NOME AUTORE: Carlo

 

COGNOME AUTORE: Menzinger di Preussenthal

 

EMAIL: carlo.menzingerdipreusse@tin.it

 

BIOGRAFIA: Sono nato il 3 gennaio 1964 a Roma dove ho frequentato il Liceo Classico e mi sono laureato in Economia e Commercio. Dal 1991 lavoro in banca. Nel 1994 mi sono sposato a Firenze, dove nel 1997 è nata mia figlia.

 

Il libro è stato pubblicato nel 2001 ed è distribuito dalle librerie FNAC, qui trovate il primo capitolo e la presentazione

------------------------------ SEGUE IL TESTO ---------------------------

 

COLOMBO D'ACQUA

(dal romanzo inedito di Carlo Menzinger di Preussenthal "Il Colombo divergente")

 

	Non è stato facile raccogliere una ciurma adeguata. I marinai d'alto mare non sono poi così numerosi e tra questi quasi nessuno è disposto ad affrontare un'impresa tanto incerta. Il Re ti ha messo a disposizione alcuni galeotti (forse con l'inespresso desiderio che qualcuno, in un raptus, ti elimini, forse con un ordine preciso). E', tra l'altro, gente di poca o nessuna esperienza nella navigazione d'alto mare. Qualche marinaio di costa si è prestato al viaggio, forse più per ignoranza dei rischi che per coraggio. Un buon apporto di uomini lo hanno fornito Luis de Santangel, Diego de Deza e Gabriel Sanchez, i tre ricchi conversos che ti hanno finanziato. 	

Il 2 agosto del 1492 scade infatti l'ultima proroga concessa agli ebrei per rimanere in Spagna, prima dell'espulsione dell'intero popolo e della sua ennesima diaspora. I tre, invitandoti a salpare entro tale data, ti hanno permesso di raccogliere alcuni ebrei convertitisi (alcuni solo il giorno prima) e non del tutto sprovvisti in cose di mare. Gente che in condizioni normali non avrebbe mai affrontato un simile viaggio ma che, spinti dalla disperazione, ben volentieri ora affrontano qualsiasi rischio pur di evitare la certezza del fuoco dell'Inquisizione che, scaduto il termine, si sarebbe scatenata contro di loro con ancora maggior violenza che in passato.

 

	"Io sono un brigante baffuto dal coltello facile e lieve che viene a solleticarti l'anima e a farla schizzar fuori".

	"Io sono un mercante di sogni che ha venduto così tanti incubi che i clienti gli corrono dietro".

	"Io sono l'assassino che ha ucciso suo padre e sua madre il giorno prima che si conoscessero. Io sono l'assassino che ha ucciso la speranza che è sempre l'ultima a morire ed ora attorno a me c'è il vuoto".

	"Io sono un marinaio d'acqua dolce, un pesce fuor d'acqua, uno che annega in un bicchiere mezzo vuoto credendolo mezzo pieno. E' tutta la vita che spiego le vele al vento ma il vento continua a non capirmi".

	"Io sono il vento che soffia nelle vele, io sono il vento che sconvolge il mare, io sono il vento che ti spinge, ti affonda e ti perde".

	"Io son d'Israele figlio, mio padre è il solo Dio ed il mio è il popolo eletto ma l'Inquisitore m'attende su un uscio di fuoco nel quale l'anima mia intende gettare. Ho fatta ricca la Spagna ma la Spagna invidia il mio oro, ho insegnato la mia scienza ma la Spagna invidia la mia conoscenza. Le Perdute Tribù fuggo cercando".

	"Io son marrano convertito all'Islam in cerca di un nuovo Dio, m'hanno parlato di Zoroastro, m'hanno parlato di Zeus, m'hanno parlato di Thor. Son uomo di fede che ha perso il suo Dio. Ho messo un cartello. Nessuno m'ha risposto.".

	"Io son ebbro ubriacone dalle reni gonfie di vino rosso, son ebbro ubriacone dalle vene di vino, vino rosso di Spagna, vino che fa buon sangue".

	"Io son ladro e furfante, son truffatore e birbante, son pirata e brigante, di lavorar poco m'aggrada, anzi per nulla, ma la gola al boia porger non voglio".

	"Io ho pensieri così leggeri che per fermarne il volo devo ancorarli al peso della mia voce, al cui suono soltanto assumono consistenza. Parlo dunque. Parlo spesso. Parlo sempre. Parlo e nessuno mi sta a sentire e perciò parlo da solo. Alcuni per questo mi credono pazzo. I più distratti mi credono indaffarato con qualcosa di impercettibile ed inconcepibile. Spesso porto una conchiglia all'orecchio, per darmi un contegno, e parlo con il mare. Il mare è il mio miglior amico. Per questo m'imbarco, per questo sono marinaio. Il mare t'ascolta sempre, non fugge mai via. Nella conchiglia lascia sempre la sua risposta. Un mormorio, ma mi basta".

	"Io sono Ananke. Sono la Necessità. Io devo. Io devo partire. Io devo. Io devo andare. Devo. Il mio destino è segnato. Il tuo destino è segnato. La Volontà m'accompagna servile. E' necessario salpare. Si deve salpare. Prepariamoci e partite. Io sono la Necessità di partire. Vi guido dal molo. Vi sono vicino. Sul molo. Con il mio lungo mantello mi riparo da questo sole d'agosto".

	"Siamo la tua ciurma, ciurmaglia rissosa, rissosa gentaglia di porto e di mare, fetente accozzaglia di scarti del mondo. Siamo la tua gente, Colombo. Siamo uomini tuoi, Cristoforo. Siamo gli eroi che verso le Indie spingeranno il tuo sogno. Che questo t'aggradi o anche se ti reca disturbo, noi siamo con te, Colombo. Ti faremo penare ma ti porteremo per mare. Se questo t'aggrada oppur no, poco importa: ti saremo compagni".

 

 

Imbarcati Giona per Tarsis.

Salpa Colombo per le Indie e Cipango.

	

	Tra due caravelle leggere e snelle, la Santa Maria, una nao dipinta di fresco con colori sgargianti, sonnecchia panciuta nel borbottio di una pigra risacca, i castelli ed i leoni dei re di Spagna e la tua ancora dorata in campo azzurro, dipinti sulle bandiere, se ne stanno mollemente distesi lungo l'albero di maestra.

	La Santa Maria è una nave meno veloce della Pinta e della Santa Clara, le due caravelle, che, con la nao, che prima si chiamava La Gallega ma che tu hai ribattezzato appunto, sperando ti porti bene, Santa Maria, compongono la tua piccola flotta. La tua nave ammiraglia è anche la più grande delle tre: i suoi 30 metri ospitano un equipaggio di 39 uomini.

	Le altre due sono dei gioiellini della tecnica navale iberica. Ideate per navigare lungo le coste africane, sono assai manovrabili, grazie al loro innovativo timone di poppa e al nuovo tipo di velatura. La Pinta, lunga 22 metri, ospita 26 uomini. La Santa Clara, anche nota come Niña, dal nome del suo armatore, è la più piccola delle tre, con i suoi 20 metri di lunghezza. Ospita 22 uomini.

 

	Le banderuole a forma di fiamma, con gli stemmi dei reali di Spagna, non riescono a trovare un soffio di vento sufficiente a farle sventolare dagli alberi. Il mare è una tavola piatta e liscia come se fosse stata levigata da poco. I marinai con i loro berretti rossi sono tutti ai loro posti. Hai dato ordine di essere tutti a bordo già dalla sera prima. Nessuno degli ebrei a bordo (anche se tutti convertiti) del resto mai oserebbe porre piede al suolo in questa afosa mattina del 3 agosto, primo giorno per la nuova cattolicissima Spagna, che festeggia per essersi finalmente liberata da israeliti e musulmani. Il mare è di quelli che amano solo i gabbiani per riposare. L'aria è torrida, pesante, caliginosa, poco respirabile. Non è certo una bella giornata di vento di quelle che possono spingere le navi in mare con un soffio di gioia vitale. E' un ben poco fausto venerdì mattina. Palos è muta. Così soffocata da quest'afa estiva, che non suggerisce nulla di buono, che non dà segni di vita. Solo al porto, attorno alle navi pronte a partire verso l'ignoto, c'è movimento. Donne e bambini venuti a salutare. Rari curiosi. Da dietro le case si vede il fumo di un rogo portare in cielo l'anima di qualche sventurato vittima dello zelo persecutorio dei giudici della spada e dell'ulivo.

 

	Tre navi stanno partendo nella bonaccia alla ricerca di una nuova via che faccia giungere ancora copiosa la fragranza delle spezie al naso d'un occidente soffocato, già nella propria culla, dal peso della voluttuosa leggerezza del lusso.

 

	Saluti la tua bella Beatrice e tuo figlio Fernando.

	"Non hai paura, Cristoforo?" ti chiede lei, con lo sguardo umido di commozione "Non ti spaventa affrontare così l'ignoto?"

	"Nessuno dovrebbe aver paura dell'ignoto" le rispondi saccente "si può temere solo la perdita di ciò che c'è noto, di ciò che amiamo. L'ignoto, poiché non lo conosciamo non può farci paura, ed io, Beatrice, sono certo che tornerò e troverò ancora ad aspettarmi chi amo: te, mia cara, e nostro figlio" concludi baciandola e accarezzando il bambino. Peccato tu non le dica che temi di perderla. Troppo romantico, vero?

	"Ma se non conosci i pericoli che dovrai affrontare, come puoi esser sicuro di tornare?"

	"Conosco la mia rotta meglio di quanto tu creda ed il mare è sempre mare, anche oltre le Colonne d'Ercole, anche oltre l'Ultima Thule. Non mi spaventa. Dispongo di nuovi strumenti per misurare la mia posizione e le nostre navi sono quanto di meglio si possa desiderare per una simile traversata. Sono certo di tornare e di tornare vincitore, devi avere fiducia in me ed aspettarmi. Sarà una lunga attesa ma mi sosterrà il pensiero del tuo amore. Mi sosterrà il ricordo dei tuoi abbracci. Non mi lascerò sopraffare dall'Oceano perché il desiderio di tornare da te sarà sempre più forte di qualsiasi tempesta o uragano" rispondi in un impeto di oratoria. Forse parli così un po' per confortarla e un po' per rassicurare te stesso poiché tanta sicurezza mi pare più ostentata che realmente sentita, o sbaglio?

	L'ignoto è anche incognito, rischio, mancanza di informazioni, incertezza sul futuro. Questo lo sai e temi, anche se preferisci non pensarci. Troppe sono le cose che non conosci del tuo viaggio, persino tutti i tuoi calcoli sulla grandezza del mondo e del Mare Oceano in questi momenti non ti paiono poi più tanto attendibili e le rassicurazioni del tuo amico e protettore Pietro Martire sulle terre che troverai lungo la strada quasi ti sembrano fantasie.

	A darti veramente coraggio è l'abbraccio agognato con la tua eterna amante: il mare. L'ignoto può forse intimorirti ma non certo il mare. Del mare ti fidi come solo chi ama può fidarsi. Non ne temi gli inganni, non ne temi le sorprese e le perfidie.

	"Ti amo, marinaio" ti saluta la tua donna, baciandoti.

	"Anch'io, donna. Tornerò. Tornerò prima che tu creda".

 

	Un prete sulla riva benedice i naviganti e le loro navi, lodando ad abundantiam la Santa Trinità:

	"Trinitas supersubstantialis, superadoranda, superbona, supermisericordissima et superamabilissima dirige nos ad superlucidam tui ipius contemplationem, dirige nos ad ..."

 

	Pochi attimi dopo sei già sul ponte della Santa Maria a controllare le velature. Peralonso Niño è da tempo vicino al timone. E così sulla Pinta Rafael Sermiento sta controllando la bussola sulla bitacora. Il pilota Sancho Ruiz ancora non è salito sulla Niña e si attarda sul molo a salutare la procace moglie e la numerosa prole che gli sciama attorno chiassosa. La famiglia Pinzon è ben rappresentata: Martin Alonzo Pinzon è il capitano della Pinta, Francisco Pinzon, quello che con termine marinaresco viene chiamato il padrone, cioè colui che governa la nave; capitano della Niña è Vicente Yanez Pinzon, il padrone è Juan Niño.

 

	Novanta uomini ai bordi dell'infinito. Novanta uomini ai limiti dell'ignoto. Alle vostre spalle una terra per alcuni ingenerosa, davanti una sorte sconosciuta, che potrebbe esser peggiore del passato, celata dal gran deserto d'acqua che v'attende.

	Tre navi pronte a solcare un sogno. E non un filo di vento. Anni di attese e di insistenze, di testardaggini e di disillusioni sono ora qui, concentrati in queste vele fiacche. Contro l'indifferenza degli elementi le caravelle e la nao, infine, si muovono. Ancora una volta la cocciutaggine ha la meglio. E' la tua ostinazione, Cristoforo, a soffiare nelle vele. Il canale del Padre Santo scivola pigramente attorno a voi e vi ritrovate in mare aperto.

	Finalmente ecco il vento! Ma è un vento avverso. Infausto auspicio? Questo viaggio non s'ha da fare!? Tesate le vele triangolari e bracciate i pennoni delle quadre, avviandovi verso sud con andatura di bolina. In sei giorni vi trovate nelle acque delle Canarie. Nonostante i cattivi presagi iniziali, il viaggio ora procede spedito.

	Ma una bestemmia rompe l'incanto: è Rafael Sermiento. Si è sfilato il timone della Pinta che beccheggia oscillando inconsultamente. 	

	Martin Alonzo e Francisco Pinzon sbarcati dalla loro caravella arrivano da te come nere furie dagli occhi di sangue.

	"Qui ci sono dei sabotatori" ringhia Francisco "l'avevo detto! Quel timone non può essersi sfilato da solo. Qualcuno non vuol vederci superare le Canarie".

"Qualcuno?" lo provochi.

	Francisco non risponde ma sai bene cosa pensa. I Pinzon sono convinti, e non ne fanno mistero, che l'armatore della Pinta, Cristobal Quintero, abbia paura di arrischiare la propria nave in acque sconosciute e che cerchi di escluderla dalla spedizione. L'ipotesi ti pare possibile ma hai altri sospetti. In troppi non ti vorrebbero veder partire. Primo fra tutti il Re del Portogallo e con lui molti anche nella stessa Spagna. Anzi, non ti fidi neppure dei Pinzon.

 	

	Martin Alonzo e Francisco Pinzon, capitano e governatore della Pinta, sempre più simili a torve Erinni che a candide Eumenidi, calano nella scialuppa e tornano verso la loro Caravella.

	Le loro allusioni troppo evidenti non vengono gradite, si forma subito un capannello di uomini di Quintero ed è sfiorata la rissa. Parole pesanti si levano in aria e ricadono come sonori ceffoni sulle orecchie dei marinai. Le mani dell'uno si stringono sulle camice dell'altro. Gli occhi lanciano saette appuntite come spade che cozzano tra loro fragorosamente.

	Tu, Colombo di Pace, salito a bordo come un angelo bianco, come un piccolo Dio, come uno scontato deus ex machina, come un antico padrone d'uomini, riesci a placarli. La tua voce si alza sopra quella dei marinai e si riversa come acqua sul fuoco smorzandone gli ardori. Gli occhi dei contendenti prima di brace, si stemperano in cieco carbone.

 

	Il timone viene riparato alla meno peggio in attesa di ricevere una miglior sistemazione alle Canarie.

	Ma l'Oceano non è clemente e ti ritrovi a guardare la Pinta, nuovamente priva di controllo, perdersi tra i cavalloni come una giumenta ebbra in calore, senza poter far nulla per salvarla mentre tu stesso, rimpiangendo ormai la calma piatta della partenza, cerchi di domare gli elementi imbizzarriti ed i marosi irosi.

	Persa di vista la caravella, cerchi approdo, non senza difficoltà, alla Gran Canaria, approdando nella Bahia de La Luz, e qua vi trattenete per un po', fin tanto che non vi giunge la notizia di una caravella disponibile a Gomera.

	Questo nome stimola la tua fantasia, non è vero Cristoforo? Ricordi bene la bella governatrice di Gomera, incontrata a Santa Fè. Cosa vai a fare a Gomera? Cerchi una nave o il suo sorriso, i suoi boccoli neri, la sua forte figura di donna emancipata?

	Già in passato, quando cercavi un modo per iniziare la tua impresa, hai trovato in lei un importante sostegno. Era giovane, vedova, bella e potente. E non disdegnava il tuo malandrino fascino italico. A Santa Fè il vostro non fu solo un rapporto di affari. Beatrice di Bobadilla è una che ama condurre le danze, si sa. Fu lei a sedurti, navigatore, fu lei a provocarti, ad eccitare il tuo desiderio e poi ad allontanarti, lasciandoti inappagato ma non senza però aver dato, con le sue conoscenze a corte, il suo contributo al tuo grande sogno. Beatrice, infatti, era stata la compagna di giochi niente meno che della Regina Isabella quando questa, ancora bambina, viveva lontano dalla corte, ad Arevalo, in una sorta di dorato esilio dal quale ancora non poteva immaginare di rientrare tanto felicemente.

	Ma a Gomera non scorgi le morbide spalle della governatrice, né trovi la nave che cercavi e fintanto che la Pinta non riappare nel porto di Las Palmas non puoi far altro che aspettare e fantasticare su un'isola lontana, misterioso fantasma d'Atlantide, che la gente di Hierro, l'isola più ad ovest delle Canarie, dice di scorgere all'orizzonte quando il tempo è favorevole.

 

	Intanto i portoghesi, solcano il mare al largo. Sospetti che Giovanni II del Portogallo, nel tentativo di proteggere la sua rotta per le Indie, quella che il Re portoghese ostinatamente va cercando lungo le coste africane, voglia impedire questo tuo tentativo d'attraversamento del Mar Oceano in cui non aveva creduto o, pensi, aveva finto di non credere per difendere altri interessi. Forse non ci crede veramente ma non vuol correre il rischio. Certo da quando sei bloccato a Las Palmas ti hanno riferito di varie navi lusitane che "casualmente" attraversano questi mari, con una frequenza che incuriosisce persino gli abitanti dell'isola.

 

Spagna addio. Terra natale addio. Addio fatale terra. Addio Gomera. Addio Hierro. Addio Canarie. Addio Beatrice. Addio Donna non vista. Addio visione di donna. Addio donne. Addio all'altra Beatrice. Addio.	

Salute vasto mare. Salve onde oceaniche. Salve profondità insondabili. Salve abissi sconosciuti.

Rollio, sciabordio. Sciacquettio fuori bordo. Correnti veloci. Lente passeggiate sul ponte. Poppa e prua. Bordo e babordo. Avanti ed indietro. Andare a prua passando da poppa. Andare ad Oriente passando da Occidente. Nave circolare. Circolare sulla nave. Circolo polare ed equatore. Stella polare. Polvere di stelle. Cielo di stelle.

Tesa le vele. Vele tese. Braccia i pennoni. Abbraccia il pennone, tuo unico amico.

Goccia di mare, granello di sabbia, soffio di vento.

Vento, tormenta, tormento. Burrasca e bonaccia. Burro e borraccia. Pane e gallette. Galeone e pennone.

Orizzonte. Oro d'Oriente. Ora pro nobis. Ora e sempre. Orinar contro vento.

Goccia d'urina, granello d'oro, soffio di vento.

 

	Beatrice, donna tra le donne, amore tra gli amori. Ricordo quasi cancellato ridestato da un nome: Gomera. Gomera e Santa Fè. La mitica Gomera di cui ti parlò Beatrice de Bobadilla a Santa Fè. Luogo esotico evocato in esotico luogo.

	Eri giovane e tutto il mondo ti appariva nuovo e misterioso. Ogni donna ti appariva nuova e misteriosa. E Beatrice... Beatrice! Beatrice così diversa! Beatrice così matura! Beatrice con i suoi giochi di seduzione. Beatrice con i suoi giochi d'amore. Ancora nuovi per te.

	Non era la tua prima donna ma quanto era più esperta di te! Ti sentivi quasi in soggezione di fronte alla sua arte. La fuggisti appena possibile. Amavi, in ogni cosa, condurre il gioco. Non eri abituato a lasciarti guidare. Non eri abituato a tanta spregiudicatezza. Ma quell'esperienza ancora non l'hai dimenticata. I suoi occhi ancora ti bruciano l'anima. La tua carne ancora arde là dove ti ha sfiorato ogni volta che ripensi alle sue mani, alle sue labbra. Ai suoi sguardi di fiera inaddomesticabile.

	E a volte rimpiangi di esser fuggito via. Ed anche in questi giorni che sei nella sua isola, che ti pare di respirarne il profumo in ogni fiore, di vederne la figura in ogni ombra, soffri la sua mancanza. Rimpiangi di non aver lasciato che entrasse maggiormente nella tua vita e vorresti che tornasse per colmare quel vuoto.

	Forse persino nella tua vera Beatrice avevi ricercato quella prima Beatrice, forse illudendoti di scorgerla nel suo nome oltre che nell'accento e nei capelli, d'identico colore.

 

	Poi percepisci che non è vero. Che non hai bisogno di lei. Che non la desideri. Che la tua vita con lei sarebbe stata annientata. Che con lei non saresti più stato veramente te stesso. Cristoforo non ha bisogno di donne che ne pervadano l'esistenza, ti scopri a pensare.

	Le tue donne sono ombre nella sera, pronte a sparire con il sole al tramonto. Giorno per giorno.

	Una donna sola. Una donna per tutta la vita. Una donna che sia la tua vita. Una donna cui donare la tua vita. Una donna che ti doni la sua vita. Niente di tutto ciò ti interessa. Così cerchi di illuderti, d'illudere il dolore del tuo distacco da quella donna di cui veramente non puoi fare a meno.

	Tutto ciò per te ha il suono claustrofobico delle catene e tu sei un animale selvaggio che in gabbia s'immalinconisce e muore. Sei una fiera che ha bisogno di grandi spazi per correre, esplorare e cacciare.

	Sei un marinaio e la tua sposa ha il passo ondoso del mare.

	Così cerchi di dipingerti, fiero nella tua solitudine di lupo di mare.

 

	La tua mente è ora volata a quell'altra Beatrice, quella Beatrice de Arana che hai salutato sul porto solo pochi giorni fa, quella Beatrice che ti ha dato un figlio, quell'altra Beatrice cui di recente hai tanto spesso ed intensamente dichiarato il tuo amore.

	Ed allora, in quest'attesa inattiva, non puoi non fermarti a pensare e chiederti: ma è tutto vero? Cosa è vero? E' vero che sono uno spirito libero che non conosce legami o è vero che sogno ogni notte te, Beatrice, mia compagna, donna della mia vita?

	E tu Felipa, moglie mia perduta? Perché a volte mi ritorni in sogno? E voi, donne del mio passato, perché vi ricordo con rimpianto?	

	Chi amo io? Cosa amo? Cosa desidero? Qual è il senso della mia vita? Questo progetto nel quale mi sono finalmente riuscito ad imbarcare dopo averlo desiderato e progettato per tanti anni è davvero così importante per me?

 

	E mentre rivedi con gli occhi dell'immaginazione la tua donna, la tua vera Beatrice, Beatrice Enriquez de Arana, il cuore ti si ammorbidisce e le palpebre ti si inumidiscono.

	Beatrice di Bobadilla era stata solo un'avventura, piacevole e persino utile, eccitante e seducente ma non l'avevi mai amata, così come, ora, vorresti illuderti di non aver mai amato nessuna donna.

	A tua moglie Felipa però eri affezionato ed hai pianto alla sua morte, ti eri persino spaventato non solo perché sentivi minacciata la tua stessa vita ma anche perché, non volevi ammetterlo, la tua vita sembrava perdere significato.

	Forse quel tuo cinismo verso le donne nacque allora. Forse allora cominciasti a temere di innamorarti. Forse per questo rifiuti di innamorarti di Beatrice de Arana, forse per questo rifiuti di sposarla nonostante ti abbia dato un figlio e non, come mormorano i maligni, perché speri di sposare qualche regina o principessa. Non perché sogni la regina Isabella.

	Ma la notte ti scopri a desiderare il suo respiro sul tuo petto, il suo viso sotto le tue grandi mani e questa lontananza, queste lunghe lontananze ti bruciano l'anima. Forse il tuo cinismo è solo una difesa contro il dolore, contro il dolore dell'amore ferito.

 

	Ma questi pensieri sono solo soffi di consapevolezza che ti scompongono il cuore per un istante. Poi con il ritorno a Las Palmas della Pinta, il 24 agosto, dopo una piccola eternità d'afa iniziata l'8 agosto, durante la quale disperavi ormai di poter proseguire il viaggio con la formazione iniziale, sei nuovamente rapito dal tuo sogno, sei trascinato lontano dalle tue riflessioni, via nella grandiosa galoppata sui cavalloni dell'Oceano. Solitario cavaliere dal cuore di ghiaccio nel deserto d'acqua e uomini.

	Così vorresti esser dipinto?

 

	Così Beatrice non ti dipinge, così non ti vede, così non ti sente, mentre il cuore le scoppia. Sa che non c'è più nulla che possa trattenerti, neppure le sue esili braccia di donna alla deriva con la sua àncora d'amore spezzata dal maremoto del tuo insonne rigirarti su te stesso ed in te stesso. Sa che mai c'è stato nulla che abbia potuto trattenerti. Sa che nel tuo cuore c'è solo quel vento possente che soffia verso occidente, oltre ogni sentimento, ogni passione, ogni razionale affetto. Troppo potente. Molto più potente del suo abbraccio di moglie mancata.

 

	Il 6 settembre 1492, avanzando protette dalle tenebre per sfuggire ad eventuali agguati portoghesi, le caravelle si lasciano alle spalle le Canarie e s'immergono verso le prime luci dell'alba nel grande bagno di infinito. Il vento, dopo essersi sfogato contro di te, t'ha abbandonato ed è nuovamente scarso, scarsissimo. Non ti viene certo in aiuto, piccolo sognatore ligure. Le isole dell'arcipelago lasciano intravedere per tutto il giorno la loro ombra rassicurante. I portoghesi non si vedono. Nulla di particolare da registrare.

 

	Poi, quando giunge l'ora in cui la notte allunga i suoi arti d'ombra atrofizzati e li distende sgranchendosi sul volto ingrigito della terra, quando giunge l'ora in cui i pensieri si vanno appannando di sonno e stanchezza e si apprestano a divenire sogni - o incubi -, quando giunge l'ora in cui la luce stanca del suo lungo sorriso radioso si arrende alla forza di gravità e scivola giù, verso gli antipodi, il mare, tutto attorno a voi e, soprattutto, davanti a voi, diventa d'oro. La luce del tramonto verso di cui procedete vi abbaglia di vastità.

Vi state tuffando nel sole che precipita davanti a voi ed incendia le acque. Ogni cosa, persino la minuscola flotta, si tinge di questo magico colore. 	

	Questa, certo, è la via dell'oro. Il Signore lo indica chiaramente con questo battesimo di luce. Qualcuno vuole crederci. Qualcun altro lo vorrebbe. Ti senti più saldo. Sei in rotta e Dio ti apre la strada illuminandoti il cammino.


 

E-m@nuele

8.3.2001

 

E-m@nuele aveva:

dodici anni,

un bel computer con Cd-Rom, DVD ed accesso ad internet.

E-m@nuele era uno come tanti.

Andava scuola:

1.	a piedi

2.	discretamente.

Gli piaceva guardare:

pokemon, digimon e dragon ball in TV

fumetti vari.

Aveva:

una collezione di VHS lunga una parete e larga altrettanto,

una mamma che lavorava e che lo riempiva di regali,

una maglietta con sopra Diabolik,

una cameretta tutta per se,

una montagna di giocattoli per riempirla,

un papà in carriera molto impegnato ma che lo adorava.

 

Sua mamma non capiva niente di informatica ma lui era un drago. Scaricava nuovi video games dal net come suo nonno aveva raccolto da bambino ciliegie sugli alberi e surfava nel web come suo padre aveva skattinato sui marciapiedi.

Aveva un cellulare tutto suo, così mamma e papà potevano trovarlo ovunque. Ma i suoi genitori non sapevano mai dov'era quando era nella sua stanza e si tuffava nel computer. Si muoveva tra un link e l'altro, scivolando veloce tra i browser ed i portali. Non potevi sapere mai dove si trovava, perché un attimo dopo era altrove, sempre seduto là davanti. Quello era "vero" movimento. Lo stesso era con la TV. Con il telecomando faceva schizzare i canali via dal teleschermo, come un pirata recideva braccia e gambe con la sua sciabola.

All'ora di cena veniva a prendersi il suo piatto e se lo portava accanto al PC o davanti al VHS e le proteste e le minacce dei suoi che gli dicevano di restare a tavola non gli entravano neppure nell'orecchio.

Quando la madre provava a spegnergli la TV o il computer, la insultava. E la spuntava sempre lui. Suo padre non ci provava neppure, le rare volte che c'era.

I suoi genitori non avevano nulla da insegnargli. La sua maestra era la Rete. Al PC era un mago, l'ho già detto e lo ripeto e lui lo sapeva. I suoi genitori erano due inetti: a stento sapevano mandare un'e-mail. Le sue risposte le trovava tutte sullo schermo. Non aveva bisogno di parlare con i suoi, del resto non riconoscevano neppure un digimon da un pokemon. Non aveva bisogno di suo padre e sua madre. Erano solo un fastidio.

Fu così che una sera, dopo che suo padre, uscendo per una riunione di lavoro, gli aveva detto che non gli avrebbe comprato la nuova playstation e che sua madre gli ebbe urlato per l'ennesima volta di spegnere la TV, si mise a letto, aspettò che la mamma dormisse, andò in cucina, prese il coltello della carne, quello grande, andò nella camera dei suoi. Silenzioso si avvicinò al letto dove dormiva la mamma. Con un colpo preciso le tagliò la giugulare, poi le infilò la lama nel collo e quindi, mentre la madre si risvegliava di soprassalto senza capire cosa le succedesse, trovandosi inondata di sangue che le usciva a fiotti dal collo e dalla gola, le recise le vene del polso della mano che si era portata al collo e quindi le piantò il coltello nel cuore. Cuore di mamma. Preciso e perfetto.

Quindi si allontanò dal letto, uscì dalla stanza lasciando la madre agonizzante in un lago rosso, chiuse le porte per non sentire rumore, andò in camera sua e si mise a dormire.