Marcello Tucci

mi chiamo marcello tucci,scrivo poesie e racconti.ho pubblicato 3 libri,1

quaderno ed una raccolta on-line,inoltre ho collaborato,ancora ci

provo,con riviste e giornali con recensioni e piccoli saggi di natura

letteraria.Senza pretese.....sono un'autodidatta e nello scrivere non

cerco gloria ma un confronto ed un incontro


La tempesta

 

‘ricordo ancora la sua faccia, quando con il piccolo peschereccio andavamo al

largo a gettare le reti. Quando si avvicinava la tempesta il suo viso si sfigurava,

assumeva un’espressione di fierezza, certo di saperla affrontare e domarla ancora

una volta.’

 

Al piccolo bar del porticciolo Fefè raccontava ai giovani avventori, intenti a

giocare alle macchinette del poker, le storie della sua gioventù, di quando con il

piccolo peschereccio del ‘capitano’ insieme con Enrico si andava a pescare al

largo.

 

‘lo chiamavano ‘capitano’ per rispetto, a lui in fondo faceva piacere essere

chiamato così. Ogni volta che uscivamo in barca con lui sembrava di partire per

un’avventura speciale, come per una missione.’ Continuava Fefè a raccontare, in

realtà raccontava quasi sempre le stesse cose, ma ogni giorno le storie avevano un

sapore nuovo, diverso insomma. I ragazzetti che frequentavano il bar non

sembravano annoiarsi, tutto sommato a loro faceva piacere ascoltare quello che il

vecchio pescatore narrava.

 

Ormai quasi più nessuno in quella cittadina di mare si dedicava alla pesca, ormai

lì si viveva di turismo, addirittura le vecchie case dei pescatori erano state

comprate da un’agenzia turistica che le aveva trasformate in simpatici bungalow.

 

Per i giovani i vecchi pescatori, oramai in pensione la maggior parte, erano delle

figure mitiche che evocavano certi film d’avventura sui mari, con cacce alle

balene, oppure viaggi ardimentosi alla ricerca di tesori sepolti.

 

La presenza di Fefè in quel locale rappresentava un mondo lontano, stimolando in

ognuno fantasie. Tuttavia, pur restando affascinati dalle storie che udivano,

nessuno dei ragazzi pensava di prendere una barca per andare a pescare in mare.

 

‘prima di partire il capitano controllava che sul peschereccio tutto era in ordine.

Sembrava un rito quotidiano, quasi una liturgia, verificare se le reti stavano a

posto,

 

se le nasse erano ben allineate al fondo della prua. Spesso ripassava con la

vernice celeste le pareti della barca, mentre Enrico ed io lavavamo il fondo con

un grosso spazzolone. Fefè spiegava così ai ragazzi che quella meticolosità

rappresentava un sentimento di rispetto per la sua piccola imbarcazione, che così

ben mantenuta avrebbe superato le mille difficoltà che il mare offriva.

 

‘ il capitano non aveva paura del mare, anche quando il cielo prometteva

tempesta. Anzi sembrava attratto dalla tempesta, per lui rappresentava una sfida

da vincere ogni volta, passandogli fieramente all’interno per uscirne indenne, o

quasi.’

 

Il vecchio pescatore continuava a raccontare della bravura del capitano a

governare l’imbarcazione in caso di tempesta, lasciandola trasportare dalle onde e

dal vento in burrasca, senza offrire resistenza, guidandola fuori dalla minaccia

scura del cielo e delle onde.

 

‘ricordo come il suo viso si trasformava, assumendo nei suoi occhi le varie

tonalità del cielo che annunciava la bufera. I suoi lineamenti si contraevano, lo

sguardo si faceva più attento a cogliere i punti deboli del grosso temporale che

s’avvicinava.

 

Pareva che parlasse tra sé, poi capimmo che parlava con la sua barca,

infondendogli coraggio, insegnandogli la rotta da prendere e dove puntare con la

prua per uscire dall’occhio del ciclone’

 

Il vecchio ogni tanto si interrompeva per versarsi del vino e bagnarsi le labbra.

Nelle storie che narrava sempre si soffermava a parlare di come il capitano era

attratto dalle tempeste, mentre lui ed Enrico ne avevano paura. Qualcuno dei

ragazzi chiese perché lo seguivano in simili rischi, ma su questo Fefè rispondeva

che quel modo di fare del capitano li rassicurava ed al tempo stesso affascinava.

 

‘con il tempo ci rendemmo conto che non era più tempo di continuare ad andare

a pescare, sempre più era difficile vendere la pesca che riportavamo. La cittadina

stava cambiando, le persone oramai andavano a comprare il pesce nei

supermercati. Fu difficile farlo capire al capitano, sia Enrico sia io ci

arrangiavamo con altri lavoretti per vivere. Insomma poi l’età era quella che si

approssima alla pensione. Il capitano continuò da solo per qualche mese, alla fine

anche lui cedette, vendette l’imbarcazione per pochi soldi e ci disse che sarebbe

andato a vivere dalla figlia sposata che viveva nella città qui vicina. Ci rivedemmo

qui in questo bar qualche volta, giocavamo a carte insieme bevendo un po’ di

questo vino bianco. Lui era cambiato, sembrava distratto, solo quando il tempo

sembrava mettersi al brutto, annunciando temporali che venivano dal mare lui si

animava. In quei momenti lui con una scusa andava via, ma noi sapevamo che

andava al molo grande ad osservare il mare che lentamente si ingrossava.

Sapevamo che a lui mancava quel mare in tempesta, e lo immaginavamo con il

suo piccolo peschereccio farglisi incontro, fiero in viso, per un’altra sfida da

vincere’

 

Le storie di Fefè finivano sempre così e dopo aver lasciato qualche spicciolo per

pagare il bicchiere di vino bianco, se ne andava. Tutti i ragazzi lo salutavano con

un colpetto sulle spalle, certi che il giorno dopo avrebbero sentito da lui le storie

del capitano e delle sue tempeste.


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un altro componimento lo potete trovare nella sezione "erotica" di Araba Fenice

POEMETTO DELLA DAMA