Gen-96-nov 2000
Troneggiava al centro della stanza, la camera più grande della casa che in
famiglia chiamavamo la camera da pranzo. Era il tavolo da pranzo per
definizione: largo tanto da ospitare ai suoi estremi due ampi posti a sedere per
due capotavola ed ai suoi lati almeno altri quattro posti per parte.
La questione dei capitavola si presentava ogniqualvolta in famiglia un fratello o
una sorella, con relativi consorti, se nandavano dalla casa madre per una propria
abitazione. La loro sostituzione avveniva automaticamente quando da un fratello
maggiore passava per diritto divino ad un altro o ad un cognato.
Per avere un chiaro quadro dinsieme sarebbe opportuno che vi dicessi sin dora
che la mia famiglia constava di cinque fratelli, compreso me, due sorelle ed una
nonna ed
era priva delle due figure storiche che di diritto avrebbero avuto linsindacabile
posto a capotavola, parlo dei genitori. Quando parlo dei fratelli e sorelle parlo di
figure intercambiabili: per uno che se ne andava un altro si accingeva a costituire
una sua microfamiglia che avrebbe per un certo tempo abitato con noi,
condividendo il gran tavolo che tutti indistintamente ci accoglieva e ci metteva gli
uni di fronte agli altri.
La nonna, il perno centrale o la forza motrice di tutto, sedeva ad un estremo del
tavolo, occupando di diritto un posto sì da capotavola ma in maniera defilata,
proprio in prossimità della cucina, meta di continui pellegrinaggi. Laltro posto,
qualcuno direbbe il più autorevole, era ovviamente al suo opposto e dunque in
prossimità della porta finestra che si apriva sul balcone.
Naturalmente essendo io il più piccolo posso solo contare alcuni dei possessori
del trono, ricordarne le successioni che dal primo dei fratelli e cognati si è
dipanata sino a me.
Cosicché il grande tavolo ha visto mutare attorno a sé la geografia e la storia tra
alti e bassi, passando anche per un periodo in cui il tavolo fu precluso agli altri e
dunque occupato da un nucleo autonomo allinterno della famiglia confinandoli al
tavolo rosso di ferro della cucina.
Mai il tavolo ha vacillato agli scossoni esterni, mai che abbia mostrato le ferite
delle incomprensioni, delle tristezze, dei litigi a differenza di altri mobili o porte
che presentavano squarci e piaghe mai più curate.
Sarà stato per la sua mole e per i suoi piedi saldi piantati in terra (sul pavimento).
Sarà stato per la sua presenza austera ma di valore e pregio, visto che era fatto di
un legno pregiato e la leggenda narra fosse appartenuto ad una famiglia di ben
altri lignaggi. Forse per tutti questi motivi bene ottemperava al suo ruolo di unire
e accoglierci tutti in special modo per le grandi feste.
Inoltre si prestava con garbo a svolgere altri compiti visto che ognuno lo usava
per una sua necessità. Era noto come un buon tavolo per stirare, da quando
sollevato da un fronzolo civettuolo come il cristallo nero spaccatosi appunto per
un ferro caldo lasciato lì da una sorella che da allora svolse ulteriori funzioni.
Sommessamente si prestava come tavola da lavoro dove mio fratello ritagliava i
suoi cartamodelli per pellicce per una carriera abortita e stroncata sul nascere.
Non solo si prestava a tante mansioni, ma come un amico silenzioso solo può
fare celava in sé i e nei suoi profondi cassetti segreti damore.
Presentava anche efficaci nascondigli e nei suoi meandri ed interstizi dormivano i
miei soldatini e le mie prime poesie acerbe.
Il tavolo della camera da pranzo!
Quante cose sono ad esso legate indissolubilmente e molti ricordi e sogni
attraverso lui tornano a ricomporsi con rimandi e fantasie.
Terra lontana della mia infanzia, isola da esplorare dei miei giochi da bambino su
questo tavolo marciavano le mie truppe in bella mostra.
Lui il castello da espugnare, per lui combattere o morire, contro di lui ad ogni
costo mostro orripilante, lui terra da attraversare e difendere ed in lui riposare.
Attorno a lui richiamare le schiere, arringare la folla e festeggiare.
Se chiudo gli occhi risento lodore di legno antico ma anche lodore della tovaglia
tagliuzzata di plastica e laroma che sale dalla profondità dei suoi cassetti rimasti
alla fine vuoti con molte briciole o rimasugli di non so che cosa.
Li è rimasto ancora un po quando tutti se ne sono andati e per ultimo io nella
attesa di essere venduto, me lo auguro, o abbattuto come si abbatte uneroica
quercia secolare.
Quando si è venduta la casa, persa la parvenza di una famiglia, la vendita dei
mobili è stata cosa dei miei fratelli e io non ne ho saputo (o non voluto?) niente.
Mi restano piacevoli ricordi che scrivo per difenderli dalloblio, dove spesso
ritorno come facevo allora quando tornavo dai giochi ed alla sera quando si
cenava tutti insieme con mia sorella ci rifugiavamo tra le sue possenti gambe.
Eravamo così ben coperti da un vasto piano superiore simile ad un tetto,
accogliente come un utero e da li spiare la televisione di Carosello, cantando con
Canzonissima o tremare per Belfagor. Lì sotto ci scambiavamo opinioni e segreti
ed io massaggiavo i piedi alla sorella cara per sempre, distendevo la mia testa tra
le gambe della nonna nella sua vestaglia che sapeva di odori di cucina e cose
buone.