un po' dapper­tutto, erano quasi sempre distanti e non sempre disponibili. Alessandro non cercava delle radici, né delle sicurezze o forse sì ma solo non lo voleva am­mettere. In fondo voleva solo fermarsi, dove non sapeva, in un luogo dove sarebbe riuscito a sentirsi a suo agio. Come aveva fatto Antonio!

Strano, ogni volta che gli tornava in mente Antonio si ritrovava ad analizzare la sua vita. Allora si affacciavano i ricordi e con essi, appariva il desiderio in­definibile di trovare la pace.

Senza accorgersene Alessandro si trovò ad osservare una medusa coi suoi fi­lamenti collosi incrostati di una sabbia bianca e fine. Si muoveva ancora e le pulsazioni della sua corolla trasparente sembravano scandire il ritmo della sua respirazione. E già si erano fatte più lente, perduto il ritmo regolare, erano destinate ad interrompersi nel giro di pochi minuti sotto quel sole che non dava tregua.

Prese un ramo nodoso che giaceva conficcato nella sabbia, forse qualche bambino aveva voluto lasciare la traccia del suo passaggio e delicatamente, evitando di lacerare i filamenti trasparenti della medusa, la spinse verso l'ac­qua. Il contatto refrigerante con il mare le trasmise quella corrente vitale che le permise di dispiegare i suoi tentacoli ed allontanarsi come se danzasse.

Alessandro la guardò ancora per qualche attimo, poi non riuscendo più a di­stinguerla nella trasparenza dell'acqua decise di proseguire.

A poco a poco ricominciò a sentire i morsi della fame. Per un breve momento era riuscito a dimenticare che non mangiava da un giorno. Da un po' di tempo in qua, il suo stomaco si era fatto così piccolo che era sufficiente così poco per riem­pirlo, peró sapeva di non poter chiedere troppo al suo fisico.

Nel corso dei suoi innumerevoli viaggi aveva imparato a controllarsi, poteva lasciar trascorrere un giorno senza bere, poteva resistere alla stanchezza ed al sonno ma quando era nervoso la soglia di resistenza s'abbassava. Ed in quei giorni si sentiva così stanco e bastava così poco per farlo scattare.

Qualcosa non funzionava più come prima e non era stata solo la morte di Antonio a fare uscire quello stato di malessere che lo rendeva irrequieto ed irascibile. E poi non riusciva a scrollarsi di dosso quella sensazione di insod­disfazione che ormai lo accompagnava da tempo!

Si rendeva conto che i suoi stati d'animo erano strettamente connessi, ma non capiva quale fosse all'origine del suo turbamento.

Senza quasi accorgersene, raggiunse un'improbabile costruzione dall'appa­renza pericolante che mostrava con orgoglio la scritta "Taverna". Nascosta dalla macchia che regalava una piacevole sensazione di fresco, lo accolse una piccola veranda di canne ingiallite che costituiva lo scheletro di una tettoia.

Alessandro si abbandonò pesantemente nella sedia di paglia coperta dalle foglie di tamerice e finalmente riuscì a rilassarsi. Approfittò di quel momento di quiete per guardarsi attorno ed osservare gli altri tavoli, tanto distratto da non accorgersi che a pochi metri da lui, Sandro lo stava osservando silenziosamente.

- Che cosa ci fai qui? Pensavo fossi rimasto con gli altri! - Si lasciò scappare Alessandro, senza volerlo.

- Abbiamo avuto la stessa idea, solo che io sono arrivato un po' prima di te - rispose infastidito Sandro.

- Da quanto tempo non ci vediamo? - lo interrogò Alessandro.

- Da talmente tanto che possiamo risparmiarci i soliti convenevoli e parlare seriamente, evitando le scemenze del tipo « ti trovo bene o come sei cam­biato, che cosa hai fatto tutto questo tempo e via di seguito ».

- Hai ragione! Non perdiamo il poco tempo che abbiamo a disposizione per dire quelle banalità che non si riescono quasi mai ad evitare! Quando hai sa­puto di Antonio?

- Me lo ha detto Cinzia, fa parte del suo lavoro essere sempre informata. Non ti ri­cordi? Lavora nelle pubbliche relazioni di una grande Società.

- Lo avevo completamente dimenticato! E che effetto ti ha fatto la notizia?

- In un primo momento non ci volevo credere! Antonio è sempre stato per me un punto di riferimento, non so come spiegartelo, una sorta di modello. Possedeva una solidità morale ed era sincero, forse era troppo chiuso ma non riusciva a nascondermi nulla.

- Quasi nulla!

- Sì hai ragione della sua malattia non me ne ha mai parlato, d'altronde ci siamo persi di vista per un lungo periodo.

- Allora toglimi una curiosità! Se dici di averlo conosciuto così bene, dimmi quante persone fra quelle presenti alla cerimonia riconosci?

- Che strana domanda! Adesso che ci penso, la maggior parte della gente non l'ho mai vista prima d'ora.

- Lo stesso vale per me! Mi guardo attorno e mi chiedo se siamo così cambiati invecchiando da non riconoscerci più o come è più probabile, se Antonio ab­bia vissuto un'altra vita parallela di cui non sappiamo quasi nulla. É come se ci trovassimo di fronte a due persone differenti, uno é il nostro amico d'in­fanzia, l'altro uno sconosciuto di cui non sappiamo quasi nulla. E questa sen­sazione non mi piace. E per me è ancora più difficile accettare questa situazione!

Ci sentivamo per telefono praticamente ogni settimana, fatta ec­cezione per l'inverno quando chiudeva la taverna e faceva il giro dei suoi fornitori. Ho sempre pensato che non uscisse dalla Grecia ma adesso che ne parlo, non ne sono più tanto sicuro e mi viene il dubbio che non fosse solo il lavoro a fargli abbandonare la sua amata isola.

- Hai qualche idea in proposito?

- No, posso fare solo delle congetture. Forse dietro i suoi viaggi si nascondeva una donna, ma è solo una sensazione e non penso d'aver fatto poi una grande scoperta!

- Stai scherzando? Non me lo vedo Antonio perdutamente innamorato che dice languide parole e giura fedeltà ad una donna! Non dimenticare che Antonio era un solitario ed amava la sua solitudine. Poteva passare giorni interi senza farsi uscire una parola, non aveva la televisione, ascoltava qualche volta della musica e leggeva tutto quello che gli capitava tra le mani. Era una specie di orso!

- Me ne ricordo e ricordo anche che più di una volta mi ha detto che la sua televisione erano i tramonti nel mare e d'inverno, il fuoco nel camino. All'inizio quando vedevo il camino sempre acceso anche in autunno, pensavo che avesse cominciato a soffrire di artrite ma poi ho capito che per Antonio il fuoco era una forma di compagnia e gli permetteva di pensare e perché no, di so­gnare. Riesci ancora a sognare Sandro?

- Se intendi mentre dormo, sono quasi sicuro di sì. Per quanto riguarda la mia vita, non ho il tempo per fermarmi a sognare! Ad ogni modo ti posso dire che non sarei riuscito a resistere nemmeno una settimana, vivendo come ha vis­suto Antonio in questi ultimi anni. Di questo sono sicuro!

Io, ho bisogno di frequentare le feste, d'essere circondato dalle donne, non posso fare a meno del cinema e della mia pale stra. L'unico modo per sentirmi vivo è arrivare alla fine della giornata completamente esausto e lasciarmi ca­dere sul letto. Se il lavoro non mi stressasse mi sentirei perduto, comincerei a pensare. Mi capisci?

- No, non ti capisco ma non importa! Ti voglio fare una domanda e se non vuoi rispondermi, è sufficiente che tu me lo dica. Hai qualche amico? E non dico qualcuno con cui parlare o scambiare le solite scemenze! Parlo di veri amici, anche se solo ora mi accorgo di quanto sia difficile definire l'amicizia.

- Non riesco a starti dietro. Sei diventato ancora più strano di quando ti ho conosciuto!

- Ascoltami bene Sandro, non è poi così difficile capire dove voglio arrivare. Quante delle persone che frequenti, potresti definire veramente amiche? Mi segui? A quante di queste racconteresti i tuoi problemi, senza nascondere nulla che so, che hai dei debiti e non hai i soldi per pagarli, che tua moglie ti ha lasciato, che vorresti farla finita e che non sopporti più una vita senza va­lori, senza affetti, così fredda da non sapere cosa farne!

- Non posso certo dire che tu abbia una visione solare della vita! Conosco molte persone ma da questo a dire che siano veri amici, non ne sono poi così sicuro. Nel mio mondo, se hai dei problemi cerchi di tenerteli per te e se pro­prio non puoi farne a meno, paghi per farti ascoltare. Lo so che non è una condizione umana molto allegra e rassicurante, ma almeno hai a che fare con un professionista che riesce a mantenersi neutrale e soprattutto distante.

- Ascoltami bene, Sandro. Quando dico che voglio conoscere gli altri amici di Antonio, non è per semplice curiosità che lo dico. Se di un caro ed intimo amico, vengo a sapere che in fin dei conti conosco solo un'immagine che corrisponde solo in piccola parte alla sua personalità ed alla sua vita, allora mi domando se non abbia sprecato il mio tempo! Come è possibile che sia stato tanto superficiale da non rendermi conto che quello che Antonio mostrava, non era altro che un frammento scheggiato della sua personalità?

- Conoscere la parte mancante della vita di Antonio, ti può aiutare in qualche modo a vivere più serenamente od a farlo rivivere? Che cosa ti cambia, sapere adesso che Antonio è morto? Avresti dovuto pensarci prima, ora è un po' tardi per abbandonarsi ai rimorsi.

- É qui che ti sbagli caro Sandro! Se solo riuscissi a capire perché Antonio mi abbia escluso da una parte della sua vita, forse allora arriverei a perdonarmi.

- Non capisco questo tuo senso di colpa. Di cosa ti senti responsabile?

- Il mio è forse più il rimpianto d'avere creduto di conoscere Antonio ed il ri­sveglio da un'illusione.

- Non ti pare d'essere un po' troppo esigente?

- Non capisci che non sto facendo una critica ad Antonio, se mai sto accorgen­domi d'essermi fermato solo all'apparenza. Se non sono nemmeno riuscito a cono­scere un amico, allora ho veramente fallito! Provo la sensazione di avere vis­suto in apnea, ma si può vivere senza mai respirare?

- Non riesci a renderti conto che conoscere la vita interiore di un'altra per­sona è solo presunzione, un'idea arrogante ed egoistica di considerare l'amicizia? Devi per una volta accettare la realtà. Di ogni uomo, conosci soltanto quel poco che ti viene permesso di conoscere ed in fondo quanto sai di me?

Prova a riflettere e vedrai che di una gran parte della mia vita non sai niente, puoi tentare d'immaginartela, ma chi può garantirti che corrisponda real­mente a me? Lo vedi anche tu, quando si parla d'amicizia si entra in un campo minato ed allora dovresti accorgerti che non puoi avere la presunzione di possedere la chiave universale di lettura delle personalità umane. Dico que­sto, per farti capire che non puoi avere il monopolio di coloro che consideri veri amici!

Ed allora perché non provi ad essere un po' più umile, lo dico soprattutto per te! Forse così imparerai anche a perdonarti, se veramente ti senti colpevole o responsabile di qualcosa!

 

Alessandro ora si sentiva a disagio. Forse erano state le parole di Sandro ma più probabilmente si era sentito forzato a considerare alcuni aspetti del suo carattere e della sua vita che non amava.

In passato lo avevano accusato di essere egoista, se lo ricordava bene e con un certo fastidio e quando gli veniva in mente quella critica, s'irritava e fa­ceva uno sforzo per non pensarci.

Non provava alcun rancore nei confronti di Sandro, anche se non ne era si­curo, però trovarselo accanto in quel momento che era solo per lui, lo faceva sentire vulnerabile come se l'amico avesse scoperto un segreto che Alessandro aveva custodito per anni e di cui era profondamente geloso.

Ora la presenza di Sandro lo disturbava e si era portata via l'incanto di quel luogo che, pochi istanti prima, gli aveva regalato una gradevole sensazione di pace.

All'improvviso gli sembrava di vedere solo una capanna polverosa e dello stesso colore della sabbia che lo circondava. Le canne sfilacciate e secche, le sedie dagli schienali scoloriti e macchiati dalla salsedine, anche il suolo di ce­mento che aveva già cominciato a sgretolarsi in alcuni punti, tutto lo faceva sentire a disagio.

Guardò l'orologio, forse più per superare quel momento d'imbarazzo che sen­tiva pesargli addosso e non perché avesse qualcosa d'urgente da fare.

Si ricordò che nella tasca dei pantaloni conservava le chiavi della casa di Antonio. Un giorno gliele aveva date dicendogli che poteva usarle nel caso gli fosse successo qualcosa di grave. Allora Alessandro non aveva fatto caso alle parole di Antonio ma ora comprendeva che l'amico sapeva già d'essere ma­lato. Come aveva fatto a non pensarci prima?

Si alzò dalla sedia con un certo sforzo. Se si era diretto lì, lo aveva fatto principalmente per mettere qualcosa sotto i denti e non per ascoltare i rimproveri o le confessioni di Sandro. Si rendeva ormai conto che gli era passato l'appetito, anche se lo stomaco reclamava con i suoi borbottii, più per un riflesso nervoso che per un reale desiderio.

Si voltò a salutare Sandro che continuava a fissarlo e lentamente s'incam­minò verso la casa di Antonio.

 

III

 

 

 

 

La casa si trovava al limite del paese, avvolta dai suoi muri tortuosi e bian­chi come i panni stesi ad asciugare al sole, diffondeva una sensazione ripo­sante. I muri circondavano un piccolo patio dove si trovavano delle piante rigo­gliose con le loro fioriture di diverse tonalità. La buganvillea che s'arrampi­cava seguendo le scale che portavano al primo piano, se la ricordava bene! Era stato il suo regalo all'acquisto della casa ed era cresciuta tanto che faceva quasi fatica a riconoscerla! Pioveva così poco su quell'isola, eppure la poca pioggia che riusciva a non evaporare era suffi­ciente a dissetare quel minuscolo paradiso dove Antonio trascorreva le ore più calde della giornata, immerso nella lettura dei suoi libri tanto amati.

Dalla piccola terrazza del primo piano si poteva quasi toccare il mare ed era uno spettacolo che Alessandro non si sarebbe mai stancato di guardare. Alle volte e senza accorgersene si dimenticava del tempo e si trovava ad osser­vare un punto indefinito, lasciando scorrere i suoi pensieri. Aveva tanto a cui pensare! Avrebbe potuto lasciar passare una giornata intera senza quasi ac­corgersene e poi chi si sarebbe preoccupato per la sua assenza?

Alessandro entrò in cucina ed aprì il frigorifero. Da quando Antonio era morto, nulla era stato toccato ed alcuni cibi avevano cominciato a deperire.

Nella sua vita aveva sempre pensato di poter capire la personalità di un uomo da come si nutriva ed ora si trovava a chie dersi che cosa ci facessero tanti surgelati, tutti riuniti in un solo frigorifero.

Sapeva per esperienza personale che chi viveva solo non aveva grandi pre­tese anche se non era ancora riuscito ad abituarsi a stare a tavola senza com­pagnia. Inghiottire i bocconi diventava faticoso ed anche sfogliare una rivista o leggere un libro, non gli dava alcuna soddisfazione ed il vino rosso sapeva di tannino e gli lasciava la bocca impastata.

Alessandro si rendeva conto che quella era una sensazione psicologica e non corrispondeva al sapore leggermente fruttato del vino che beveva, eppure non ci poteva fare niente, non riusciva ad evitarla.

Si preparò qualche panino con quel poco che ancora era commestibile, si versò del vino aperto chissà quando, mise tutto su di un vassoio ed uscì sulla terrazza. Il sole cominciava ad addolcirsi e si era alzato un vento dal mare che portava con sé quell'odore tipico di alghe marce e di sale.

Mancavano ancora alcune ore all'appuntamento, ore preziose in cui il silenzio veniva interrotto solo dal vento che scuoteva le fronde della misera vegetazione.

Alessandro si guardò attorno. Vi era un forte contrasto tra la luce dell'e­sterno e la penombra della stanza di cui si di stingueva solo il pavimento co­sparso di libri, abbandonati disordinatamente.

Vicino alla finestra si intravedeva un tavolo di legno con al centro un piatto colmo di piccole pietre bianche dalle striature nere. Quanto tempo avevano passato lui ed Antonio a sceglierle e raccoglierle nelle differenti spiagge di Folegandros? Sembravano due bambini con la loro paletta e secchiello, sem­pre occupati a raccogliere sassi e conchiglie che non servivano a nulla ma ricordavano tanto il bianco dei muri delle case greche!

Quel colore così chiaro e l'effetto del sole che colpiva quelle pallide tele di pietra e creava delle zone di luce, intercalate da zone di ombra, lo rassicu­rava ed osservando quei giochi di luce riusciva a sentirsi tranquillo.

Si ricordava di quando era piccolo e dei suoi genitori, del teatrino di ombre che suo padre animava sul muro raccontandogli delle favole per farlo addor­mentare. Quanti anni erano passati da allora? Troppi perché potesse ricor­dare le emozioni dell'infanzia eppure quando gli apparivano quelle immagini, riusciva ancora a sentire qualcosa di indefinito, un languore o solo della no­stalgia.

Entrò nella stanza e cominciò ad osservare i poveri mobili che l'arredavano. Antonio non si era mai circondato di oggetti belli e costosi, per lui l'impor­tante era che servissero a qualcosa.

Una grande libreria scricchiolava sotto il peso dei libri che avevano co­minciato ad ingiallire, abbandonati da chissà quanto tempo. Antonio leggeva avidamente per intere settimane anzi divorava i libri che gli capitavano fra le mani, poi ad un tratto si stancava ed abbandonava le sue letture per dedi­carsi a qualcosa d'altro.

Viveva i suoi entusiasmi come un bambino che mette da parte i vecchi giochi perché ne ha ricevuto uno nuovo in regalo. Antonio era così, curioso, non co­stante e dispersivo! Nei suoi amori però era affidabile, fedele e sicuro, così aveva sempre pensato Alessandro anche se ora non avrebbe più potuto giurarlo!

Guardò ancora una volta l'orologio. Gli restava ancora qualche ora di silenzio, abbastanza per fare l'inventario di quello che doveva essere mandato ai genitori di Antonio. Si era assunto quell'incarico controvoglia, ma in fondo sapeva che sarebbe spettato a lui, l'amico più caro.

Gli sembrava di offendere la memoria dell'amico mettendosi a rovistare nei suoi oggetti personali, frugando nei cassetti. Era come violare un'intimità che non gli apparteneva, anche se si rendeva conto e non gli piaceva ammettelo, in fondo provava una certa curiosità.

Forse sarebbe riuscito a trovare quella parte mancante del passato di Antonio che ancora non possedeva. Che importanza aveva a quel punto co­noscerla? Forse nessuna, ma avrebbe fatto di tutto pur di scrollarsi di dosso il dubbio di non avere conosciuto Antonio e che lo tormentava da quando era giunto sull'isola. Era stato lui il migliore amico di Antonio? Domanda senza risposta.

Alessandro cominciò ad ispezionare l'armadio che si trovava nella stanza da letto. Le porte cigolarono sotto la pressione esercitata sui cardini. I vestiti allineati sapevano di chiuso. Li infilò nel baule insieme alle coperte ed alle lenzuola e scrisse l'indirizzo dei genitori di Antonio.

Passò al comò che si trovava nel corridoio che non gli riservò alcuna sor­presa. Al suo interno vi erano dei documenti, ricevute di pagamenti ed alcuni mazzi di chiavi che non sapeva cosa aprissero. Possibile che in tutta la casa non vi fossero né lettere, né fotografie?

Alessandro sapeva che quelle erano le uniche tracce lasciate nel corso della vita di ogni uomo, che altro rimaneva in fondo? Il ricordo negli altri che si sbiadisce col tempo, qualche pagina scritta e delle povere immagini, così lontane da perdersi e scomparire.

Ad un tratto si accorse di avere dimenticato di ispezionare il tavolo da gioco che, piegato a metà, si trovava accostato al muro del corridoio. Se lo ricordava dai tempi in cui sia lui che Antonio abitavano ancora a Milano ed una volta alla settimana s'incon­travano per giocare a carte gli amici.

Lo scostò dal muro e ne sollevò una parte, facendola ruotare sui suoi perni. Comparve allora il tessuto verde stinto, un po' liso al centro ed il legno ve­nato ed un po' consumato dei suoi bordi.

Vi era qualcosa che gli sfuggiva come se un ricordo non volesse affiorare. Provò a ripensare alle domeniche consumate stancamente attorno a quel ta­volo, alle parole che venivano spese inutilmente, agli sguardi annoiati degli amici. Poi ad un tratto si ricordò che Antonio era solito riporre le carte da gioco nel cassetto segreto, delimitato dal piano del tavolo. Valeva la pena di controllare e si diresse verso il tavolo. Quando sollevò la parte del tavolo chiusa, si rese conto d'avere trovato quello che andava cercando.

All'interno del cassetto vi era una scatola serrata da un elastico ed alcuni fasci di lettere. Prese le lettere e la scatola e depose tutto sul tavolo vi­cino alla finestra. Sfilò l'elastico e tolse il coperchio della scatola.

Dentro vi erano delle fotografie riposte senza alcun ordine apparente, ricordi in bianco e nero e ricordi a colori più recenti e che forse arrivavano ad ab­bracciare anche la comparsa della malattia. Immagini antiche mescolate ad immagini recenti che disegnavano impietosamente il passare del tempo.

Alessandro si trovò a guardare con curiosità quel buffo ragazzino in panta­loni corti che lasciava scivolare lo sguardo nel mare. Quanti anni erano passati da allora? Gli sembrava un secolo.

Lo sguardo di Antonio non era cambiato da allora, chissà a cosa stava pen­sando in quel momento? Sempre così assorto, sembrava che la sua vita scorresse senza scosse, senza impeto, dolcemente come le carezze di sua madre.

Via via che le immagini passavano davanti ai suoi occhi, Alessandro cercava di datarle. In alcuni casi il compito risultava abbastanza semplice, i panta­loni corti lasciavano ben presto il posto a quelli lunghi e le foto ad un tratto, diventavano a colori. In un soffio divoravano degli anni, per giungere al mo­mento del liceo.

Antonio non sembrava essere cambiato, i suoi occhi un po' tristi gli riempi­vano lo sguardo sempre così lontano.

Nella foto di classe dell'ultimo anno di liceo, Alessandro si riconobbe. Quando vedeva la sua immagine fermata in una foto, si rendeva conto che an­che per lui era passato il tempo ed i capelli bianchi che erano comparsi quasi improvvisamente, si erano riprodotti ad una velocità incredibile.

Alessandro tornò ad osservare la foto. Alle sue spalle Antonio sembrava volerlo proteggere. Il viso serio ma per una volta rilassato, lo sguardo di Antonio cadeva su di lui, amici per la pelle, nemmeno il tempo sarebbe riu­scito a separarli.

E così era stato anche se ora si trovava a dubitare d'avere realmente cono­sciuto Antonio, quel piccolo tarlo che s'approfondiva sempre di più e lo fa­ceva sentire insoddisfatto. Ma la foto era riuscita, non c'era niente da dire! L'espressione dei visi corrispondeva ai suoi ricordi ed anche Cinzia gli sem­brava che lo fissasse come aveva fatto alcune ore prima durante la cerimo­nia funebre. Gli stessi occhi, gli stessi capelli neri come il catrame che si scioglie al sole dell'estate e la pelle scura, non pareva poi molto cambiata! Solo qualche linea in più attorno al collo ed un'espressione più dura negli oc­chi, sembravano gli unici segni del tempo trascorso.

« Chissà che fine avranno fatto tutti gli altri compagni? » si domandò Alessandro, senza sapere che cosa rispondere.

« Quante persone incontrate durante la vita aveva perso? Quanti amici si erano dimenticati di lui solo per il fatto che non si era fatto più vivo? » E come succede sempre in questi casi, non ne aveva saputo più niente.

Depose le foto nella scatola e ne prese un altro mazzetto. L'elastico cedette e gli colpì con violenza la mano. Sentì un dolore intenso e gli venne in mente di quando bambino, lui ed i suoi amici si scatenavano in furibonde battaglie armati di elastici e carta che una volta piegata, diventava un proiettile mi­cidiale.

Cominciò a sfogliarle distrattamente. Ad un tratto riconobbe Marilena. Se la ricordava ancora la prima fidanzata di Antonio, una ragazza con un bel sor­riso, timida e che parlava pochissimo, ancora meno di lui. Quanto erano ri­masti insieme? Forse qualche anno, poi Marilena si era stancata d'attendere qualcosa da Antonio, la sicurezza e forse una famiglia, idee chiare ed un orizzonte tanto nitido da poterlo toccare con le sue piccole mani.

Marilena scompare ed appaiono i contorni sfocati del suo matrimonio. Antonio aveva voluto essere il suo testimone e gli faceva uno strano effetto vederlo con il completo blu, scarpe nere e cravatta in tinta. Vi era qualcosa di stonato, forse l'abito di Antonio o più probabilmente il suo matrimonio con Valeria!

Alessandro non era mai riuscito a capire che cosa gli fosse saltato in mente, la paura di re­stare solo, il bisogno di costruirsi delle radici, una famiglia come avevano fatto tutti i suoi conoscenti.

Valeria l'aveva rivista alcuni anni dopo la separazione. Di allora, aveva con­servato i lineamenti duri del viso, gli occhi penetranti e la bocca che sem­brava disegnare sempre una smorfia di disgusto. Si erano lasciati perché si erano accorti di essere incompatibili, entrambi troppo egoisti per farsi delle concessioni.

Rigirò la foto tra le dita, un movimento forse dettato dall'impulso di farla a pezzi, poi cambiò idea e la ripose nella scatola.

Afferrò la busta gialla che aveva notato fin dall'inizio e che portava la scritta, "foto Grecia", con quei caratteri indecifrabili che solo Antonio era in grado di tracciare e che gli avevano sempre fatto pensare alle zampe di una gallina. Erano le immagini del loro primo viaggio insieme ed era stata un'esperienza che aveva consolidato la loro amicizia. Antonio si era innamo­rato subito delle isole e da allora ne aveva cominciato un'esplorazione si­stematica.

Altre immagini scorrevano, sovrapponendosi nella testa affaticata di Alessandro. Fino a quel momento era riuscito più o meno a datare ogni im­magine corrispondente ad un periodo che coincideva coi suoi ricordi. Ad un tratto si verificò qualcosa d'inaspettato.

Si trattava di una serie di fotografie che non aveva mai visto prima di allora, spuntavano all'improvviso una dietro l'altra e non avevano né un tempo né un appiglio con il suo passato.

La donna che compariva era sempre la stessa, un viso dolce con uno sguardo un po' triste negli occhi. La bocca morbida aperta in un mezzo sorriso ta­gliato da due piccole rughe ai lati, i capelli castani raccolti che ricade­vano delicatamente sulla schiena, non ricordava di avere mai visto quella donna.

Una volta Antonio gli aveva fatto notare che alle donne non più giovani non stavano bene i capelli sciolti. « Che strana osservazione » si trovò a pensare Alessandro. «Chissà cosa avrà voluto dire Antonio con quelle parole! »

Tornò ad osservare le foto con più attenzione. In alcune si vedevano Antonio e la sua amica seduti sugli scogli, in altre prendevano il sole dopo il ba­gno, si sarebbero dette delle normali foto delle vacanze.

Ma chi le aveva scattate, si domandava Alessandro.

« Strano, si direbbe che il tempo trascorra anche nelle foto! » Alessandro stava osservando delle immagini che passavano attraverso un tempo dilatato, abbracciando un numero imprecisato di anni e lo si capiva chiaramente da alcuni particolari che mutavano da una all'altra.

Le piccole linee che demarcavano la bocca della donna leggermente più pro­fonde, il sorriso più stretto quasi forzato, la pelle del collo rigata, strano si sarebbe detto che l'immagine ritratta invecchiasse come gli esseri umani.

 

E passa ancora del tempo lasciando le tracce del suo passaggio sul volto di Antonio. La fronte più alta, occhiaie scure, la barba di qualche giorno la­sciava intravedere il primo biancore.

Alessandro non aveva motivo di cercare una ragione a quella sensazione sgradevole che provava tutte le volte che gli veniva chiesto di unirsi ad una foto. La risposta sarebbe stata fin troppo semplice! L'idea di rispecchiarsi in un'immagine che mutava e non certo in meglio, non gli faceva certo piacere.

« Forse gli uomini hanno bisogno di ricordarsi come erano, per sentirsi ras­sicurati e convincersi di stare meglio oggi » gli venne spontaneo pensare, ma non ne era convinto.

Guardò l'orologio, gli restava ancora un po' di tempo. Prese un'altra fotogra­fia ed ecco apparire un altro ricordo inesistente e la rabbia di non riuscire a catturarlo.

IV

 

 

Chi era quel bambino biondo abbracciato a sua madre, quella donna che or­mai ad Alessandro sembrava di conoscere? Cercò inutilmente di ricordare ma sapeva di non poter trovare nella sua me­moria, qualcosa che mancava.

Si mise allora a studiare con attenzione i lineamenti del viso di quel bambino. La madre e non c'erano dubbi, era la donna della foto, stessi occhi, stesso naso, solo i capelli più biondi per via del sole che li aveva schiariti. Ma qualcosa gli sfuggiva ed Alessandro si rendeva conto che i particolari più evidenti, erano anche quelli che si nascondevano meglio.

Osservò ancora una volta il bambino. Ecco che cosa gli era sfuggito, tanto semplice da essere più difficile da vedere! La smorfia che la bocca del bam­bino disegnava sul suo viso gli ricordò improvvisamente Antonio quando era piccolo. Un'espressione inconfondibile!

Com'era possibile che Antonio non gliene avesse mai parlato? A lui, al suo migliore amico? Come poteva non averli incontrati almeno una volta?

« Forse troverò la risposta nelle lettere » pensò Alessandro ma si sentiva un po' come un ladro a rovistare nelle carte personali di Antonio.

Prese il primo mazzo che gli capitò tra le mani, mani sudate più per l'imba­razzo che per il calore e sfece il nodo che le teneva unite.

Non era facile dare un nome ad una persona di cui conosceva solo il viso! Vi erano lettere in diverse lingue, alcune in greco, una lingua che Alessandro co­nosceva abbastanza bene per poterne capire il senso. Cominciò ad eliminare quelle che portavano la firma di amici comuni, dei genitori e mise da parte le lettere firmate da donne.

In fondo provava una certa invidia vedendo quante lettere avesse accumu­lato Antonio, lui che era riuscito a conservare solo i rapporti essenziali per non doversi sentire troppo solo.

Non c'erano tracce di ciò che cercava, niente di niente. Ad un tratto la sua at­tenzione fu catturata da un particolare insolito. Separato dal resto, vi era un plico di lettere tenuto insieme da un fiocco. Sfece il nodo e ne aprì una a caso. Ebbe una strana sensazione, come se sapesse di avere trovato la chiave che aveva cercato con tanto accanimento. Era firmata Eleni, come tutte le al­tre. Si fece coraggio e cominciò a leggere.

Fin dalle prime righe si capiva che esisteva un legame profondo tra chi scri­veva ed Antonio. Lo si percepiva dal tono delle parole, così franco e caloroso.

Eleni gli raccontava le sensazioni che aveva avuto al momento del loro incon­tro, lui così serio e scontroso, così poco propenso a sorridere. Gli confessava di sentirsi a suo agio con lui, un uomo riposante, forse un po' troppo chiuso ma con dei sentimenti vivi.

Non poteva essere che l'inizio di un amore, quando ancora si vedono solo i pregi dell'altro. Alessandro si ricordava della scintilla che si era accesa quando gli era capitato d'innamorarsi.

Poi finalmente trovò la conferma alle sue supposizioni. Fino ad allora il suo era stato solo un sospetto ma a quel punto divenne una certezza. In una let­tera che risaliva ad alcuni anni prima, Eleni confidava ad Antonio di essere incinta e che aveva preso la decisione di tenersi il figlio, anche se lui si era mostrato poco propenso ad assumersi le responsabilità di una vita familiare.

Ad Alessandro sembrò di vedere l'amico mentre spiegava ad Eleni di non es­sere disposto a rinunciare alla sua scelta di vita solitaria.

- Bell'egoista, il mio caro amico Antonio! - disse ad alta voce Alessandro, tanto non c'era nessuno ad ascoltarlo.

Adesso cominciava a capire perché non avesse mai avuto occasione d'incon­trare Eleni! Non avevano mai abitato insieme e forse si vedevano solo saltua­riamente, quando Antonio partiva per il giro dei suoi fornitori. `

In fondo l'amico aveva scelto la via più semplice, la più comoda e meno im­pegnativa per crearsi una famiglia! Ma Eleni, come aveva potuto sopportare il comportamento di Antonio?

« Nelle donne vi è uno spirito d'abnegazione che si trova difficilmente nell'uomo » pensò Alessandro. Si sentiva irritato con l'amico anche se si rendeva conto che in fondo non erano affari suoi e poi, ormai era troppo tardi per af­frontare quell'argomento con Antonio.

Chiuse la lettera e la ripose insieme alle altre. Per un attimo si trovò a ripen­sare alla cerimonia del mattino. Passò in rassegna i visi delle persone, il pro­fessore con le sue mani morbide, Cinzia con il suo sguardo che lo faceva sen­tire a di sagio, Sandro, lo sguardo sfuggente e Sara con il suo sorriso tranquil­lizzante.

Sentiva che in qualche modo Antonio aveva tradito la sua fiducia e non riu­sciva a mandare giù il suo comportamento nei confronti di Eleni. Ripensò alla discussione che aveva avuto con Sara.

Deluso, ecco come si sentiva! Sì, deluso per aver creduto di conoscere Antonio ed avere scoperto che l'amico gli aveva mostrato solo una parte di sé. In fondo Antonio si rendeva conto che non avrebbe mai avuto la sua approva­zione ed Alessandro era troppo onesto e leale, per non essere sincero. Allora aveva preferito nascondergli una scelta che era stata dettata solo dall'egoi­smo.

« Anche le menzogne fanno parte della vita, però avrei preferito che me ne avesse parlato Antonio e non doverlo scoprire in questo modo! » pensò Alessandro.

Guardò la luce che filtrava attraverso la finestra. Si era fatta più dolce e l'ac­qua del mare la rifletteva come uno specchio. La curiosità era svanita, ormai non gli interessava sapere altro. Prese le ultime fotografie che ancora gli mancavano. Un rapido sguardo gli fece capire che si trattava delle ultime immagini dove avrebbe potuto vedere Antonio, poi sarebbe cominciato il cal­vario della malattia. Poi più niente, solo il rispetto per la sofferenza che non vuole testimoni.

Alessandro non se lo ricordava così cambiato, smagrito, affaticato ed un ba­stone tra le mani, nell'ultimo periodo della sua malattia Antonio si reggeva a stento in piedi. Anche il suo carattere ne aveva risentito e si era chiuso in un silenzio difficile da sopportare. Gli amici gli dicevano: - non lasciarti andare, reagisci, stringi i denti - ma Alessandro avrebbe voluto vederli se si fossero trovati al posto di Antonio. « É facile parlare ma la morte è una cosa seria, difficilmente si commuove! »

E poi le foto erano finite ed Alessandro tirò un sospiro di sollievo, non sa­rebbe stato capace d'andare avanti.

Ora sentiva di avere veramente terminato ed il tempo avrebbe potuto richiu­dersi, come una ferita che cicatrizza lasciando solo un leggero segno del suo passaggio.

Chiuse la scatola e l'abbandonò sul tavolo, l'avrebbe fatta avere ad Eleni. Lentamente scese le scale, abbracciò con lo sguardo la buganvillea e si trovò nel giardino interno della casa. Si sentiva stanco, forse per le emozioni di quella strana giornata o per il fatto che aveva mangiato così poco. Non lo sa­peva.

Si sedette sul sedile in pietra che circondava il tronco del ficus. Lo sguardo sembrava seguisse la torsione dei rami della bignonia che allacciata al muro, terminava con i suoi grappoli di trombe arancioni. Non era uno sguardo as­sente, era solo pensieroso e voleva abbracciare i ricordi che ora gli lasciavano un gusto amaro in bocca.

Ogni tanto Alessandro sembrava scuotersi, si guardava le mani e poi tornava ad osservare il muro mascherato in parte dalle piante rampicanti. Ad un tratto sentì dei colpi sordi alla porta. Chi poteva essere a quell'ora?

Si alzò con cautela e si mise a spiare dalle fessure che tagliavano il legno della porta che, con il passare del tempo ed il vento umido del mare, si era ingros­sata fendendosi. Era Sara e lo guardava sorridendo attraverso una fenditura della porta.

- Che fai, non mi apri? L'atmosfera della casa ti ha già trasformato in un orso?

- Ciao Sara! - disse, facendo ruotare il chiavistello che la teneva chiusa. - Come mai sei già qui?

- Sono venuta perché volevo parlarti! Hai dei progetti nell'immediato futuro? Voglio dire, hai pensato di riprendere i tuoi viaggi o pensi di fermarti almeno per un po'?

- Strano, sembra che tu mi abbia letto nel pensiero! Oggi ho scoperto qualcosa di Antonio che non ti piacerebbe sapere ma che mi ha fatto riflettere e non solo sul valore dell'amicizia che per ognuno di noi ha un significato diverso e su questo siamo perfettamente d'accordo, ma soprattutto sulla paura di esporsi, di mettersi in discussione e di lasciarsi coinvolgere dalle emo­zioni, dai sentimenti.

La paura di doversi aprire e di dover dare, l’accettare dei com­promessi, tutto questo mi ha fatto preferire una vita solita­ria. Per vivere in due bisogna essere onesti ed affrontare le proprie diffe­renze, insieme!

Ti dico questo perché vorrei farti una proposta che forse ti sembrerà un po' troppo razionale, ma non saprei in quale altro modo presen­tartela.

Mi é stato offerto dai genitori di Antonio di prendere in gestione la sua atti­vità commerciale, almeno per un po' di tempo. Non ho ancora deciso che cosa rispondere, ma se tu resti con me accetto l'offerta. Secondo loro daremmo un senso alla scelta di loro figlio e ci aiuterebbe forse a non dimenticarlo. Che cosa ne pensi, Sara?

Sara lo guardava un po' stupita. « Strano, » pensava « quest'uomo che ho da­vanti, così introverso e complicato, per una volta è riuscito a tirare fuori quello che prova od almeno che desidera. É proprio vero, uno pensa di conoscere gli altri o almeno gli amici e poi scopre di avere solo scalfito la patina che li ricopre. »

- Accetto Alessandro e con gioia, però mi farebbe piacere sapere che cosa ti abbia fatto prendere questa decisione!

Alessandro alzò gli occhi fino ad abbracciare con lo sguardo Sara e quello spicchio di mare tranquillo che s'incastrava nello spiraglio della porta soc­chiusa.

Poi, lentamente le prese la mano e cominció a raccontarle di quella strana giornata, trascorsa alla ricerca di un amico che pensava di conoscere e che forse aveva un po' perso.