L’imprevisto, un racconto di Luca Brumurelli

Non era tanto che mi trovavo a Milano, dopo il fresco passaggio di ruolo mi avevano dato il primo incarico vicino i Navigli. In fin dei conti mi trovavo bene, vivevo in un mini appartamento di via Melchiorre Gioia, di fianco la stazione centrale. Avrei preferito stare a Siena però, la mia città natale. Lì erano concentrati tutti i miei legami affettivi, la famiglia, gli amici, i compagni di studio.

  Una sera mi sono deciso e sono uscito di casa. La notte era umida e calda, tipica di fine settembre. Il solito traffico metropolitano in sosta, poca gente a piedi per le strade poco illuminate, solo qualche cane randagio o barbone intento a rovistare tra la spazzatura. Non era mia abitudine, praticamente non l’avevo mai fatto prima, di solito dopo essermi preparato una semplice cena vegetariana, mi stendevo sul divano a leggere qualche libro. Ma quella sera avevo finito le sigarette, così ho deciso di uscire per comprarle.

  Dovrei smettere, lo so, me lo ripeto di continuo. E’ un vizio maledetto.

  Ho preso l’auto e girando per il centro mi sono subito perso nel labirinto di sensi unici. Ho riconosciuto il teatro Smeraldo, poi arrivando in zona Brera, mi sono accorto di aver sbagliato strada e sono tornato indietro, ritrovandomi però in viale Zara. Ai lati della strada erano raggruppate decine di prostitute, poco vestite e impegnate a mettere in mostra la propria mercanzia ad ogni passaggio di auto. Falsi sorrisi ammalianti e boccacce maliziose per attirare a sè clienti decisi a sborsare la loro parcella per pochi minuti di soddisfazione fisica. Salutavano e gesticolavano con un gesto meccanico, ripetuto tante volte quanto era intenso il traffico di quell'ora.

  Andando avanti per il viale, in una via interna ho intravisto per caso le luci di un distributore automatico, così mi sono fermato e finalmente ho preso le sigarette. Tornando indietro, invaghito dalla situazione e preso dalla curiosità, ho deciso di ripassare per il viale affollato.

  Lo so che non avrei dovuto, ma ero inconsapevolmente affascinato da quei gesti, attratto dai corpi impunemente scoperti ed esposti come in una lussuriosa vetrina, dal gesto peccaminoso di spiarle dal finestrino e memorizzare il loro peccato in pochi attimi.

  Procedevo a venti all’ora per il viale, mentre gli occhi delle prostitute hanno incominciato a captarmi e i loro corpi ad ondeggiare e scoprire e mostrare per conquistare la mia attenzione. Sentivo una strana sensazione di agitazione e batticuore. Improvvisamente la macchina ha incominciato ad emettere strani versi goffi, prendendo ad andare avanti con spinte secche e convulse, fino a che non mi si è fermata sul ciglio della strada. “Bene,” ho pensato. “E ora che faccio? Lo sapevo che non avrei dovuto uscire.” Aprendo il cofano, mi sono accorto che un morsetto era staccato dalla batteria. Ho cercato di sistemarlo, avvitandolo con le mani e sono risalito in auto, quando una di quelle prostitute si è staccata da uno dei pini potati sul ciglio della strada e si è avvicinata verso di me con fare malizioso. Sorrideva, ondeggiava le braccia e il bacino con movimenti esagerati. Era esile, con addosso dei vestiti stretti e succinti. I capelli raccolti con un fermaglio orientale, la bocca poco truccata e carnosa. Gli occhi, come il viso, mi ricordavano una ragazza con cui avevo avuto una storia prima degli studi.

  “Ciao. Hai voglia di divertirti?” Ha chiesto con un mezzo sorriso. Era carina, aveva un particolare fascino, anche se il suo atteggiamento era volgare ed eccessivo.

  Io non rispondevo, restavo immobile dentro la mia auto.

  “Allora? Hai voglia di fottere?” Ha domandato di nuovo appoggiandosi alla portiera dell’auto con un’espressione di stupore.

  “Cosa, scusa?” Il cuore ha preso a battere forte. Ero nel panico. Le sue proposte mi bloccavano in un imbarazzo enorme.

  “Si, hai voglia? Costo poco, ma poi vedrai come ti farò godere.”

  “No, guarda, lascia stare.” La fissavo imbarazzato, poi come per giustificare quel mio silenzio ho continuato “Si è fermata la macchina, ma ora me ne vado subito.”

  “E dai! Scommetto che lì sotto hai qualcosa di speciale. Dai, non fare il timido. Di bocca sono venti mila, ma poi non te lo dimenticherai più!”

  “Oh, santo Dio! Per carità, no.”

  “Non hai voglia? Non ti piaccio?” Era strano, le parole le uscivano ammalianti, quasi eleganti, anche se il tono e il contenuto erano ben altro.

  “No, anzi. Sei molto carina.” Ho risposto come pentito di quella confessione. “Mi ricordi una mia amica.”

  “E allora? Cosa c’è che non va?”

  “No. Non so, non saprei.”

  Si è avvicinata ancora di più, entrando per metà con il busto dentro l’abitacolo. Ha incominciato a strofinarsi in modo sensuale e provocante. Mi ripeteva cose oscene, mentre mi fissava con occhi stanchi e tristi. Io provavo a resistere ma era più forte di me. Sentivo una strana eccitazione assalirmi, mi affascinava la sua debolezza invisibile, la sua vulnerabilità nascosta. Così, quasi per fermare la sua molestia, ho detto a mezza voce, tra colpi di tosse e sguardi bassi. “Se vuoi, puoi venire da me. Magari parliamo un pò. Ti offro qualcosa di caldo.”

  “Ah, bravo. Così conquisti le tue donne? Con galanteria?” Sorrideva, contenta per il mio invito, soddisfatta per l’approccio riuscito. “Va bene, però mi devi riportare qui per le tre.”

  “Le tre?”

  “Sì, li vedi quelli laggiù?” E mi ha indicato una grossa auto bianca nascosta dietro dei cassonetti con delle persone all’interno. “Sono i miei protettori. Se non lo farai, prima massacrano di botte te, poi me.”

  E’ salita in macchina e si è rilassata sul sedile senza dire niente. Si guardava di continuo allo specchietto retrovisore, sistemandosi il trucco e i capelli, poi studiava con una certa attenzione il tragitto che ci avrebbe portato in via Melchiorre. Durante il breve viaggio ha detto solo “Sai, di solito non vado mai negli appartamenti, mi fermo sempre qui vicino, dietro l’edicola, al parcheggio del centro commerciale o in qualche via buia. Sembra che di te però mi possa fidare. Non sei un tipo strano, un maniaco, vero?”

  Arrivati al residence, l’ho accompagnata su per le scale facendole cenno di fare piano, per non svegliare gli altri abitanti del palazzo. Una volta entrati, le ho subito chiesto “Vuoi qualcosa? Un tè, del latte caldo?”

  Mi ha guardato male, quasi con disprezzo, così prima che potesse intervenire con altre considerazioni pungenti, ho chiarito “Non ho altro in casa. Io sono astemio.”

 “Grazie, allora del latte caldo.” Ha risposto lei, cambiando espressione, quasi comprensiva, mentre si toglieva la giacca di finta pelle e si guardava intorno incuriosita. Poi ha aggiunto “Com’è ordinato qui. Certo che un quadro o una fotografia alle pareti potresti metterla, è così vuota questa sala.”

  “E’ un appartamento che mi è stato dato in prestito per un pò di tempo. Sai, con il mio lavoro, non sai mai quanto ti fermi in un posto.”

  L’atmosfera si faceva tremendamente ambigua e imbarazzante. Le ho passato il bicchiere con il latte caldo e per socializzare un pò le ho chiesto “E’ tanto che fai questo mestiere?”

  “Da quattro anni, più o meno.” Ha detto con tono indifferente.

  “Posso chiederti come mai?”

  “Dopo un anno che sono morti i miei in un incidente stradale, sono entrata per caso in un giro di sbandati come me, ma oltre ad una falsa amicizia ho scoperto che erano spacciatori e trafficanti di puttane, così un giorno mi hanno rinchiuso in uno scantinato, violentandomi e pestandomi di botte per una settimana. Poi mi hanno sbattuto in strada con minacce pesanti. Così mi ritrovo a condividere la notte e la solitudine con altre puttane. E il bello è che ormai, dopo tutto questo tempo, un pò troia mi ci sento pure io. Si vede che questo era il mio destino.”

  Quelle sue parole mi hanno spiazzato, ero scosso, risentito per ciò che le era capitato. “Non hai mai pensato di smettere, di denunciare questo abuso?” Ho chiesto con apprensione.

  “A chi? E come? Così dopo qualche mese li fanno uscire su cauzione e in meno di un ora quei bastardi mi ammazzano. E poi in questo modo guadagno otto volte quello che guadagna una cassiera di un supermarket, che lavora otto ore al giorno e si spacca la schiena con fatiche inutili.”

  “Non pensi che potresti fare qualcosa di meglio? Che ti dia più serenità?”

  “Tipo?” Ha domandato con un sorriso sarcastico.

  “Non so, dicevo così. Magari mettere su famiglia, avere dei figli e fare un lavoro che ti soddisfi.”

  “Siete tutti uguali.” Ha detto avvicinandosi e sbottonandomi la giacca di velluto marrone.

  “No, ascolta, parliamo un pò. Ti va?”

  “Ma il tempo è denaro, tesoro mio.”

  “Ti pago lo stesso. Non preoccuparti.” Ho insistito con una certa agitazione.

  Ci siamo accomodati in salotto. Lei beveva il suo latte caldo, rilassata sulla poltrona di pelle, mentre io ero seduto sul solito divano. La osservavo mentre chiudeva gli occhi e appoggiava la testa indietro. Sembrava così fragile e tenera dietro quella corazza da dura ragazza di strada.

  “Sei cosi giovane. Come ti chiami? Quanti anni hai?”

  “Susanna. Ho diciannove anni.” Ha fatto un sorriso di compiacimento, mentre giocava con gli sguardi e strofinava le labbra sul bordo del bicchiere. “Sorpreso, eh? Tutti me ne danno di più.”

  “Che importanza ha? I tuoi diciannove anni sono così fragili e feriti. Se vuoi ti posso far incontrare con delle persone che possono aiutarti.”

  “Non credo proprio.” Ha risposto con tono divertito. Poi ha posato il bicchiere, si è stiracchiata allungando il busto e le sottili braccia verso l’alto. Mi ha fissato con quel suo sguardo intrigante e provocatorio, si è avvicinata a gattoni. Così giovane, così bella, gli occhi che le si illuminavano. Ha preso a massaggiarmi in silenzio, a sbottonarmi i vestiti a leccarmi in ogni punto del corpo. Avevo il fiato spezzato. Volevo fermarla, volevo che smettesse, ma non ci riuscivo. Mi sentivo come gli altri, i suoi tanti clienti, sporco e volgare ad usarla in quel modo. Ero ingiustificatamente eccitato però, perso nella sua giovane freschezza, nel peccato delle sue intenzioni, mentre lei agitava il mio membro e ci alitava sopra aria calda. Poi si è spogliata di quei pochi indumenti e mi è montata sopra, appoggiando le mani sul mio petto nudo, agitando con lunghi movimenti il suo esile bacino e giocando con la catenina che poi ha nascosto dietro la mia schiena rigida. Si è sciolta i capelli e mi ha coperto il viso, mi sfiorava le labbra con i suoi candidi e profumati seni, mentre emetteva dei gemiti caldi. Dovevano far parte del suo repertorio, ma erano coinvolgenti, profondi, immensamente pesanti per la mia coscienza. La guardavo sconcertato e la sentivo intensamente, stupefatto, incapace di smettere, rapito dal suo profumo, dal suo sesso, completamente legato e ipnotizzato da quel modo così naturale che aveva di esporre le doti di quel mestiere.

  Sono passati alcuni giorni, ho cercato di seppellire e dimenticare tutto. Ho avuto sempre più spesso un senso di pentimento, di forte timore per ciò che avevo fatto. Per tutto il tempo non facevo che pensare a Susanna. Durante le riunioni che avevo per il mio lavoro, nello studio, per strada, mi assaliva sempre più forte il desiderio di rincontrarla, di averla di nuovo tra le mie braccia, e mi vergognavo a fare certi pensieri. Era comunque e sempre un pensiero fisso nella mente, persistente e ossessionante, non riuscivo a non vedere il sorriso, a sentire ancora forte e fresco il profumo, il calore del suo sesso. A casa cenavo senza appetito, fumavo di continuo e giravo tra le stanze dell’appartamento. La notte non dormivo, sudavo freddo, mi convincevo con tutto me stesso che era uno sbaglio, che non dovevo assolutamente vederla più, scordarmi di lei e di ciò che era successo. Ma non c’era niente da fare, il desiderio spazzava e piegava con violenza ogni scampolo di ragione.

  Dopo qualche settimana sono tornato in viale Zara. Lei era lì, esattamente come la prima volta. Mi ha riconosciuto subito. Pioveva forte, così è salita in macchina senza le precedenti dimostrazioni di mercanzia. Mi ha salutato con un bel sorriso e ha detto con tono dolce “Andiamo a parlare un pò, timidone?”

  Così ci siamo ritrovati di nuovo sulle poltrone del mio appartamento. Le piaceva confessarsi e io volevo sapere avidamente di più di lei. Mi raccontava con il solito latte in mano delle scuole, l’incidente dei suoi genitori in tangenziale, degli amici sbagliati, dei suoi desideri e della sua rassegnazione. Poi, come fosse in obbligo di seguire il processo meccanico, la routine del suo mestiere, mi slacciava i pantaloni e prendendo e agitando il mio membro, incominciava a succhiarlo e leccarlo con la sua professionalità da strada. io non dicevo niente, non riuscivo a frenarla e a tirarmi indietro come mi ero ripromesso i giorni precedenti. Sentivo sempre un debole freno bloccare le mie intenzioni, ma le forti sensazioni che Susanna mi provocava, rapire la mia lucidità.

  In alcune occasioni provavo a baciarla. Mi veniva naturale, ma lei si fermava, mi guardava dura e stranamente distante. Diceva con durezza “No, niente baci.” E poi riprendeva con forza meccanica i suoi movimenti, strofinandomi con agilità la sua vagina umida in faccia come se fosse ben cosciente che potevo farne a meno.

  Non resistevo più di qualche giorno senza vederla, ho tentato di respingerla e di non cedere più a quel peccato, ma erano sensazioni troppo forti. Così quando ne sentivo il bisogno, tornavo al solito viale. Susanna lì, pronta come ogni sera, ad aspettare, per poi venire via con me. E iniziavamo i soliti dialoghi, le confessioni, la ricerca di particolari delle nostre vite così diverse. Poi a conclusione di quell’incontro i giochi erotici di Susanna, le posizioni, la naturalezza dei suoi gesti.

  “Quanti clienti hai avuto stanotte?” Chiedevo ogni tanto gelosamente.

  “Mah, forse una dozzina.”

  “Sei stanca?”

  “Un pò. Ci facciamo un bagno?”

  “Sì angelo, ti preparo subito la vasca."

  “Sì, ma voglio che ci entri anche tu!” E finiva sempre così, mi catturava con il suo fare intrigante, malizioso, mi rapiva con le sue proposte inattese e sorprendenti e il cuore e l’anima dondolavano sempre più vorticosamente nell'oblio.

  Stavamo bene insieme, gli incontri sono diventati sempre più frequenti, fino ad incontrarla ogni sera. Mangiavamo qualcosa guardando la tv, leggevamo stesi sul divano dei libri che compravo la mattina girando per le librerie del centro, riempivo la vasca e ci infilavamo desiderosi di parlare e avere un pò di tranquillità, lontano da ogni cosa.

  Ci incontravamo sempre di notte, solo di notte. Avrei desiderato vederla di giorno, magari entrambi camuffati e nascosti dietro altre identità. Sentivo il bisogno di averla sempre più spesso, ma solo per me. Ero geloso dei suoi clienti, dei suoi protettori. La desideravo più di ogni altra cosa. Avrei lasciato il mio lavoro per lei, pur di convincerla a mollare la strada e venire via con me. L’avrei protetta io, con tutto me stesso. Saremmo potuti andare a Siena e vivere insieme. In qualche occasione gliene parlavo ma Susanna non era d'accordo. S’innervosiva, aveva paura e dimostrava tutto il suo distacco emotivo. Quando finivamo per fare l’amore dopo queste discussioni, mi sembrava così finta, una bambola a pile pronta a soddisfarmi solo per il prezzo che io ero pronto a pagare. Così quando si dimenava o godeva rumorosamente graffiando la mia pelle, la bloccavo con violenza e le dicevo con tono freddo “Puoi anche fare a meno di gemere per forza, non sono uno dei tuoi clienti impotenti. Riesco a godere anche se non fai finta. Ti sento lo stesso, anche se non fai la troia.”

  Una sera ho usato troppa violenza nello sfogare la mia ira per quella sua scomoda incomprensione. Mi fissava con un certo stupore, ha detto “Guarda che non faccio finta. Con te è diverso, ti voglio bene e sto godendo sul serio.”

  “Sì? E allora perchè limiti tutto a questi incontri furtivi?” Ho risposto con rabbia. “Perchè non vuoi andare oltre se ti fa star bene?”

  “Non puoi capire. Ci tengo a te, sei speciale, ma&ldots;”

  “Perchè non mi baci? Perchè forse sono pochi i soldi?”

  “Non è così. Non capisci. Non è così!” Ed ha preso a piangere come una ragazzina, scoprendo per la prima volta la sua fragilità, che fino a quel momento avevo solo immaginato.

  “Perchè non molli tutto e vieni via con me, una volta per tutte?” Ho detto abbracciandola con forza e determinazione.

  “Che stronzo!” Ha risposto lei, dimenandosi nervosamente.

  “Perchè no?!”

  “Ma cosa dici!? Cosa credi di poter fare!?” Ha risposto con fredda tensione.

  “Voglio solo farti stare bene. Che c’è di male?”

  “E chi ti credi di essere per credere poter cambiare la mia vita?”

  “Ti voglio bene e voglio aiutarti.”

  “Sei esattamente come gli altri bavosi che si preoccupano tanto, ma poi vogliono sempre la stessa cosa.”

  “Ma perchè pensi questo? Sto bene con te e penso che se vogliamo, possiamo cambiare le cose.”

  “Sei solo patetico.” Ha detto alzandosi dal letto e rimettendosi i vestiti. “Ascolta, io sono semplicemente una squallida puttana da strada e basta. Tu, un prete ferito dal peccato e dai rimorsi di coscienza, che crede di fare il martire di sè stesso. Dove pensi che andremo a finire?”

  “Sono deciso a lasciare la mia professione per te.” Ho detto con convinzione.

  Ha puntato il dito violentemente. “Ascolta! Io sono semplicemente una puttana, tu un prete. Niente di più, niente di meno. Chiuso il discorso.”

  “Ti amo. Il resto non conta nulla per me.”

  “Cosa?! Ma sei scemo? Smettila di sparare cazzate!”

  “Allora dimmi che per te non è lo stesso, che non mi ami. E lasciamo perdere tutto.”

  Mi ha guardato con uno sguardo diviso tra affetto e odio, e con il tono che sapeva usare bene per un rifiuto, ha detto “Riportami al viale.”

  “Susanna&ldots;”

  “Subito!!” Ha urlato isterica. “Altrimenti strillo da far uscire tutti i tuoi amici preti, vescovi o chirichetti del cazzo!”

  Lungo quel tratto di strada fatto tante volte con in mente desideri sempre diversi e pulsanti, non riuscivo a far altro che guardarla ad intermittenza. Mi sono fermato sul ciglio della strada, lentamente, affiancandomi al chiosco di un’edicola.

  “Dimmi che non mi ami e io lascio perdere tutto e non torno più.”

  Rimaneva in silenzio, guardava la grossa auto bianca con una strana tristezza. Ho allungato una mano per accarezzarle il viso, Susanna si è girata di scatto e ha quasi urlato con tono incontrollato “No! Non ti amo!! Non Ti amo, capito!?! Sei solo un fottuto cliente! Un bastardo! Uno stronzo come gli altri!!” Ed il suo sguardo è rimasto quasi senza equilibrio davanti al mio stupore e al duro senso delle sue parole. Poi prima di scendere ha concluso con fare minaccioso “Se non vai via e non mi lasci in pace, chiamo i ragazzi laggiù che ti vengano a pestare per bene.” Ed è uscita gettando tutti i miei soldi sul sedile. L’ho guardata ancora un’ultima volta, mentre tornava sul marciapiede vicino al suo pino potato di ogni ramo. Camminava veloce, fingendo serenità, con il solito movimento esagerato di braccia, nervosa, elegante, maliziosa. Fragile. In attesa di qualche altro cliente.

  Sono ripartito senza più pensieri o desideri in testa, perdendomi impotente nello sconforto dei sentimenti e della nebbia di Milano.