L’OPERA IN FIABA

 

Falstaff

 

 

 

C’era una volta a Windsor, al tempo del buon re Enrico IV, un nobile cavaliere chiamato Sir John Falstaff. Fermi tutti, disinnescate subito quella boccaccia da cannone che sta per esplodere in CHEPALLE, espressione poco fine che mi concedo solo in grazia dell’argomento di questa fiaba&ldots; Insomma fermi. Chi vi ha detto che Falstaff sia il solito nobilotto aitante con le tasche piene di soldi? Può darsi che lo fosse un tempo, ma ormai sono passati tanti anni che perfino lui stenta a ricordarsene. Del denaro che gli sonava in tasca, voglio dire, perché sull’aspetto fisico tende a pensarla ogni volta diversamente, a seconda del tasso di alcool che gli circola nel corpaccione. Ma sì, avete udito bene: ho detto corpaccione. Infatti, se per caso non l’aveste già sentito raccontare, Sir Falstaff è un’autentica montagna di lardo. Ragion per cui tappatevi la bocca, risucchiate in gola l’intercalare grasso e statemi ad ascoltare.

La nostra storia comincia all’osteria. Bella scena sempre, in ogni epoca: quattro assi sconnesse, due o tre tavolacci, barili sparsi ovunque e l’immancabile scala di legno traballante che conduce a imprecisate stanze che nessun pubblico ha mai avuto il bene di visitare. E naturalmente l’oste, che in questo caso è muto, ma ha parecchio da fare con l’ospite che gli è toccato. Perché il vecchio Falstaff alloggia proprio qui, alla Giarrettiera, e non accenna minimamente a schiodarsi per il semplice motivo che altrove non gli farebbero credito.

Il vino scioglie la lingua e fa camminare il cervello; al pingue cavaliere serve ora soprattutto a far correre la penna, che egli maneggia un tantino più faticosamente di quanto brandisca la spada. Toccato il fondo della bottiglia, il pennuto raschiamento cessa e due lettere d’amore sono belle e sfornate. Due? Sì, perché due sono le dame cui Falstaff rivolge la sua preziosa e ridondante attenzione. Alice Ford e Meg Page, esemplari adorni di ogni femminile virtù e in particolare di quella più atta a suscitare l’interesse di un uomo perennemente al verde: il quibus, l’argent, chiamatelo come vi pare, il vile danaro. Fantasticando sul luccichio delle monete e dei monili ben custoditi nelle casseforti, il maturo Ganimede già gongola e pregusta le gioie che grazie al talamo pioveranno in forma di prosciutti e cosciotti e nettari sulla sua tavola, la quale ultimamente appare un po’ sguarnita. Quindi si riscuote e chiama a gran voce i gaglioffi che gli fanno da servitori: Bardolfo e Pistola, nomi che stanno appiccicati ai due brutti ceffi come l’etichetta al vino. Il primo corto e sbilenco, con un nasone paonazzo piantato a mo’ di cartello sopra un ghigno perenne; il secondo allampanato ed eternamente truce come una sbornia andata a male. Insomma due culi in un paio di braghe, i cui scrupoli morali traggono origine dalle tasche vuote del padrone: che Sir John si cerchi altri postini per questa faccenda, perché loro di intrighi e storie di donne non vogliono saperne. Ma Sir John, poco incline a tollerare una predica da un paio di belinoni morti di fame, li scaccia all’istante non senza aver prima lanciato sulle loro zucche ogni sorta di arnesi da cucina, accompagnandoli con una grandine di bestemmie.

Frattanto le amorose missive, giunte ugualmente in mano alle nostre comari, vengono sottoposte a severo e critico esame da un pubblico così costituito: le già nominate Meg Page e Alice Ford, l’incantevole Nannetta figlia di quest’ultima e fanciulla da marito, e da ultimo la comare Quickly vicina di casa delle suddette, donna attempata ma battagliera e assai bene in carne. Delizioso quartetto di complicità femminile che Falstaff - distratto dalle culinarie e ardenti visioni o soltanto arrugginito dagli anni - non ha messo in conto. Donnesca solidarietà, voglia matta di ridere alle spalle di chi si crede ancora padrone del vapore e nemmeno si sbatte a confezionare due lettere differenti. Ha semplicemente cambiato i nomi lui, poiché nel contenuto sono identiche. Vergogna e vituperio! Gliela faranno passare loro la smania di fare il cascamorto, e giù risate senza fine.

Mentre l’universo femminile prepara una burla colossale ai danni dell’aspirante gigolo, il mondo maschile confabula in segreto. Eh sì, perché c’è anche un fronte maschile in quel di Windsor, così composto: i sunnominati Bardolfo e Pistola passati al nemico per necessità, Mastro Ford consorte gelosissimo di comare Alice, il giovane Fenton innamorato corrisposto di Nannetta, il soporifero Dottor Cajus al quale Ford ha promesso la figlia. C’è da chiedersi cos’abbiano da confabulare: ma è naturale che parlino del grande - o più precisamente grosso - assente, i cui indecenti propositi sono stati spifferati dai fedifraghi ladri di polli.

Lasciamoli bisbigliare ancora un po’ e andiamo dalle signore. Giusto in tempo, ecco la comare Quickly che fa il suo ingresso alla Giarrettiera e si prostra al cospetto di Falstaff con una profonda quanto assurda riverenza. Ma lui non bada alla teatralità, offuscato dalla tenerezza per se stesso; Mrs. Quickly gli sta comunicando una notizia troppo dolce: le belle hanno ricevuto le sue lettere, sono entrambe entusiaste e disponibili, Meg non subito per via del marito sempre tra i piedi, Alice invece sì, presto, anzi prestissimo, quel pomeriggio stesso. Mancano meno di due ore, oh sorte, oh gioia, il suo fascino ha colpito ancora. Così tripudia Sir John battendosi una mano sulla trippa; poi con gesto regale congeda la Quickly.

Le visite però non sono finite. Avanza timidamente un certo signor Fontana mai visto né conosciuto. Vuole che Falstaff attenti per primo alla virtù di una dama di nome Alice Ford, in modo da poterne usufruire lui stesso per secondo. Non solo: gli allunga una borsa piena d’oro, cioè lo paga per questa piacevole incombenza. E’ chiaro che qualcosa non quadra, ma per il nostro seduttore è tutto normalissimo: la fama delle sue arti amatorie è tale che non c’è da fare una piega se qualcuno intende servirsene per ammorbidire dame recalcitranti. Peccato che Fontana sia in realtà Messer Ford travestito, approdato alla Giarrettiera in preda alla paranoia di conoscere cosa stia combinando il pancione con sua moglie. Mancanza di fiducia tipica dei gelosi, i quali spesso finiscono per trovare ciò che vanno cercando. A Ford capita l’onore di essere fregiato delle corna addirittura sulla parola, prima che il fatto avvenga. Ma il tempo vola, bisogna agghindarsi e imbellettarsi e impiumarsi per l’appuntamento. Così, mentre uno si mangia il fegato, l’altro fa tremare il pavimento e la famosa scala che conduce alle invisibili stanze.

Frattanto in casa Ford la scena è pronta ad accogliere l’entrata trionfale del vecchio spaventapasseri: Alice siede in posa languida suonando il liuto; Nannetta e le comari stanno nascoste dietro un paravento. Giunge l’omone in pompa magna e bollente come una pignatta di stufato. Tenerlo a freno non è cosa da poco, ma Alice è una donna piena di risorse e poi Sir John è così simpatico malgrado tutto e così buffo che quasi quasi verrebbe da perdonargli la sua deplorevole impudenza. Basterà far saltare fuori Meg e le altre al momento opportuno, sventolargli sotto il naso le due lettere incriminate ed egli verrà svergognato con la gaiezza e la levità di un bicchiere di spumante.

Invece gli uomini hanno talvolta la pesantezza del vino nero e camminano con scarponi chiodati, come Ford che ora si accinge a piombare in casa rovinando un bellissimo scherzo. Lo segue un codazzo di servitori con randelli, quella vecchia salacca del Dottor Cajus e gli immancabili Bardolfo e Pistola che sperano sempre nella caduta di qualche spicciolo, mentre il giovane Fenton - lontanissimo col pensiero dalle avventure galanti del pancione - spera solo di rubare un bacio alla dolce Nannetta.

E’ tale il rumore di questa banda raffazzonata che le donne hanno tutto il tempo di correre ai ripari: un due tre t’infilano Falstaff nella cesta del bucato e lo ricoprono con i panni sporchi, lasciandolo quasi morto asfissiato dal tanfo. Quale ribaltamento, dalle stelle degli occhi di Alice alle buie stalle del cestone puzzolente e con l’enorme deretano della comare Quickly poggiato sul coperchio, casomai gli fosse saltato il ticchio di uscir fuori a prendere aria! Ma così è la vita.

Cerca qui, cerca là, più s’affannano a cercare e più gli sfugge. Nell’ordinata dimora borghese regna il caos e nel caos può succedere qualsiasi cosa, anche finire sopra le righe. Nessuno intanto fa caso al paravento dietro il quale Fenton e Nannetta si sbaciucchiano indisturbati. Sudato e frustrato dal gran cercare, solo all’ultimo Ford si convince che Falstaff sia nascosto proprio là, dove tra qualche secondo i due innamorati verranno messi allo scoperto.

Mentre gli altri se ne stanno a bocca spalancata, veloci come il fulmine le nostre madame fanno issare la cesta sul balcone e op, giù nel fosso delle lavandaie, patapùnfete. Al tonfo accorrono tutti, guardano in basso e forse cominciano a capire.

Un tuffo ignominioso nell’acqua gelata del Tamigi, ecco cosa gli è venuto in tasca invece dell’oro: erbacce di fiume, pesci morti e il rischio di una polmonite. Avvolto in una coperta rognosa, colui che un tempo le femmine si contendevano e divenuto ora oggetto di scherno è rinfrancato dal solo amico in grado di scaldare un uomo povero e depresso: il vino. E lentamente gli rinasce in cuore la gioia di vivere.

E’ finita qui? Neanche per idea. Vi pare che possiamo lasciare un uomo simile a sbronzarsi da solo? Benché la sua presenza risulti un po’ ingombrante, è difficile rinunciare a lui; e a meno che il diavolo in persona non se lo porti via, ce lo terremo stretto. Gli si prepara un’altra fantastica burla, ma stavolta a fronti uniti; anzi ci sarà tutto il paese.

Chi avanza adesso in direzione della Giarrettiera? Tirate a indovinare: potrebbe essere la comare Quickly? E’ proprio lei. Però il carissimo Cavaliere ne ha piene le scatole delle bellezze dei suoi stivali, che se ne vadano a ramengo perché lui ha finito or ora di asciugarsi dallo stramaledetto bagno che l’hanno costretto a fare, dopo averlo seppellito vivo in quel cesto puzzolentissimo&ldots; La Quickly lo lascia sbraitare ben bene, poi gli sussurra con voce cavernosa: A MEZZANOTTE SOTTO LA QUERCIA DI HERNE VESTITO DA CACCIATORE NERO. E aggiunge flautata: VERRANNO IN DUE.

Alice e Meg in un colpo solo, chi non ci ricascherebbe? Eppure un brivido repentino s’insinua tra gli ammassi di lardo di Sir Falstaff: lo sanno tutti che sotto la quercia a mezzanotte si radunano gli spiriti del bosco. Tuttavia ho l’impressione che nemmeno questa sia una fiaba che si rispetti, sentite perché.

Il Cacciatore Nero arriva con un favoloso paio di corna sulla zucca pelata. A mezzanotte sotto la quercia di Herne è buio pesto, non c’è ombra di donne in amore. Che l’abbiano fatto fesso pure stavolta? Falstaff si sente spiaccicare al suolo da mani tutt’altro che muliebri, rivoltato e rigirato come un maiale allo spiedo. C’è chi lo punge, chi gli fa il solletico, chi gli molla ceffoni: ahiahi, non c’è dubbio, sono i folletti del bosco, guai ad aprire gli occhi. E le fate? Sferrano calcioni negli stinchi con tacchi decisamente femminili. Per un po’ subisce, poi al diffondersi di una certa puzza di fogna mista a scadentissima acquavite inizia a campanare che qualcosa non va: sempre con gli occhi chiusi (non si sa mai) afferra il cumulo di stracci da cui provengono le mefitiche zaffate e scopre che si tratta di Bardolfo. Ah vigliacco ciuccatone traditore, c’è anche Pistola, e Fontana e tutti gli altri; e poi le donne che se la ridono come matte.

Credete che ridano solo di Falstaff? Poveretto, lo si è già punito abbastanza; ma c’è un altro che si crede furbo e non sa cosa lo aspetta: Messer Ford, ex signor Fontana, intende celebrare le nozze di Nannetta col Dottor Cajus proprio qui nel bosco, fidando nell’effetto sorpresa; bel colpo basso per i due innamorati, se Mrs.Quickly non avesse origliato quanto basta per passare al contrattacco. Col consueto tempismo le comari travestono Bardolfo da bianca sposina e lo rifilano a Cajus, il cui olfatto per fortuna è praticamente nullo. Ai due si unisce la coppia dei veri sposi che viene felicemente benedetta dall’ignaro paparino. E così crepino i gelosi e i prepotenti!

Adesso tocca al nostro ineffabile Cavaliere tenersi il pancione dal ridere, perché chi la fa l’aspetti e nessuno sfugge alla gran burla della vita. Ma nell’attesa andiamo tutti a cena con Sir Falstaff alla Giarrettiera e muovendo le ganasce esercitiamo la divina arte di beffare il tempo.