“Venga avanti e chiuda la porta”. Non si voltò per verificare. Era un uomo sicuro di se.

Il caldo impregnatosi nella poltrona cominciava a inumidirmi fastidiosamente,le mie gambe si assopivano sempre piu velocemente dopo un giorno di fatica.

L’ uomo prosegui nella mia direzione, a passo cadenzato, quasi militare. I primi pensieri mi investirono come ogni volta, “sarebbe stato il solito borioso monologo di un poeta depresso e innamorato?”, “avrei sperato che il tempo bruciasse velocemente come il ciliegio?”.

Mi si pose davanti, imperdonabile e potente, aspettando la mia autorizzazione a distendersi sul lettino. Attraverso gli occhiali lo scrutai con discrezione professionale, lampeggiava davanti ai miei occhi la sua figura, cosi composta,cosi maniacalmente pulita e rifinita a cominciare dal bronzeo colletto inamidato ,alle scarpe, cosi lucide da riflettere ogni onda luminosa emessa dalla misera lampada sulla scrivania.La sua altezza non era certo degna dell’imponenza con cui si presentava ne tanto meno, l’ orribile modo di portare la barba.

La chioma era color dell’ argento sporco, pettinata con minuziosa cautela all’ indietro, quasi potesse staccarsi dalle tempie troppo arretrate.

Gli occhi urlavano comando e autorità, la sua bocca sembrava opera di un fendente di scimitarra sciita su un acero, la pelle degli zigomi colava sulle guance lasciando alla luce violacee occhiaie oramai non più dovute a baldorie notturne. Le dita affusolate e nervose, stringevano un legno povero con un manico a “l” rozzamente artigianale. La sola vista della sua figura sarebbe bastata a farmi perdere il pomeriggio in contemplazione, ma ero pagato per altro.

-Si accomodi pure e si metta a suo agio-.

Le labbra gli si piegarono in una orribile smorfia di ringraziamento.

-Sbrigo due carte e sono subito da lei-

Raggiunsi la mia scrivania guardando con ammirazione il David che cosi piccolo svettava con tanta potenza dall’ angolo del mio studio. Ero cosi fiero di quella stanza,decine di croci dovetti trasportare per completarla..

La notte ormai giunta batteva sulle finestre e io guardando fuori , quasi impaurito me ne ritrassi alla vista.

Ora mi trovavo di fianco a lui. Il mio lavoro quella volta cominciò in maniera diversa dal solito, la mia anima era agitata. Stranamente le mani mi sudavano come al primo colloquio di lavoro.La soggezione cominciava a divorarmi.

-Proporrei di non sprecare tempo altrimenti – disse

-Sono d’ accordo.

-Che uomo era suo padre?

-Un integerrimo impiegato di stato.

- Il suo nome?

-Alois, da ogni fibra del suo corpo emanava virilità, tutti i suoi gesti e odori erano puramente mascolini fino all’ inverosimile, è stato l’ unico uomo che abbia mai conosciuto.

-&ldots;Mi parli di sua madre.

-Il suo nome era Klara, terza moglie di mio padre, casalinga e moglie devota a noi in modo amoroso ed equanime.

Devo ammettere che non presi appunti,le centinaia di pagine studiate sull’ importanza della famiglia, al fine di delineare un profilo netto ed omogeneo si un soggetto, presero fuoco all’ istante.

Rimasi stupito dalla consapevolezza, dalla gestualità quasi assente e pur cosi devastante del mio paziente.

Mentre parlava, teneva il braccio sinistro teso lungo il corpo, compiva solo minuscoli spostamenti con la mano destra tenendo il pollice all’ esterno , e attaccate tutte e quattro le dita. Avrebbe potuto dire qualsiasi cosa, ero diabolicamente incantato dal carisma dell’ insieme.

Gettai lo sguardo altrove, verso la parete sull’altro capo della stanza, una copia delle “caricature” di Leonardo , mi sorrideva distrattamente. Tentai inutilmente di risponderle . Il mio spirito era in subbuglio per altro.

-Mi racconti un episodio della sua infanzia

- Da piccolo venni picchiato, dicevano leggessi nei sogni.

-S spieghi meglio la prego.- il mio filo di voce parve quasi subordinato.

- Alle scuole elementari in seguito al pranzo , ci era concesso di riposarci per circa mezz’ ora su brandine spartane. Io ero diverso, non necessitavo di riposo , ergo rimanevo disteso supino con gli occhi sbarrati. Il mio unico diletto era ascoltare, impossessarmi dei sogni altrui.

-Continui per favore.

-Approfittavo di questo per emergere, conoscendo i desideri altrui , intercettavo le lacune, le loro debolezze, ne traevo vantaggio. Un dì un mio compagno infuriato mi picchiò, trascinandomi innanzi alla maestra disse: “Questo bambino legge nel sonno , lo punisca.” “Questo bambino parla nel sonno. Lo punisca” fu la mia risposta.

Il pendolo sentenziò le otto ,un brivido freddo percorse dolcemente tutto il mio scheletro, lo spiffero gelato che soffiava da un finestra socchiusa mi tormentava. Mi alzai per farlo cessare, innanzi al cielo mi arrivò come una gomitata ariana alla tempia , un fulmine di pensieri. “Che uomo era costui? Le sue sole sembianze trasudavano rigore e follia,le sue pupille violenza e tranquillità, avrei voluto fermarlo , ma ero come sospeso tra il dire e il fare,incastrato nei suoi occhi come un pesce nella rete.

-Le posso fare una domanda?- questa richiesta mi giunse inaspettata come uno spigolo al posto sbagliato.

-Mi dica pure

-L’ ha arredata lei questa stanza?

-Si perché?

-Gli accostamenti sono sublimi- rispose.

-Beh la ringrazio- feci paralizzato dall’ inutilità della domanda.

-Sa, sapevo gia da tempo che il diavolo mi avrebbe fatto lo sgambetto , avrei dovuto fermarlo , sconfiggerlo&ldots;non lasciare che si impossessasse di me come di un suo eletto, ma non l’ ho fatto .

La piccola sveglio trillò.

-Il nostro incontro è finito-annunciai.

- La ringrazio di avermi dedicato il suo tempo.

-Dovere.

Mi strinse la mano e uscì con il suo passo cadenzato , quasi militare.

 

Il suo profilo recitava così:

 

Nome: Adolf

Cognome :Hitler

Età: sconosciuta

Altezza 1.67

Profilo psicologico: Personalità di estremo carisma tendente alla paranoia maniacale con probabili segni di instabilità mentale.

 

Duce Minimo