L'OPERA IN FIABA
C'era una volta in Spagna, quando gli uomini portavano ancora la spada al
fianco, un nobile e ricco cavaliere chiamato don Giovanni.
Lui non era di quelli che se ne stanno tutto il giorno a far niente,
consumando la vita sempre nello stesso posto, tra una battuta di caccia e
qualche festicciola tra amici: macché, a don Giovanni piaceva vedere il
mondo , e sì ogni tanto far ritorno al suo palazzo, ma poi subito
ripartire. Era alto e ben fatto , con un viso e un profilo affascinanti;
e poi era più intelligente dei suoi pari, più colto, amava le arti e la
bellezza, ma più di ogni altra cosa amava le donne. Ora di modi per amare
non ce n'è uno solo, e lui amava a modo suo: gli piacevano tutte quante,
dico tutte, e tutte insieme idealmente avrebbero dovuto farne una, cosa
molto più difficile del contrario, quando ci si illude che una sola le
contenga tutte. Più che difficile, impossibile. Ma don Giovanni pensava
di no, e per questo le collezionava, anzi addirittura ne aveva fatto una
lista lunga chilometri e chil
In questa piacevole occupazione gli anni erano trascorsi, la lista si era
allungata a dismisura con rappresentanti di ogni età e paese e il nostro
cavaliere, sempre snello e inossidabile, non si sognava di cambiare
sistema: dovunque fosse le prendeva e le lasciava, il più delle volte in
preda all'afflizione e al rimorso, ma tanto per lui era la stessa cosa.
Ora nel tempo di cui narra questa storia, don Giovanni aveva un servitore
di nome Leporello, un tipo decisamente sveglio che il suo padrone l'aveva
capito meglio di chiunque altro, e da servo fedele ne assecondava le
inclinazioni spingendosi perfino a redigere egli stesso la famosa lista,
che portava sempre con sé. I due erano da poco tornati da un lungo
viaggio quando a don Giovanni si presentò una nuova avventura. Eccolo
dunque intento ad arrampicarsi sull'alto balcone di un palazzo, ancora
agile malgrado la non più verde
Servo e padrone se la filarono nel buio della notte prima che donna Anna
avesse il tempo di gettarsi sul cadavere del padre e i servi accorressero
insieme al degno fidanzato di lei, don Ottavio. Era costui un compito
cavaliere assai sussiegoso e un po' striminzito nella persona come una
prugna secca , il quale nutriva per donna Anna una venerazione che
rasentava l'idolatria. Ma era anche di quelli che al momento di agire
sanno solo aprire la bocca in un profluvio di parole, e intanto se ne
stanno piantati lì ad aspettare la manna dal cielo. Donna Anna invece ,
nonostante l'aria da santarellina, di temperamento e iniziativa ne aveva
da vendere, tant'è che subito, senza perder tempo promosse don Ottavio a
suo paladino ( non aveva altro sotto mano ) e lo mise a perdere perché
ritrovasse quel fellone traditore che aveva osato insidiarla e le aveva
ammazzato il padre. Quello naturalme
Intanto don Giovanni, dopo un sonno ristoratore e per nulla turbato
dall'insuccesso della notte, passeggiava nei dintorni del suo palazzo
fiutando l'aria come un segugio: in tal modo era solito individuare la
presenza di una femmina, e raramente si sbagliava. Infatti di lì a poco
comparve una dama velata di nero dall'aria profondamente afflitta. Appena
egli cominciò a sciorinare le consuete galanterie, d'improvviso con un
grido lei scoprì il volto e attaccò ad insultarlo; poi si sciolse in
lacrime, poi lo tempestò di pugni, poi pianse di nuovo e infine ricominciò
a dirgliene di tutti i colori. Leporello guardava la scena con una faccia
che diceva chiaramente te la sei voluta e adesso te la cucchi: sì, perché
quella non era altri che donna Elvira, l'ultima moglie di don Giovanni.
Avete capito bene, moglie, e come no, ogni tanto il nostro uomo le sposava
le sue donne, specialment
La poveretta ha perduto la ragione, confidò don Giovanni agli altri due,
perciò compiamo tutti quanti un atto di misericordia: assecondiamola. E
sottovoce a donna Elvira: mia cara, se volete fare una piazzata, pensate
a quello che dirà la gente! E la trascinò via.
Quasi stritolando il braccio di don Ottavio, donna Anna fece uscire un
grido soffocato: è lui! Lui chi, disse l'ignaro fidanzato. Ma lui, lui,
il fellone, l'ho riconosciuto dalla voce. Cielo, è mai possibile, obiettò
don Ottavio al quale soprattutto sarebbe rincresciuto vedere don Giovanni
trasformarsi in un nemico. Mille volte meglio averlo come amico. Mio
bene, riflettete, ne siete proprio sicura? Sicurissima. Ci mancava pure
questa, pensò don Ottavio seriamente preoccupato, qui c'è da rimetterci la
pelle.
Don Giovanni nel frattempo s'era imbattuto in una festa di nozze paesana,
situazione che non gli era nuova, ma costituiva sempre un piacevole
diversivo e antidoto per gli affanni, specialmente quando la sposa giovane
e fresca faceva presagire la possibilità di lasciarsi convincere a mutare
stato, da contadina a gran dama, nell'arco di pochi minuti. Il seduttore
prendeva grandissimo spasso a cronometrare la velocità con cui la
villanella di turno si affrettava a far fagotto col miraggio di
trasferirsi in un luogo decisamente più allettante. Neanche la graziosa
Zerlina ci mise molto a cadere nella rete del signor cavaliere, che
paragonato al suo Masetto era un vassoio di prelibatezze di fronte a un
piatto di polenta, ma da un po' di tempo a don Giovanni le cose non
andavano più lisce come prima; Leporello se n'era accorto e stava zitto, è
naturale, tanto il suo padrone era avvezzo a
C'erano prosciutti e pasticcini e il vino scorreva a fiumi; poi c'erano i
suonatori affinché tutti potessero ballare e divertirsi. Don Giovanni, a
parte quella sua piccola fissazione, era davvero un signore munifico e
liberale. Chiunque si presentasse al portone del palazzo, nobile o plebeo
che fosse, veniva fatto entrare. Così pochi si avvidero, nella confusione
generale, dell'arrivo di tre persone in domino e mascherate. Se
giocassimo a tira a indovinare non ci sarebbe gusto, perché le probabilità
che quelle tre maschere nascondessero donna Anna, don Ottavio e donna
Elvira sono altissime. Infatti coi guastafeste raramente ci si sbaglia:
si trattava proprio di loro. Controllavano la situazione aspettando un
passo falso di don Giovanni, che puntualmente arrivò. Mentre Leporello
teneva occupato nell'assaggio di vini diversi il caro Masetto, che a gran
voce dichiarava di voler
Quanto a Leporello, uscì dalla festa piuttosto ammaccato e incavolato col
suo padrone, che fu costretto a medicarlo con più di una moneta d'oro.
Spuntò la luna e i due si ritrovarono a bighellonare sotto le finestre di
donna Elvira, non senza una ragione trattandosi di don Giovanni; ma la
ragione non era donna Elvira, bensì la sua cameriera. Bisognava
neutralizzare la padrona, renderla inoffensiva, cioè allontanarla
fisicamente: a questo avrebbe provveduto Leporello travestito da don
Giovanni, il quale a sua volta avrebbe indossato gli abiti del servo.
Trovata semplice e geniale oltre che psicologicamente azzeccata, perché
molto spesso la realtà consiste soltanto in ciò che si vuol credere tale,
come insegna il caso di donna Elvira: bastarono infatti due paroline dolci
biascicate con voce contraffatta, e soprattutto l'abito di don Giovanni, a
convincerla che si trattasse di lui. Chi si trovò a mal partito in quel
frangente fu il misero Leporello, costretto a tirarsi dietro quella palla
al piede e a tenerle testa a suon di
Malgrado avesse ora il campo libero, era scritto che a don Giovanni
qualcosa dovesse andare storto, perché improvvisamente si vide circondato
da contadini armati di forconi alla cui testa fieramente marciava il buon
Masetto. Era lampante a chi volessero fare la pelle, ma l'abito di
Leporello unito al proprio talento istrionico e all'oscurità della notte
li convinsero che il servo ce l'aveva col padrone al pari di loro se non
di più, e così furono pronti a seguirlo. Egli li spedì tutti da una parte
e tenuto con sé Masetto se ne andò all'opposto, finché raggiunto un luogo
sicuro gli diede il fatto suo e lo lasciò a terra coperto di lividi.
Il vero Leporello nel frattempo aveva esaurito tutti gli argomenti con
donna Elvira, e siccome non aveva nessuna voglia di passare alle vie di
fatto ed era sfinito da quel lungo vagare negli stretti scarpini di don
Giovanni, stava per lasciarsi prendere dallo sconforto quando vennero a
salvarlo i più acerrimi nemici di don Giovanni, cioè anche suoi in quel
momento, ma tutto era preferibile a donna Elvira. Davanti al furore di
donna Anna e don Ottavio cui si erano aggiunti Zerlina e Masetto , da
quest'ultima raccattato per strada ancora dolorante, l'infelice sposa
tradita si gettò su colui che credeva il suo sposo facendogli scudo col
proprio corpo: giammai l'avrete , gridò, e tutti pensarono che
decisamente le mancava qualche rotella. Intravedendo la possibilità di
battersela, Leporello disse che si scusava con lor signori, che lui non
era don Giovanni ma Leporello, quindi gli dis
Era già notte inoltrata quando don Giovanni e Leporello s'incontrarono nei
pressi di un cimitero, uno trafelato con la lingua fuori per il gran
correre, l'altro bello fresco e soddisfatto. L'aria tiepida e il luogo
tranquillo invitavano a una passeggiatina tra le tombe, cosa che induce
sempre un che di rilassante, specie dopo una giornata un po' movimentata.
E passeggiando passeggiando a momenti andarono a sbattere contro il marmo
di un'enorme, massiccia e gigantesca statua. Ma questo dev'essere il
Commendatore, esclamò don Giovanni solo lievemente stupito da quella
repentina apparizione; Leporello invece cominciava già a sbiancare e a
battere i denti: padrone, quest'arnese non mi piace affatto, pare che ci
stia fissando, scappiamo. Ma che fissando, sei il solito fifone, ribatté
don Giovanni; anzi, già che ci siamo, invitalo a cena per domani sera.
Cooosa, volle gridare Lepor
Certo un siffatto ospite andava trattato con tutti i riguardi: don
Giovanni sapeva bene quale fosse il suo dovere nei confronti del vecchio,
specialmente dopo avergli bucato la pancia. Fece allestire un sontuoso
banchetto. Leporello in livrea di gala aveva avuto tutto il tempo di
recuperare il perduto buonumore, aiutato da alcuni bicchieri di quello
buono arraffati di nascosto insieme a un bel cosciotto succulento. La
cena ebbe inizio senza la statua. Non che qualcuno l'aspettasse, e tanto
meno don Giovanni che aveva fatto l'invito; tuttavia una bella e ricca
sedia per suo ordine venne sistemata al tavolo dove lui cenava da solo.
Non fu solo per molto. Trafelata, scarmigliata, in preda a un sacro fuoco
giunse donna Elvira. Vengo a salvarti, disse, prima che sia troppo tardi:
pentiti dei tuoi peccati, che per lei era come dire (benché mai l'avrebbe
confessato) torna nel mio l
Intorno a don Giovanni si fece il vuoto. Erano spariti tutti, tranne
Leporello che giaceva mezzo morto sotto il tavolo, protetto dalla lunga
tovaglia che fungeva da tenda. Di tutto ciò che la statua disse al suo
padrone ( e ne tirò fuori di paroloni ) riuscì a capire una cosa sola: il
vecchio pazzo voleva portarsi via don Giovanni, dove non si sa.
Ora, malgrado Leporello avesse mille ragioni per avercela con lui dopo
tutto quello che gli aveva fatto passare, in qualche modo gli si era
affezionato, nel senso che forse qualcosa di don Giovanni se lo sentiva in
petto ed era germogliato a sua insaputa. Per questo la prospettiva di
vederselo rapire da una statua non gli garbava affatto, e alla paga non
pensava, ci avrebbe pensato dopo.
Dunque la statua, alla fine di una predica lunga tre chilometri che era
tutto fiato sprecato, invitò don Giovanni a cena porgendogli una mano
grossa come una casa. Con l'ultimo fiato che aveva in corpo Leporello gli
gridò di non farlo, ma don Giovanni non era mai stato un vigliacco e
inoltre andava matto per le sfide: afferrò la manona del vecchio e si
fece trascinare via.
Quando Leporello trovò il coraggio di emergere da sotto il tavolo si rese
conto dello strano silenzio che avvolgeva le cose: il palazzo era
deserto, il padrone non c'era più e lui ne era certo ormai, non sarebbe
tornato. Raccolse il mantello e uscì barcollando, si diresse
all'osteria.
Quanto agli altri, se foste curiosi di sapere che fine abbiano fatto, ve
lo dirò: sparito don Giovanni, che in ultimo egli aveva ritenuto
pericoloso tanto come amico che come nemico, don Ottavio tornò all'attacco
con donna Anna sperando di trovarla più malleabile; ma ella gli domandò
ancora un anno di tempo per smaltire il suo dolore, rivelando quanto fosse
ardente la passione che nutriva per lui. Donna Elvira tornò in convento e
visse nel ricordo dello sposo, attribuendogli col tempo tutta una serie di
virtù che non si era mai sognato di possedere. La Zerlina fece buon viso
e si accontentò del suo piatto di polenta, senza però escludere in cuor
suo la possibilità di assaggiare un giorno qualcosa di più raffinato.