Stato D'Inerzia un racconto di Luca Brumurelli

  La vecchia Volkswagen verde sbiadito sfrecciava sulla strada deserta a velocità costante e direzione uniforme. Vedendola passare si poteva facilmente scambiare per un bidone ammaccato e fumeggiante.

  Era tutta la notte che Luigi stava girando con la sua macchina. Aveva percorso già tanti chilometri, il tachimetro continuava a girare senza mai fermarsi. Il motore emetteva un rumore cupo e sinistro, mentre i pistoni sbattevano sul cofano, provocando forti vibrazioni che scuotevano tutto l’abitacolo.

  Luigi, poco più di vent’anni, amante dell'astronomia, senza nessuna donna per la quale sentirsi geloso, con una gloriosa collezione di coloratissimi ma inutili tappi. Un timido ma esperto giocatore di Dama, un tenace e paziente pescatore, con l'abbonamento alla rivista Focus. Luigi dai capelli rosso rame, aveva attraversato città, piccoli e grandi paesi, campi, orizzonti, nella notte dolce e triste di un tiepido ferragosto. Viaggiava senza una meta precisa, accompagnato da un’insolita curiosità di vedere fino a dove lo avrebbero portato i suoi contraddittori dubbi.

  La cabina dell'automobile era coperta da un denso strato di fumo, lercia, disordinata, piena di sigarette nervosamente spezzate. La radio trasmetteva senza mai stancarsi canzoni di ogni genere. Luigi sembrava conoscerle tutte per come le canticchiava. I fari, decentrati e con una stanca luce fioca, illuminavano imperterriti una pellicola umida e scura sulla quale scorreva una riga grigia tratteggiata, viscida come il dorso di un’anguilla. Più la fissava, più si rendeva conto di essere trasportato verso una terra ancora tanto, troppo lontana. Mentre guidava, pensava distrattamente, ragionava, a tratti sognava. Non capiva bene il senso di quella fuga. Senza dire niente agli amici della compagnia, era sgusciato via da un locale estivo di Riccione strapieno e affollato da turisti, stranieri ubriachi e in bermuda, ricconi figli di papà, giovani lupi viziati con al fianco attillate e anoressiche ragazze dall'atteggiamento sensuale.

  Non sopportava l'ambiente sgombro di spontaneità, quasi tutti cercavano di mettersi in luce con strane pose e atteggiamenti da perfetti ‘Vip’, come se stessero partecipando ad un concorso per il glorioso titolo di ‘Miglior Cagone dell'estate 1990’. Non sopportava più la pressione del gioco freddo degli sguardi cattivi, pieni di narcisismo, di autodevozione. Quell’indifferenza che truccava i sorrisi falsi e strafatti di ragazzi che sembravano come anestetizzati. Voleva starsene da solo, pensare, ascoltare il silenzio, discutere con le sue insicurezze. Era estate, il tempo per decidere cosa fare del suo futuro stava per terminare. Confuso, non aveva ancora trovato un mestiere, “Un interesse da portare avanti per maturare il progetto della tua vita,” come gli ripeteva sempre suo padre. Fino a quel momento era solo riuscito a tirar su un pò di soldi con qualche lavoro di poco conto, in nero e mal pagato. I suoi genitori poi, contrari alla sua definitiva rinuncia a continuare gli studi, si aspettavano al più presto un programma, una decisione per un futuro così inconcludente. Sentiva una certa pressione, la fretta di prendere questa benedetta decisione, sempre più incalzante, come il ronzio di una zanzara che senti arrivare nel dormiveglia da lontano, con un rumore sempre più forte e fastidioso. Non sapeva cosa fare, a chi chiedere consiglio, se riprendere gli studi o accantonare l'idea con un lavoro offerto da qualche amico interessato. Non aveva nessun tipo di specializzazione, a malapena sapeva usare il computer. Aveva un semplice diploma di Maturità Magistrale e sapeva bene che ai colloqui di lavoro invece, volevano vedere almeno un corso di formazione o un mini diploma, sostitutivo ad una laurea qualsiasi. Luigi temeva di non poter trovare una soluzione immediata, perchè non aveva la ben che minima idea di cosa potesse fare. Era giovane, semplicemente confuso. Era così imbarazzante confessare di non voler fare niente. Poche idee, poca volontà. Forse difficile da comprendere, ma faceva parte del suo sentirsi vuoto, inutile, senza nessuna qualità. Aveva il timore che i suoi da un momento all’altro potessero esplodere per le tensioni accumulate in quel periodo. E come dargli torto. In fondo non gliene aveva mai parlato, non ci riusciva, troppo difficile. Temeva che potessero sfuriare in un litigone di quelli a senso unico, della serie: “O ti decidi o te ne vai”. Comunque, anche di fronte a un avviso del genere, avrebbe ceduto ugualmente, perchè dentro di sè era il buio più totale. Da un momento all’altro poi sarebbe stato chiamato alle armi, aveva paura, non gli piaceva quell’ambiente. Aveva sentito certe storie su come venivi trattato, gli scherzi, il nonnismo, i suicidi. Temeva le persone che avrebbe incontrato, i militari, la caserma e tutto ciò che c’era all’interno. Non voleva partire, non voleva affrontare quell’inutile esperienza.

  Guidava senza sapere dove o quando si sarebbe fermato. Era come se i suoi ragionamenti lo portassero lontano, per inerzia. Continuava a correre per strade di chissà quale città, provincia o regione, mentre insisteva per trovare un segnale. Bastava anche una piccola certezza e sarebbe tornato indietro, verso casa, per dormire un po’ più sereno. Aveva ancora in testa le espressioni vuote e piatte delle strafighe accaldate, dei modelli impomatati. Non riusciva a capire il loro comportamento assente, come se dalla vita non si aspettassero altro che un forte fascio di sensazioni nuove, e nell’attesa bruciare nell'eccesso, pretendendo un'overdose di eccitazione mischiata al gin-tonic. Pensava alla serata buttata via, rovinata con un gesto stupido e asociale. Non capiva perché i suoi amici si limitassero a rinchiudersi ogni sera in quegli ambienti freddi, sterili, per cercare di scambiarsi le proprie identità, forzando anche lui. Sembrava come se fosse l’unica alternativa per loro, ed era paradossale pensare che durante i giorni di quella vacanza, non avessero mai visto una volta, una sola, il mare di notte. Ma in fondo non gli importava, era in strada, solo con se stesso, desiderando unicamente una soluzione ai suoi dubbi, alle sue insicurezze.

  Dubbi così roventi che vennero gelati e distratti da una forte pioggia che cominciò a cadere e bagnare con violenza l’asfalto, il parabrezza della sua auto verde sbiadito. Osservava le gocce picchiare con violenta arroganza il vetro già in gran parte coperto. Il tergicristalli funzionava a tratti e mal volentieri. In ogni goccia Luigi provava a distinguere e riconoscere un singolo problema, un timore, una paura, una scelta da dover prendere tra le tante. Una sola sensazione, quella giusta tra le altre fasulle. Aveva bisogno di un aiuto, di chiarezza, per il suo stato d'animo, per il suo cuore.

  Osservava i tergicristalli di gomma consumati spazzare via tutte quelle gocce con tanta semplicità quasi invidiando la loro audacia, la loro scioltezza. Provava a pensare quale grandiosa gioia dovesse trasmettere un gesto simile, quello strano ticchettio, preciso, senza esitazioni. Luigi fermò perplesso l’automobile, scese in fretta, continuando a fissare rapito il parabrezza umido che si riempiva in pochi istanti di numerose gocce d’acqua. A vederle dall’esterno si poteva notare meglio il loro spessore, la loro consistenza. Con un pò d'imbarazzo mise una mano sul vetro freddo e viscido. Si guardò intorno titubante, ma si accorse di essere l'unico a giocare ancora per la strada in quelle ore notturne. Mise anche l’altra mano sul parabrezza e un pò goffamente prese ad imitare i piccoli braccetti di gomma. Incominciò a ondeggiare sul vetro, prima con rigidità, poi con un ritmo sempre più frenetico. Le sue mani erano sempre più bagnate, le gocce scomparivano sotto il suo palmo, spazzate via dalle dita con grossi schizzi. Per qualche secondo vide tutti i suoi problemi spazzati via, tutti quei dubbi finire schiacciati e dissolti sotto le sue mani. Incominciò a sorridere, con più energia, sempre più forte. Dentro di sè sentiva il benessere solleticare il suo stomaco, il torace gonfiarsi per la folle eccitazione. Era tutto bagnato Luigi, ma felice. Adesso sentiva quel ritmo frenetico dentro di sè. Vedeva girare ogni cosa intorno. Il vento, la musica alta dello stereo, il fresco della notte di chissà quale posto, invitavano Luigi a sfogarsi e liberarsi di quell’enorme peso. Prese a ballare sotto una pioggia ancora più violenta, alzando le mani verso il cielo e cantando con il volto verso quelle migliaia di gocce che lo coprivano di una strana ma chiara serenità.

  Era quasi giunta l’alba in quel posto sconosciuto e la strada era ancora deserta, mentre Luigi continuava a cantare e muoversi freneticamente, gasato come un dj pazzo dentro la vecchia Volkswagen verde sbiadito, correndo stanco ma sicuro verso casa.