ALBATREA

di TomasoCarnaghi

 

 

Veniva alla luce in un giorno qualsiasi che a tutti era sembrato speciale. All'uscita di quel cunicolo rosso ed unto di sangue materno, aveva subito intuito la sua inquietudine di vivere.

Dicono che i neonati (come i cuccioli di una qualsiasi razza animale) attribuiscano il ruolo di "genitore" al primo essere vivente che gli si presenti alla vista dopo la nascita...Albatrea aveva preferito credere che sua madre fosse l'ostetrica...

Il padre non era potuto esser presente per l'occasione: intento ad acquistare nel suo porno-shop di fiducia mezza dozzina di cassette anni '70 a basso costo.

La madre l'aveva subito abbandonata a quella che poi lei avrebbe imparato a chiamare nonna.

Fu per uno, due, tre, quattro e così via anni...

The Albatrea's relatives...

Albatrea's mum:

aveva un'età che s'aggirava intorno ai quasi quaranta, aveva un numero di lauree inutili, aveva un lavoro che nulla c'entrava con l'indirizzo delle inutili lauree di cui sopra.

Aveva dei seni troppo flacidi, aveva un altro matrimonio con uno che forse aveva fatto la guerra con suo nonno, aveva un figlio demente cui concedeva ogni tipo di lussuosa stronzaggine.

Aveva una gran testa...così enorme nel suo esser fieramente di cazzo.

Albatrea's daddy:

incredibilmente schiacciato dall'incombente peso degli anni, delle frequenti masturbazioni, d'un lavoro deprimente, d'una moglie ora non sua, di due figli di cui volentieri avrebbe fatto a meno.

E, pure lui, (e forse era questo il motivo per cui i due tenerotti s'erano innamorati) con questa enorme protuberanza fallica che gl' incombeva da anni (probabilmente dalla nascita) sulle tozze e strette spallotte, tanto da avergli ridotto il collo a pochi centimetri (as fat as Maury Costanzo).

100 chili di cazzo da trasportarsi sulla schiena, eppure sto tizio non stava nulla male. Pareva.

Albatrea's brothers:

Come sopra detto la bimba ne aveva uno da parte di madre e due da parte padre.

L'uno aveva il nome di Filippo, i due di Andrea e Stefano. Nell'ordine di anni 12, 16 e 20.

Nel periodo in cui le età qui elencate potevano dirsi reali, Albatrea s'avvicinava al compimento dei suoi primi 10 anni.

Entrando nello specifico...

Filippo era sempre con suo padre (quello vecchio in tutti i sensi) in elicottero, in Ferrari...un po' come il Papa insomma.

Tutt'indaffarato a planare di scuola privata in scuola privata (maltrattato a dir suo da ogni stronza maestra di sta terra) come l'ape di fiore in fiore in un prato primaverilmente verde.

Andrea sopravviveva odiando nel profondo.

Odiandosi per ciò che non riusciva ad esprimere e gli altri si.

Stefano era... Stefano.

Cocciutamente ostinato nei confronti d'ogni cosa della vita.

Completamente schierato contro tutto ciò che fosse contrario a quello su cui cocciutamente s'ostinava.

A volte anche troppo...

Viveva nella camera di fianco alla sua.

Ed il termine giusto è proprio "viveva" non "stava" o altro, perché lui ci sopravviveva come fosse un'altra casa in un altro pianeta.

A sentire lui ce lo avevano costretto.

Anche Andrea aveva alla prima occhiata delle simili abitudini.

Eppure a sentire il parere dell'enorme cazzone che si è descritto prima... lui partecipava attivamente alla splendida vita famigliare, studiava e non lo valutavano abbastanza, era ordinato , preciso, pulitogentilemeditativoeunsaccod'altrestronzate...

Stefano era invece l'opposto.

Ad Albatrea non era mai sembrato, fin da quando era proprio piccina.

Voleva bene a tutti e due, e sapeva che i due se ne volevano in quel loro strano modo.

Divisi dalla bieca battaglia politico-famigliare in cui si ritrovavano nelle due schiere opposte.

Come un americano ed una russa ai tempi (?!) della guerra fredda.

Una mattina lo Ste' s'era alzato e, passando come tutti i giorni di fianco alla camera del fratello (quello suo unico e "vero") aveva calciato in preda al sonno, un sacchettino.

Era d'aspetto assai famigliare.

Era lo scroto contenente le palle del consanguineo.

Finalmente era successo... tanto non le aveva mai usate. Da quando era nato.

La rabbia adolescenziale la divorava quando ancora adolescente non era.

La rabbia le pulsava dentro come forse succedeva a Stefano.

A volte la frenava, come forse succedeva ad Andrea.

Poi quando l'Enorme fallo la toccava con le sue tozze mani, mentre ancora s'ostinava a volerle fare il bagnetto. All'alba degli ormai 12 anni, cosa che una qualsiasi madre avrebbe avuto qualche dubbio.

(No. La cervellona no).

E allora lì merda s'incazzava.

Beh, fatto sta che Albatrea non vedeva l'ora che qualcuno di quei carcerati se ne andasse, mezzo affitto o anche tutto avrebbe pagato.

Anche lei si era alzata.

Era li in cucina il grosso orso.

Con quel maledetto di casino che faceva quando beveva il caffè e latte la mattina.

Lo osservava. Mentre preparava la cartella per andare a scuola, dove l'avrebbe accompagnata Ste'.

Credeva di essere amato da tutti. E guai a chi provasse a dirgli il contrario (ch'era la verità).

Costringeva - la gente - ad - amarlo.

Non so se si è capita...

Era uno Pseudofasciocamuffatoliberalsessantottino.

Cazzo ma che posto di merda.

"Dov'è il fratellone?" aveva domandato lei.

"Vallo a chiamare... che lo sai che fa sempre tardi quello li..." (cosa che l'Andre tornava alla stess'ora perché uscivano insieme).

"Ola?! Mi porti a scuola o vuoi che vada a fare la baby sitter con la quinta elementare per il resto della mia vita?".

"Che cazz....?!" Aprendo un occhio soltanto la fissava neanche fosse una poliziotta venuta per arrestarlo. Sgomento direi!

"Ora arrivo piccola..." così dicendo lo Ste' alzava le coperte con le gambaccie. Le spingeva verso i piedi del letto. Si stirava le vertebre. Ritirava su le coperte. E ritornava a domire (5-6-7 volte).

Così ogni, per, sempre giorni che trascorrevano.

Era stata una di quelle domeniche che quando ti alzi pensi di dover andare a scuola, poi nessuno ti viene a chiamare... e allora dormi come non hai mai dormito.

Si era svegliata che le sembrava di nuovo già buio.

Aveva infilato le sue schifo di ciabattine che aveva perché non erano piaciute a Filippo.

Andata verso il bagno si poté vedere.

Splendido uccello dalle piume di fuoco.

Splendido uccello dalle ali esorbitanti.

Splendido uccello il cui respiro gela gli inferni.

Era diventata.

Ora intuiva il perché della fatica fatta per lavarsi i denti...

Lo aveva fatto naturalmente di sporgersi dal balcone della cucina. Di spiegare quelle enormi ali.

E di volare.

Il più distante possibile.

Dalla finestra aveva scorto il suo fratellone, con la sua solita faccia di quando dormiva. Sempre incazzato...

Prese il monte in cima al mondo come sua dimora.

E lì restò.

Ricorda che un inverno era tornata.

Ricorda che a mezz'aria fluttuava spiando all'interno del suo salotto che fu.

Ed i suoi occhi s'erano incrociati con quelli di lui, quelli di Stefano.

Lo aveva osservato. Minuzioso come non lo era stato mai.

Calmo e rilassato come non lo era stato mai.

Seduto sopra il divano. Il suo fratellone.

Guardava come al solito la tivù.

Ma invece della solita faccia imbronciata, un sorriso compariva a poco a poco sul suo viso.

S'era girato verso di lei con quel suo sguardo di vita.

E continuando a sorridere le aveva mandato un bacio facendo un cenno con la mano.

Nell'altra un coltello da cucina.

Si era rialzata in volo, felice. Aveva visto in camera da letto tre sagome di persona.

Le lenzuola intinte del rosso della liberazione.

L'Andrea era in gita a Londra, non lo aveva potuto salutare.

Lei lo sapeva, lo sapeva da sempre.

Poteva giungere e risolvere tutto con i sui straordinari poteri magici.

Volando fin li, più veloce d'ogni aereo mai costruito.

Invece.

Se l'era presa con calma.