Il vuoto portatile

 

In una stanza dell'albergo Excelsior, e precisamente nella stanza 458, katrin, una ragazza bionda, fasciata in un completo blu e dalla faccia visibilmente provata, aveva fatto cadere dalla sua valigia aperta, nel tentativo di spostarla, tutto il suo contenuto. Aveva imprecato,poi si era imposta di calmarsi dall'agitazione nervosa accumulatasi durante il viaggio.

Si era inginocchiata sul manto morbido del tappeto rosso e , aperta la valigia al suo fianco, aveva cominciato a riporre al suo interno i suoi vestiti. Non era solita portarne tanti,eccedeva solo leggermente l'essenziale, capi di seta o cotone, un jeans e qualche gonna, qualche altro completo, era molto meticolosa e le piaceva prevedere tutto. Per l'estate torrida romana questo era tutto quello che bastava.

Dal mucchio di abiti ne trasse una canottierina marrone di filo, la guardò e pronunciò il nome di Giulia, che avrebbe dovuto sbrigarsi a chiamare . Notò che era bagnata in un angolo. Toccando sotto il mucchio si accorse che altri abiti si erano bagnati, perché la piccola bottiglia di acqua e sassi, che portava sempre con se,si era rotta cadendo, riversando il suo contenuto su alcuni abiti e sul tappeto della stanza. Solo un po' d'acqua s'era conservata sul coccio piu grande che era rimasto , mentre i sassetti erano sparsi un po' ovunque sotto i vestiti.

Corse in bagno a sciacquare un'altra bottiglia, poi con molta calma travasò quel poco di acqua rimasto e tutti i sassetti che riusciva a recuperare . Riposizionò la bottiglia su di un lato della valigia, adagiandola nel morbido dei vestiti . Trovò poi il suo pettine,e lo tenne tra le mani pensierosa, mentre la sua immagine si rifletteva nello specchio a tre ante che faceva da separè tra la stanza e il guardaroba.

Il suo viso era pallido, e scavato, e la figura nel suo complesso le appariva malinconicamente stanca, ancor più in quella posizione abbandonata.

Lentamente si passò il pettine tra i capelli biondi, morbidi, a caschetto. Lo guardò ancora con i suoi intarsi, passò l'indice sulle perline rosse che lo ornavano; e poi parlò verso lo specchio rivolgendosi alla sua immagine riflessa: rievocò la madre, il modo che aveva di impugnarlo , l'incavo che si formava nel palmo della sua mano e che si era impresso sulla pellicola della sua memoria.

"Sono proprio come non avrei voluto essere,uguale a te mamma, sola, abbandonata, prostrata ad ogni forza, in balia di ogni smottamento".

Pianse . Con la testa tra le mani. Un pianto amaro, silenzioso.

Poi si calmò.

"Eppure non riesco ad odiarti, ti perdono ogni cosa, non preoccuparti, è tutto passato" disse ancora stringendo al petto quello che era probabilmente uno dei ricordi della madre più grande rimastogli.

Il vortice dei suoi pensieri fu bruscamente interrotto, qualcuno aveva bussato. Si asciugò in fretta le lacrime,si mise a posto alla meglio, e poi fece entrare il cameriere con la colazione, un ragazzo dalla pelle liscia e dalla voce gutturale che si sforzava di farfugliare qualche sconnessa parola di inglese.

"Puoi parlare anche in italiano, sono un interprete , capisco quello che dici" gli disse col suo accento straniero mentre lo osservava sistemare la tavola.

Lui farfugliò qualcosa forse con eccessiva enfasi, poi buttò lì quella frase, timidamente:

"&ldots;se posso esserle utile, in qualsiasi cosa, può chiedere personalmente di me, a qualsiasi ora, io sono Mario" accompagnando tutto con uno sguardo ammiccante e un sorriso breve. Era un giovanotto aitante , di corporatura robusta e dai modi apparentemente gentili. Forse un po' troppo giovane , ma ci avrebbe pensato.

Conoscevo quel Mario, lo avevo visto più volte utilizzare questo approccio, e devo dire che funzionava. Le donne in genere apprezzavano.

Insieme a Luca, un ometto servile dalla fronte eccessivamente spaziosa, divideva il servizio in camera, ed era , tra i due, quello preposto a trattare con le signore, tanto più se sole. Il Signor Vinci, il capo del personale, mi aveva detto una volta che le donne apprezzavano la sua compagnia, e che questa era la sua filosofia.

Squillò il telefono :

"Pronto, si ? " si distese sul letto sfilandosi le scarpe.

"Pronto, Giulia sei tu? Come stai? Tutto bene lì? Stavo per chiamarti&ldots;&ldots;

"Sono stanchissima, vorrei dormire , ma questa insonnia mi uccide&ldots;e poi tra qualche ora ho un appuntamento, devo farmi bella&ldots;&ldots;&ldots;&ldots;.

"Con Soldini, te ne ho già parlato, mi aspetta nella hall alle undici; quell'uomo attempato, molto cortese ma un pò subdolo, ricordi?

Andiamo a pranzo e poi a prendere all'aeroporto questo Murovich. In viaggio ne ho approfittato per leggere qualche suo libro, tu lo conosci ? Che ne pensi?&ldots;&ldots;..

"Il viaggio è stato più breve di quanto credessi, un po' di sbattimento, qualche vuoto d'aria, ma ormai ci sono abituata&ldots;

Ah, salutami Julien, ed anche Lothar, digli che gli porterò un regalo&ldots;&ldots;

"&ldots;&ldots;&ldots;

"Soldini mi ha detto che il mio viso funziona in televisione, dice che la mia semplicità nordica piace al pubblico italiano.., gli chiederò di portarmi per Roma, un 'oretta, devi vedere , è soleggiata, rumorosa, antica. Giulia, ti piacerebbe&ldots;

"Si è rotta la bottiglia, sai&ldots;quella con i sassi e l'acqua del lago, è un brutto segno, ma sono riuscita a recuperarne un po'&ldots;..

"Mi sento meglio, l'aria di Roma mi ha rinvigorita un po', sono felice, non devi stare in pensiero per me, pensa che prima mi sono messa a ridere da sola davanti lo specchio; passerà questo periodo, è questione di tempo&ldots;

"&ldots;&ldots;&ldots;.

"Forse ti chiamo stasera, ciao Giulia, non preoccuparti, stammi bene, ciao"

Accese la televisione , così, di sottofondo, per occupare quel silenzio; poi con il suo buitecase andò in bagno. Posizionò un numero esorbitante di bottigliette e tubetti sulla mensola accanto il lavabo, una crema dermoplastica, un olio rassodante, dei doccia-shampoo, alcune creme per il viso e molte varietà di balsami in flaconi colorati. Doveva essere una persona molto attenta al proprio corpo, forse proprio per il fatto di dover apparire in televisione accanto ad ospiti più o meno illustri.

Le rughe che si aprivano lievi ai margini degli occhi erano per lei fonte di smarrimento. Non poteva permettergli di farsi strada, la sua vanità la obbligava a rimediare in qualche modo.

La vidi correre in camera da letto, mentre la televisione proiettava immagini di corpi dilaniati dalla ferocia dei bombardamenti, e cacciare dalla sua borsetta di pelle nera una bottiglietta dalla forma arcuata; piegata sul lavandino se ne spalmò alcune piccole gocce su quelle rughe, poi sorrise contenta di sé.

Sentii che aveva comprato quel prodotto nel negozio dell'albergo pensando ingenuamente (se ne rendeva conto) che tanta pubblicità non poteva essere fatta per nulla.

Poi si adagiò sul letto matrimoniale, gli occhi sbarrati ad osservare il soffitto di un colore rosa tenue. Per un attimo mi sembrò che mi vedesse. Stette lì qualche minuto, immobile, a riposare i muscoli stanchi e sforzandosi di non pensare a nulla. Gli occhi erano spalancati ma sembrava che dormisse. Era rigida come un'asta di metallo, con gli occhi sbarrati, l'addome che si gonfiava e si sgonfiava era l'unica cosa a segnalarmi che era ancora viva. Poi, ad un tratto, suonò la sveglia.

Lei sembrò destarsi da un torpore che l'aveva avvolta di sorpresa. Erano le dieci, tempo di prepararsi, si fece velocemente una doccia, poi fu in bagno a truccarsi. Aveva una corporatura esile e una pelle chiarissima, apparentemente molto delicata. Si vestì in fretta e poi, dopo essersi ben guardata per un 'ultima volta nello specchio, uscì.

 

  Aspettai qualche minuto prima di uscire. Un uomo una volta stava per beccarmi tornando indietro a prendere il telefonino; da quella volta ero diventato molto più prudente. Mi misi ad osservare la camera.

Katrin aveva lasciato la stanza da bagno completamente sottosopra: numerose asciugamani erano fradice a terra, e in un angolo alcuni abiti, della biancheria ed un flaconcino di plastica giallo. Per il resto la camera era in ordine. Fui tentato di curiosare nella sua valigia ma mi trattenei.

Tutto sommato avevo già visto quello che conteneva, ed in fondo non mi sembrava niente di interessante. Sul comodino c'erano due libri del tale di cui aveva parlato, Rudolf Murovich, uno scrittore americano di origine polacca che era probabilmente in Italia per presentare la sua ultima opera. Dietro il secondo c'era la sua foto, un tipo comune, di mezz'età, con un naso appuntito sul quale era appoggiato come in equilibrio precario un paio di occhiali neri dalla montatura demodé.

Aprii qualche pagina e vidi che c'erano delle sottolineature, mentre altre parti del libro mi sembravano non essere mai state aperte. Katrin aveva voluto leggere qualcosa, la prima cosa che aveva trovato, più per lavoro (non poteva incappare in una gaffe così banale) che per proprio piacere. Aveva scritto qualche appunto in tedesco credo, lingua che purtroppo non conosco.

Li misi nella stessa posizione in cui li avevo trovati, andai in bagno, mi sistemai un pochettino, stetti un po' a passeggiare tra lo specchio e la finestra.

Lentamente la luce declinava facendo assumere ai palazzi un colore ancor più ingrigito. Poi tornai al mio posto ed aspettai.

 

  Tornò molto tardi, quando era già notte, katrin. Io mi ero addormentato nel mio cantuccio e se le sue risate non fossero state così forti, probabilmente non mi sarei svegliato. Era ubriaca fradicia, ciondolava e sbatteva da una parte all'altra, tentava di appoggiarsi alle pareti. Il suo viso era una smorfia tra il riso e il pianto.

Dietro di lei un uomo tentava di reggerla, era molto elegante, avrà avuto il doppio dei suoi anni, chiuse la porta alle sue spalle. Sudava copiosamente e si lamentava che l'aria condizionata non funzionasse.

"Katrin, ora ti metti sul letto che ti aiuto a spogliarti"le dice con voce marcatamente sottile.

Lei però dietro il torpore dell'alcol ancora manifestava qualche resistenza:

"Signor Soldini, faccio da me, non si preoccupi, sono maggiorenne ormai, ..non sono più una bambina; ma cosa fa, signor Soldini? La prego mi lasci in pace&ldots; vuole giocare&ldots; "e continuava a sparlare, ridacchiando , agitandosi barcollante per tutta la stanza.

L'uomo la fece sedere sul letto, poi le tolse le scarpe accarezzandole i piedi, li baciò, si vedeva che la desiderava, poi le spinse le spalle e lei crollò sul letto , pesantemente.

Si tolse la giacca mentre Katrin, da distesa, continuava a farfugliare e a ridere: "Dov'è Signor Soldini, è stato gentile, ora avrei bisogno di dormire, è stato gentile, si è fatto tardi, qualcuno l'aspetterà a casa, molto gentile&ldots;. simpatico Murovich , non crede, una persona affabile, molto spiritosa&ldots; .ah, non dovevo bere così tanto"

Lui si tolse le scarpe, si allentò la cravatta e le si gettò sopra baciandola e toccandole il seno. Mi sembrò come se fosse chiusa in una morsa da cui non riuscisse a divincolarsi.

Poi lo strattonò . Cominciò a sbattersi violentemente irrigidendosi e piegandosi, sferrando una raffica di colpi a caso che investirono Soldini e lo catapultarono a terra. Katrin si alzò, il viso terribilmente arrossito dalla collera, la sua gonna stracciata che le scopriva la coscia destra fin quasi all'altezza del pube. Urlava. "Porco , ti ho detto di andartene, con chi cazzo credi di avere a che fare.. "saltellava infuriata dalla rabbia che l'alcool contribuiva ad aumentare. L'uomo era semiagonizzante ai lati del letto, non lo vedevo, lo sentivo biascicare qualcosa , probabilmente intontito dalla caduta. Lei gli diede un calcio in un fianco ed io sentii Uff! e un muguglio ancora più forte. Era davvero infuriata, ed ora urlava, gli gridava che se non se ne fosse andato lo avrebbe ucciso.

L'uomo non rispondeva, respirava affannosamente, vedevo solo il suo braccio muoversi tra il petto e il terreno ma non il suo volto.

Alla fine lei si calmò, smise di saltellare e gli si avvicinò con prudenza:

"Signor Soldini, ok, calmiamoci un attimo, facciamo finta che non è successo niente, &ldots;ma ora se ne deve andare, ..io voglio che se ne vada, allora si alzi, qui c'è la sua giacca e se ne vada&ldots; Signor Soldini, allora mi risponde, le sue scarpe..

.. mi deve scusare ma è lei che mi è saltato addosso, su, la aiuto ad alzarsi"

Lo aiutò, ora vedevo il suo viso contratto, lo aveva conciato male, si trascinava per la stanza appoggiato al braccio di katrin&ldots;. Lo portò fino alla porta, lo fece appoggiare ad una parete del corridoio, poi corse in camera a prendergli la giacca e le scarpe.

Sentivo Soldini farfugliare qualcosa , ma non arrivavo a sentire tutto:

 "Katrin&ldots; le chiedo scusa.. avevo creduto male.. mi deve scusare, ma non so che mi è preso, un raptus, non lo dica in giro, la prego, ..ed ancora mi scusi&ldots; "

Lei lo aiutò a rimettersi la giacca, poi lo accompagnò fino all'ascensore, gli disse di non preoccuparsi, e vide sparire la sua figura tremante e malconcia inghiottita dai battenti dell'ascensore.

Tornò in camera parlando tra sé in tedesco. Si guardava la gonna stracciata, mentre si versava un whisky; poi andò in bagno.

Per un po' sentii solo lo scroscio dell'acqua. Era visibilmente più distesa quando , in accappatoio bianco, ritornò nella stanza.

I capelli biondi fradici e pesanti le gocciolavano sulle spalle.

Stette in silenzio ad asciugarsi davanti lo specchio, poi disse:

"Ti senti di nuovo sola, vero katrin&ldots; perché lo hai fatto salire, non mentire almeno a te stessa , ..se ci fosse andato più piano forse ci saresti stata, anche se non ti piaceva, ammettilo! "

"Come sei misera! Patetica! Ecco, patetica! " .

La rabbia aveva fatto svanire i fumi dell'alcol nell'aria afosa della stanza. In accappatoio si distese sul letto, su di un fianco, guardando dritto davanti a se la parete rosa , con la testa ancora umida sul cuscino morbido. Sentivo una gran pena . Mi dava l'idea di avere una solitudine dentro incolmabile. Per quanto si sforzasse di abituarvisi, non riusciva a convivere con quel vuoto portatile che portava sempre con se al suo fianco.

Quanti ne ho visti di esseri del genere, ce ne sono centinaia in queste stanze, più di quanto si sia portati ad immaginare, un popolo di solitudini, compagne indesiderate. Katrin ignorava che io fossi lì a pochi metri, a distanza di odore ad osservare, analizzare , registrare.

Solo pochi percepivano di essere spiati, e col tempo questo numero era ancora diminuito.

Mi ero oramai calato , pienamente col corpo e coll'anima, nel mio ruolo di osservatore.

Poi , prese il telefono, digitò lo zero e attese in silenzio.

"Stanza 458, potrebbe mandarmi Mario, avrei necessario bisogno di lui" e le parole sembravano essere risucchiate dalla cornetta del telefono, accarezzando il silenzio della stanza.

Passarono alcuni minuti, poi la porta bussò. Non si aspettava di trovarsi davanti Luca, l'altro cameriere, i cui occhi sottili subito caddero sulla curva di seno che l'accappatoio scopriva . Katrin si coprì immediatamente.

"Posso esserle utile? L'ho vista arrivare un po' brilla, poi ho visto andare via quel signore un po' trasandato. Ha bisogno di qualcosa? "

"Veramente io ho chiesto di Mario" disse arrossendo "non è possibile farlo venire" abbassando gli occhi, come a sfuggire al suo sguardo.

"Ma può chiedere a me, non si preoccupi, mi dica, potrei aiutarla" .

Il piccoletto insisteva. Muoveva la mano e il collo come se stesse per inchinarsi ognivolta che parlava.

"No, va bene , è tutto ok, la ringrazio lo stesso" e gli sbatté quasi la porta sul grugno sbuffando.

Dopo qualche minuto, katrin, che intanto si era tolta l'accappatoio, e aveva indossato un completo intimo nero, sentì di nuovo la porta bussare. Indossò una vestaglia e chiese chi era: stavolta era Mario. Quando aprì comparve un ragazzo che quasi non riconosceva.

"Ma sei tu? Stento a riconoscerti senza la divisa da cameriere".

Lo fece accomodare , gli offrì qualcosa da bere, poi lo baciò senza indugio. Lui la spogliò facilmente poi la stese sul letto e cominciò a baciarle il corpo. Purtroppo spensero la luce. Ebbi solo il tempo di vedere lei che lo spogliava, poi fu il buio per me , nella penombra riuscivo solo ad indovinare vagamente le forme dei due corpi avvinghiati. Fu un'ora di ansimi e lamenti, riuscivo a cogliere qualche parola.

 Dopo ci fu il silenzio. Apparentemente sembrava dormissero. Solo dopo un po' colsi il luccichio di due occhi spalancati:

"Mario, ehi, svegliati&ldots; " disse accendendo la luce e scotendolo.

Gli abiti di lui erano a terra o sulla sedia alla sinistra del letto, lui era a faccia in giù, con i capelli neri arruffati, sotto le coperte di cotone verdine.

"Mario, ce l'hai una sigaretta&ldots;? "

"Nel pantalone&ldots; "gli indicò il pantalone sulla sedia col braccio sinistro, sempre disteso; poi si sollevò seduto sul letto, si passò le mani sulla faccia e tentò di pettinarsi.

"Che ora è? Sono proprio crollato", tra poco sarebbe dovuto andare, aggiunse prima di sapere l'ora.

"Sai almeno come mi chiamo? Katrin. Non te l'ho detto prima. "disse lei accendendosi la sigaretta.

Intanto lui già stava vestendosi.

"Katrin, un bel nome, &ldots;senti, per la mancia magari domani mattina quando ti porto la colazione &ldots;."

"Ah, la mancia&ldots;.si " disse lei rassegnandosi a stare in silenzio. E così fu. Fino a quando lui non si fu messo in ordine e avviato verso la porta, non fu detta altra parola. Solo un timido e freddo ciao fu una parentesi in quel silenzio.

La luce si spense e dopo un po' la sentii ronfare. Era finalmente riuscita ad addormentarsi.

 

  Fu svegliata dalla luce del sole che, superando la finestra semichiusa, le intercettò gli occhi. Si rigirò prima fra le coperte, si aprì in uno sbadiglio allargando le braccia, poi corse nel bagno. Trovò l'orologio, che credeva di aver perso, sotto gli indumenti che aveva lasciato disordinatamente nel bagno. Se ne rallegrò, ci era affezionata.

"Voglio uscire stamattina, via da questa cella" si disse mentre cominciava a vestirsi.

Poi bussarono alla porta.

Quel rumore sordo le riportò alla mente la serata del giorno prima, ricordò quello che era solo temporaneamente svanito tra le reti di un sogno.

Tutto le riaffiorò, il signor Soldini che , malconcio, se ne tornava a casa, ed ancora prima Murovich che con le sue domande l'aveva disorientata, e Mario che ora le portava la colazione, e che voleva il denaro, "la mancia" come l'aveva chiamata, per una prestazione che poi non era stata neanche un granché.

Lessi i suoi pensieri, questi pensieri che balenarono nella sua testa nei pochi istanti di silenzio che passarono prima di aprire. Fu visibilmente sorpresa quando fu Luca a farsi spazio col carrellino e a indirizzarsi verso la tavola da apparecchiare. Lo osservò sbigottita senza sapere cosa dire. Le mani svelte dell'omino si muovevano frenetiche tra il carrello e la tavola e in un attimo la colazione fu pronta per essere consumata.

"Ecco qua, è tutto pronto, senta&ldots;.vengo anche da parte di Mario, mi ha detto che per quel fatto della "mancia" può parlare con me, lui ha avuto da fare" disse guardandola con un sorrisino lieve.

"Si, ho capito"disse Katrin imbarazzata, cercando il portafoglio e poi porgendogli del denaro.

"Credo che basti !" e gli porse una banconota da centomila lire.

Luca divenne ad un tratto serio, la guardò intensamente.

In quello sguardo c'era tutta la sua vera natura, temetti quasi che stesse per schiaffeggiarla. Poi riprese i suoi modi servili:

"Non avete concordato il prezzo con Mario? "

Questo mercanteggiare (e tra l'altro con un terzo e non direttamente con Mario) le provocava un imbarazzo che le bloccava le parole in gola. Desiderava che se ne andasse e per questo farfugliò qualcosa, gli diede qualche altra banconota e poi lo invitò ad uscire.

Quando fu sola pianse, seduta a tavola con le lacrime che le cadevano nel piatto vuoto. Andò al telefono, digitò lo zero e chiese una chiamata. Stette qualche secondo in silenzio, ad asciugarsi le lacrime, poi attaccò quando qualcuno rispose.

Camminò avanti e indietro per la stanza, poi squillò il telefono.

"Pronto, Giulia, si ero io&ldots; forse non mi sentivi&ldots;

"Sto male Giulia , non ce la faccio, non riesco a calmarmi&ldots;

"Si, credo che farò così, non ce la faccio a rimanere rinchiusa qui, ..ieri poi ho picchiato Soldini , mi aspetto che venga da un momento all'altro a dirmi che mi licenzia, &ldots;non ho neanche fatto una buona impressione su Murovich, ieri mi sono ubriacata come una collegiale&ldots;

"Mi vergogno Giulia, terribilmente&ldots;

"ok,&ldots;. .ok,&ldots;. .va bene&ldots;

Ed attaccò. Prese la valigia che precedentemente aveva deposto sotto il letto, la aprì e, eccetto l'abito grigio che aveva intenzione di indossare, vi posizionò disordinata-mente al suo interno tutte le cose. Poi corse in bagno, vuotò tutto l'esercito di bottigliette e tubetti nel cestino, gettò qualcosa nel water e tirò lo scarico.

Si preparò. Chiuse la valigia, guardò un ultima volta la sua immagine nello specchio, soprappensiero.

"Si , faccio bene" si disse girando i tacchi e chiudendosi la porta alle spalle.

 

 

  Stetti in attesa qualche minuto. Sentii qualcuno bussare ed andarsene. Poi aprii la grata e scesi dalla condotta dell'aria. Sentivo i muscoli terribilmente intorpiditi ed inoltre avevo una gran sete .

Osservai ancora quella stanza e i suoi colori che, man mano che il sole si impadroniva del giorno, diventavano più pronunciati.

Poi me ne andai. Nella stanza 649. Una stanza per molti aspetti simile ma legger-

mente più grande. Anche qui l'aria condizionata non funzionava. Mi risistemai nel condotto dell'aria e stetti ad aspettare, in silenzio.

FINE

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belriguardo@hotmail.com, Stefano Crupi , via Ricciardelli 35 , 81100 Caserta