L’OPERA IN FIABA

 

Il flauto magico (una fiaba da una fiaba)

 

 

C’era una volta un giovane principe buono, bello e coraggioso che errando di contrada in contrada, di paese in paese attraverso monti, fiumi e vallate alla ricerca di se stesso, si trovò a varcare gli oscuri confini del Mondo giungendo nel Regno della Notte. Una strana luce lunare lo avvolse rendendogli il corpo fiacco e pesante, cosicché fu costretto ad appoggiarsi a un masso e lentamente scivolò nel sonno. L’aria mefitica emanata dalle fauci di un enorme drago lo destò di lì a poco. Malgrado le forze l’avessero abbandonato egli sguainò la spada, poiché aveva il cuore saldo e sapeva combattere; ma si sentì affranto e temette di non farcela, mentre il mostro lo incalzava. Gridò aiuto con tutto il fiato che gli rimaneva, poi cadde al suolo privo di sensi.

Chi mai volò in soccorso del principe, il quale aveva nome Tamino? Tre leggiadre damigelle circondate da veli neri trasparenti e sottili come tele di ragno: le ancelle della potente regina Astrifiammante, signora della Notte. Scacciato il drago con un cenno imperioso quasi fosse un cagnolino, esse contemplarono attonite la bellezza del giovane, indi a malincuore lasciarono il campo a colei che doveva venire.

Aprendo gli occhi Tamino fu abbagliato dal chiarore di una creatura meravigliosa, il cui sguardo emanava il fascino e la freddezza di una stella lontana. Ella lo fissava con aria severa e dolente. Principe valoroso, disse, non a caso i passi ti hanno condotto nel mio Regno, dacché ho estremo bisogno del tuo aiuto: sappi che un re crudele esperto in arti oscure, Sarastro, tiene prigioniera la mia diletta figlia. Pamina è il suo nome. Sarai tu, mio caro, a salvarla restituendola a una madre afflitta. E in cambio l’avrai in sposa.

Appena il suono metallico di queste parole si spense la regina sparì, lasciando tra le mani del principe il ritratto di una deliziosa fanciulla con gli occhi ridenti. Per un ragazzo alla ricerca di se stesso l’amore è indispensabile, anche quando compaia sotto forma di un’immagine dipinta; così per incanto egli recuperò le forze e si sentì un leone. In questo stato di grazia lo trovò Papageno, l’uccellatore dei boschi della regina, che balzando allegramente prima su un piede poi sull’altro si era spinto fin lì con le sue gabbie e il suo vestito di penne colorate.

I due s’intesero a meraviglia, come talvolta capita a persone molto diverse tra loro, ché se Tamino era un giovane sobrio, riflessivo, di gusti raffinati e d’alto sentire, a Papageno piaceva sentirsi scoppiare la pancia, alzava volentieri il gomito, parlava troppo e rumorosamente, rideva ancor di più ed ignorava qualsiasi elevatezza spirituale. Il che non significa che non avesse un cuore, anzi. A dire il vero, confessò tristemente al principe, gli mancava tanto una personcina che fosse proprio uguale a sé. Ma in caso l’avesse accompagnato a salvare la principessa, offrendogli il suo aiuto morale s’intende, non poteva darsi che qualcosa di buono potesse saltar fuori anche per lui? Ottima idea, rispose il saggio Tamino, e aggiunse che andarsene per il vasto mondo è sempre utile a chi desideri conoscere se stesso. Io già mi conosco fin troppo, replicò il giovanotto, e per l’appunto è qualcos’altro che desidero sapere&ldots;E stava per attaccare uno dei suoi sproloqui quando venne interrotto dal sopraggiungere delle tre damigelle. Zitto Papageno o ti mettiamo il lucchetto, ammonirono facendo fluttuare i notturni veli intorno ai due e soprattutto al principe. Ecco un flauto magico per te, coraggioso Tamino, che ti sia d’aiuto nei pericoli del viaggio; e a te Papageno un carillon fatato, bada di farne buon uso. E disparvero lasciandoli soli, anche se soli restarono per poco. Tre Genietti coi visi tondi da bambini sbucarono dalla corteccia di uno dei tanti alberi che formavano un bosco fitto: seguiteci, dissero, vi guideremo noi al Regno di Sarastro. Intanto il cielo si era fatto azzurro chiaro.

Cammina cammina a un certo punto imboccarono vie diverse e toccò a Papageno raggiungere per primo il palazzo del re malvagio. Qui per sua fortuna non trovò un cane né tanto meno un drago ad accoglierlo, ma proseguì indisturbato fino alla sala ove Pamina era tenuta prigioniera. Non si può certo dire che ella fosse mal sorvegliata, però accadde che di fronte all’apparizione di quello strano uomo che pareva un uccello i Custodi se la diedero a gambe.

Data la situazione critica Papageno seppe essere conciso, spiegò alla principessa di trovarsi lì per volere di Astrifiammante ( beh, nel dir così si gonfiò un tantino ) e che un giovane principe l’aveva accompagnato; a onor del vero precisò che il principe, di nome Tamino, era bello e prode e amava proprio lei, Pamina.

Alla fanciulla si accesero gli occhi di speranza ed affermò che non si sbaglia mai ad aver fede nell’amore. Ben detto annuì con forza Papageno, e per una volta non ebbe altro da aggiungere.

Mentre Papageno e Pamina tentavano la fuga allontanandosi dal palazzo, il principe bussava al grande portone intarsiato recante uno stemma d’oro con inscritto il Sole. Che inganno è questo, mormorò respirando l’aria tersa e luminosa,

un tale luogo non può che ospitare il Bene; ma rifletté che Sarastro era maestro d’inganni. Frattanto il portone si spalancò e apparve il Guardiano, un nobile vecchio dalla barba candida. Giovane straniero, cosa ti ha spinto fin qui, domandò egli con severa cortesia; vengo a liberare Pamina dal braccio crudele di Sarastro, rispose calmo Tamino il cui cuore già oscillava nel dubbio.

Hai dunque creduto alle parole dell’infida regina, e ti reputi saggio! Le parole sono vento in bocca agli ipocriti e ai cialtroni che le piegano ai propri bassi scopi. Caro ragazzo, pensa con la tua testa e non farti vendere fumo. Apprenderai tu stesso che uomo sia Sarastro e cosa racchiuda il suo Regno, altro non posso dirti. E il vecchio scomparve. Ma Pamina, esclamò il principe angosciato, Pamina è viva? Pamina vive, sussurrarono voci invisibili.

Illuminato dalla speranza Tamino fece qualcosa d’insolito: pose le labbra sul flauto scintillante d’oro e lo suonò, traendo note d’incredibile nitidezza e una musica celestiale. Gli animali dei boschi, quelli dell’aria, le bestie feroci e miriadi di insetti vennero avanti danzando e infine si misero tutti in cerchio ad ascoltare.

Udendo il flauto magico anche Pamina e Papageno si avvicinarono, ma furono bloccati dai Custodi. A Papageno in quell’istante saltò il ticchio di far suonare il suo carillon che per fortuna era fatato, benché egli non se ne ricordasse. Per incanto gli inseguitori si mossero come burattini, a scatti e battendo i piedi, mettendosi a girare in tondo. Fu allora che si aprì un varco luminoso all’ingresso del palazzo e apparve Sarastro in mezzo a una folla di uomini, donne, vecchi e bambini coi visi sorridenti. Gettandosi ai piedi del sovrano Pamina gli chiese perdono e lo supplicò di liberarla. Cara ragazza, malgrado l’innocenza del tuo cuore non posso permettere che tu ricada nelle Tenebre, rispose Sarastro con voce grave; sgombra la mente dai pensieri ingannevoli e attendi con fiducia ciò che il futuro ti prepara.

A queste parole la luce intorno si fece più intensa. Spinta da una forza irresistibile Pamina si voltò e vide&ldots;il principe naturalmente. Entrambi fecero per slanciarsi l’uno verso l’altra, ma era scritto che dovessero aspettare: un muro invisibile si erse tra loro e li separò, benché tentassero disperatamente di raggiungersi con le mani.

Riconosco le tue subdole arti, o Sarastro, proferì Tamino in preda alla collera. E possiamo comprenderlo, visto che gli era proibito abbracciare la sua amata. Sarastro tuttavia non si scompose: miei diletti disse, calmatevi, la saggezza non si ottiene in un soffio e tanto meno la felicità. Vi attendono dure prove, ma vi prometto che non sarete soli. Che l’ombra delle Tenebre si allontani per sempre dalle vostre giovani fronti, concluse allargando le braccia in un gesto così caldo e colmo di affetto che finalmente essi credettero alle sue parole.

Per Tamino la prova fu il silenzio, che nonostante sia d’oro fa paura a molti. E Papageno? Anche lui dovette tapparsi la bocca, la qual cosa da principio non gli andò a fagiolo, poi allettato dalla promessa di un certo premio smise di brontolare e si rassegnò. A chi domandasse notizia di tale ricompensa consiglio di lambiccarsi il cervello su cosa mai potesse stare in vetta ai desideri di Papageno. Il quale resistette per ben dieci minuti, quindi girò lo sguardo attorno: muto come un pesce il principe lo fissava con volto serio e nessun altro spuntava all’orizzonte. Disfatto dallo sforzo Papageno si accasciò. In quella un dito secco e nodoso si posò sulla sua spalla sinistra. Egli si voltò di scatto e niente; allora lo stesso dito gli tamburellò sulla destra burlandolo. Stavolta lestissimo ghermì una specie di fagotto, scoprendo che alla fine di esso spuntavano una faccia incartapecorita e un sorriso sdentato. Una vecchia, coraggio Papageno! Tanto valeva farsi due chiacchiere. Di’ un po’ nonnetta, qual è il tuo nome? Papagena, zuccherino mio, rispose ella con fare languido e voce non proprio flautata. Pa-pa-ge-na? Scoppiò un tuono e subito il lampo illuminò un pezzo di squinzia da togliere il fiato.

PAPAGENA gridò il poveretto cercando di abbracciarla, ma quella puff, era già sparita. Invece che nell’animo Papageno sentì un improvviso vuoto allo stomaco, però in tal caso l’urgenza di riempirlo fu immediatamente soddisfatta dall’apparire tutt’altro che fantasmatico di un pollo arrosto con patatine fritte e un boccale schiumante di birra scura. Favorite pure, biascicò a bocca piena rivolto a Tamino, che scosse il capo e prese a suonare il flauto.

Uscendo dal buio Pamina gli parlò. Invano, egli tenne il cuore saldo. Allora pianse supplicandolo e lui straziato distolse gli occhi. Poi consumò le sue lacrime da sola, finché i tre Genietti vennero a dirle di non preoccuparsi perché Tamino in realtà l’amava, la prova era finita. Credo proprio che entrambi da quel momento imparassero a rispettare l’integrità delle parole.

Sfinita dal lungo pianto Pamina si assopì e fece un brutto sogno, anzi orribile. Sua madre la regina Astrifiammante, signora della Notte, avvolse il letto in veli scuri e lo sollevò da terra facendolo oscillare come un pendolo; quindi le si pose di fronte mostrando un viso molto differente da quello che la principessa era solita venerare: segnato dalle rughe, deforme e stranamente crudele. Possibile che si trattasse del suo vero aspetto? Trasse un pugnale e glielo consegnò. SE A MORTE SARASTRO CON QUESTO FERIRAI, MIA DILETTA FIGLIA ANCOR TI CHIAMERAI; SE INVECE PIETA’ SENTIRAI NEL CUORE, A TUA MADRE IN ETERNO INFLIGGERAI DOLORE.

Così cantilenò la regina, poi si dissolse. Quando Pamina si svegliò tra le lacrime il pugnale stava lì sul cuscino, naturalmente, e irradiava bagliori accecanti.

Basta piangere cara figliola, non permettere mai più a nessuno di farti sentire in colpa, disse Sarastro stringendola al petto; qui regna solo amore. Ed ora va’ da Tamino, ché l’ultima prova l’affronterete insieme. Il pugnale a poco a poco divenne opaco, si spense e infine svanì.

Tenendosi per mano i due giovani si accinsero ad entrare nel fuoco, avanzando tra fiamme rossastre entro cui urlavano tutte le sciagure e i mali della vita con in testa il peggiore, la paura. Videro scorrere ogni genere di orrore come in un film, e ovunque il nero esercito della Notte guidato da Astrifiammante l’incalzava senza però riuscire a toccarli: forse perché Tamino instancabile suonava il flauto e Pamina non lasciava la sua mano, o perché finalmente avevano capito. Ne uscirono indenni e profondamente cambiati. C’è chi afferma che da allora vissero felici e contenti nel regno del Sole, al di là delle Tenebre e degli oscuri confini del Mondo. Altri invece(ed io tra questi )sono propensi a credere che il coraggioso Tamino, divenuto realmente saggio dopo aver trovato se stesso, compisse il viaggio a ritroso con il nobile scopo di trasmettere agli esseri umani ciò che aveva imparato, saggezza e amore; e se questo avvenne sono certa che Pamina anche stavolta gli fu compagna fino alla fine dei suoi giorni.

Tutto bello e altamente encomiabile, ma&ldots;Il povero Papageno dovrà restare single in eterno? L’abbiamo lasciato con la pancia piena sì, però in balìa di una sorta d’inganno visivo o miraggio che lo induce a interrogarsi non sulla natura etica degli esseri in rapporto all’estetica, bensì sopra un quesito più semplice e lineare: colei che ho avuto l’avventura di scorgere per brevi istanti, Papagena, è una vecchia o una gnocca? Temo che di questo passo egli si accontenterà della prima ipotesi, pur di non rimanere solo. Nel frattempo chiama e richiama, conta fino a tre e nulla; con un residuo di speranza conta al rallentatore, macché. Alla fine tira fuori una corda bella lunga, prepara un cappio e l’appende a un ramo dell’unico albero che casualmente gli è spuntato vicino. Ci mette dentro il collo, beninteso senza salire su niente, e fa per tirare. Ma è ora che i tre Genietti si diano una mossa e gli vengano in aiuto estraendolo dal cappio: Papageno smemorato che non sei altro, ricordati del carillon! Il carillon, certo, non è da meno del flauto.

Lo fa suonare e&ldots;Stavolta ci siamo davvero, Papagena fa capolino da dietro l’albero. Ha un vestito di penne colorate proprio come lui e non è bella, è bellissima, superbella, anzi stragnocca. Contento Papageno, c’è ancora qualcosa che ti manca? Beh sì, ma per quello datemi tempo&ldots; E spalancò la bocca in una risata fragorosa.