Storia di una principessa col bernoccolo

e di come per la prima volta sulla terra arrivò

il Trentadue Dicembre

 

Quando Dio creò il cielo e la terra fece ogni cosa in modo eccellente, il sole era bellissimo e dava colore a tutto ciò che trotterellava su quel tappeto erboso che prima non c’era.

L’invenzione più bella però la fece quando inventò, con un vero tocco di classe, da maestro, una cosa che diede a tutte le sue invenzioni una dinamicità, un movimento molto più belli. Questa invenzione si chiamava “tempo”.

Col tempo ogni cosa mostrò facce diverse. Non era la stessa cosa capitare in un posto di giorno o di notte, al mattino o alla sera, d’estate o in autunno. Chiamò a sé trecentosessantacinque angeli e diede loro il compito di essere il tempo. Gli angeli si organizzarono, si diedero un nome, si misero in fila e, a turno, cominciarono a far girare le lancette degli orologi. Quando un angelo finiva la sua giornata aveva trecentosessantaquattro giorni per riposarsi e per raccontare al Signore com’era andata la sua giornata sulla terra.

Ogni angelo portava notizie buone e notizie cattive. Erano le notizie della giornata, quello che era successo in tutto il mondo, quindi c’era sempre parecchio da dire. Il primo di gennaio aveva sempre tante speranze da raccontare, mentre invece il trentun dicembre raccoglieva solo dei grandi insulti, lamentele, e poi incidenti, botti, baldoria per dimenticare cose che erano successe durante la sua assenza.

Il Signore del tempo rimase molto sorpreso quando, una volta, proprio il trentun dicembre gli raccontò questa storia.

- Mio Signore, porgi ascolto alle mie parole, perché solo tu puoi fare qualcosa.

- Coraggio, disse, immagino già cosa avrai da raccontarmi. Ma sai benissimo che ho creato l’uomo libero e che non interverrò in modo da obbligarlo a cambiare comportamento.

- Signore, fai quello che vuoi, però prima ascoltami. Quest’anno non ti voglio parlare di ciò che ho visto in tutto il mondo, non voglio ripetere per l’ennesima volta tutte le cattiverie che mi hanno detto. Voglio parlarti di una principessa.

- Una principessa? - Sì, mio Signore, una giovane donna che anno dopo anno vedo peggiorare sempre più, diventare sempre più triste, e temo che al mio prossimo giro non la troverò più. Tre anni fa era ancora abbastanza contenta. Organizzava grandi feste nel suo palazzo, era un pozzo di idee e sorprese. Per una notte riusciva a raccogliere sotto il suo tetto anche i nemici, anche quelle persone che mai e poi mai avrebbero festeggiato insieme. Quando sono passato da lei due anni fa l’ho trovata chiusa nel suo castello, al buio, sola. Le ho chiesto cosa fosse successo e lei mi ha raccontato il suo dolore. Gli affari del suo castello erano andati male e dovette vendere parecchie terre e proprietà. Ma non per questo divenne triste. Il suo dolore ebbe il sopravvento quando ella si accorse che insieme alle ricchezze stava perdendo anche gli amici. Meno aveva e più veniva dimenticata. Passava tanto tempo a pulire le stanze e guardare dalla finestra se casomai qualcuno fosse venuto a trovarla. Quando l’anno scorso sono tornato l’ho trovata chiusa nella torre del suo castello, al freddo e al buio, con un brutto bernoccolo sulla fronte, l’ho sentita invocare la morte. Guardava sempre la finestra, a volte provava a buttare giù le pareti della sua cella correndogli contro, ma così facendo si procurava solo un viso sempre più devastato dal bernoccolo sulla fronte. Intanto il castello era sempre più pieno di polvere e ragnatele. Ho provato a farle gli auguri, a farle coraggio. Le ho detto che poteva andare in una delle tante feste popolari presenti in città. Lei mi ha detto che si sente tanto sola e non cerca più nulla, né feste, né luci, né auguri. Solo una cosa l’avrebbe aiutata a rivivere. Essere cercata da qualcuno. Essere abbracciata da qualcuno che non si fosse fermato davanti al brutto aspetto del castello, davanti alle porte chiuse, alla polvere, alle ragnatele, qualcuno che non si fosse fermato davanti al suo pianto e al suo dolore... e al suo bernoccolo. Non so cosa fare mio Signore. Dove troveremo qualcuno disposto a soffrire in una notte come la mia?

- Hai provato a parlare con il Primo Gennaio?

- Per quale motivo, mi scusi?

- Per chiedergli se magari non si ferma un po’ da lei per farle gli auguri, per darle un po’ della speranza che porta con sé.

- Oh, no. No davvero. Primo Gennaio è sempre così indaffarato, così preso dai balli, dalle musiche, dal vino&ldots; So che non si fermerebbe mai. Il Signore del tempo pensò molto alla principessa e ringraziò Trentun Dicembre per avergliene parlato. I giorni passavano inesorabilmente e si avvicinava un nuovo veglione di capodanno, ad ogni giorno che veniva da lui chiedeva notizie della principessa e tutti ne sapevano ben poco, confermavano solo il fatto che era ancora lì, in quella torre. Finalmente ecco l’idea giusta! Un bonario sorriso gli illuminò la faccia e si mise subito all’opera. Cercò tra le sue scartoffie la ricetta del tempo e si mise a impastare un nuovo giorno, come ai vecchi tempi. Fece un giorno nuovo di pacca, lucido, bello, simile a tutti gli altri.

- Buongiorno Signore - disse l’angelo appena creato - Quale sarà il mio posto nel tempo?

- Il tuo compito non sarà facile, caro mio. Sembra assurdo, ma gli uomini non hanno mai tempo, eppure gliene ho dato un sacco.

- Ma, mi dica, cosa è successo?

- E’ successo che in alcuni giorni si fanno prendere dall’euforia, dalla voglia di fare botti, di festeggiare e hanno tempo solo per divertirsi. C’è una principessa che invece soffre e ogni volta che nel mondo c’è festa si chiude nella torre del suo palazzo dove ormai è rimasta sola, al freddo e al buio. Occorre tempo per accorgersi di lei, capisci?

- No

- E’ semplice invece. Tu non devi far altro che infilarti lì nel mezzo della festa e dare un giorno di tempo agli uomini perché si accorgano che alla loro festa manca qualcuno, non ci sono tutti e questo non è giusto affatto!

Quando giunse il nuovo capodanno il nuovo giorno fece proprio una bella sorpresa a tutti. Tanti preparativi, tante bottiglie pronte per far volare in alto i loro tappi stufi di rimanere imbottigliati per tutto quel tempo. Eccoli lì gli uomini, pigiati in tante sale e piazze, pronti come petardi che non vedono l’ora di esplodere, gli occhi di tutti fissi sull’orologio gigante della piazza e lì vicino il calendario con il foglio del trentun Dicembre già mezzo scollato e pronto per dar luce all’anno nuovo. Tre, due, uno e &ldots; sorpresa. Anziché apparire il giorno Primo Gennaio ecco che sul calendario sfoggia sopra le teste di tutti un incredibile messaggio. Trentadue dicembre. Sbalordimento, stupore, meraviglia lasciarono ben presto il posto ad un bisbiglìo sempre più rumoroso. Chissà, forse si trattava di uno scherzo, forse un errore di stampa, ed invece no: per la prima volta nel mondo si stava vivendo incredibilmente il trentadue dicembre. Qualcuno disse “Vogliamo spiegazioni!” qualcun altro “Non è giusto!” E si misero a discutere sul motivo di un tale ritardo. Parlarono uno alla volta, come in un grande comizio ed ognuno diceva la sua. Così quasi tutti passarono quel trentadue dicembre tra fischi ed applausi senza accorgersi che sul foglio del reato, quello che portava scritto in grande “Trentadue Dicembre”, c’era anche, in basso, in piccolo, un indirizzo: Via del Castello 2. “Quasi tutti” non si accorsero di questo particolare, infatti l’uomo che di mestiere aveva costruito quel calendario si era accorto meglio di ogni altro di quella stranezza. Lui non aveva mai stampato quel giorno e ancora più sicuro era del fatto che mai aveva scritto “Via del Castello 2”. Aveva con sé una borsa tracolla con dentro una piccola macchina fotografica e volle fare una foto a quel foglio di calendario perché era una cosa davvero strana. Poi, guardando a lungo la sua foto disse

- Io so dov’è via del castello. Ci sono stato qualche anno fa, ad una festa. &ldots;Ma certo, ora ricordo, si chiama così perché in quella via c’è solo un castello. Beh, visto che ho un giorno di tempo in più e non ho voglia di ascoltare queste chiacchiere, quasi quasi vado a farmi un giro proprio verso quel castello. E così il fabbricante di calendari si incamminò verso quel luogo tetro e dimenticato da tutti in cui continuava a vivere, se così si può dire, la sconsolata principessa. “Terra abbandonata”, “Castello maledetto”, “Pericolo!” erano solo alcune delle scritte che l’omino incontrò prima di arrivare alla vista del castello. Attorno ad esso era cresciuta una cinta di rovi e nella penombra di quella fitta vegetazione si sentivano tanti rumori sospetti, strani, che lo facevano sentire insicuro ed osservato. Pian piano quei rumori diventarono delle voci stridule, dei suggerimenti detti sottovoce, provenienti dal sottofondo, dei quali l’omino quasi non si rendeva conto. Non era il tipo che crede ai fantasmi, ma era sicuramente testardo e non avendo niente di meglio da fare decise di proseguire verso il castello.

- C’è qualcosa che non quadra in tutto questo - disse tra sé l’omino. - Un castello così farebbe gola a tanti ricconi, ma il nuovo proprietario non lo terrebbe certamente così. Si direbbe piuttosto un castello abbandonato che non un castello venduto. Ma se non è stato venduto, forse qualcuno ci abita ancora. Entrò cercando di non leggere i numerosi messaggi disseminati sul tragitto, capaci solo di far paura a chicchessia. - C’è nessuno? - l’omino si guardò attorno, un silenzio innaturale lo circondava, e non sapeva se sperare in una risposta o no, alla sua domanda.

Un’ombra in movimento gli apparve accanto alla sua, come se ci fosse qualcuno alle sue spalle, tra lui e la debole luce che riusciva ad entrare dalla finestra sopra il portone. Si voltò di scatto ed effettivamente qualcuno si mosse, ma non in tempo per nascondersi. L’uomo corse su per la grande scalinata, ma la sua corsa non era decisa. Non sapeva se quello che aveva visto era pericoloso o no. Aprì innumerevoli stanze, ovunque vedesse porte si tuffava e apriva convinto di trovare qualcuno prima o poi. Fintanto che stanco e sconfitto si fermò in un corridoio a riprendere fiato e gridò - Dove sei? Il silenzio che seguì al suo grido non fu lungo. E per la prima volta ebbe davvero paura

- Sono qui. - la voce veniva tesa e sottile, proprio dalle sue spalle. Si girò in un lampo facendo un balzo in avanti, col cuore in gola. Davanti a sé vide una signora terrificante, magra, scarna, alta, col capo coperto da un velo viola, una bocca piccola, come piccoli erano gli occhi, sbarrati e senza movimento.

- Io sono la governante del castello. Sono stata assunta per trecentosessantacinque giorni all’anno per mantenere ordine e cacciare gli intrusi. La signora non deve essere disturbata.

- Ecco, io vorrei vedere la signora, se mi permette, solo per un momento, per farle i miei auguri di buon anno. Sa, è tanto che&ldots;

- La signora - interruppe - non può essere disturbata. Lavora molto ed ora sta riposando. Riferirò io della sua visita. Ora è pregato di andarsene.

- Ma io sono venuto fin qui&ldots;

- Lei non è mai venuto fin qui! Ora se ne tornerà alla sua festa e man mano che la natura tornerà a riprendere i suoi colori e la sua “bellezza” (lo disse facendo una smorfia) lei dimenticherà di essere stato qui, come tutti. Da quegli occhi piccoli usciva un grande potere. Essi avevano il compito di convincerti di quello che dicevano le piccole labbra. L’omino raccolse la sua borsa da viaggio e quando rialzò gli occhi la donna non c’era più.

- Ehi signora, dove siete finita?

- Sono qui giovanotto - disse la stessa voce sempre venendo dalle sue spalle. - e sto sempre aspettando che te ne vada.

- Accidenti, mi ha fatto venire un altro colpo. Ma come ha fatto la principessa a...

- Non dire quel nome! Vattene! O mi obbligherai ad usare i miei poteri.

- No, no. Stia tranquilla, ora me ne vado. - ora parlava tremando mentre si incamminava giù per le scale con la signora sempre alle spalle - &ldots;Lei in fondo sta facendo solo il suo lavoro, &ldots;è pagata per questo, &ldots;ordine e disciplina, &ldots;trecentosessantac&ldots; ehi! L’omino si voltò di scatto e si fermò mentre scendeva le scale. La governante rimase stupita di quell’interruzione e prima di riuscire a dire qualunque cosa l’omino disse - Tu hai detto che sei assunta per trecentosessantacinque giorni l’anno, giusto?

- Sì, noioso omuncolo, cioè sempre!

-Non sempre, dolcezza. Oggi è il tuo giorno di vacanza, - la governante rimase stupita - oggi, se non lo sai, è il trentadue dicembre. E tirò fuori dalla sua borsa la foto che aveva fatto in piazza al grande calendario.

- Ma cosa dici? Non esiste il trentadue dicembre!

- Non esisteva. Ma ora sì. Quindi spostati, governante da strapazzo e lasciami parlare con la principessa. Dicendo questo l’omino, basso e due scalini sotto rispetto alla donna, legò velocemente le lunghe caviglie della signora con la tracolla della sua borsa. Lei cadde giù per le scale gridando tante parolacce che qui è meglio non menzionare. Lui non si preoccupò più di lei e riprese invece a salire. Si ricordò che da fuori aveva visto sulla sinistra della facciata una grande torre, alta ed inaccessibile, l’unico posto forse, che non aveva ancora controllato. Corse tanto da dimenticare di prendere fiato ed arrivò finalmente davanti a quella porta massiccia, enorme, che si apriva solo dall’interno.

- Aprimi, aprimi! Se ci sei aprimi, ti prego, o quella strega mi farà a pezzettini. - ma la porta non si apriva - lui sentiva la governante salire velocemente le scale, e davanti a sé solo quella porta chiusa. - Ti prego, principessa, so che ci sei. Io sono arrivato fin qui, ma tu devi aprire, altrimenti sarà tutto vano.

Finalmente una voce roca uscì dal portone - Sono brutta, chi mi vuol vedere?

- Muoviti, dannazione! Non ho tempo per le chiacchiere! Cosa vuoi che mi importi in questo momento come sei! E così la principessa aprì la porta dall’interno e lo fece entrare. L’omino rimase subito colpito dal grosso bernoccolo sulla fronte della principessa e dopo aver richiuso la porta - per poco la governante non riusciva ad impedirglielo - prese fiato e poi domandò,

- Ma che hai fatto alla fronte?

- Ti avevo detto che sono brutta. Tu sei voluto entrare. - No, non sei brutta&ldots; io, ecco, giù è rimasta la foto del calendario che&ldots;, cioè, voglio dire, la tua via&ldots;, poi quella specie di strega li fuori&ldots; insomma, sono un po’ imbarazzato, mi dai due minuti per riprendermi?

- Sì, qui abbiamo tutto il tempo che vogliamo. Qui è tutto uguale ed il tempo non passa mai.

- Ti sbagli invece! Il tempo passa, eccome! Solo che oggi è il trentadue dicembre e dobbiamo approfittare per uscire da questo buco&ldots;

- Scusami, ma io non ci capisco niente. Chi sei? Cosa sei venuto a fare da me? L’omino si fermò, e la guardò bene in quegli occhi grandi e tristi, poi, per dire qualcosa di simpatico disse

- Beh, buon anno! Si, direi che sono venuto per dirti questo, ma ora che sono qui ho intenzione di portarti via. Anche se a dir la verità non so come faremo, con quella spaventapasseri lì fuori.

- Ah, parli di Greta, la mia governante. In questi anni è sempre stata qui, nel castello per mantenere un po’ di ordine. Io un tempo ero ordinata, ma poi tutti mi hanno abbandonata, ho perso la voglia di fare qualsiasi cosa e lei gentilmente si è offerta di custodire il castello per me. - Secondo me stai facendo un po’ di confusione, piccola, questa nebbia deve averti dato alla testa. A vedervi così non si direbbe affatto che tu sia una principessa e lei una governante. Sembra piuttosto che lei sia la padrona e tu una prigioniera.

- Ma io non sono prigioniera, la porta si apre dall’interno.

- Già, ma se quella accoglie tutti come ha fatto con me, mi sa proprio che avrai poche visite in mezzo a queste nuvole

- Tanto &ldots; non viene nessuno.

- Oh, grazie tante! Va be’ che sono piccolo, ma almeno un po’ di rispetto potresti averlo. Io ho capito perché quest’anno è arrivato il trentadue dicembre, è arrivato per te!

- Ma cosa dici&ldots;

- Dico quello che penso - incalzò l’omino sempre più euforico - quella lì fuori non ti vuole bene, ti sfinisce qui, in questa cella, a forza di testate contro il muro e non vuole neppure che si dica che tu sei la principessa. Dal momento che l’hai “assunta”, per così dire, al tuo servizio, lei ha &ldots; stregato il tuo castello e lo ha reso impenetrabile. Come impenetrabile potrebbe essere diventato il tuo cuore, se non è troppo tardi

- &ldots; da quanto tempo non sentivo tante parole in una volta sola! - commentò la principessa confusa.

- Abbiamo poco tempo, tra poco finirà l’unico giorno in cui i suoi poteri sono annullati!

- Ma come? Io l’ho presa con me per trecento sessantacinque giorni all’anno.

- Appunto, bernoccolina! Oggi è il trecentossessantaseiesimo! Afferri? - si guardarono profondamente per qualche attimo, poi l’omino aggiunse - Forza, andiamo!

- No, ferma! - disse la principessa. - Ah! Ti pareva! ...Che c’è ancora?

- E’ tutto così in fretta, &ldots;io non so chi sei, &ldots;cosa vuoi da me. E poi, cosa vengo a fare fuori di qui? Dove mi porti?

- Principessa, - disse l’omino afferrandole entrambe le mani - ora smetterai di fare domande e mi seguirai. Ti porto a vivere.

Non c’era ragione per credere a quell’uomo venuto dal nulla, non c’era ragione per credere al suo trentadue dicembre. Non c’era ragione alcuna per tornare in un mondo che l’aveva prima usata e poi confinata nel suo castello, ma a volte le ragioni sbbiadiscono ed in quel momento la principessa volle provare. Si lasciò trasportare da quelle calde mani anche se forse era uno sbaglio, anche se da fuori la voce della governante, sempre più isterica metteva in guardia la donna dai mille pericoli che potevano nascondersi in quel piccolo uomo. Greta continuava ad urlare di farlo uscire, ed invece uscì lei e ...sorprendentemente di Greta non si vide nessuna traccia.

Quella porta prima nascondeva una voce cattiva, capace di mettere tanta paura, ma ora che era stata aperta la paura era svanita, insieme alla voce dando spazio alla rinata voglia di vivere. Il finestrino della cella fece corrente con l’aprirsi della porta e la principessa respirò un profumo nuovo, inviato dalla natura, ansiosa di invadere il castello con la sua fragranza. Scesero le scale del castello correndo come due bambini, e si buttarono nel bosco a perdifiato senza curarsi del riposo, del fiato che faticava a reggere il ritmo. Correvano e quella corsa era un canto di gioia, un’esplosione di felicità, un pennello che pitturava dei più bei colori quel bosco grigio.

Ti porto a vivere, aveva detto l’omino, senza sapere cosa fosse esattamente la vita. Ma anche quella corsa era vita, anche quel parlare di mille cose che seguì subito dopo, era vita, anche quel tenersi per mano, anche i cespugli e gli scoiattoli che divertendosi attraversavano il sentiero, erano vita. Era vita raccontarsi le proprie storie, dirsi i propri nomi, canterellare strofe che conoscevano entrambi.

Era vita passare il tempo così, senza accorgersene, senza sciupare un solo attimo di quella giornata magica. E vita era pure quel conto alla rovescia che giunse alle loro orecchie dalla piazza della città, quando ormai vi erano vicini. Questa volta stava davvero finendo l’anno, ma alla festa c’erano tutti, proprio tutti. Per tutto il giorno la gente aveva parlato, discusso, fatto teorie, ipotesi, valutazioni, ma poi con l’avvicinarsi della mezzanotte successiva si erano rimessi in agitazione sicuri che questa era la volta buona e che non ci sarebbe stato nessun trentatrè dicembre. Entrarono anche loro nella folla e alla mezzanotte in punto ci furono, botti, urla, auguri in quantità anche per la principessa che finalmente tornava a sorridere. Solo l’omino continuò col naso all’ in sù a seguire le numerose piroette del foglio con scritto trentadue dicembre, che dopo essere stato staccato dal calendario volò, volò, e volò sempre più in sù fino a sparire dalla vista nel buio del cielo, e scomparendo, in punta di piedi, pure dalla memoria di tutti quegli uomini per i quali, in fondo, era stato un giorno come tanti altri.

Mauro Borghesi

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