Alberto Angelici nasce a Bologna

il 26 agosto del '50, vergine ascendente leone. Compie studi classici,

seguiti da 5 anni di universita' presso la locale facoltà di

giurisprudenza. Al termine si trasferisce in terra canadese dove vive e

prospera per ben quattro anni, facendo il contadino e altre cose, molte

altre cose. Rientrato all'ovile soprattutto per manifesta idiosincrasia

verso il freddo che là abbonda, mette, come si dice, la testa a posto. Si

sposa e ha da subito un figlio di otto anni (sarebbe strano se non

fosse che la moglie proviene da un precedente matrimonio). Poi ne fa uno

tutto suo che ora ha quattordici anni. Assieme alla moglie Anna si occupa

di due societa' che operano nel settore elettrico e informatico. Vive

con la famiglia in un' azienda agricola della moglie, continuamente

tiranneggiato da lei, dai figli e dai cani e non necessariamente in

quest'ordine. Tenta così di sopravvivere per continuare a fare le cose che

più lo soddisfano e cioè: conoscere il mondo e le persone interessanti e

stimolanti, coltivare buone amicizie, viaggiare in tutti i modi possibili,

dal '94 anche via internet, leggere, scrivere, far foto e stare in

famiglia. Crescere, insomma. Odia la noia, mal sopporta i ritardatari,

proprio non regge cretini e bugiardi. __________________________

 

 

 

PANE, PIETRA E FUOCO

 

 

 

Come sfere di mille specchietti

che in discoteca

lampeggiano musica,

tu offri a noi

volti sempre nuovi,

mutevoli e vari, spesso ignoti.

 

Dolce e tenera, poi ombrosa e chiusa

cambi d' un tratto

e sorrisi di bimba trasmuti

in lucide pozze

di pianto.

 

Annina cara, irragiungibile creatura,

pane e companatico di vita,

come un segno d' orizzonte

e' l' animo tuo

che a volte vieta ch' io comprenda

e davanti a me schivo arretra

e si ritrae.

 

Calma sei e compassata anche,

poi nel momento ch' io meno intendo,

scatti e mi rintuzzi

e della pietra mostri la durezza piena.

 

Attendo e non m' adombro

(se lo posso!) e come fuoco privato della fiamma

ma che il calor non ha smarrito,

dolce ritorni e calda,

Annina mia ...

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Petali di carciofo

 

Piove.

Sull' asfalto scosceso

l' acqua cola,

 nera

 come liquidi petali

di un immenso

carciofo.

________________

 

RIGHE DI BIMBO

 

Un' alba rovente tinge di fuoco rosso

l' orizzonte

e di viola.

Pare che Bologna bruci

tra i carboni ardenti

d' un bivacco di giganti.

 

Nel cielo di smalto danese

aerei invisibili

tracciano altissimi

bianche righe

d' un quaderno di bimbo.

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- SALSA DI PEPERONE -

una poesia - ricetta per nutrire sia lo spirito che il corpo

 

 

 

 

Una cipolla trita

grande come un uovo

si sbionda leggera

di odoroso pudore

nel caldo olio sfriggente

sulla fiamma bassa.

 

Sapore di sale

dolcezza di zucchero anche

(quanta ne colma un ditale )

il color verde

del prezzemolo pesto...

 

Pausa non lunga

poi, d'improvviso ,

come tempesta di sole

piccoli dadi di peperone

in technicolor,

di melanzane (volendo)

martirizzate

sotto la falce

della mezzaluna

lucida e crudele.

 

Spruzzo acre d'aceto

umidore di brodo

friggere lento...

friggere lungo...

frigger paziente

rimestando spesso

e infine:

 

 

 

 

 

 

gloria!

 

 

poco

ma rosso

ardor di pomodoro!

 

Friggere lento ...

friggere lungo ...

frigger paziente ...

 

E' pronta!

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ORE STELLATE

 

Ore stellate nel cielo di una notte,

profumi d' un' intimita' antica,

foto in bianco e nero

ondeggiano nella mente,

abbracciate al candore

di una donna-bambina

cresciuta donna

per ritornar bambina.

Sabina.

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  MALIA DI DONNA

(solo per te)

 

di Alberto Angelici

 

Teneri solchi sottili

tracciano il viso

e svelano

  cio' che la bocca tace.

 

Morbide labbra

chiedono avide

e prodighe offrono

amore.

 

Lunghi occhi

sondano turchesi i miei

e lava di luce gioiosa

celano

e torbido calore.

 

Nerbo e vigoria s' attendono

e coccole e bacini.

Stille di dolore

 forse

e spasmi di supplizio.

 

Lingua di fuoco

sinuosa dolcezza

di seta

avvolge la mia

in liquide spire di peccato

 

Mani nervose

attirano ed avvinchiano

la carne

assetate d ' amore

generose di languide carezze

 

Corpo agile e potente

fragile e sapiente

e un mare d' efelidi

che e' un incanto

navigare.

 

 

Amichevole amore

nella dolcezza del contatto

eppoi

 rabbioso amore

 al pensiero del distacco

 

 

Appassionato amore

nutrito all' ombra del mistero

 tenero amore

di carezze

 ed intimi bisbigli.

 

Malia di donna

docile e acquiescente,

malia di donna

avida e bruciante

 

Inaspettata linfa

insospettato amore

popoli il mio essere

come turbine di mandria

 

Come carta porosa

assorbi i miei pensieri

  come indelebile inchiostro

segni le pagine della mia vita.

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LACRIME di PIOGGIA

 

 

 

Stanche gocce di pioggia

 bagnano lente sul vetro

il riflesso del tuo volto.

Rigano le tue guance

come lacrime

di un segreto pianto

silenzioso.

 

 

 

Fissando il tuo viso

mescolato a quella luce grigia,

sento piu' lontani

i giorni di Hora quando,

guardandomi negli occhi,

 sorridevi.

________________

 

 

  GIUSEPPE RIMONDI ESCE DAL COMA

di Alberto Angelici

 

 

Con andatura meccanica e sempre uguale l' uomo attraversa diagonalmente

Piazza Maggiore in direzione del lungo porticato che ne costituisce un

lato. Le mani affondate nelle tasche del vecchio monclair, lo sguardo

fisso a terra a tagliar fuori il mondo che lo circonda, non bada troppo ai

passanti che incrocia. La visuale circoscritta allo sfondo grigio del

selciato e' ritmicamente deformata dall' ipnotico dentro e fuori delle

sue scarpe da ginnastica. Sinistro ... destro ... sinistro ... destro.

Altri piedi entrano di continuo nel suo campo visivo ma lui non ci bada.

Prima una coppia di belle scarpine dal tacco altissimo, poi un' intera

comitiva di scarpe "da palombaro", come le chiama lui. Informi blocchi

di gomma dalle zeppe spropositate. Ragazzini - pensa - chiassosi e un po'

volgari. Nell' aria rimane una scia che ricorda una manifattura tabacchi.

 

Un' intera citta' gli scorre accanto ma lui ne avverte la presenza solo

quel tanto da non urtare i passanti o gli spigoli dei palazzi. Sono

tante ore che cammina cosi', come un sonnambulo. Da quando e' stato

dimesso e il bus del Bellaria l' ha scaricato in pieno centro,

affollato da un' umanita' cui non e' piu' avezzo e che lo mette a disagio.

  Sono passati sette mesi. Molti di coma ed altri per il recupero, dopo

che un' intera parete del vecchio magazzino dove lavorava gli era rovinata

addosso per un cedimento strutturale. Commozione cerebrale, trauma

cranico, sei costole rotte e una vertebra incrinata. Cosi' gli hanno

spiegato i medici. Hee si', perche' lui non si ricorda mica tanto di quel

po' po' di casino! Quando ci pensa ha un senso di vertigine che gli prende

allo stomaco. Si sente confuso. Anche ora. Scrolla il capo, accellera il

passo ma il torpore che ha dentro gli avvolge il cervello e lo segue.

Proprio come l'appiccicosa nebbia che spesso accompagnava lui e suo

padre nelle tranquille giornate di pesca sul Po. Stava sistemando degli

scatoloni quando aveva avvertito uno scricchiolio, il bruciare ruvido

della polvere negli occhi. Poi un rumore piu' forte come di mille

grattuge all' opera, l' impressione di movimento dove di solito e'

immobilita'. Un peso sul petto e la sensazione che il mondo si stesse

ribaltando. Infine il buio. Un buio strano, diverso da quello della sua

stanza quando si svegliava in piena notte al ritmico russare del vecchio

Lorenzi, di la' dal pietrinfoglio. Un buio ... in movimento, ecco, come se

...come se stesse scivolando veloce attraverso tunnel lunghi e stretti.

 All' improvviso e' luce! Luce dorata e limpida come un tramonto di

montagna. Luce che non e' davanti o dietro ma ovunque. Che sente

filtrare nella carne come acqua in una spugna secca. L' impressione di

figure indistinte, luci nella luce. D' un colpo il bagliore si restringe

davanti ai suoi occhi per divenire un globo lattiginoso: il lampadario

di una camera d' ospedale. Vede uno sguardo su di lui, poi molti altri,

sempre di piu'. Attenti, scrutatori. E' anche sorpresa quella che vi

legge, sconcerto? Avverte sul polso il tocco lieve di una mano fresca,

negli occhi il rapido fiammeggiare di una lampadina. Bocche che si aprono,

lingue in primo piano. Il bagliore caldo di un dente d' oro gli appare

assurdo e fuori luogo. Le teste che lo sovrastano sembrano deformi

caricature del grandangolo di un fotografo in vena di scherzi. Piccole e

strette in alto, larghe e massicce verso la mandibola. Si rende conto che

tutto e' silenzio. Vorrebbe parlare ma dov'e' finita la gola? Al suo posto

un duro rotolo di carta vetrata. Poi un orribile gracchiare. Si guarda

intorno intimorito. E' la sua voce. Da quel momento e' tutto un crescendo.

 Un mare di flebo, pappine per neonati, il contatto freddo del cucchiaio.

Mani calde e vigorose in ogni piega del corpo nudo, la' dove nessuno

mai, dopo sua madre, era arrivato. Intenso odore di alcol. Benessere. L'

emozione di un ritorno a quotidianita' smarrite. Scoprirsi capace di

cose fino a ieri impossibili, irraggiungibili. Piccole gioie fatte di

impercettibili passi avanti.

 

Una mattina la visita annunciata di un tale del Carlino, il frusciare del

registratore, tante domande, tanta insistenza. Odore aspro di sigaro

toscano spento. Sguardo disincantato, di routine. "Ma lo sa che ha avuto

una fortuna sfacciata?!" Fortuna ... LUI? L' espressione del mio datore

di lavoro. Ci leggo dentro il disagio. Disagio e imbarazzo. Parole di

circostanza, quelle che si dicono sempre ad un malato ma anche il timore

di una richiesta di danni. Cosi' imparo che non e' assicurato. Le sue mani

grassocce non si fermano un istante e in grembo s' intrecciano e si

torcono come polipi sul marmo di una pescheria. E' povera gente, lo

so, e lo rassicuro in proposito. Il sollievo e' evidente sul suo viso e

ne approfitta per dirmi che l' uomo assunto al mio posto e' bravo e ha

una famiglia numerosa. Mi fissa ansioso con occhi di pecora. Vorrei

sbottare e far valere le mie ragioni. In fin dei conti ho rischiato di

morirci, in quel fetido deposito! Lascio perdere, pronto anzi ad

accettare la somma che mi offre a titolo di buonuscita - indennizzo.

Tutto, pur di rompere con quella vita. Ho ancora nel naso la muffa del

seminterrato, l' umidita', l' odore rancido dell' olio idraulico che

filtrava dal muletto. Tutto vecchio, tutto moribondo e avrebbe potuto

diventare la mia tomba. L' opportunita' di cambiare. Un segno?

 

Uno strillo di bambino lo fa sobbalzare e per la prima volta alza gli

occhi. Si scuote. E' vivo e cammina. Deve ripeterselo e lo fa a voce

alta. Un signore in grigio dall' aria seria e grigia lo guarda, nasconde

il viso dietro al Carlino e fila via che sembra unto. Poverino, forse

ha pensato che gli avrebbe chiesto soldi! Come una liberazione respira a

pieni polmoni l' aria puzzolente del centro, il naso ancora colmo del

tanfo penetrante del lisoformio. Impiegati, studenti e sfaccendati,

distinti professionisti e casalinghe con le sporte della spesa. Ora li

guarda e li vede: non sono piu' soltanto piedi su un selciato sconnesso.

La camminata gli e' servita ma ha l' impressione che il suo corpo ancora

rifiuti d' obbedirgli, come un cavallo dimenticato ad impigrire in stalla.

La bruma dolorosa che gli affollava il cranio lentamente si dissolve

al pallido sole primaverile.

 

Gia', e' primavera - realizza - e alla fin fine con 'sto coma lui si e'

sciroppato un inverno di meno. Come i signori che vanno a svernare in

Riviera o alle Maldive, lui i mesi peggiori se li e' fatti sulle colline

di Bologna, servito e coccolato come un principino! Gia'... l'

importante e' crederci, a certe fregnacce. Strane riflessioni, se ne

meraviglia lui per primo, ma che lo aiutano a ragionare in positivo. Sente

 in tasca il misero rotolo di banconote. Quelli che ricevera' dall' ex-

datore se li prendera' quasi tutti il padrone di casa, ma in qualche modo

fara'. Gli tornano alla mente i corridoi del Bellaria. Povere creature

stese nei letti, pallide come lenzuola, gli occhi persi nel vuoto o

fissi sui visitatori con sguardi che danno disagio, anche, e vergogna.

Solo ora realizza di esser stato privilegiato dalla sorte e di non aver

alcun diritto di lamentarsi.

 

Luccicano, le vetrine, di mille invitanti proposte. Distratto, fissa un

negozio di abbigliamento e vede giacche e pullover sovrapporsi a piatti

di tortellini e zamponi, patate arrosto e galantina a camicie e cravatte.

Si rende conto che da molte ore non mette nulla nello stomaco: possibile

che la fame dia simili visioni? Poi accanto ai piatti intravvede i

cartellini. Capisce, si gira ed e' tutto reale: i sogni non arrivano col

prezzo attaccato. E' l' esposizione di un negozio di gastronomia che sta

di fronte. Chiuso fino alle 16, avverte una targhetta. E' deserta anche

la via, stranamente. Piu' giu', verso piazza Galvani, un tipo curioso

canta con bella voce tenorile un 'aria dal sapore zigano. Sta su uno

sgabello e si accompagna con l' antiquata fisarmonica. Con ritmica

ripetitivita' d' automa si sporge in avanti spalancando le braccia per

dare aria allo strumento. Ogni volta sembra spiccare il volo sulle sue

note. Non c'e' un' anima ma lui non se ne cura e il canto fluisce

potente. Rotola e rimbalza tra archi e pilastri e l' eco conferisce ai

versi sonorita' profonde e inconsuete, da canto gregoriano. Marca col

piede la melodia struggente e vi si abbandona, il largo viso slavo

nascosto da assurde lenti viola. Accanto a lui un bastardino veglia su

poche monete ed un bastone bianco. Avverte uno scomodo senso di vergogna

per chi non e' li' ad affollare quella platea oscenamente vuota.

 

Piccole ombre ondeggianti segnano la lucida palladiana: due colombi di

piazza che alla comodita' del volo privilegiano la tranquillita' lenta del

passeggio. Simili a stanchi camerieri dai piedi piatti, mi fissano con

occhi tondi e stupidi poi proseguono appaiati a becchettare microscopiche

briciole di pane. Nella surreale poesia di quegli istanti strani, nell'

esibizione del cieco e dei piccioni, sento aleggiare lo spirito birbante

e fanciullesco di Fellini.

 

Si scuote. Davanti agli occhi ancora immagini succulente. Due grandi

filoni di roast-beef l' attirano particolarmente. Carne rosata e

succosa dall' aria invitante. Sente la saliva aumentare di livello e lo

stomaco reclamare qualcosa di piu' che belle immagini a colori.

 

Ecco, se non ci fosse il vetro gli basterebbe allungare un dito per

toccare tutta quella mercanzia di lusso. Fantasticherie dettate dalla

fame, lo sa bene, ma non riesce ad impedirsi il gesto, fino a sfiorare lo

spesso cristallo e...proprio nel momento del contatto, l' inverosimile!

Un leggero bruciore gli invade il braccio. E' un pizzicore diffuso, una

tensione mai provata. Incredulo guarda le sue dita, si', proprio le sue

dita, passare oltre il vetro anti-sfondamento come fosse aria e proseguire

senza che questo offra la minima resistenza! Spaventato ritira il braccio.

Si guarda la mano. Trema, coperta da una pelle d' oca con cui ci si

potrebbe grattugiare il parmigiano. Osserva il vetro: intatto. Non una

macchiolina, non una screpolatura. Ha le vertigini e freddo dentro,

nonostante la temperatura mite. Nel dubbio di essere defunto senza

accorgersene, si morde un dito. Vede il segno dei denti.

 

Il portico e' ancora deserto. Solamente verso via Rizzoli il passeggio si

sta facendo piu' animato. Riprovare? Si', si' ora ri... ecco di nuovo il

pizzicore e una debole luce, come la madonnina fosforescente che in

ospedale gli aveva regalato il cappellano. E' dentro con tutta la mano

...il braccio ora! Sente contro i polpastrelli il morbido umidore del

roast-beef! Tutto succede in un attimo. Ritira il braccio e con esso l'

intero filone di carne. Senza pensarci lo infila sotto il giaccone e

ripete l' operazione con l' altro pezzo.

 Guarda a sinistra, guarda a destra. Niente. Nessuno sembra essersi

 accorto

di nulla. Un ultimo sguardo al piatto ora vuoto, poi via, al passo piu'

rapido che le ginocchia malferme gli consentono. Ha un ripensamento.

Torna sui suoi passi, allunga ancora il braccio e... un largo riquadro di

crescente va a raggiungere la carne.

 

I piccioni se ne sono andati ma il cieco e' sempre li'.

Ondeggiando sul busto, distende senza sosta il soffietto e lo comprime.

Per un momento rimane davanti a lui, le mani a trattenere i lembi che

nascondono il bottino. Poco oltre ci sono le panchine di piazza

Minghetti: la' potra' calmare il tremore che lo pervade. Un' elegante

signora lo incrocia, guarda con diffidenza le mani strette al petto,

quella protuberanza e cambia braccio alla borsa di coccodrillo. Ogni pochi

passi scosta un lembo e annusa il profumo che ne emana. Ancora non ci

crede ma i sogni non hanno odori - si va ripetendo - quindi e' tutto vero

... TUTTO VERO! La testa come un vulcano, vorrebbe urlare. Urlare la paura

che lo soffoca e gli ingolfa la gola. Si guarda intorno. Sfaccendati,

commessi che si affrettano per non tardare alla riapertura, gruppetti di

bancari che fan ritorno al grigiore asettico dei loro pici'.

Apparentemente e' tutto come sempre e la vita scorre nei soliti argini.

Invece nulla e' come prima, non dopo quel bruciore al braccio. Sente il

suo corpo dilatarsi e fremere e si scopre a scrutarsi dall' esterno con

gli occhi di un passante e scoprirsi incredibilmente anonimo e normale. Un

qualunque sfaccendato seduto sul ferro rugginoso di una panchina.

 

Steso sul letto, nella penombra della stanza rigata dalle stecche delle

persiane, ripensa immobile a cio' che ha fatto. Gli pare un sogno,

onirica follia generata da un cervello troppo provato. Pero' la carne sta

la', in mezzo al tavolo. Gli basta alzare la testa per vederla. Un' idea

lo scuote come una scarica elettrica. Con un balzo e' in piedi, il naso

alla parete che lo divide dall' appartamento accanto. Si rivede in

Pavaglione, risente il bruciore alla mano... Perche' solo la mano? Perche'

non tutto? Se puo' passare un braccio, cosa impedisce che passi tutto il

corpo dall' altra parte? Qui pero' non e' vetro e come allunga il braccio

lo vede sparire, come amputato. Dentro la parete. Rimane cosi', guardando

la sua spalla tutt' uno con il bianco sporco del muro. Avverte lo stesso

bruciore. S' immagina il resto, che ora sta penzolando sull' altro lato

del muro, come una scultura surreale, un trofeo per cannibali. E SE CI

FOSSE QUALCUNO !?! Rapido lo ritrae e sente uno strappo ma il braccio e'

integro, intatto come se nulla fosse accaduto. Adesso passo di la' - si

dice - ma non sa risolversi ad infilare la testa, cosi' prova con una

gamba. Poi l' altra e....ssssssvvvamm... anche il resto e' dall' altra

parte e si trova in una stanza che non ha mai visto. Deserta,

provvidenzialmente deserta. Doveva esserlo per forza, altrimenti sai gli

urli! E' una camera da letto. Canterano, due comodini, armadio con

specchio nel quale vede una faccia da matto: la sua. Sedie cariche di

libri, vestiti buttati alla rinfusa sulla vecchia poltrona tipo frau.

Che Guevara lo fissa da un famoso poster anni settanta. Sembra perplesso

o e' la sua immaginazione? Si sente come un guardone. In quel mentre s'

accende la luce nella stanza accanto. Rumore di passi, qualcuno che

fischietta, un peto. Preso dal panico si slancia verso la parete e

...opp, e' di nuovo in camera sua! Non ha avuto neppure il tempo di

sentire il bruciore e quel senso di stiramento della pelle sul viso che

aveva provato all' andata.

 

Vuol capire. Capire che cos'e' che gli sta capitando. Ma non puo' andare

semplicemente dal medico e domandare: Senta, scusi, come si spiega che

posso passare attraverso i muri? Gia', la prima ambulanza per villa

Baruzziana sarebbe la sua! Del resto neppure lui riesce a crederci. E'

pazzesco, inaudito. Libri! Ecco la soluzione. Bisogna che si documenti,

che capisca. Mica facile, pero', trovare qualcosa su un argomento cosi'

particolare. Infatti e' un fiasco totale sia alla Bibblioteca dell'

Archiginnasio che a quella Universitaria. Solo qualche accenno a forti

cambiamenti nel comportamento di chi esce dal coma e i particolari del

tunnel e della luce che molti altri riferiscono. Ha provato a chiedere ma

l' espressione del commesso quando espone la richiesta gli e' bastata

per fare marcia indietro. E' stufo di girare come una trottola, perdendo

solo del tempo. Tanto vale accettare il fatto e smetterla con le domande.

Resta pero' il problema che non esistono applicazioni oneste e legali per

quella sua nuova incredibile qualita'che d'altronde non puo' rivelare a

nessuno. Se si venisse a sapere finirebbe in gabbia come una cavia. Del

resto non ha neppure intenzione di mettersi a fare il ladro di

professione, anche se ora nessuna serratura lo potrebbe fermare. Pero'

un idea ... si', un idea gli sta frullando in testa e piu' ci pensa e

piu' gli sembra interessante: il giusto compromesso.

 

Via Zamboni ... Piazza Verdi ... ecco, via Belmeloro e' quella li' a

destra. Zona universitaria. Piu' che di studenti pare popolata di

sbandati, etilici, tossici, balordi e sfaccendati. A gruppetti stazionano

negli angoli e sotto i portici del Teatro Comunale, dove alcuni di loro

hanno organizzato veri e propri accampamenti, con sacchi a pelo e

fornelletti. Curioso: loro bivaccano li' da anni indisturbati mentre sento

tanta gente lamentarsi per la precisione con cui arrivano le multe pochi

minuti dopo che nelle zone blu e' scaduto il tempo del parcheggio. Nell'

aria un' odore dolciastro: com'e' che si dice in latino Š cannabis? Se

gliel' hanno raccontata giusta, il suo uomo dovrebbe abitare li'. E' una

vecchia conoscenza, uno che un tempo stava dalle sue parti. Adesso sono

quasi le undici e la gente normale e' gia al lavoro da un pezzo ma quello

tra osterie e discoteche difficilmente rientra prima delle 4 del mattino.

Se non ha cambiato mestiere, stara' mettendosi in movimento ora e visto

che il fine settimana e' appena terminato avra' bisogno di rifornirsi di

merce.

 

Odore di umidita' e di ascelle sudate. Di profumo da poche lire, anche.

Alcuni giovinastri scarmigliati scappano fuori dal nulla assieme ad un'

orrenda cacofonia metallara. Non mostrano di accorgersi di me e per poco

non mi travolgono. - Scusa tanto - ridacchia una ragazzetta coi capelli

fucsia, un grappolo di anelli ad un lobo e una sacca militare a tracolla -

ma siamo in ritardo! - Terzo piano e difatti sulla porta una targa di

ottone luccicante dice "Boemini Nestore". Tutto un programma. Certo pero'

che i genitori, con un cognome cosi' potevano scegliere un nome normale!

Al centro, la toppa cromata di una serratura di gran costo. Avvicino l'

orecchio al battente che appare verniciato di fresco. Nessun rumore, salvo

quello di un frigo che ricarica. Il pianerottolo e' deserto. Preferisco

che nessuno mi veda davanti a questa porta, cosi' e' questione di un

attimo. Mi appoggio e...sono dentro. Servita a poco la Mottura, ragazzo

mio ... Puzza di piedi. Nella penombra verdastra delle veneziane rimango

immobile per abituare la vista. Mi guardo intorno. Arredamenti e

accessori costosi, risultato di una scelta non di gusto ma di portafoglio.

Alla mia destra un acquario gorgoglia sommesso mentre una coppia di pesci

 piroetta attorno a un' anforina pseudo-romana posata sul fondo.

Inciampo in un paio di stivaletti di lucertola abbandonati sulla moquette

color lattuga. Per fortuna l' abbondante peluria attutisce ogni rumore.

Pareti rivestite di stoffa a colori vivaci. Qualche quadro. Le porte

davanti a me son tutte spalancate. Una sembra lo studio, l' altra e' la

cucina. Aitec, mi pare che si dica. Tutto inox e led colorati: pare di

essere in un sottomarino o in sala operatoria. Mensole e armadietti

modello ambulatorio rivestono le pareti. Accanto ai fornelli vari

apparecchi le cui funzioni mi sfuggono. Riconosco solo il tostapane.

Peccato che la confusione regni sovrana. Bicchieri e piatti sporchi

dappertutto, perfino nel bagno lastronato in virile marmo nero screziato

di grigio. Biancheria sparsa sulle poltrone; un paio di boxer dolce e

gabbana, visibilmente usati spenzolano gagliardi dal bel TV Bang &

Olufsen. Bel cialtrone, il signorino, ma in grana. Dorme, arrotolato al

copriletto di raso azzurro. Borbotta nel sonno e si agita. Nel pigiama a

righe anni sessanta sembra una vecchia pubblicita' del Permaflex, Mi sa

che dovro' armarmi di pazienza ed attendere sulle scale. Due ore mi fa

aspettare ma io ho con me la settimana enigmistica e sono paziente.

Indossa pantaloni marroni quando esce e giacca di pelle nera e

appoggiato su una spalla uno zainetto dello stesso materiale e colore.

E' spettinato e visibilmente rintronato dai vizi della notte appena

trascorsa. Imbocca le scale e scende senza neppure guardarsi intorno

cosi' non nota il sottoscritto che si e' nascosto una rampa piu' su. Lo

seguo. Non devo perderlo. Per sicurezza, visto che mi conosce, ho messo

gli occhiali scuri e una coppola sformata. Cammina deciso, imboccando

via Zamboni poi a destra via Castagnoli. Gli sto sempre dietro, ma sull'

altro marciapiedi. La strada e' piena di giovani che a quell' ora

affollano bar e trattorie; cosi' posso facilmente seguirlo senza che lui

se ne accorga. All' inizio di via Mascarella entra in una vecchia casa e

il portone si chiude con uno scatto alle sue spalle. Mi fermo sotto al

portico, cosi' da farmi superare dai due che mi camminano alle spalle.

Non badano a me, persi in un parlottio continuo. Si tengono stretti

stretti, entrambi inguainati in jeans che potrebbero esser fatti con la

vernice. Quando mi passano davanti m' accorgo che sono due donne. La

piu' giovane lampeggia un' occhiata dura, branca con gesto di possesso

una natica della compagna e se la porta via (la compagna, non la natica).

 

Mentre mi appoggio alla porta arriva un cagnetto sbiadito. Sembra un

volpino e infatti di quella razza ha gli occhi espressivi e la coda a

ricciolo. Mi ignora ma sottopone ad accurato esame olfattivo le

colonne. Non pare soddisfatto e per precauzione scarica goccetti di pipi'

ad ogni spigolo. Devo sbrigarmi o non lo trovero' piu'. Un' occhiata:

nessuno. Passo. Solito senso di bruciore. Gradini stretti e lisi di un

grigio indefinibile che le poche tartarughe stentano ad illuminare. La

ringhiera ondeggia al mio tocco e vibra. Le scale sono deserte e

silenziose. Posso solo origliare alle porte sperando di sentire la voce

del mio uomo. Se gia' si trova in una stanza interna, mi tocchera'

visitare tutti gli appartamenti. Al terzo tentativo lo trovo. Attraverso

il sottile strato di compensato, la sua voce mi arriva distintamente. Sta

discutendo animatamente con qualcuno, ma da dove mi trovo riesco a sentire

solo lui. Azzardo un piccolo controllo e cautamente infilo la testa

nella porta, rimanendo abbagliato dal lampadario che illumina a giorno l'

interno.

 

Non c'e' nessuno, cosi' m' insinuo. Voglio dare un' occhiata in giro. Un

semplice sopralluogo, perche' se il posto e' quello che penso io mi serve

solo di vedere la faccia di chi ci abita. Sono seduti ad un tavolino di

legno scuro, una specie di scrivania. Da una parte sta il mio uomo, che

da questo momento puo' andare a farsi benedire, e dall' altra uno

spilungone secco secco. Naso enorme, pochi capelli in testa e un vistoso

gozzo che gli sporge dal collo ossuto. Sembra l' avvoltoio di Walt Disney

ma gli occhi sono piccoli e freddi come pezzetti di carbone. Bene, non

avro' difficolta' a seguire uno cosi'. Sul piano, davanti a loro un bel

mucchietto di soldi, un sacchettino trasparente pieno di bustine bianche

nel quale il Nestore sta frugando e una bilancina da orefice. Non mi serve

altro e in punta di piedi me la svigno col solito sistema. Ho fretta di

uscire dall' appartamento, cosi' mi dimentico di controllare se il

pianerottolo e' libero. Per un pelo non finisco sulla schiena di un

vecchio che ciabatta verso il basso senza neppure accorgersi di me. Un

secondo prima mi avrebbe visto uscire attraverso il legno.

 

Il mio uomo di via Belmeloro e' il primo gradino di un grosso giro di

roba. Eroina, coca, hascish, marijuana, ectasis e crack e ogni altra

schifezza che sul mercato si riesca a piazzare. L' idea sarebbe di

risalire la catena per arrivare dove c'e' il denaro vero, quello a mucchi,

a montagne. Finora e' stato facile. Si e' trattato di pesci piccoli, che

lavorano da soli. D'ora in avanti invece trovero' sentinelle e guardie e

io mica sono gems bond. E' un lavoro di attese, quello in cui mi sono

messo, ma non ho alternative e se perdo un passaggio son fregato. Non mi

ci trovo in questo ruolo da telefilm americano, mezzo delinquente e mezzo

poliziotto.

 

E" sera e piove. Un' acqueruggiola lemme lemme che entra nelle ossa e ti

fa venire voglia di un camino acceso e di una comoda poltrona. L' asfalto

di via Galliera e' lucido e riflette i globi luminosi dei lampioni e i

fari delle poche auto di passaggio. Nonostante la protezione del parka

sono bagnato come un ninein, come un maialino. La macchina non ce l'ho e

il motorino era l' unico modo per seguire la golf dell' Avvoltoio, come

ho deciso di chiamare lo spilungone. Sono tre giorni che gli sto dietro e

questo qui e' uno che non sta mai fermo. Shopping, barbiere, l' aperitivo

da Zanarini, uffici, banche, anche un paio di cinema, insomma mai un

attimo di sosta. Perfino un Teatrino porno dietro via Indipendenza. Per

evitare che s' accorga di me, ogni tanto cambio un poco aspetto: tolgo o

metto il cappello ( ora ne ho tre diversi modelli), gli occhiali ( anche

di questi ne ho tre paia) e un vecchio impermeabile comperato in Piazzola.

L' ho scelto perche' da un lato e' grigio e dall' altro nero. Ecco, questa

e' una parte della preparazione che mi ha divertito. Sono sempre stato

affascinato dalla capacita' degli attori di cambiare fisionomia, di

variare il loro aspetto semplicemente modificando la postura o il passo.

I sistemi per alterare i tratti del viso: cuscinetti per le guance, baffi

e barbe. e tanti strani ammenicoli. Suppongo che c'entri il desiderio che

e' in ognuno di noi di volare via da una realta' troppe volte masticata e

di cambiare vita ad ogni nuovo personaggio. Mi sento come l' ispettor

Cluso' di Piter Seller ma per fortuna non ho il patema del cameriere

giapponese con i suoi attacchi a sorpresa di giudo'. L' Avvoltoio sta

parcheggiando di fronte a palazzo Montanari. Lo conosco bene, perche' mia

mamma ci veniva tanti anni fa a comperare le fodere in un magazzino a

piano terra e spesso mi portava con se'. Ci serviva sempre un commesso

piccolo e azzimato dal nome imponente: Dino Sauro! Chissa' mai perche'

quando si presentava, lui metteva sempre prima il cognome. Tutte queste

attese mi han fatto venire il male di schiena e la voglia di fumare.

Proprio a me, che non ho mai toccato una sigaretta! L' androne e'

signorile. Una serie di targhe indica la presenza nel palazzo di vari

studi professionali. Secondo piano. Una grande loggia con un finestrone

che da' sul cortile interno. Sulla parete una lapide dall' aspetto

vetusto: che Garibaldi sia passato anche di qui? Leziosi riccioli di ferro

battuto non riescono a mascherare il robusto telaio di acciaio di un

cancelletto in stile, cosi' come i pannelli di mogano che rivestono il

portoncino blindato. Ecco, le luci delle scale si sono spente. Ho pensato

piu' sicuro entrare dal muro, per evitare eventuali guardie. Mi fa una

strana impressione attraversare spessori cosi' grossi; il senso di

stiramento e' piu' marcato e non vedo nulla, anzi tengo gli occhi chiusi.

Pero' devo fare attenzione. La stanza in cui mi trovo sembra quella di un

bambino. Devo andare oltre. Sbircio. E' un largo corridoio, con le pareti

fittamente tappezzate di quadri: una specie di galleria d' arte. Le luci

sono tutte accese e sento delle voci provenire, presumo, dalla grande

porta chiusa, in fondo al corridoio. Da quella di fronte a me giungono

invece suoni da un televisore: l' ennesima partita di calcio. Azzardo un'

occhiata veloce. Un divano, due poltrone, alcuni tavolini antichi. Sono

in due e seguono attenti l' azione che si svolge sullo schermo. Non

battono nemmeno le palpebre. Davanti a loro lattine di coca, bicchieri,

una confezione di popcorn e un grosso revolver. In perfetto silenzio,

grazie alle suole di feltro, percorro il corridoio e le voci si fanno

piu' distinte. Rumorosissimo invece il cuore che mi tuona in petto. -

...ente di roba ne ho finche' ne vuoi. Roba di qualita' assoluta, ma per

chi vuol spendere poco c'e' anche la schifezza, ahahahah. L' importante e'

che abbiano la grana! - E'la voce di una persona istruita, colta. - Si',

si', il mercato tira e i miei ragazzi stanno lavorando proprio bene.

Mmm... fantastico questo cognac! -

 Questo invece e' l' Avvoltoio.

- Ma quale cognac! Barbancour di Haiti! Rum, e del migliore, altro che

cognac! Va" be', ora parliamo di affari. La pross...- Il rumore di una

sedia smossa, un' imprecazione a mezza bocca mi fan battere in ritirata

verso il bagno, ma e' un falso allarme. - ...percio' bisogna spingere.

Che facciano nuovi clienti. Le discoteche, di' che insistano nelle

discoteche. Li' di coglioni se ne trovano sempre! Quanti sono questi,

trecento? OK, aspetta che li metto via. - Sentendo quelle parole infilo

dentro la testa. Il minimo indispensabile per poter vedere. E' uno studio.

Molto lussuoso e quasi interamente rivestito di libri antichi. Accanto al

monumentale camino un divano. Sopra, una figura sdraiata e immobile. Il

paralume blu della lampada conferisce ai lunghi capelli biondo cenere un

riflesso ultraterreno. Sta leggendo, la donna, e non pare curarsi della

vestaglia generosamente aperta sui seni e sulle cosce abbronzate.

Sull' altro lato una grande scrivania carica di fronzoli dorati e varie

poltroncine in pelle bordo'. Un bellissimo soriano grigio dorme in un

angolo, arrotolato come un tortellino. Mentre lo osservo alza di scatto

il muso e mi fissa con liquidi occhi color del moscato. Intanto che il

padrone di casa traffica nell' enorme cassaforte, l' Avvoltoio ne

approfitta per dar giu' alla bottiglia di... accidenti, come l' ha

chiamato? Ho la visione fugace di due ripiani carichi di mazzette prima

che il pesante sportello si richiuda, la tenda copra il tutto e io ritiri

la testa dal muro. - Ma ti fidi a tenere quella massa di soldi in casa? -

borbotta con falsa noncuranza lo spilungone. - No, tanto e' vero che

domani mattina porto via quasi tutto. Aspettavo i tuoi. Visto cosi' non

sembra, ma ci sono quasi otto cucconi, sai, li' dentro! Piu' del solito,

ma in quest' ultimo mese non ho avuto tempo e cosi'.... - OTTO MILIARDI?!

ma si', ha detto otto cucconi e i cucconi non possono essere che miliardi.

Per la miseria ...otto miliardi! Pronuncia la cifra a bassa voce mentre

scende le scale. Otto miliardi...come si scriva una cifra cosi' manco lo

sa. Ma tu pensa quanta gente lavora una vita e non vede neppure la decima

parte di 'sti soldi, e questo qui li mette insieme in un mese.Un mese!! Se

ne va scuotendo la testa, si sente polemico ed esce dal portone come un

forsennato. - MADONNA, MADONNA SANTISSIMA, BEDDA MADRE!!! LO GIURO,

NEMMENO UN GOCCIO BERRO' PIU',LO GIURO' !!! Pure i fantasmi che escono dal

muro, ora. No, no, la devo smettere con 'sta robaccia ...- Il mezzo

barbone che stava accucciato di fianco al portoncino se ne va veloce

senza neppure girarsi indietro. Lo guardo sparire per via Volturno, mentre

 il suo borbottare si fa sempre piu' indistinto. Chissa', magari la mia

disattenzione lo fara' davvero smettere con la bottiglia. Pero' devo stare

attento. Gia', me lo dico sempre.

 

Sono talmente sottosopra per cio' che e' appena successo che non

riesco a riordinare le idee. - Otto miliardi ha detto, mmmm, e ha anche

aggiunto che domani li porta al sicuro. - La decisione arriva da sola, si

puo' dire. Finita la corsa, finiti gli appostamenti, i sotterfugi e i

travestimenti, che si sentiva anche ridicolo. Non pensava...credeva che

avrebbe dovuto risalire altri passaggi, scoprire altri anelli della catena

della droga. Invece e' capitato nel posto giusto al momento giusto. Quindi

e' per questa notte. Non puo' essere diversamente. O la va o la spacca, ma

lui a lavorare in una cantina non ci torna piu'. E poi gli hanno detto

che ora grossi sforzi non li puo' piu' fare. Si', ha gia' deciso. Sono

quasi le nove e d' impulso decide di offrirsi una lussuosa cena. Ora che

la decisione e' presa si e' scoperto una fame da lupo e la voglia di

festeggiare. Tornera' li' alle 4, percio' di tempo ne ha da vendere.

 

Antipasto di salumi misti, tortellini in brodo, tagliatelle al ragu' e

bollito misto con la salsina verde che gli piace tanto. Per finire un bel

cremcaramel. Un meraviglioso sangiovese come lubrificante. Una cena che

gli e' costata cio' che aveva in tasca e che ora lo fa sentire come se

avesse un camion nello stomaco. Forse ha un tantino esagerato, ma ne

valeva la pena. Era tanto che voleva entrare al Diana. Mai avrebbe pensato

che un giorno si sarebbe trovato a domandarsi che valigie servono per

portare otto miliardi. Dovendo decidere su due piedi ha preso cio' che

era disponibile in casa e cioe' un' enorme valigia di finta pelle gialla

e una sacca in tela con la scritta LINES - LE ALI DELLA LIBERTA'. Un po'

ridicolo ma pensando a cio' che tra poco conterra', anche ironico, no?

Capisce che non e' il caso, ma non riesce ad impedirselo. Si sorprende a

sorridere a due ragazze orrende che ha appena incrociato davanti al

Metropolitan. Quelle lo squadrano, vedono la sacca lines e accelerano

alzando il mento, le principesse! Non importa: nulla, ma proprio nulla

puo' metterlo di cattivo umore, questa notte.

 

Tutto come previsto. Via Galliera e' deserta. Unica presenza ostile, un

gruppo di cassonetti stracolmi che mandano un puzzo bestiale. E' buio

pesto nel palazzo ma lui si e' munito di una mini-torcia che tiene

avvolta nel fazzoletto. La debole luce che ne scaturisce e' sufficiente a

vedere dove mette i piedi. Passa attraverso i muri ma non ha mica i

superpoteri di Nembo Kid. Nell' appartamento tutto tace. Non si sente

neppure russare. Strano. Va diritto allo studio. La porta e' aperta.

Allunga una mano. Per un attimo lo raggela il pensiero assurdo che la

cassaforte non sia piu' dietro la tenda di velluto. E invece c'e',

ovviamente. Ma cosa gli prende? Deve stare calmo. Cerutti-Torino, dice la

targhetta sul frontale. Ci si appoggia leggermente. E se non riuscisse a

entrare? Oh, basta con le masturbazioni mentali. Chiude gli occhi e ...

il braccio e' dentro fino al gomito poi fuori. Tra le dita un pacco di

soldi alto dieci centimetri. Sono pezzi da dieci, cinquanta e centomila.

Rapidamente riempie la sacca poi passa alla valigia. Mai visti tanti soldi

in vita sua. Avuti in mano poi... Ci sono anche delle banconote straniere,

ma non le riconosce. Bada ad ammucchiare. Quando il fondo della valigia e'

un materasso di carta, gli pare che non ci sia piu' niente sui ripiani.

Tasta avanti e indietro finche' sente una specie di cassetta e una cosa

morbida. Li tira fuori in fretta perche' il nervosismo comincia a farsi

sentire. La cassettina sembra di pelle e la mette in valigia senza

guardarci: lo fara' a casa con calma. Il sacchetto invece merita un po' di

attenzione. Lo soppesa tra le mani. Saranno tre chili.Tre chili di

polverina bianca, non sa se coca o eroina. Comunque un bel mucchio di

bigliettoni anche quella. Ha un' idea. Va nel bagno e alla luce del

fazzoletto - torcia squarcia il sacchetto sopra il water, in modo che una

parte minima del contenuto si sparga sull' asse. Vuole che il suo regalino

sia ben visibile. Butta il sacchetto vuoto a terra, recupera sacca e

valigia e se la svigna. Vorrebbe restare solo per vedere la faccia del

padrone di casa quando trovera' vuota ma del tutto intatta la cassaforte!

 

 

Le marmette del piccolo alloggio sembrano la moquette esclusiva del

presidente della zecca o la zona relax di Paperon de' Paperoni! Non

proprio otto miliardi: sette e novecentotrentaquattro milioni piu'

trecentocinquanta milioni in marchi e franchi svizzeri. Una parte l' ho

destinata a gente che ne ha un gran bisogno; il resto e' al sicuro,

sparso tra banche di vari Paesi, in attesa che io decida come

investirli. Non me ne intendo e dunque devo imparare. Rattrappito sullo

scomodo sgabello, ricordo di una visita al magazzino di don Marella, ho

volutamente messo qualche metro tra me e tutti quei soldi. Nausea?

Vertigini? Un po' di entrambi. Certo e' che faccio fatica a mettere

ordine nel gomitolo informe di emozioni, programmi, scampoli di sogni,

dubbi, desideri. Ora che i giochi sono fatti, ora che ho portato a

compimento il piano che poche settimane fa ancora non sapevo se prendere

sul serio oppure no, non riesco ad attivare in me il piacere che dovrebbe

darmi tutto quel denaro e l' indipendenza che da esso deriva. Voglio

riposarmi e dimenticare stanzoni umidi, ospedali e impermeabili double -

face.

 

Penso a mia madre, che copiava sulla singer i modelli di Parigi e a mio

padre, sempre in tuta d' la Curtisa poi l' errore di una gru ed il

lucido spettrale della bara di Golfieri. Penso alla bruna e passionale

Lou e alla enigmatica e contradditoria Daria. A Nadia, rigorosa e

sfuggente ma preziosa e stimolante e a Fulvia, intrigante dottoressa,

evanescente, tenera ragazza e a un tempo donna concreta e forte. Sogno,

realta'? Mi penso addosso, ex-magazziniere, ex-ricoverato, fenomeno da

baraccone multi- miliardario sradicato da un mondo che avrei creduto

inevitabile e trascinato da un beffardo e ironico puparo in una

dimensione ignota da novella tremila.

 

Ah, dimenticavo ...vi ricordate la cassettina di pelle trovata in

cassaforte? Beh, non ci crederete, ma sotto a tanto pelo forse batteva

anche un cuore: era piena di vecchie foto di famiglia. Quelle le ho qui e

ogni tanto me le guardo. _______________________

 

Il soggetto del breve racconto che segue ha un' origine curiosa. Sentite

un po'.

 

 E' mattino presto, forse le 5, e mi trovo in quello stato di dormiveglia

che segue un sonno ristoratore e precede di poco il risveglio vero e

proprio. Non capisco bene se sono sveglio o se sto sognando. Mi pare di

galleggiare, non penso a nulla perche' voglio godermi quella sensazione di

pace quasi amniotica. Gradualmente, come nei film, quando un' immagine

sfocata pian piano si consolida e diviene qualcosa di comprensibile,

nella mente mi si forma il volto di un uomo anziano, ma dai tratti

asciutti, marcati e vigorosi. Avete presente certi vecchi pellerossa?

Ecco, cosi'. Pelle abbronzata e segnata dal tempo e dalla vita all' aria

aperta. Si trova in una camera bianca e vuota, vuota di tutto, come l'

interno di un cubo. E' immobile e guarda fisso davanti a se', tanto che ne

posso scorgere solo il profilo.

 

Ora invece sono immagini di boschi e prati che mi sfilano davanti. Una

figura corre con passo elestico e sicuro. E' lui. Corre per ore e ne

sento il respiro, affaticato ma regolare. Non sta fuggendo da qualcosa

perche' avverto anche piacere nel suo stato d' animo, un benessere che gli

deriva proprio da cio' che sta facendo.

 

Ancora la camera vuota e in me sorge un senso di solitudine ma non come

una cosa mia, capite? Come se fosse una solitudine, una malinconia di

altri. Come se pian piano fossi entrato nella testa e nel cuore di quell'

uomo. Man mano che mi concentro su quelle immagini, nella mia mente se ne

formano altre e altre ancora e ancora... Allora mi alzo e senza neppure

fare toilette mi getto addosso la vecchia tuta di pile (quella che mia

moglie vorrebbe buttare perche' dice che e' indecente) e mi chiudo in

studio. Ho scritto, scritto, scritto e la storia viene fuori cosi', come

se qualcuno me la dettasse. Scrivo...

 

 

 

 

 

 PETTORALE NUMERO TRENTOTTO

di Alberto Angelici

 

 

Nell' incerto chiarore di un' alba appena annunciata, la finestra

illuminata spicca solitaria sulla facciata di mattoni a vista. E'

domenica e la citta' riposa nella pausa settimanale. La modesta cucina

odora di latte caldo e piatti lavati. Secchiaio in graniglia grigia da

museo della civilta' metropolitana in una nicchia, cucina rex in quella

di fronte. A terra marmette di colore indefinibile. Un' intera parete e'

occupata dalla credenza liberty in rovere, unica superstite alle vicende

belliche della camera da pranzo che lui e sua moglie si erano fatti fare

appena sposati. Lunghe placche d' ottone raffiguranti tralci d'uva e

campanule riflettono i bagliori grigiastri del neon a soffitto. Buffet,

contro - buffet, tavolo e sei seggiole. Quante cambiali, ma lei ci teneva

tanto... "Ci dureranno tutta la vita, vedi come sono solidi? - soleva dire

- Cose fatte per sfidare il tempo, cosi' ne godranno anche i nostri

figli!" Di figli non ne arrivarono, di certo non per mancanza di impegno

e chi mai poteva immaginare che anni dopo sarebbero sfollati in montagna

per evitare i bombardamenti? Tornati in citta', avevano trovato la porta

forzata e ovunque una confusione indescrivibile. In camera da pranzo era

sparito tutto, escluso la credenza e una sedia. Nessuno sapeva niente,

nessuno aveva potuto o voluto dare spiegazioni. Marta ci aveva fatto una

malattia, per i suoi mobili. Aveva pianto e dopo se l' era presa con lui,

che non aveva voluto spendere i soldi per un camioncino. Meno male che le

poche cose di valore, la spilla di una zia, il servizio di piatti col

righino d' oro e i bicchieri buoni, erano sfollate a Zocca assieme a

loro.

 

Sul tavolo di formica giallina sono rimaste le tracce della colazione.

Mettera' in ordine prima di uscire: adesso e' ora di prepararsi.

Pantaloncini ... maglietta ...calze ... pettorale col numero 38: tutto e'

pronto nel bagno fin dalla sera prima. Ogni cosa e' piegata e sistemata

sul radiatore, proprio come faceva lei, perche' fossero bel caldi la

mattina. La colazione in cucina, il pentolino per il mezzogiorno e un

bacio prima di uscire. I turni in fabbrica a volte erano molto scomodi ma

per quanto presto lui si alzasse, lei lo precedeva sempre, per fargli

trovare tutto pronto. Era lei a occuparsi del suo equipaggiamento in

previsione di una corsa e subito dopo a rimettere tutto in ordine. Ogni

volta, con cura amorevole riempiva le scarpette speciali di carta di

giornale per mantenerle asciutte e in forma. Stirava e rammendava maglie

e pantaloni e una volta al mese lucidava col sidol coppe e targhe e la

bacheca del medagliere. Lui faceva finta di niente ma vedeva con quanto

orgoglio e amore la moglie svolgeva quelle incombenze. Quando avrebbero

potuto godersi entrambi la pensione, un brutto male se l' era portata via

in pochi mesi.

 

Il rumoroso ticchettio della pendola lo riporta alla realta', mentre il

tubo dello scarico gorgoglia, scandendo ritmi prosaici di una vita che

malgrado tutto continua. Uno sguardo in giro, prima di chiudere. Tutto in

ordine, tutto come dev'essere. Per una vergine come lui l' ordine

esteriore e' importante per conservare quello interiore. Giu' dal portone,

 un ultimo pensiero: nascondere nella siepe il mazzo delle chiavi, cosi'

avra' una cosa di meno da tenere con se'. Un gattone male in arnese

sfreccia via da sotto i rami, mentre un venticello freddo gli porta le

note biasciate di un Vasco Rossi che, chissa' perche', insiste nell'

augurarsi una vita spericolata piena di guai. Sul bus che lo conduce al

punto di raduno, alcuni ragazzi lo fissano e intanto bisbigliano tra

loro. Capisce che parlano di lui. Lo sguardo e' di divertita insolenza,

come se non fosse dignitoso per uno della sua eta' indossare un

abbigliamento cosi' smaccatamente agonistico. Sono giovani - ragiona - di

una generazione che troppe volte non sa ma giudica. Giovani cui non

abbiamo saputo insegnare l' umilta' e che si ritengono sportivi solo

perche' ogni domenica assistono agli sport praticati da altri.

 

Il grande piazzale erboso e' gremito di appassionati e curiosi che

attendono di assistere al via. In molti casi sono i famigliari dei

partecipanti e danno loro una mano a ultimare i preparativi.

Deve soffocare sul nascere una fitta di invidia o forse e' il

ricordo-rimpianto delle tante volte in cui anche lei, Marta, aveva fatto

lo stesso con lui. Centinaia gli iscritti, nelle due categorie:

professionisti e dilettanti. Facilissimo distinguerle. Atletici e tutti

piu' o meno simili tra loro, i primi, modellati da massacranti sedute d'

allenamento, sono inguainati in attillate combinazioni tecnologiche che

fanno apparire la muscolatura come fosse scolpita nel metallo. Si

distinguono anche per il fatto che un nano-secondo dopo il bang sono gia'

cosi' avanti che fino al traguardo non li vedra' piu' nessuno.

 

Disuguali gli altri, altissimi ed emaciati oppure panciuti e con la

silhouette di una trottola, indossano equipaggiamenti raccogliticci,

precari ed improbabili. Inutili felpe di celofan prese coi punti Esso,

t-shirts pubblicitarie dai colori accesi, orripilanti tute sintetiche

dalle quali escono sbuffi di vapore come dalle fogne di niuiorc. Avanzano

col passo strascicato del moribondo o sulle punte come Leda e il cigno, a

balzelloni come canguri o a passetti inamidati o ancora impettiti come

tacchini o sgonfi e vuoti come parentesi tonde. Sono pallidi o a

chiazze color lambrusco, uniformemente cianotici o dal leggiadro incarnato

itterico. Impiegati del catasto, casalinghe frustrate, erotomani

conclamati che approfittano dell' intruppata per palpeggiare le

partecipanti femmine, segretarie che cercano nuove amicizie e all' uopo

sfoggiano pantaloni attillati come camere d' aria e giubbetti

rigorosamente corti. Gottosi, piedidolci e asmatici, rachitici e ansiosi,

flatulenti e obesi, TUTTI partecipano, tutti convinti di trarre un

beneficio anche solo dal portare il pettorale col numero! Rischiano l'

infarto, rasentano l' ictus in nome dell' ambizione di star meglio

correndo nella Natura tre volte all' anno, torturando cosi' un organismo

avvezzo piu' allo stress da computer che a quello da viottolo di campagna.

Salvo poi mandare giu' sorsate di coca gelata e panini sintetici al

vinil- prosciutto e pseudo- fontina.

 

Indescrivibile la confusione, sia in prossimita' del banco dell'

Organizzazione che nei prati circostanti, ma non ci bada piu' di tanto.

Pensa al percorso, pensa a cio' che gli ha detto il medico sportivo, che

il tempo non passa solo per gli altri e che sarebbe bene che ogni tanto

desse un' occhiata alla carta di identita'. Lo aveva detto scherzando

perche' si conoscevano da un pezzo, ma aveva colto un' espressione

preoccupata sul quel viso sempre sorridente. Flette a ritmo crescente

gambe e braccia. Spia il sangue scorrere e i muscoli gonfiarsi nel

confortevole calore dell' esercizio. Certo, specialmente di recente ha

avvertito i segni di un cambiamento, ma rifiuta di ammetterlo, in primis

con se stesso. Un tremore nuovo alle mani, discontinuo e piu' forte di

quello arrivato coi primi capelli grigi. La sensazione di affanno al

termine delle dieci rampe di scale, le stesse che un tempo poteva superare

d' un fiato. "Ma e' logico - ripeteva tra se'- e' naturale, il tempo

passa e non posso pretendere di sentirmi sempre come a quarant' anni.

Pero' di energia ne ho sempre tanta e poi, con l' esperienza di mezzo

secolo di corse...". Si allena ogni giorno, estate e inverno, anche sotto

la neve, stringendo i denti e ignorando vertigini e fitte alle gambe,

perche' non ha altro, oramai, nella vita. Non ha piu' il suo lavoro ne' i

colleghi di fabbrica. Non piu' Marta, la buona, fedele e dolce e forte

Marta. Spariti nel grigio dell' indifferenza o sotto terra i pochi lontani

parenti, ora non gli resta che la consapevolezza della sua falcata. La

sicurezza che ad ogni appoggio del piede sul terreno ne seguira'un' altro

e poi un' altro e un' altro ancora, sempre con quella cadenza, ascoltando

nelle orecchie il cuore che pompa e nei muscoli la loro forza. Sempre

e sempre e ...

 

Anche ora e' cosi', quindi guarda avanti - si ripete di continuo, ad ogni

metro, ad ogni platano che gli sfila accanto, ogni volta che uno strillo

di bambino o un movimento improvviso vorrebbe distrarne l' attenzione.

Guarda avanti e pompa. Pompa e non pensare. Il mondo e' qui, e' ora,

dentro alle tue scarpette, su questo asfalto e non devi pensare ad altro.

Cosi', in un' infinita sequenza di uno-due, uno-due, uno-due, scorrono i

chilometri. Anche se non conosce la propria posizione, e' consapevole

che il gruppone e' lontano, dietro di lui. Non ne avverte i passi ne'

la cadenza grave e cavernosa del coro di fiati. Davanti, molto avanti,

scorge un gruppetto, ma sono pochi, forse appena tre. I professionisti,

campioni sulla cresta dell' onda, sono volati via come gazzelle... come

lui secoli prima.

 

Capisce che sta andando bene, meglio del previsto.

Lo vede sulle facce confuse che scorrono ai lati del percorso. Facce

che fissano sorprese il bianco dei suoi capelli. Lo vede negl' occhi

spalancati per la sorpresa. Lo sente negli applausi che sempre piu'

numerosi suscita il suo passaggio. A un tratto gli si para davanti un

corpo. Scarta di lato per non travolgerlo: se andasse a terra sarebbe

finito, perduto. Un lampo negli occhi, un' altro ancora e capisce che lo

stanno fotografando, maledetti incoscienti! Supera un curvone. Lo

riconosce. Sa di essere quasi a meta' del percorso. Sa che fra poco

dovra' affrontare una lieve salita. Uno-due, uno-due, gli occhi in avanti,

la mente nei piedi che affondano con la regolarita' di un metronomo. Ma

la salita per quanto leggera sollecita muscoli provati da tanti

chilometri.Tutto gli appare remoto, sbiadito, come l' immagine di un

obiettivo difettoso. Il tu-tum del cuore e' un boato sempre piu' sordo,

sempre piu' forte. Puo' quasi vedere il proprio viso, cianotico,

deformato dallo sforzo, i denti stretti a trattenere il fiato in

polmoni troppo grandi per un torace solo. Sente le vene sul collo farsi

ad ogni istante piu' gonfie e tese e dure come cordoni e le tempie

pulsare al suono di un' invisibile grancassa. Vorrebbe avere tubi da

stufa al posto delle narici, mantici per polmoni, pistoni idraulici come

quadricipiti. Altri flash gli torturano la vista, saettando lungo il nervo

ottico stilettate al cervello. Confusamente si dice che se lo fotografano

significa che sta andando bene. I gruppi di spettatori sono per lui

soltanto colori indistinti, macchie, lunghe macchie rese mosse dal suo

avanzare rapido. Lingue di fuoco gli invadono il petto. Fuoco liquido

come lava, bruciante come quando in officina gli esplose accanto un

tubo del vapore. Un formicolare strano, ignoto, serpeggia lungo il braccio

sinistro. Non sa spiegarsi come ma gli da' sensazioni piacevoli.

 

 All' improvviso sente uno schianto, quasi il rovinare a terra di qualcosa

di molto pesante. Vorrebbe girarsi, guardare, ma non osa.Ha un giramento.

Teme d' inciampare. Non ti fermare, non cedere, non rallentare, non

rallentare, hai il ritmo giusto, HAI IL RITMO GIUSTO!! Se lo dice e se lo

 urla dentro all' infinito, e forse non solo dentro, perche' gli sembra di

sentire un gorgoglio ansimante che potrebbe essere suo. Da quel momento,

incredibilmente, la sofferenza si attenua, scompare e anche il fuoco che

sentiva dentro gli da' tregua. DAI! DAI! forse e' una sconosciuta riserva

di energia quella cui sta attingendo, perche' gli pare che i piedi non

tocchino piu' terra. Ha l' impressione di sfiorare appena l' asfalto.

Terminato il fiato rovente e il senso di bruciore che un attimo prima

aveva colmato ogni cellula del suo essere.

 "Chissa', magari questa sera aggiungero' un chiodino al medagliere...-

pensa e un sorriso incerto allenta quelle labbra che stanno serrate da

ore. - Marta sarebbe contenta, una volta di piu' orgogliosa di me!" E'

felice. Felice di una gioia primeva e limpida come acqua di ghiacciaio.

D' un lampo ricorda quando da bambino la mamma lo premiava per un compito

ben fatto. C'e' anche piu' luce nell' aria o e' una sua impressione?. Che

stia per venire fuori il sole? La vista gli si e' schiarita e ora ci

vede perfettamente. Nel benessere strano che si sta impadronendo di lui

ha la sensazione di un lontano vibrar di campane, mentre il percorso

sembra perdersi nel biancore di quella luce. Ma gia', e' domenica: sara'

un chiesa che chiama a raccolta i fedeli. Scorge una fila di spettatori,

ancora indistinguibili nella forte luminescenza che pare scaturire dal

percorso. Si sporgono verso di lui e battono le mani, sono tanti e lo

incoraggiano. Sorridono gli occhi e vede le bocche aprirsi e sorridere, le

gole tendersi in grida festose ma e' sempre e soltanto un vago clamor di

campane quello che avverte. Strano, molto strano.... E' piu' vicino. Ora

i contorni sono netti, distingue i particolari. Sono uomini e

donne...uomini e donne e fanno gesti. Gli sembrano volti familiari. Uno,

fra tutti, quello di una donna, un volto dolce e forte...

 

ANZIANO ATLETA MUORE DURANTE UNA CORSA.

Giornaleradiotre, edizione della sera.

Questa mattina il settantatreenne Aldo Nardozzi, durante lo svolgimento di

un' importante gara a livello nazionale, e' caduto a terra fulminato da

un infarto. Non prima pero' di aver fatto sfigurare alcuni tra i piu'

forti dilettanti Italiani. Inutile ogni sforzo dei sanitari che si sono

prodigati nel tentativo di rianimazione. Il Nardozzi, pensionato di una

nota azienda meccanica e vedovo da alcuni anni, si applicava con immutata

passione all' attivita' che da giovane lo aveva visto fare suoi alcuni

dei piu' prestigiosi trofei nazionali ed europei. Riferisce il nostro

cronista, prontamente accorso sul luogo della tragedia, che il volto dell'

anziano atleta stranamente sorrideva, non mostrando traccia alcuna dei

tremendi sforzi all' origine del fatale malore. Previsto per domani l'

esame autoptico.

 

Calcio. Nulla hanno potuto gli sforzi della squadra granata volti a

contrastare ... ______________________________ Dedicato ad Elena,

romagnola ma bolognese d' adozione, simpaticissima corrispondente di Rete.

 

 

VITTORIA E IL RAGIONIERE

di Alberto Angelici

 

Come tutte le mattine l'uomo usci' dall'anonimo palazzo IACP alle 7 e

trenta in punto. Il bus sarebbe passato di lì a un quarto d' ora. Giusto

il tempo per un cappuccio, un cornetto ed una scorsa al Carlino. Il

rito si svolgeva sempre allo stesso bar da anni, fin da prima che il

vecchio gestore morisse di un colpo apoplettico dietro la macchina del

caffe'. Gli era subentrata una donna, un tipo indipendente che

faceva tutto da sola, senza mai abbandonare il sorriso, dalle 6 del

mattino alle 9 di sera. Prima la chiusura era a mezzanotte, ma Vittoria

aveva una figlia da accudire, cosi'... Il marito? Vittima del fumo! No,

niente carcinoma del polmone. Solamente un grosso stronzo, nel senso che

era uscito per comperare le sigarette... e non era piu' rientrato. Cosi'

lei, la Vittoria, aveva cambiato orario, gettando nella piu' nera

disperazione i vecchietti che prima soggiornavano fino a tarda ora ai

tavolini in formica color penicillina.

 

Equiseto Bianchi (ma dava ad intendere di chiamarsi Sandro, come il Grande

Mazzola) ragioniere del Pier Crescenzi, era uomo abitudinario e non molto

ciarliero; tuttavia aveva gradito parecchio il cambiamento, anche

perche'(ma non solo!) assieme ai vecchietti se n'era andato un

persistente afrore di sigaro toscano presente nell' angusto locale fin

dalle origini. Sparita la nuvola azzurrina appena sotto il soffitto,

sparite cicche e scaracci agli angoli della stanza, ora i vecchi

arredi, a cominciare dal grande specchio molato del Caffe' Sandrolini,

brillavano di una dignita' nuova e l' ambiente odorava di pulito e di

bomboloni freschi.

 

Quella mattina il bar era deserto e Bianchi in cuor suo se ne compiacque:

per un po' si sarebbe gustato in esclusiva lo spettacolo preferito e

cioe' le piu' spettacolose, entusiasmanti, sane mammelle della Bolognina.

Alte e di attaccatura larga, cosa rarissima a trovarsi, come quelle della

Sofia, appartenevano appunto alla proprietaria del bar. Per guardarsele

in santa pace, il nostro sfruttava lo specchio, fingendo di meditare

sulle boiate dellla cronaca locale. Il gran nasone puntato sul Carlino,

mentre gli occhi seguivano l' andarivieni della Vittoria dietro al

bancone. Insomma, un po' come seguire una partita di ping-pong ma giocata

con ben altre palline! Questo, piu' della colazione, restituiva al magro

ragioniere la serenita' d' animo necessaria per affrontare un altro

giorno di lavoro, alla scrivania di un' impresa di pompe funebri. Oltre il

vetro divisorio, un continuo via-vai di facce lunghe e vedove in

gramaglie che per fortuna non era compito suo accogliere. Serio e

composto, pilastro dell'Ufficio Contabilita', indossava solo completi

grigi. Ne aveva tre, di differente pesantezza. Tutti rigorosamente

grigi. Fin dal giorno dell'assunzione, venticinque anni prima, aveva

ritenuto giusto conformarsi all' atmosfera austera e non proprio

esilarante dell' ambiente con un colore che non stridesse con lo stato

d' animo dei visitatori.

 

Ma se l'aspetto esteriore appariva cosi' opaco e conformista, dentro

Bianchi era ben altra cosa. Capacita' d'osservazione, senso

dell'umorismo e una discreta cultura costruita con anni di buone letture,

avevano scavato profondamente nel suo animo ma non erano riuscite a

scalfirne l' innata riservatezza. Del resto non glielo diceva sempre

anche suo padre? "Guardare, osservare tutto ma parlare poco: la persona

silenziosa sembra sempre piu' intelligente di quanto non sia in realta'.

Non lo dimenticare!" Cosi', anche se non si considerava un cretino, aveva

preso l'abitudine di parlare poco e di guardare molto ma senza parere ...

specialmente l' ondeggiare indolente di un seno pieno o la gonna tesa

dal rapido un-due, un-due della commessa del primo piano.

 

Eeeh si', perche' ad Equiseto, che doveva quel bizzarro nome al padre

botanico dilettante, gli ormoni non difettavano davvero. La curva di un

fianco, la lenta sfilata di glutei e coscie sotto al Pavaglione all' ora

dell'aperitivo, avevano il potere di scatenare in lui tempeste di

libidine, furori erotici cui non sapeva ne' voleva sottrarsi. C' erano

giorni in cui perfino i tratti morbidi di certe automobili, la pienezza

sinuosa di un parafango retro', gli richiamavano alla mente immagini

muliebri: all' istante un ben noto calore si diffondeva all'inguine

riattivando il turbine.

 

Il problema piu' grosso era stato dissimulare certi improvvisi fenomeni

diciamo cosi "meccanici"che sarebbero risultati, specialmente sul posto

di lavoro, alquanto imbarazzanti. Madre Natura aveva dotato il nostro di

un gran naso, di dita lunghissime e di piedini numero 48. Presumibile

che anche qualcos'altro avesse dimensioni altrettanto imponenti. E difatti

cosi' era: roba da far vergognare perfino Rocco Siffredi, re dei

porno-attori! Giorni e giorni di training estenuante, simile a quello

che consente a sacerdoti tibetani semi-nudi di ignorare il freddo,

fecero il miracolo. Cio' che neppure uno slip rinforzato avrebbe mai

potuto arginare, pote' la forza della mente! Finalmente era riuscito a

relegare in ambito esclusivamente cerebrale il suo arrapamento, fosse

anche il piu' furioso e coinvolgente. Poteva lasciare correre la

fantasia a briglia sciolta, libero di soffermarsi su culetti a

mandolino, libero di osservare impassibile frotte di liceali abbigliate

come battone dei viali. Si divertiva anzi ad assumere una espressione

serafica e distante mentre dentro un vulcano segreto eruttava fuoco e

lapilli.

 

Un paio d' anni prima aveva avuto una storia con una bibliotecaria

impiegata presso un Centro Civico.

Era durata poco, anzi pochissimo.

Lei non riusciva a soddisfare le voglie di lui, che anzi giudicava

eccessive e un tantino animalesche. In compenso portava a casa ogni

nuova edizione e pretendeva di passare le serate a dissertare di questo

o quel autore, del Premio Strega e di cose cosi'. Da allora non ha piu'

voluto stringere nuove impegnative amicizie femminili. Si e' chiuso ancor

di piu' in se stesso e l'unico a salire in casa sua sono io. Per quelle

cose li', si arrangia. Quando non ne puo' piu' di guardare culi e tette,

il sabato pomeriggio salta sul treno (non ha mai preso la patente) e va

a Modena a trovare una Signora che ha molte nipotine... se capite cosa

intendo. Scusate la verbosita' ma, quale vecchio amico del Ragioniere,

ritengo sia mio compito spiegarvi la natura del personaggio.

 

Come dicevo, il locale era deserto, cosa strana data l'ora.

- Il solito, Ragionier Bianchi? Sii? Glielo faccio subito, altrimenti

'stamattina rischia proprio di perder il bus! Ha visto che meraviglia

di bomboloni che abbiamo? - - Sè... propri una blazza, una vera

bellezza, mo megga i crafen alla crema ...guerda le', guerda quanta

salute! -

 Mi pare di sentirli i suoi pensieri, mentre invano cerca di concentrarsi

sul cappuccino, e gli occhi vanno allo splendore del decollete'. Perche',

va bene il controllo della mente sulla carne, va bene anche il treining

alla maniera tibetana, mo' la carne e' la carne!

 

Non c' e' malizia in quell' esibizione di benessere che la Vittoria ci

sta offrendo, ci tengo a dirlo: non vorrei che pensaste chissa' che cosa

di una donna seria che sgobba tutto il giorno. Semplicemente non ci fa

caso, meglio ancora non se ne cura. Solare e spontanea come una bimba

dell'asilo, regala agli avventori lo sguardo allegro di una donna in

pace col mondo, ma senza concedere confidenza a nessuno, forse in attesa

di quello giusto. Tuttavia con un fisico cosi' e il suo stato di

vedova era inevitabile che qualche "galletto" si sentisse autorizzato a

prendersi delle liberta'. Beh, vi assicuro che e' stato messo subito al

suo posto. Un tale, certo Richetto, di sicuro ancora ricorda il peso del

bricco inox che ricevette sul naso, quando penso' bene di allungare

ripetutamente le mani verso il grembiale! Solitamente pero' bastava che

l'allegro tono di voce della Vittoria si facesse pacato per far

rientrare nei ranghi anche i piu' determinati.

 

Era tardi e noi stavamo ancora li' a sorbire l'ultima schiuma del

cappuccino. Cominciavo a pensare che quella mattina ce la saremmo davvero

fatta tutta a piedi. D' altra parte li' dentro si stava cosi' bene.

 Profumo di caffe'e di brioches, e la ventola che girava lenta a

soffitto. Questo e il tendone verde dell'ingresso bastavano a rendere l'

ambiente fresco ed invitante, in quel mattino di giugno che il sole

iniziava ad arrostire. L'autobus era passato da un pezzo ma l' odore di

pneumatici roventi ancora ristagnava , quando avvertii la porta aprirsi

e mi girai. Piu' che altro fu il cambiamento di luminosita' e uno sbuffo

di gas a farmene accorgere. In controluce sembrava un ragazzino, forse

un operaio in ritardo o uno studente in vena di fughino. "Tt-tira su

lll-le mani, ccc-cogglione, ff-fammele vedere bbbene e pppure tu - sibila

balbettando, rivolto a Bianchi e al sottoscritto - ......e tt-tu pp-pochi

scherzi, ssstrrronza , e dd-dammi la cassa, o ti buco! DAI! "e alzo' un

lungo coltello da cucina che chissa' dove lo aveva tenuto infilato fino a

quel momento Non era un operaio, non uno studente, non piu' per lo meno.

Solo uno sfigato. Venti, forse venticinque anni, smunto e grigio in

faccia, di un pallore che era denutrizione e alcool ma anche

disperazione e paura. un grappoletto di orecchini e un largo tatuaggio

che pareva un tappeto persiano sullo striminzito bicipite. Gli occhi, in

parte nascosti da un cappelluccio a cencio che gli scendeva sulla

fronte, erano profondamente infossati nelle occhiaie, rossi spiritati e

stanchi. Sotto, Jeans sbiancati e rotti e l'incongruenza di due piccoli

piedi infilati in mocassini di ottima fattura che non avevano

nemmeno avuto il tempo di impolverarsi. Tutto questo notai, in quei pochi

attimi e pensai che noi tre dovevamo sembrare statue di cera del Museo

di Madame Tussauld. Farfuglio' qualcosa, ansimando. "DDAI, CHE ASPETTI,

VVVVUOI PPPROOOPRIO CHE TI BBBBUCO!!??" e continuava ad agitare il

coltellone davanti alla faccia, anzi alle tette della Vittoria, mentre

lanciava occhiate inquiete verso l' ingresso. Non sapevo che pesci

pigliare. Pensavo ... ma porca puttana, ma e' mai possibile che qua fuori

nessuno si accorga di niente! Guardali li', passano e non vedono un ...

Neanche l'acqua nel Reno troverebbero quelli li' ... c'e' anche un

carabiniere ... se venisse a prendere il caffe'... mocche', ggninta ... e

noi qui con 'sto malnatt!"

 

Continuavo a stare li' a prendere sempre gli stessi pesci, quando sentii

la voce della Vittoria, chiara e tranquilla come al solito anzi piu' del

solito: "Dai cinno, sta' mo' calmo e metti giu' quel coso ... che cassa

vuoi che ti do... non lo vedi che non son neanche le otto? Avro' fatto si'

e no una trentina fra caffe' e cappuccini, piu' qualche bombolone... ci

saranno appena cinquantamila lire nel cassetto. Guarda mo', se non ci

credi! " e fece per aprirlo. Sara' stata la mossa improvvisa o un

tremito piu' forte degli altri, fatto sta che sul bel davanzale della

Vittoria sprizzo' all'improvviso il sangue che arrivo' a macchiare il

secchiaio e le tazzine bianche ancora da sciacquare. Poi un gemito, quasi

un gorgoglio che mi fece sussultare. "Dio Santo, le ha tagliato la gola!

L' ha sgozzata!" pensai inorridito, ma quei suoni non li aveva prodotti

la Vittoria. Venivano dal tavolino alle mie spalle, dove fino ad un

attimo prima stava seduto Equiseto. Pian piano si era alzato e ora

impugnava stretto qualcosa, il massiccio vaso d' ottone che stava

sulla mensola.

 

Avrei voluto dirgli di non fare cavolate, che quello li' era fatto come

un copertone e avrebbe tagliato la gola anche a noi , ma non ne ebbi

il tempo. Senza neppure guardarmi, gli occhi fissi sul sangue, Bianchi mi

strattono' da una parte superando in un lampo la distanza che lo

separava dal bancone. Al termine di una ampio arco ascendente, il

pesante sopramobile ando' a fermarsi sotto il mento del cinno con il

rumore di un melone maturo che si frantuma a terra. Non riusci' pero'

ad evitare la lama che gli penetro' nel braccio , mentre il balordo gli

 rovinava addosso. Andarono assiem ad abbracciare il pavimento. Insomma,

un vero casino, uno scannatoio che la Beca di Castenaso e' roba da

ridere ! Sangue dappertutto, vetri rotti... Sentii una voce concitata

avvicinarsi dalla strada. "Ecco, agente, e' entrato proprio li' il ladro

... in quel bar... e' in trappola!"

 La porta a vetri si spalanco' sbattendo con violenza contro il frigo dei

gelati e comparve un tipo in doppio petto blu... e senza scarpe! Lo

seguiva un agente di polizia in divisa con la pistola in una mano e un

uolchi-tochi spernacchiante nell'altra, grassoccio e anche lui trafelato.

Vedendo la scena si bloccarono sull'uscio. "Minchia, morti sonoo...

Madonna mia quanto sangueee! - ebbe appena il tempo di bisbigliare il

poliziotto prima di rovesciare gli occhi e scivolare con gli altri

sulle marmette gia' piuttosto affollate. Il gaga' in calzini indico' il

tossico svenuto, con un' unghia ben curata e lucida.

 - Ecco le mie scarpe! Vede? Lo sapevo che era qui! ... e dovrebbe

 esserci

anche il mio Vacheron Constantin ... sa, è di platino! -

Fu allora che cominciai a ridere. Una ridarola che ancora continuava

all'arrivo degli infermieri chiamati da non so chi.

Per un attimo credetti che mi avrebbero trascinato via in camicia di

forza. No, niente gole squarciate, anche se il taglio al petto della

Vittoria era abbastanza profondo. Pure il braccio di Equiseto sembrava

peggio di quanto non fosse per tutto quel sanguinare, ma come lei aveva

perduto molto sangue. Il bernoccolo sul cranio invece dovreste vederlo,

un uovo di piccione... appena piu' piccolo di quello che esibiva il

poliziotto. Al " cinno", un sieropositivo con fedina come la barba di

Noe', su al Rizzoli riscontrarono una frattura scomposta della

mandibola e dell'osso maston... mastal... non ricordo piu' come l' hanno

chiamato, comunque quello della cerniera. Poi quattro denti davanti

sbriciolati, un labbro spaccato e, per buona misura, anche la punta

della lingua tranciata dai denti nell' incotro col vaso.

 

La Vittoria si riprese in fretta dalla paura e dai quindici punti di

sutura. Prima ancora che la dimettessero gia' pensava alla pulizia che

avrebbe dovuto fare nel bar ... dopo aver accudito al SUO eroe! Si',

perche' il mio amico Equiseto se le sta prendendo tutte le coccole

della Vittoria, e anche quelle della figlia della Vittoria (che non pare

affatto gelosa, anzi) dopo aver fatto la ruota con i cronisti che a

cucci e spintoni cercavano di intervistare lui e fotografare lei. Poi

quando le e' sembrato sufficiente, con cortese fermezza li ha

scaraventati fuori dalla porta.

 

Mentre butto giu' questi appunti che mi ha chiesto un giornalista della

Repubblica (non ho mica nessuno, io, che mi coccoli ...) loro due, gli

inseparabili, sono sul divano del salotto. Lei sta dicendo che il viaggio

di nozze lo faranno alle Maldive, lui obbietta che sarebbe meglio usare

il denaro per sistemare la casa ma intanto il suo sguardo non abbandona

Vittoria e il suo decolleté. Le mormora qualcosa sotto voce. Lei

arrossisce poi gli da uno schiaffetto, ma leggero ... e spariscono di

la' . -Sai com'e'... conn quel che e' successo c'e' tanta di quella

contabilita' del bar arretrata...- Beh, ora vi saluto. Ah, dimenticavo,

Vittoria dice che mi deve presentare un' amica ...

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