SUL FIUME OKAVANGO ED ALTRE POESIE

VERSI D’AMORE E GUERRA

 

DI CHIARA LUCIANI

 

IL LUNGO ADDIO

 

"Tacque la pioggia ed arrivò l'inverno.

A rompere l'incanto del silenzio

soltanto i passi tuoi lontani

che senza peso solcavano la neve.

Non ti guardasti indietro un attimo

per non sentire il sibilo del vento

e non mostrare per pudore gli occhi

feriti dalle lacrime e dal freddo.

Chissà perchè mi torni in mente adesso

tra i luccichii di un mondo diventato altro

che non ho mai compreso fino in fondo.

Forse ti ho amata in uno strano modo

ma mentre te ne andavi il tempo si è fermato

e se puoi scusa la leggerezza di un ragazzo

che non ha mai saputo essere libero.

Tace la pioggia e arriva l'inverno.

Il sibilo del vento mi socchiude gli occhi

e mi costringe a non guardare indietro.

Con passi lievi mi cammini accanto."

 

 


 

 

PLAZA DE MAYO

 

Sfilano in cerchio donne coraggiose

come le foglie secche d'autunno,

soffiate via dal vento della sera

in eleganti mulinelli di colore.

 

Con passi lievi cammina la speranza

un fazzoletto bianco attorno al collo

e mani forti strette tra le mani

a condividere decenni di dolore.

 

Madri di figli persi da una vita

figlie di un ideale che non muta.

Dal giovedì di un maggio ormai lontano

in un'attesa che rende tutte uguali.

 

Finché ci sarà vita.

Un grande cerchio silenzioso.

Che grida forte.

Mai più.


 

 

 

ISTANTANEA

 

Giselle

anima rosso sangue

d'agosto sento freddo.

 

Ti chiamo senza sosta

e mi confondo

tra i passi tumultuosi

di mille anime sole.

 

Ma tu sei

disperatamente

altrove.


 

 

NICARAGUA

 

Era schierata con le truppe in autunno,

mentre le foglie cambiavano colore.

Donna senza un domani né un sorriso,

lo sguardo dolce fisso alle trincee

e io solo un ragazzo appassionato,

che non capiva i suoi lunghi silenzi

e il domandare scusa ad ogni passo.

La vedo ora da sola per le strade di Leòn,

tra gli edifici crivellati d'odio

nel vento che alza polvere e miseria.

E penso ancora al sangue e alla follia,

suo paese atrocemente violentato,

alle carezze perdute chissà dove.

Mio dolce amore di una notte appena,

che chiede ancora scusa ad ogni passo.


 

 

MASSACRE OF WOUNDED KNEE

 

In una notte di dicembre

spezzato da chi non ha vergogna,

finì il sogno dei semplici

e l'odio colorò di rosso l'acqua.

Un colpo di fucile sparato per errore

uccise l'ufficiale bianco

e mentre la tormenta soffiava neve ovunque,

si scatenò l'inferno nella piana.

I corpi dei guerrieri rimasero composti

là dove si erano accasciati,

mentre senz'armi tra le mani

cercavano invano di fuggire.

Non li salvò la danza degli spiriti,

cantavano e cadevano gli uomini coraggiosi,

le donne insieme ai bimbi e ai vecchi padri

e i tempi del bisonte non tornarono.

Nel secolo allo scorcio,

tra i monti silenziosi del Dakota,

un vento forte spazzò via la neve

e a poco a poco il torrente tornò chiaro.

Resta un cartello verde piantato con i chiodi,

ricordo di quel giorno infame

e una parola sola impressa:massacro.

 


 

 

MAGGIO 1999

 

Dolce Belgrado

città in fiamme.

Che resterà di te,

dei chioschi colorati e del futuro,

letto sotto un'ardente luna

nei fondi neri di caffé

Cielo stellato e un'altra bomba,

la dignità strappata dalle mani

e tanti pronti a prendere

tra le macerie ancora calde

la loro eterna parte di dolore.

Brucia Belgrado

rossa di fede e sangue

ferita a morte nel mese delle rose.

Chi ti calpesta finge il pianto

simula civiltà che non conosce

volge lo sguardo là dove non vede.

E passa oltre.


 

CANTO DEI VINTI

 

Pagasti a caro prezzo

l'essere nato uomo,

chiamato da una guerra

che non è mai dei giusti.

Si prese con la forza i tuoi vent'anni,

colmando di lusinghe le sterili speranze.

Come una sposa antica attese

la donna a te più cara,

tessendo nella luce fioca

veli di immacolata seta

disfatti dopo un'ora.

Non ritornasti alla tua amata terra,

nessuno accarezzò le tristi spoglie.

E chi ti tolse tutto cadde un attimo dopo,

come altri cento sulle barricate.

Il vento portò l'eco di un lamento,

e nel chiarore dolce della prima luce

coprì i tuoi occhi un velo,

di pura seta bianca.


 

 

STORIA DI UN AMORE

 

Il tempo che consuma non ritorna,

disse la luna al sole

prima di impallidire.

Il sole la rincorse senza sosta

ma non riuscì a sfiorarla,

nemmeno per un attimo.

Poi la fissò in silenzio

da lontano,

ed in eterno

attese il suo ritorno.

 


 

 

NOTTURNO

 

Tramonto che accenni la sera,

feroce mutare dei toni vibranti

dal cremisi all'indaco.

In lieve ritardo il rintocco

scandito per undici volte.

La musica muove la penna

in armonia col mondo.

Oh cielo notturno,

mia musa,

per Te

io scrivo stasera.

 


QUALE AMORE

 

Ho tratto da te

l'essenza del nulla

fluendoti attorno per linee diverse.

Ho sceso in silenzio

gradini di sabbia

che il vento rinnega

il flutto dissolve.

Un tocco rubato

carezze di sangue

la mano scortese esige e congeda.

Respiro dall'ombra

pensiero dolente

di un cuore gelato

sfumato nel sole.


 

LA CHIMERA

 

Stilla feroce

da cuore a pelle

il disperato impulso

che trascina e annebbia.

Muove tirando i fili

d'un eterno strazio

la mano oscura

nella convulsa danza.

Nessun dolore

nel tormento irato

fissa lo sguardo

giustificando i mezzi.

Ombre di niente

nella veglia inquieta

tenda il suo braccio

l'arduo riposo.


 

 

IN UN SACCO DI JUTA VERDE ORLATO D'ORO

 

Nei giorni dell'ira

coperti di polvere

anche la pioggia lacrimava sangue.

La giovane vedetta

accanto al guado gelido tremava

di freddo misto a rabbia,

fucile al braccio e sguardo perso

di chi se ne sta lì per caso.

Sparpaglia l'innocenza e i desideri,

le ataviche paure e le carezze perse

in un sacco di juta verde orlato d'oro.

Il tuono copre un gemito scomposto,

riflesso in altri occhi il tuo morire.

Nascerà l'erba un giorno

vicino al tuo giaciglio.

Smonta la guardia,

nessuno all'orizzonte.


INQUIETUDINE

 

Non so cosa pensasse il fiume gelido

mentre furente si legava al mare

né chi tra le acque buie dell'inverno

avesse perso l'amore di una vita.

So solo dei tuoi occhi color sabbia

socchiusi dolcemente al primo lampo d'alba

e che mi manca un bacio quello lo so

tanto da rimanere ucciso dal rimpianto.

Non so spiegare e il tempo non rallenta

va via veloce come le correnti

lasciavo andare tutto e tutto è fermo

tra le ingannevoli lusinghe di un istante.

Vorrei non veder scendere la notte

ché il sonno mi è nemico.


 

SOGNO D'ESTATE

 

Scorsi per caso riflessa nel rigagnolo

la luce argentea della Luna

che rischiarava l'acqua.

Preso d'incanto L'ammirai per ore

desiderando infine di morirLe accanto.

D'un tratto Lei s'accorse dei miei occhi

e con modestia scomparve nella notte.

Chiamai me stesso folle addirittura

ché nessun uomo può bramare tanto,

la Luna ne fui certo in quell'istante

al Cielo apparteneva e a Lui soltanto.

Ma quando fui per volgere lo sguardo

udii una voce dolce che era un canto:

" Sono la Luna

-disse-

portami con te"

e il Cielo ci abbracciò sotto il suo manto.


IL CANTO DELL'USIGNOLO

 

"Si amarono così d'amore vero,

sotto la volta indulgente delle stelle

la dama e il cavaliere,

con dolci sguardi e timidi sorrisi.

Di notte, quando la luna riluceva

e il suo signore cadeva addormentato

la dama si levava lesta

avvolta in un mantello fatto d'oro.

A passi lievi davanti alla finestra e lui alla sua

pronti alla deliziosa veglia,

solo il piacere di guardarsi

senza parola alcuna a rompere il silenzio.

E quando le fu chiesto per chi perdesse il sonno

rispose lei indugiando appena:

"del mondo non conosce la bellezza o sire mio,

colui che non ascolta cantare l'usignolo.

Ecco perché sto qui - sussurrò ferma -

ascolto nella notte la dolcezza".

Ma l'uomo vile conoscendo il vero

fuggì veloce con l'ira per compagna

e ritornò al chiaror dell'alba,

portando l'usignolo senza vita.

Pianse la dama col cuore lacerato

e strinse forte al petto la creatura,

sapendo di aver perso in una sola volta

il canto melodioso e il vero amore."


NIENT'ALTRO

 

Nient'altro prima,

dopo nient'altro.

Non mi verrà ridato indietro il tempo

che corre inesorabile e semina memorie,

né quei tuoi occhi che ricordo immensi

fissarmi come se si fosse aperto il cielo.

Mi accorgo solo ora che non ho avuto scelta,

per la paura di mostrare fragilità infinite

e che ho pagato un prezzo troppo alto

per un incerto no rotto dal pianto.

Dopo di te nient'altro,

nient'altro prima.


 

 

RICORDO

 

Cavalcavamo per i Campos Gerais,

sotto una luna che culla le illusioni.

Tu,

occhi screziati d'ambra intrisa d'oro

e due domande che non osi fare,

io,

convinto di poter fermare il tempo

con il candore che si stringe ai fianchi.

Io e te,

sotto le acacie immobili da sempre

persi nel tutto di un respiro solo,

fragile e puro come cristallo.

E tutta intorno la landa sterminata,

terra di sogni addormentati,

che invoca in ogni tempo

il piangere del cielo.

Tu ed io,

a raccontarci storie fatte d'aria,

fuori dalla realtà che è un'altra cosa

e ci sorprende senza discolparsi.

E poi io solo

e tu al di là del Sao Francisco,

là dove non posso

e il tormentarsi adesso a nulla serve.

Il cuore di Jagunço che sussulta

cedendo inerme ad un dolore nuovo.

E finalmente nel Serto cade la pioggia.


 

 

SUL FIUME OKAVANGO

 

Correrò sola

lungo il delta del fiume

che non si getta in mare.

Se ci ritroveremo un giorno,

voglio non sia per caso.

Mi siederò in attesa

sulla sabbia del Kalahari,

e il tuo ricordo

sarà il mio castigo.

Se tornera,

un giorno

chiamami da lontano,

ascolterò in silenzio

e non sarà per caso.


DOLCEAMARO

 

Guardi dai vetri sporchi

scrosci di pioggia,

che bagnano da ore

le strade ormai deserte.

Non c'è riposo Judith,

la notte non è fatta per dormire.

Nel freddo acre della stanza vuota,

tra i libri aperti a caso e la vergogna,

quel niente che rimane di un incompiuto slancio,

vissuto appena il tempo di un respiro.

Si spenge un lampo,

il cielo chiude gli occhi.

Dal disaccordo di una melodia,

cade una lacrima d'argento

e tutto tace,

per far posto all'alba.


 

BALLATA DEL CARCERATO

 

Ardo nella fredda stanza

sottratto agli sguardi ed al cielo.

Ricorre il pensiero struggente dei timidi passi

che intrecciano trame di seta.

Impreco condanno deploro

il vile gesto.

Si beffa di me e della tardiva coscienza.

Coperto da strati di polvere

ti guardo dritta in faccia follia.

Proteggimi o luna

Rischiara le candide pagine

ove ora ripongo la penna

e il lacrimar del cuore.


AYLINE

 

Ferma sulla scogliera Ayline,

a domandarti se questa è vita,

o lo sarebbe l'altra.

Non ti trattiene l'esistenza vuota

di passi stanchi e troppo spesso incerti.

Il tuo respiro Ayline,il pianto sordo,

diretto al cielo d'un gelato aprile.

Spengi la luce convulso mare

serra il bel volto tra le braccia eteree.


IL GRIDO

 

Bagliori di luce che squarciano l'aria

disgregano

smembrano

la notte di veglia.

Immobili ed inutili,

la donna ed il morto,

nell'ombra la lama

il sangue

la colpa.


 

PELLE DI LUNA

 

Ti stringo in un abbraccio che fa male,

e toglie l'aria all'anima.

Senza parole il gesto mi condanna,

ed il tuo sguardo amplifica il silenzio.

L'addio febbrile offerto alla tua terra,

si mescola a lamenti dissonanti,

portati via dal vento.

Capelli d'ebano tra i seni

l'unica vanità di donna, pelle di luna.

Tornerò qui al calar del giorno

in cerca del mio cuore sporco,

perso nel Lago sacro mille lune fa.

E' tardi per il pianto e passo oltre,

il cielo prodigioso s’ adombra e piange.


 

IL VIAGGIO

 

Sul muro esterno della torre vecchia

si arrampica una rosa,

bianca come la neve.

La piantò lì una madre,

per ricordare un figlio

perduto chissà dove.

Qualcuno lo chiamò per nome e lui partì

senza un saluto, né un perché.

Un cenno della testa da lontano,

in tasca due monete d'oro

e un nastro rosa antico tra le dita.

Fu tanto tempo fa.

Lungo il declivio della montagna sacra

dove fa sempre freddo

cresce una rosa,rossa come il sangue.

La piantò lì quel figlio,

in cerca di un amore

perduto chissà dove.


 

NIRVANA

 

"Immaginai la tua carezza lieve

assolvere in un attimo l'errore

e invece vidi intorno solo nebbia

che senza fretta mi tirava dentro

ad un delirio etilico ed estatico.

Scavai tra paranoie e confusione

senza trovare scuse convincenti

tra giri di parole ritrattate

e verità negate all'evidenza.

Nessuna uscita eppure la cercavo

saliva un'ira densa come fumo

la mia realtà d'un tratto liquefatta

la voce tua oramai solo sussurro.

Nascosi tra le ombre ogni domanda

misi da parte il poco che restava

e in preda a consapevoli tormenti

chiesi perdono al cielo e chiusi gli occhi."


L’ATTESA

 

 

Venne Settembre

e s'alzò il primo vento.

China sulle ginocchia stanche

Maira si rispecchiò nell'Acqua

e quella la fissò senza parlare.

Serrata tra le mani una promessa.

Venne Gennaio

e raffreddò la terra.

Distesa sul declivio

Maira interrogò le Stelle

e loro le risposero brillando.

Infine arrivò aprile

che rinverdì i giardini.

Ferma sul portico di rose

Maira guardò il Cielo

ma non riuscì a scorgervi nulla.

E districando trame

di sogni scoloriti

toccò la vacuità della sua vita.

Nessuno più la vide

da quel giorno.