Pel di lupo e la carriola

 

(Romanza triste e cinica un po’:

andantino, andante moderato, allegretto, larghetto, allegro moderato, allegro con brio)

 

 

Atto primo

 

(Andantino)

 

Il mattino ha l’oro in bocca!

L’oro in bocca c’ha il mattino? Che espressione assai curiosa!

Ma sarà poi vero ciò?

Par di sì. Almeno a dirla secondando l’impressione di color, che - mica pochi! - una tal formulazione utilizzano per darsi indennizzo quotidiano (di sospetta compiacenza) d’apprestar se stessi e gli altri, con le prime luci già, alle pene d’ogni dì.

Per talaltri, invece questo spicchio di giornata può (: è tutt’altro appagamento), sorvolato esser da lungi, con le pari ali del sonnellin ristoratore, che gradito strappa via un gustoso pegno lieto - riciclabile a piacere - alle grevi strapazzate delle ore ancora da subentrare e poi svanir

San codesti, normalmente, che il castigo rimandato non sarà, per questo stesso, amnistiato, annichilito; tuttavia, la voluttà di scacciar per breve tratto - se non altro, perlomeno - la grigiastra realtà (cosiddetta) “vera” e dura, in favor di quella piena (e policroma vieppiù) del più serio cosmo ideale - quel nei sogni confinato - è per essi, un sensual bacio, rubacchiato - ad abundantiam - alle labbra confortanti d’Amaltea divin nutrice

Tali labbra affatturanti - si dirà, per farla breve - eran premio ricorrente cui s’aggraticciava saldo, e con gusto prelibato, il Signor Pietro Ditrè, che abituato a disertare il talàmo coniugale una mezza ma abbondante (invidiabile) dozzina di nottate a settimana, predisposto avea quel furbo una vecchia sua carriola - rimorchiata a viva forza di bicipiti e tricipiti (non da meno i quadricì ) da un devoto amico caro - a esercizio d’ingegnoso mezzo di trasporto proprio, del qual mai volle privarsi, con lo scopo dignitoso di portare indietro a casa il suo corpo provvisorio, mentre quello astrale e lieve volteggiava ognor frullato dai più densi fumi tardi dell’alcolica euforia.

La Signora Giuseppina, congrua moglie del Ditrè, religiosa e contrariata dai costumi del consorte, nei mattini crisostòmi, lo aspettava sulla porta della loro abitazion, attrezzata d’un capace cannocchiale da marina (che indagasse l’orizzonte alla cerca di quel lauto nipotastro d’Epicuro orbitante per le volte e gli spaziî cilestrini - ed è ovvio, manco a dirlo, del suo fido cariolante), come pure di una pila di pesante vasellame (piatti, tazze, sottocoppe e terraglie raccattate) e in aggiunta oggetti variî (suppellettili: a rinforzo) - a portata di man sciolta - efficaci, a suo criterio, alle cure più appropriate, contro l’infernal barbarie d’etilismo marital.

- Disonesto cosa vile! Disgraziato e delinquente! - novendiava allor la donna, carrellando sul paesaggio col binocolo provetto - Mascalzone farabutto!

E guatava in lontananza, la carriola prevedendo, ma non v’era ancora là, traccia di “merce avariata” che spiccasse nella linea di confin fra cielo e terra, quind’inutile dogana lei restava al limitar della notte che svaniva e del dì sopravveniente.

Ritornava indi allo specchio della camera da letto: ci vedeva un mare morto, verticale e in fondo al quale una vita assai fasulla rivangava senza sosta ciò che non esiste punto, e il varcare quella soglia, comportava pure che cert’ignoti oscuri spettri guadagnassero l’ingresso, ed in nome dei tormenti ch’è possibile contare, si dolevan con passione, effondendo tuttavia svaporate grida fioche, non udibili ai più

***

(Andante moderato)

 

Uno aurico mattino - alto il sole, quasi al Zenith, i suoi raggi dardeggiava, tollerabili di poco agl’indigeni del loco - la Signora Giuseppina, pregustava l’euforia di ricever, meglio armata dell’usuale suo apparato, il marito trasportato dal fedele amico a traino.

Era lì, com’ebbra al sole, pronta alla carneficina.

Fé il suo accesso la carriola, trascinata dal fidato, che in sordina, susurrando, svolse questa sua orazion:

- Non lo svegli, amica cara: egli dorme come un putto! Come un angiolo innocente lui colloquia coi suoi pari. Ô beato cherubino, fortunata creatura! Io mi provo, nel guardarlo, una dolce invidia&ldots; sa?

***

(Allegretto)

 

(Sulle punte dei suoi piedi se n’andò il fedel compagno; non voleva, quel devoto, fare il menomo romor - che gran cosa l’amicizia! Che squisito sodalizio! Tanto più nel caso ancora dove affine sentimento, copre, attenua e infine occulta l’eventuale correità. Sperimentano (ed in tanti!) tal legame pervicace, poi t’arriva la questura: pone fine al sentimento.

 Ma da sempre l’uomo sa come vincere gl’intoppi: mai verrà l’infausto giorno che l’« Amor » non « omnia vincit » &ldots; ).

***

(Larghetto)

 

Già stendevansi le ombre come fosser onde rotte adagiate sulla riva, di potenza non più viva, d’ascendente ormai in declino su terreno inerte e pigro.

Senza troppo illanguidirsi alla tenera vision del puttin che fa la nanna, la Signora Giuseppina - che il suon di quelle “onde”, non di molto sopportava, reputandole uno scherno dirizzato al suo amor proprio - il partito divisò, di scagliargli, prima, contro, una raffica di piatti (e qualch’altro arnese ancor, tanto per scaldare un po’ i tessuti muscolari, incupita, già che c’era, dalla notte e dal rancore); poi, giumenta ribellata (visto ch’è ora di biada), a nitrir si mise irata (strano caso dell’umor!).

- Umhf! Mahh! Gnah! Shhh! Uhm! Bah! Sssciò! - bofonchiò l’angelo santo, eruttando e macinando ancor più squisitamente dei suoi sogni il farinaccio da percóter anco un tot

- Gnah? Shhh? Sssciò! Ma io ti disosso! Mascalzone farabutto, ladro delle carni mie! - la virago incalzò tosto, raffermata sempre più nell’idea che le maniere dolci non fossero più sufficienti né opportune, e che il passaggio risoluto a quelle forti e ben decise si dovesse imporre infine, qual precetto contrattuale

- E perbacco! E che schifío! - gli strillò infastidito, ridestandosi uno poco, la “celeste intelligenza” - Non si può dormire mica, in santa pace, insomma, qui! Ma che modi sono questi? E che siamo, tra selvaggi? Ma io dico! No, ma dico! Quest’è proprio un’indecenza! Tutto ciò deve cambiar!

- Ora è questa l’indecenza? - rimbombò la tenutaria del “divino messaggero” - Cambiar tu vuoi? E che cosa? Ma ti cambio io, e ben presto, connotati, ô baccalà! Ricompongo io i tuoi tratti, farabutto criminal! Io non voglio più un minuto, sotto l’alcol conservar, un tal feto ripugnante di meschina razza grama!

 (Qual pignatta che sul fuoco, ne trabocchi il contenuto, quella prese a singhiozzare, aspergendo poi d’intorno salse stille in quantità: come soffia pressappoco la balena - o giù di là&ldots;).

- Vorrà dire allora che&ldots; - spiegò Pietro, là per là, impettito e fiero alquanto, come re di negra schiatta spodestato dal suo trono - noi domani partiremo! Io ti dico, e ben ti sta!

- Noi domani partiremo? Partiremo chi? E perché? E per dove, partiremo, alla fin dei conti, bèh?

- Basta, piccola curiosa! Io così mi sono espresso! Or ti dico, e non lo nego, quindi tientelo per te!

 

***

(Egli:) « È arrivata ormai premura che io trovi soluzion presta, rapida e sicura all’attuale situazion. Questa folle creatura non disdegna il rompimento delle mie saccocce, e giura di raggiungere il momento di vendetta acerba che tosto giunga addosso a me! Io mi sento un uomo perso cui si stringe (sorte avara!) pur financo l’universo qual galera e poi qual bara&ldots; Aa mee aa mee, la vendetta addosso a me! » (Ella:) « Non è vita più da fare questa misera perché sol mi tocca desinare con il fiele in bocca, ché questo tristo lestofante ha deciso di lasciare ad ogn’ora ed ogn’istante domicilio famigliare. Vi son certi disgraziati cui è negato il mero amor son tra questi, ahimé, i poeti ed i saggi, che dolor! Ma è giunta l’ora che la vendetta è qui per me! Qui per mee, qui per mee la vendetta infine c’è! »

(Amenduni - ad una voce:) « Aa mee, aa mee, più rimediî non ce n’è&ldots; » (Cala, temporaneamente, la tela, ma, da questo momento in poi, il prezzo del petrolio, mai più&ldots;).

 

***

 

Atto secondo

 

(Allegro moderato)

 

L’intenzione di don Pietro, già da tempo coltivata, era quella (atteso che, era quegli, in fondo - eh sì&ldots; - un gran sentimentalone) di recuperar l’affetto - e perduta stima forse - della moglie rimischiando, della sorte lor&ldots; le carte, nuovamente con un viaggio per il mar mediterraneo, che infondesse nuova linfa in quei cuori inariditi: lui colà le avrebbe infatti riparlato ancor d’amore; e le avrebbe detto inoltre le parole sciocche che suonerebbero stupende.

Eran essi, anche tutt’ora, molto giovani, del resto, e non troppo - per fortuna - dalla vita danneggiati: lui per man l’avrebbe presa, indicandole il tramonto fra il Mar Nero e il Mar di Marmara - ciò quand’anche si trovasser fra le acque al largo di Favignana o Lampedusa (quel che vale, no..? si sa, è il pensiero&ldots; l’intenzione), ed i termini adoprando più commossi e furfantelli; e le avrebbe sospirato su un orecchio, da vicino, quel dell’alce il caldo alito che acclamare sta per sé sua compagna prediletta, mentre i primi infatuanti venti tepidi d’autunno là avrebbero gemuto, mugolato nelle orecchie di entrambi conquistati.

Così presero il piroscafo che l’avrebbe accompagnati verso nuova floridezza, e lo preser come quando ci si accomoda a commetter un peccato di lussuria - o (per dar concreta idea:) - , come quando si degusta un gelato succulento, dando modo di pensar che un peccato si commetta.

Era, a tali prospettive, il Ditrè tanto eccitato, che i suoi magri pettorali - si sarebbe quasi detto - s’espanderono all’incirca d’un centimetro più grossi; Giuseppina sua signora, tanto s’era entusiasmata - cose simili intuendo - che i suoi (i&ldots; pettorali&ldots; ) aumentarono, in effetti, d’un buon paio di centimetri, nuovo circolo ottenendo.

Ragazzini eran tornati ( - per esporla bella schietta!).

S’era loro inoculata una brama trasgressiva, come un farmaco benefico che però procuri prima, febbriciattola vibrante.

S’era lui portato appresso, nel baule suo da viaggio, la famosa blusa bianca che gli dava un’aria vaga di malgascio seduttore; e lei pure, biancheria che in passati giorni addietro le avean conferito un richiamo di sicuro (adescante) allettamento.

Malandrino Eros intanto, il divino traditore, nascondevasi or dietro il castello della prora, ora dietro il giardinetto della poppa od il pozzetto, o tra il cassero ed il ponte, gli oblò oppur la stiva, preparato per scoccare le punture acuminate il cui chimico principio si inserisce in deretano per far ciclo d’emivita nel cervel direttamente&ldots; - certo indizio di presenza di quel dio capricciosetto fu che Pietro dié in acconto alla moglie Giuseppina uno sguardo lungo e fatuo che non fu restituito, ma il piacere ebb’egli poi, di vedere che, girata (sottomessa alla molecola nel suo sangue subentrata), ella già arrossiva vinta&ldots;

***

(Egli:) « È arrivato ormai il momento che io sappia dire, e fare, dimostrarle quel che sento, la mia donna soggiogare. Questa tenera creatura non disdegna il sentimento e mi par cosa sicura: se mi favorisce il vento del mio fato, il caso c’è ch’io invada il suo steccato e l’avvinghi stretta a me! Io non son ancor spacciato: ché mi sento un uom diverso che pervien (sorte propizia!), a godere l’universo come un luogo di delizia &ldots; Aa mee aa mee, or l’amore, presto a me! » (Ella:) « Se potessi cominciare a riamare mio marito crederei io di toccare anco il cielo con un dito: quest’allegro lestofante ha deciso di tornare ai miei occhi interessante e ai misfatti rimediare. Vi son certe fortunate cui è concesso il vero amor son tra queste, io, invidiate da ciascun: tutti color cioè che a vuoto corron dietro alla ventura sol sprecando il loro fiato nella triste congiuntura&ldots; Aa mee aa mee, or l’amore, presto a me! »

(Amenduni - ad una voce:) « Aa mee, aa mee,

or l’amore, presto a me! »

 

(Cala la tela, le sigarette e le marche da bollo, tuttavia, seguono un trend assai diverso).

 

***

 

Atto terzo

 

(Allegro con brio)

 

E la notte seguì a un giorno in cui la navigazione i due sposi avea lasciato lietamente rilassati, con gli occhi ancora pieni dei colori accesi e intensi del Mediterraneo in fiamme - (dell’aurore e dei tramonti logoranti per la psiche di chi è avvezzo solo al suol); il momento giunse ordunque d’adagiarsi sulle brande, per disciogliere il madore (e salsedine sui corpi) nel cantiere di Morfeo

Procurava però, il chiuso dell’angusta cabinetta (assegnata ad il riposo dei Ditrè “rifidanzati”), a don Pietro una calura estenuante anzichenò, per il qual motivo scelse di trovar sdraio all’aperto, dove abbandonar le membra inzuppate di sudore.

Quando ch’ebbe poi trovato una culla alla bisogna, fu sì grata la scoperta, per il caso singolare ch’era questa un’ottomana (pressappoco o giù di lì ) con le ruote, fatta in legno, e dimodochè pareva al Ditrè (contento assai!) la carriola vecchia e cara: quasi un dono del destino, a premiare con un segno positivo e materiale la sua proba scelta attuale d’armistizio coniugal.

Sopra d’essa si piazzò, e lasciandosi cullare dai bei flutti in movimento, sotto il latteo cielo immane, dolcemente s’ assopì.

Ma di tanto, dolcemente, che arrivar non vide un’onda, gigantesca, spaventosa, di quel tipo proprio che il terror mette nei cuori dei più esperti naviganti.

Aggredì l’Onda improvvisa ed immane la murata del piroscafo dormiente, proiettando via lontano il Ditrè che se la sognava con gli angeli colleghi.

(Non sappiamo se annegò quel beato impenitente, certo che se non lo fece, di sicuro è ancora là&ldots;)

L’indomani, alla mattina, la Signora Giuseppina cercò subito il marito.

Lo cercò per tutto intorno, setacciando il bastimento.

Indagò nell’equipaggio, che però nulla sapeva, e né visto tantomeno.

Quindi:

- Non c’è verso - disse - perde il pelo il lupo, ma, non il vizio certamente. Ha passato quest’infame (una volta nuovamente) questa notte ancora fuori!

 

(Cala definitivamente la tela, umida di spruzzi marini).

 

(Il pubblico s’allontana sgomento).