STATION WAGON

 

 

- Non capisco che ci trovi di tanto speciale, in questo genere di macchina.

- È l’idea di avere un qualcosa in più dietro di te; sapere che ci puoi caricare la casa, il mondo, e parti.

- Ma non dipende certo dalla fattura, - insisteva il Lore, rivolgendosi tutti attorno agli altri adunati davanti al bar, tra marciapiede e auto di varia taglia messe alla rinfusa, in seconda fila se non in divieto di sosta dall’altro capo della strada. Mai che ci fosse una volta che volesse darla vinta a Luciano, su qualsiasi cosa, dal calcio alla politica. - Ora per ogni modello ti costruiscono la giardinetta, come si diceva una volta e con quel nome che fa tanto estero; ma non significa che ci puoi caricare tutto.

- È l’idea che conta, non la capacità, - rispose imperterrito Luciano, senza dar peso alla pervicacia del Lore e tenendo ben fissi a lui gli occhi che non bisognavano di conferma, come se nessun altro assistesse alla diatriba. - La macchina dove ci puoi caricare il mondo, e con il mondo dietro vai. È l’idea del viaggio con una casa dietro, e mi basta.

- Ti basta per giustificare la tua scelta, così ti convinci che dovevi prendere proprio quella, vero? - Le ultime due sillabe erano per gli altri, che ribadissero la sua verità; gli altri però non avevano ancora preso parte, e anche ora nessuno mosse un assenso, né a lui né a Luciano.

- Uno fa quello che vuole, - provò a intervenire Paolo, la cui vaga passione per le station wagon non gli era parsa bastevole a difendere uno dei due.

- O quello che può, - provò a zittirlo Lore, consapevole della sua inclinazione.

- E quindi compra la macchina che vuole, o che può. E lui ha voluto, o potuto la station wagon.

- Sì, però non pretenda di convincerci che la sua è stata la scelta migliore, l’unica possibile, e che per questo dovremmo farla anche noi!

- La scelta migliore per me, non per te che vieni qui buono solo a criticare! M’importa una sega della tua macchina, o di quale preferiresti!

Luciano si stava scaldando, come sempre quando il Lore s’incaponiva in simili questioni accidentali che per lui diventavano inspiegabilmente sostanza. Forse dipendeva dall’atmosfera del bar, un’atmosfera che Luciano amava poco frequentare, dallo stare lì davanti senza avere altro per le mani che vuoto incolmabile da qualsiasi chiacchiera: in altro luogo niente, ma davanti al bar, alla più futile questione che uno avanzasse il Lore si proponeva immancabile bastian contrario e sturava diatribe che non finivano più. Chi non vi era coinvolto, tanto toccava a ciascuno il suo turno, ora incitava l’uno o l’altro dei contendenti, finché la cosa non cadesse nell’animoso, ora godeva semplicemente di veder scacciato per qualche attimo il vuoto che attanagliava quella fetta di marciapiede dove consumavano birre e aperitivi inaciditi dalla noia, aspettando che la rabbia del ritrovarsi ancora una volta per abitudine trovasse uno sfogo; e già non ci speravano che accadesse, perché non c’erano partite sotto mano né gran premi e non avevano più di che pescare dal magro pozzo delle questioni possibili, quand’ecco Luciano presentarsi con la sostituta dell’ormai logora R5. Dall’avvio di Mario, “Allora abbiamo cambiato modello?”, era nato l’elogio della station wagon condito di botte e risposte e commenti; il Lore era stato zitto in disparte, per caricare meglio l’arma contro uno dei suoi bersagli preferiti, poi aveva aperto il fuoco all’improvviso cambiando il tono della discussione.

- Calma, calma. Per così poco! - Giulio era il più restio a intervenire; gli davano noia diatribe del genere e prendeva parola solo quando gli animi fossero ben giunti a cottura. Solo, dallo sguardo impenetrabile e sottilmente ironico con cui guardava chi aveva la parola e si volgeva appena essa passava all’altro interlocutore, non si capiva se si compiacesse soltanto dell’essere affatto estraneo alla diatriba, o non traesse anche un uguale e simultaneo piacere da quell’accavallarsi di voci dissonanti che cercavano disperatamente di soverchiarsi per fare più forte e chiara la loro ragione. - Non siamo mica nel trascendente. Chiudiamola qui, alla fine non si tratta che di macchine.

- E visto che si tratta di macchine, si dovrebbe mirare a una cosa più terra terra, all’utilità più che a quella che lui chiama l’idea. Dovresti dirci a cosa ti serve veramente, se te lo sei mai chiesto.

- A caricarci più donne. - Mario aveva finalmente introdotto la questione estrema, la cronica assenza che tentavano di surrogare col marciapiede del bar.

- In attesa del pullman che prometti da sempre, accontentiamoci della station wagon di donne, - rincalzò Paolo.

- Furbo però, il Lu: così ne può caricare a suo agio anche nel bagagliaio, - disse Beppe prima d’inoltrarsi a riscuotere l’immancabile ordinazione d’ogni pomeriggio.

- Eh, al massimo una, - corresse Mario.

- Giusto: lui e altri quattro in macchina, e una ciospa dietro, - riprese il campo il Lore. - Eccola, l’idea. D’altronde lui c’è già finito, quella volta che eravamo in sei nella Arna del Giampi, che era più giardinetta della sua. Per questo una cosa rara la vuole serbare nel bagagliaio, dietro di sé.

- Le donne sono sempre in minoranza, - sentenziò Giulio. Beppe era riuscito all’aperto e stringeva il boccale quasi volesse sbriciolarlo. In uno degli ultimi tavolini sul marciapiede, un pensionato con una specie di casacca blu da fabbrica e la testa pelata ben rubizza aveva lo sguardo sperso dentro un bianchetto, raspando forse il ricordo rottamato di una seicento, o un millecento al più.

- Già , ma chiediamolo all’interessato: a cosa ti serve in definitiva questa macchina, se l’hai presa?

- A chi serve: a me, non a te.

- Sarà pure cosa che non mi riguarda, ma non posso stare zitto quando uno mi fa l’elogio del carro funebre!

Per la prima volta la battuta del Lore strappò il sorriso degli spettatori; persino l’ironia di Giulio si fece più viva mentre si voltava verso la possibile replica.

- Forse sta anche in questo il suo fascino. Portarsi dietro quella che potrà essere l’ultima casa. - Tutti si rifecero seri d’un attimo; delusi che non avesse reagito più forte, ma i sorrisi si spensero. - Esaminala bene: la sua forma allungata, che va oltre quanto di norma è richiesto dalla guida, dai passeggeri, potrà servire anche al carico, un’auto da soma per così dire, ma può anche significare il letto, il letto primo come la culla, o l’ultimo.

- Ecco: ora abbiamo scoperto che la station wagon è la macchina dei filosofi, e che bisogna pagarla in sillogismi. Ma lascia perdere! - Nessuno rideva più.

- Rifletti: la station wagon è la libertà di andare come se si avesse la casa dietro, e di pensare che di spazio ne basta poco all’uomo, in fondo. La cosa più importante è viaggiare, sapendo bene quello che si può portare con sé.

- Lo sai che non mi convinci quando cerchi di entrare nel difficile!

- Ti ho già detto che sotto la station wagon c’è un’idea. Come macchina in sé vale tutte le altre, non è di più né di meno. Ma se c’è un qualcosa che la rende speciale, sta nella forma; ed è per questo, non certo per amore della parola straniera, che un nome comune non le si addice. In fondo la station wagon è un’idea. È l’idea in sé che conta; quello che la forma dell’auto ti rimanda.

- Su questo terreno non ti seguo: ti fai forte della tua dottrina...

- È solo demenza addobbata di un’idea filosofica con qualche candelina di retorica; concedimelo, è quanto so fare di meglio. E con questa idea mi congedo. Saluti a tutti.

Gli altri riposero qualche ciao smozzicato, delusi che la diatriba fosse già finita, stupiti o scocciati che in conclusione avesse preso quella piega; ma c’era da aspettarselo, dal Lu. Quand’era alle strette cercava di cavarsela con qualche pennellata di belle parole che spacciava per massimi sistemi. E quel ch’era peggio lo ammetteva senza infingimenti.

Luciano si strinse nella giacca a vento e scese dal marciapiede, passando in mezzo alla Punto verde scuro del Lore e alla BMW 318 coupé metallizzata del Gianca, che naturalmente non era disceso nell’arena, dall’alto di tanta macchina. Gettò un rapido sguardo di sprezzo alla sua destra, poi alla sua sinistra, torse apposta il viso per dedicare uguale occhiata alla Opel Corsa bianca di Giulio, buttata poco più in là in seconda fila con la stessa noncuranza del suo padrone, e si diresse verso la sua Innocenti Elba amaranto lasciata in divieto di sosta dall’altro lato. Finalmente si sentì nel suo quando si distese sul sedile sdrucito stirandosi come sulla più comoda poltrona, le braccia tese al soffitto e un largo soddisfattissimo sbadiglio. Il motore scaracchiò un poco prima di accondiscendere alle sue sollecitazioni con un brontolio che tradiva il buco rugginoso della marmitta. Senza più voltarsi verso il bar Luciano si avviò legandosi con la cintura quand’era già in strada, dopo aver ingranato la seconda. In fondo contava l’idea, avere come una propria casa dietro.


GIANNI CACCIA

 

Nato ad Alessandria nel 1962, Gianni Caccia si è laureato in Lettere classiche all’Università di Genova con una tesi su Luciano di Samosata. È docente di Lettere nel Liceo Scientifico di Novi Ligure, dove risiede; in precedenza ha insegnato in una scuola italiana all’estero e nel Liceo Scientifico di Ovada. La sua attività nell’ambito letterario è iniziata nel 1993 con la fondazione, assieme a Mauro Ferrari, del Laboratorio letterario “Parole e Cose”, un’associazione che riunisce vari poeti e scrittori della provincia di Alessandria e nella quale ricopre attualmente la carica di presidente. È redattore della rivista letteraria La clessidra, sulla quale ha pubblicato racconti e saggi critici; altri suoi contributi sono usciti sulle riviste Concertino, Hebenon, Il lettore di provincia, Galleria e, per quanto riguarda la cultura classica, Atene e Roma e Sandalion. Ha pubblicato le raccolte di racconti Aperture (Edizioni dell'Orso, Alessandria 1994) e La Vallemme dentro (Edizioni Joker, Novi Ligure 2000) e il racconto lungo Il rovescio naturale (Edizioni Joker, Novi Ligure 1996); alcuni suoi testi sono inoltre inclusi nelle sillogi narrative Storie da Novi (Edizioni Joker, Novi Ligure 1994, suo esordio letterario) e La notte (Edizioni Nuove Scritture, Abbiategrasso 1998). Presso le Edizioni Joker è uscito nel 1997 il suo breve saggio Il tifo, malattia del corpo e dell'animo nell'antica Grecia. Per la collana dei classici della Newton Compton di Roma ha curato l’edizione dei Dialoghi di Luciano di Samosata e del Fedro e della Repubblica di Platone.